Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/05/2017 Scarica PDF

Usura bancaria. Con le nuove Istruzioni emanate il 29/7/16 la Banca d'Italia introduce, alla 'chetichella', significative forme di egemonia della finanza sull'economia

Roberto Marcelli, Consulente Finanziario


1. Introduzione

Il 1° aprile ’17 – a vent’anni dall’entrata in vigore della legge 108/96 – è divenuta operativa la 10° edizione delle Istruzioni della Banca d’Italia. Pubblicate il 29 luglio ’16, le nuove Istruzioni, nel prevedere ulteriori modifiche alla rilevazione statistica del TEGM, appuntano l’attenzione più sulla verifica del rispetto dell’art. 644 c.p. che sulla rilevazione del TEGM. Espressamente stabiliscono: ‘Fino al 31 marzo ’17, al fine di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n.108, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della Banca d’Italia pubblicate nella G. U. 200 del 29 agosto 2009 ’.[2]

Nelle FAQ (in vigore sino al III trimestre ’16), divenute parte integrante delle Istruzioni, si continua a precisare: ‘Per quanto riguarda le modalità di verifica del rispetto del limite delle soglie, gli oneri introdotti dalle nuove Istruzioni (del ’09) vanno esclusi dal calcolo del TEG fino al 31 dicembre 2009’.

Nel comunicato stampa del 29 luglio ’16 si precisa ulteriormente: ‘le disposizioni transitorie assicurano omogeneità di calcolo tra la metodologia adottata per determinare i tassi soglia e il controllo sulle condizioni applicate ai singoli casi.’ [3]

Raccogliendo prontamente l’endorsement delle sentenze della Cassazione nn. 12965/16, 22270/16, senza alcuna mediazione del MEF, trascurando finanche ogni richiamo all’art. 3 dei decreti di pubblicazione delle soglie, si dettano regole in tema di verifica dell’art. 644 c.p.[4]

L’intervento della Banca d’Italia, travalicando sia il disposto normativo, sia l’organo amministrativo preposto alla rilevazione (MEF), realizza un palese arbitrio: autonomamente si arriva a disporre un periodo transitorio che, dalla rilevazione statistica del TEGM, viene esteso alla verifica dell’art. 644 c.p., prevedendo, nel caso specifico, che sino al 31 marzo ’17 l’usura dell’art. 644 c.p. sia accertata secondo i criteri delle Istruzioni ’09, mentre successivamente occorra far riferimento alle Istruzioni ’16.

La Banca d’Italia continua a esondare dalla mera rilevazione statistica prevista dalla legge, dettando esplicitamente regole per il rispetto dell’art. 644 c.p., mutandole e prescrivendo, addirittura, il periodo transitorio di vigenza della regolamentazione precedente la modifica, valendosi del principio di omogeneità stabilito dalle recenti sentenze della Cassazione Civ. nn. 12965/16, 22270/16 e trascurando il perentorio richiamo della Cassazione Penale n. 46669/11 che ha, invece, avuto modo di esprimere un severo apprezzamento sulle Istruzioni, giudicandole, nella circostanza esaminata, un ‘aggiramento della norma penale’ e precisando nello specifico che: ‘la materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legittimità si verifica solo mediante il confronto con la norma di legge (art. 644, comma 4, c.p.) ‘.[5]

L’endorsement sull’omogeneità e simmetria, espresso dalle due menzionate sentenze (Cass. n. 12965/16 e n. 22270/16) ha avuto vita breve: il tempo di una falena notturna. All’alba del nuovo anno, la stessa Cassazione Civile è intervenuta ripristinando le priorità e i cardini dell’Ordinamento. La sentenza della Cassazione Civile, stessa Sezione I, n. 8806 del 5 aprile ’17, occupandosi delle spese di assicurazione, che nel 2002 venivano escluse dalla rilevazione del TEGM, ha disconosciuto ogni stereotipo di omogeneità e simmetria, anteponendo l’imprescindibile carattere di onnicomprensività fissato dall’art. 644 c.p.. La sentenza puntualizza che ‘detto carattere “onnicomprensivo” per la rilevanza delle voci economiche – nel limite esclusivo del loro collegamento all’operazione di credito – vale non diversamente per la considerazione penale e per quella civile del fenomeno usurario’ e, per quanto assai scontato, stabilisce la subordinazione all’art. 644 c.p. delle stesse disposizioni esecutive del MEF e della Banca d’Italia: ‘La centralità sistematica della norma dell’art. 644 in punto di definizione della fattispecie usuraria rilevante non può non valere, peraltro, pure per l’intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell’usura e quindi anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive e per le Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia. Se è manifesta l’esigenza di una lettura a sistema di queste varie serie normative, pure appare chiaro che al centro di tale sistema si pone la definizione di fattispecie usuraria tracciata dall’art. 644, alla quale si uniformano, e con la quale si raccordano, le diverse altre disposizioni che intervengono in materia.’, ribadendo al tempo stesso il principio di diritto fondato sull’inerenza del costo all’erogazione del credito, elemento ‘necessario e sufficiente’ per il riscontro dell’eventuale usurarietà. [6]

Sconcerta come le scelte e le iniziative dell’Istituto Centrale tracimino, con manifesta disinvoltura, la funzione meramente consultiva assegnatagli in sede di rilevazione dalla legge 108/96, nell’indifferenza del MEF, che supinamente ne ratifica – talvolta a posteriori - l’operato nei decreti di pubblicazione delle soglie e/o delle Categorie di credito. La Banca d’Italia, noncurante di ogni espressione della dottrina e della giurisprudenza, sembra, per giunta, non ritenere sussistere, né prima né dopo la legge n. 2/09, alcun dubbio ermeneutico o di altra natura che – come indicato dalla Cassazione Penale - possa trattenere l’intermediario dall’estendere alla verifica dell’art. 644 c.p., i comportamenti indicati nelle Istruzioni, nelle FAQ divenute documento organico delle Istruzioni stesse e, per le CMS e la mora, nelle Circolari e comunicazioni diffuse nel tempo[7].

Il reiterato arbitrio e le naturali reazioni che vengono insorgendo in dottrina e giurisprudenza alimentano condizioni di incertezza e contrapposizione che, oltre a ledere il prestigio e il rispetto per la funzione istituzionale assolta dalla Banca d’Italia, vengono altresì ad inficiare i rapporti contrattuali, alimentando la conflittualità e pregiudicando l’efficienza stessa del mercato, con i debiti riflessi sul costo del credito, attestato sui massimi livelli in ambito comunitario.

Il principio di omogeneità e simmetria della verifica dell’art. 644 c.p. con i criteri dettati dalla Banca d’Italia, avanzato dall’ABF e fatto proprio dalle pronunce della Cassazione nn. 12965/16, 22270/16, è stato prontamente mutuato nelle nuove Istruzioni. Recependo tale principio, sia per il passato che per il futuro, la Banca d’Italia - dacché secondo la legge n. 108/96 è ‘sentita’ dal MEF per la rilevazione statistica del valore medio di mercato – pretende assumere autonome iniziative, ergendosi a egemone regolatore del presidio d’usura.

Il principio di omogeneità, esteso all’intero corpo delle nuove Istruzioni, si renderebbe applicabile, oltre che alla CMS, alla mora, alle altre spese, in particolare quelle di assicurazione, prima escluse e successivamente, con le ‘Istruzioni’ ’09, incluse nel TEG, e ancora, per il criterio di calcolo che sino al ’09 non prevedeva l’annualizzazione, poi prevista nelle ‘Istruzioni’ ’09 solo per gli oneri e spese non occasionali, subito dopo modificata negli oneri e spese non continuativi, con le successive FAQ del ’10, e nuovamente modificate nelle Istruzioni ’16; tali modifiche sono intervenute nella sostanziale indifferenza dei principi di inerenza e onnicomprensività sanciti dall’art. 644 c.p., principi ribaditi dalla più recente sentenza della Cassazione Civ. n. 8806 del 5 aprile ’17.[8]

Se nella verifica dell’art. 644 c.p. si va appresso ai mutevoli ‘umori’ metodologici della Banca d’Italia, espressi, tempo per tempo, con dieci edizioni delle Istruzioni, tre edizioni di FAQ integrative e rettificative (non risultano al momento FAQ che regolino il periodo successivo al III trimestre ’16), nonché la Circolare 2/12/05 e le ‘comunicazioni’ del maggio e luglio ’13, si introducono elementi di discrezionalità, opacità e significative alterazioni dei dati rilevati, che risultano orientati - più che a rigorosi criteri tecnici di rilevazione - a perseguire un’indebita via traversa di gestione della politica del credito.[9]

Se poi, di concerto con il principio di omogeneità, trascendendo il valore del TEGM pubblicato in Gazzetta[10], si ergono ad atto integrativo di completamento del precetto penale le Istruzioni stesse con i relativi criteri di calcolo e di inclusione – estesi dalla rilevazione statistica alla verifica dell’art. 644 c.p., come risulterebbe emergere dalle pronunce gemelle della Cassazione Civ. n. 12965/16 e n. 22270/16 - si aprirebbe altresì un varco al principio di retroattività della norma più favorevole (art. 2, comma 3°, c.p.), potendosi, tra l’altro, sostenere l’estensione a ritroso del trattamento ‘privilegiato’ introdotto, a partire dall’aprile ’17, nelle nuove Istruzioni per i fidi scaduti e revocati (cfr. osservazioni a seguire).[11]

Così operando, si stravolge la riserva di legge, si perviene a minare la tassatività e determinatezza della norma, si riduce, in definitiva, il presidio all’usura ad una ‘farsa’.

Con le nuove Istruzioni ’16 la Banca d’Italia rimuove la palese distorsione creata con le precedenti FAQ nell’applicazione delle CIV[12]. Gli oneri eventuali, che siano occasionali o non continuativi, come logica finanziaria impone, vanno annualizzati: non vi sono argomentazioni tecniche o di altra natura che possano sottrarre tali oneri al regime annuale del costo del credito. Il ‘ravvedimento’ della Banca d’Italia, rispetto alle precedenti Istruzioni del ’09 e alla rivisitazione delle FAQ del ’10, non può trascinare – in ossequio ad un infondato stereotipo di omogeneità -  una deroga, sino al 31 marzo ’17, dal principio di annualizzazione nella verifica dell’art. 644 c.p. Le CIV, come ogni altro onere, alla stregua degli interessi, vanno considerate in ragione annua: lo prescrive ‘la norma’, richiamando l’usuale misura impiegata in finanza per misurare il costo del credito. Il metro, definito nei manuali di finanza, non è un elastico, che la Banca d’Italia può allargare e restringere in funzione della natura dell’onere: anche la discrezionalità rimessa dalla legge al MEF, circoscritta alla rilevazione del valore medio di mercato, incontra pur sempre limiti oggettivi nei principi tecnici dettati, per la rilevazione, dalla scienza statistica e per i criteri di calcolo dalla matematica finanziaria. La formula del TEG, con il trattamento differenziato dagli interessi, degli oneri e spese, ha condotto ad una palese edulcorazione della soglia, prontamente raccolta dagli intermediari nelle loro strategie tariffarie, che hanno apprezzabilmente inciso nel regolare svolgimento del mercato del credito. In particolare, per la CMS – esclusa dal calcolo del TEG e, solo con la Circolare del dicembre ’05, sottoposta ad una distinta e arbitraria verifica – la rilevazione trimestrale del valore medio presentava palesi incongruenze e ‘manipolazioni’ che hanno reso la soglia della CMS apprezzabilmente sopravvalutata.

Rimossa, a partire dal 1° aprile ’17, la discrasia delle CIV e colmata – dopo oltre sette anni - la carenza metodologica di calcolo delle precedenti Istruzioni per la rilevazione del TEGM, viene introdotta nel contempo, una modifica di pregnante rilievo negli affidamenti scaduti e revocati, che apre un nuovo e più esteso varco ai margini elusivi delle soglie d’usura. Dopo le restrizioni imposte dalla legge n. 2/09 ai criteri di inclusione nel TEG, le interferenze e distorsioni si vengono spostando, appuntandosi nella composizione delle Categorie di credito.

Nelle nuove Istruzioni ’16 si riporta: ‘il mancato rientro di un’apertura di credito scaduta o revocata dovrà essere segnalato, dalla data di scadenza o di revoca, tra i passaggi a debito dei conti non affidati’, che corrisponde alla Categoria 1c degli ‘scoperti di conto’.

E’ palese l’escamotage: risultando trascurata dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dalla stessa ABF, la Mora – soglia, introdotta dalla Banca d’Italia con la rilevazione campionaria del ’01, si viene a disporre lo spostamento dei crediti in mora in una diversa Categoria la cui soglia è marcatamente elevata, la più elevata delle 25 classificazioni nelle quali è distribuita la rilevazione del TEGM, del tutto incurante del momento pattizio e del riferimento all’importo erogato, ai quali è espressamente riferito l’art. 644 c.p. Scardinando il principio di raffronto con l’ordinario e fisiologico costo del credito, si predispone nei rapporti di conto una via traversa, privilegiata e surrogatoria dell’applicazione della mora, innalzando, con traslazioni e costi spuri, le soglie e offrendo in tal modo agli intermediari bancari un dominio contrattuale senza precedenti. Tutto questo interviene nel silenzio e indifferenza dell’AGCM, Autorità di Vigilanza preposta a presidiare l’equilibrio dei rapporti e con esso la concorrenza del mercato.[13]

Nelle precedenti Istruzioni ’09 – come anche nel documento di consultazione del ’15 - si prevedeva: ‘Sono esclusi dalla rilevazione i rapporti che risultano revocati alla fine del trimestre di riferimento’ e si precisava nelle FAQ in vigore sino al settembre ’16: ‘In caso di estinzione del rapporto di finanziamento nel trimestre di segnalazione, la segnalazione dovrà essere effettuata nella categoria relativa al rapporto estinto e con riferimento all’ultimo fido accordato per la determinazione del TEG e della classe di importo (cfr. Istruzioni B4). Parimenti, andranno trattati i fidi scaduti anche quando il cliente non risulti rientrato dall’esposizione sia alla fine del trimestre di segnalazione, sia nei trimestri successivi fino all’eventuale esclusione dell’operazione ai sensi del paragrafo B.2 delle Istruzioni.

A presidio di legge invariato, la Banca d’Italia interviene nei criteri di classificazione del credito, spostando gli affidamenti scaduti, divenuti insoluti, dalla Categoria delle Aperture di credito a quella degli Scoperti senza affidamento ed inserendo, altresì, nella rilevazione della Categoria ‘Scoperti privi di fido’ gli affidamenti revocati, prima esclusi dalla rilevazione[14]. La modifica risulta avallare – e forse intende anche sanare per il principio di retroattività ex art. 2. Comma 3, c.p. - il comportamento delle banche che, già con l’introduzione dal ‘10 della Categoria degli Scoperti privi di fido, avevano adottato il criterio di includervi anche i crediti revocati o scaduti.

Inserendo nella rilevazione statistica i fidi revocati e scaduti, rimasti insoluti, sintomatici di una manifesta patologia, si stravolge il principio di legge, falsando la ‘fotografia’ dell’ordinario costo medio del credito. Nell’attuale fase in cui ancora perdura la crisi economica, l’aggregato interessato alla modifica assume una dimensione non trascurabile: con le nuove Istruzioni della Banca d’Italia, a partire dal 1° aprile ‘17, le banche potranno elevare del 40% - 50% (rispettivamente dal 18,21% al 25,12% per i crediti inferiori a € 1.500, dal 18,21% al 23,20% per i crediti compresi fra € 1.500 e € 5.000, e dal 15,36% al 23,20% per i crediti superiori a € 5.000) i tassi praticati alla clientela che risulta insolvente alla scadenza o non rientra tempestivamente alla revoca del fido, mentre per i crediti in anticipazione s.b.f. il tasso potrà praticamente raddoppiare. Inoltre, con l’immissione di crediti deteriorati nella Categoria degli Scoperti privi di affidamento, si è indotto un apprezzabile aumento della relativa soglia, dal 23,71% al 25,12% per i crediti inferiori a 1.500 e dal 22,20% al 23,20% per i crediti superiori a € 1.500.[15] Si appalesa una vistosa contraddizione: la mora viene, per un verso, esclusa dalla rilevazione del TEG, ma, per altro verso, il credito in mora viene sostanzialmente a costituire una Categoria a sé, congiuntamente agli scoperti privi di fido, con soglia marcatamente più alta. 

La modifica costituisce una sortita imprevista, un ripensamento dell’ultimo momento, introdotto ‘alla chetichella’ nella stesura definitiva delle Istruzioni. Non vi è corrispondenza fra la versione posta in pubblica consultazione e quella definitivamente varata, né risultano avanzate proposte o emendamenti che giustifichino tale significativa modifica. Proprio i nuovi criteri di classificazione dei crediti deteriorati, adottati sin dal 2014 nel Regolamento 680, avrebbero dovuto indurre la Banca d’Italia ad escludere dalla rilevazione l’intero aggregato dei ‘Non performing exposures’.[16]

Se la circostanza fosse stata rappresentata nel documento posto in consultazione, sarebbe senz’altro pervenuta un’osservazione in tal senso. Al contrario, la variazione introdotta non era riportata nel documento posto in consultazione, non risulta motivata, né richiesta nella consultazione, né commentata nelle modifiche apportate al documento proposto nell’aprile del ‘15, né tanto meno risultano essere state poste in consultazione le FAQ, divenute parte integrante delle Istruzioni. Per altro, queste ultime, al momento non si conoscono: considerata l’espressa volontà di realizzare un unico documento organico, più che un’inclusione delle stesse nelle Istruzioni, risulterebbe realizzata una loro soppressione.[17]

Né si conosce la nutrita serie di dati di dettaglio raccolte in oltre vent’anni dagli intermediari in sede di rilevazione del TEGM, che consentirebbe di meglio valutare le numerose modifiche introdotte, senza spiegazione alcuna, dalla Banca d’Italia nelle Istruzioni ‘16[18]. Le segnalazioni del TEG sono rese note esclusivamente nel dato aggregato per ciascuna Categoria ed importo: i dati disaggregati (numero rapporti interessati al TEG e alla CMS, classi di importo, distinzione famiglie consumatrici e unità produttive, ecc.) sono mantenute riservate così che non è dato inferire, verificare ed apprezzare le ignote motivazioni che hanno condotto alle scelte e ai criteri di omogeneità adottati dalla Banca d’Italia.[19]

Nelle Istruzioni poste in consultazione nell’aprile del ‘15, al paragrafo B2 (Operazioni escluse), venivano ricompresi, al punto 6) i finanziamenti revocati, mentre per quelli scaduti – in assenza di diversa indicazione – rimaneva invariata l’indicazione delle FAQ, che prevedeva la segnalazione nella medesima Categoria dell’erogazione. Non si comprende quale rilevante mutamento del mercato, o quali ripensamenti, nella stesura definitiva delle Istruzioni abbiano indotto la Banca d’Italia a modificare la scelta e ricomprendere nella rilevazione i crediti scaduti o revocati. Né si ha evidenza che tale modifica sia stata portata preventivamente a conoscenza del MEF, al sevizio del quale la rilevazione è condotta e al quale direttamente la legge rimette la classificazione delle operazioni per categorie omogenee. Né tanto meno si ha evidenza di qualche forma di concertazione con l’AGCM, per i riflessi che ne conseguono sugli equilibri dei rapporti bancari, sulla concorrenza del mercato, sulla tutela degli operatori che accedono al mercato del credito.

Si esercita una discrezionalità che appare esondare i limiti di legge: tali opache modalità di operare ledono esigenze di trasparenza e di oggettività tecnica che si impongono ad un atto amministrativo non ordinario, adottato in completa autonomia e di pregnante interesse pubblico: una imprescindibile accountability si impone per il rilievo che la rilevazione assume, sia nella determinazione della soglia d’usura, quale completamento di una norma penale ‘in bianco’, sia per i riflessi indotti nella strategia tariffaria degli intermediari e nell’equilibrato svolgimento del mercato. [20]

 Si tratta di operare un’attività che: “se svolta in condizioni che non ne garantiscono l’imparzialità può dar luogo a pericolose distorsioni nella definizione del fine pubblico e nella disposizione del relativo assetto di interessi, con effetti dannosi per tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati”. In quest’ottica assume una notevole importanza il principio di trasparenza che costituisce uno dei modi più efficienti per assicurare l’imparzialità dell’Amministrazione, ovvero bisogna: “rendere visibile a tutti gli interessati il processo decisionale mediante il quale l’amministrazione dispone l’assetto degli interessi e definisce il fine pubblico nel caso concreto, perché la consapevolezza di essere potenzialmente osservati durante tale attività costituisce il miglior deterrente nei confronti di comportamenti scorretti”. (G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Enc. Giur., vol XXXI, 1995).

La Banca d’Italia non è esclusa da tale vaglio, né risulta esperita una concertazione con l’AGCM che possa assicurare un adeguato bilanciamento e temperamento con le esigenze di concorrenza e di tutela della clientela bancaria.

Si è altresì osservato: ‘ … è a tutti nota la posizione da tempo assunta in materia da parte della Corte costituzionale: oltre la determinazione della pena va riservata alla legge ‘la sufficiente specificazione del fatto’ ovvero la determinazione del ‘contenuto politico essenziale’ del divieto. Il rinvio ad un atto sub-legislativo (peraltro, preesistente) risulta in tale ottica conforme ai principi di riserva di legge e di determinatezza nella misura in cui non ‘perduri la facoltà dell’amministrazione di mutare, sostituire o abrogare l’atto stesso’ e sempre che consista nella pura e semplice attività di specificazione di meri elementi tecnici da effettuare sulla scorta dei criteri indicati dalla legge in modo preciso, così da non creare inammissibili incertezze sul contenuto essenziale dell’illecito penale’ (R. Rampioni, La fattispecie di usura presunta nel crogiolo della pratica applicativa. Il ‘nodo’ della commissione di massimo scoperto mette a nudo il non sense della delega politica ad organi tecnici. Cassazione penale, 2012).

Non appare consono al rilievo sistemico che la modifica è suscettibile di apportare, sottrarla ad ogni forma di consultazione e di giustificazione, curandone un inserimento ‘alla chetichella’ nelle versione definitiva delle Istruzioni, per di più senza alcuna illustrazione esplicativa dei motivi che hanno condotto a tale improvvisa ed inattesa scelta.

Una analoga strategia ‘alla chetichella’ era stata già adottata nel 2009 con l’introduzione della Categoria degli Scoperti privi di fido, che non venivano menzionati nel preliminare documento di consultazione, né nel resoconto, né tanto meno nelle comunicazioni di commento e accompagno: solo con la pubblicazione delle soglie d’usura (G.U. 30 dicembre ’09), il giorno precedente l’entrata in vigore per il I trimestre ’10, si è avuto notizia che gli scoperti privi di fido, prima oggetto di ‘separata evidenza’ nelle Istruzioni, divenivano una Categoria autonoma. Sopperendo alle carenze del precedente DM del 23 settembre ’09, il MEF, con il DM del 25/3/10, a posteriori, ha dovuto integrare l’elenco delle Categorie introducendo gli ‘Scoperti senza affidamento’[21].

Questi espedienti, poco ortodossi, sottraggono le scelte della P.A. a quel vaglio di diligenza, imparzialità e correttezza che, in una diversa modalità di trasparente informativa al mercato, potrebbe essere tempestivamente esercitato dai soggetti sui quali tali scelte ricadono. Con tali comportamenti la Banca d’Italia, nell’apparente rispetto della forma, anziché ricercare – attraverso una corretta procedura di consultazione – un più diffuso consenso e condivisione delle scelte effettuate, manifesta atteggiamenti di egemonia impositiva, sacrificando, in un marcato trade-off, all’attenzione e presidio della stabilità dell’intermediario, gli equilibri di contratto e la concorrenza del mercato, incurante, altresì, delle discrasie giuridiche sollevate e dei connessi effetti di maggiore conflittualità che tali scelte vengono a riversare nelle aule di giustizia.

 

2. La Categoria dei crediti deteriorati

Dopo che la legge n. 2/09 ha posto un argine più stringente ai criteri di inclusione del TEG, l’egemonia della Banca d’Italia in materia di usura si viene riversando sulla composizione delle Categorie. L’intervento sulle Categorie si pone su un piano diverso dai criteri di inclusione nel TEG, in quanto rientra nelle scelte che la legge demanda esplicitamente al MEF. Mentre i criteri di inclusione trovano un formale e stringente presidio nello stesso art. 644 c.p., la determinazione delle Categorie viene dalla legge sottoposta a limiti tassativi ma non esaustivi: nei generali criteri di omogeneità dettati dalla norma, si lasciano spazi di discrezionalità tecnica all’organo amministrativo, che tuttavia non possono non trovare un argine in principi di coerenza con la norma e con la finalità stessa che presiede la rilevazione, da sottoporre ad un trasparente vaglio di  motivazione e informazione alla platea dei soggetti alla quale la norma si riferisce.

Nessuna motivazione è stata addotta dalla Banca d’Italia, né è intervenuta modifica alcuna alla situazione precedentemente regolata, che possa giustificare l’inclusione dei crediti scaduti ed insoluti negli Scoperti privi di fido e addirittura l’ingresso in rilevazione di crediti revocati prima esclusi, per i quali la patologia è conclamata.[22]

Non è per altro trascurabile la circostanza che la definizione delle Categoria viene ricondotta dalla legge al MEF, non alla Banca d’Italia: nel decreto annuale di definizione delle Categorie (26/9/16), come anche nel decreto relativo alle soglie in vigore dal 1 aprile ’17 (23/3/17) non si riporta alcunché di tale rilevante modifica introdotta dalla Banca d’Italia nella rilevazione: non si vede come, senza un intervento del MEF, la Banca d’Italia possa disporre, dal 1° aprile ’17, il passaggio dei crediti revocati o scaduti nella Categoria degli Scoperti privi di affidamento. Per la rilevazione la Banca d’Italia può anche introdurre una modifica radicale nella composizione delle Categorie che, recepita nel TEGM pubblicato dal MEF in G.U., concorre legittimamente alla determinazione della soglia d’usura, ma non ha alcun titolo – tanto più in via autonoma - per indurre un analogo criterio di inclusione nella verifica dell’art. 644 c.p.: fissate dal MEF le Categorie, la scelta del criterio di inclusione dello specifico credito nella Categorie - per omogeneità di natura, importo, durata, rischi e garanzia – rimane rimessa alla valutazione del Giudice. Risulterà di significativa indicazione il criterio adottato dalla Banca d’Italia, ma non determinante: se effettuata contro lo spirito della legge, nulla impedisce al Giudice di discostarsene. Questo aspetto viene a creare un’ulteriore rilevante opacità, suscettibile di alimentare un nuovo canale di conflittualità.

La modifica da ultimo introdotta appare esclusivamente preordinata a tutelare gli intermediari: viene di fatto rimessa nella libera discrezionalità dell’intermediario di revocare il fido, passare il credito alla Categoria degli Scoperti ed alzare il tasso. Il passaggio dalla Categoria delle Aperture di credito alla Categoria degli Scoperti senza affidamento alza marcatamente la soglia (dal 18% al 25%), consentendo margini compensativi ben oltre il valore della mora ed esasperando ulteriormente l’asimmetria contrattuale nei rapporti bancari. Ancor più marcato risulterà il divario per le anticipazioni di carta commerciale rimaste insolute. Se si assurge a ‘Categoria’ uno stato del credito nella sua espressione patologica si scardina il fondamento stesso della norma. Innalzando l’asticella del credito al manifestarsi dell’evento patologico, si accosta il riferimento del valore medio alla patologia, anziché contenere quest’ultima entro lo spread dal valore medio fisiologico; con l’innalzamento della soglia al ricorrere della patologia, si stravolge il disposto normativo, edulcorando il presidio sino a vanificare la legge, riconducendo nell’arco della legalità tassi di interesse marcatamente discosti dai valori medi di mercato: con lo stesso criterio potrebbe paradossalmente essere costituita un’ulteriore Categoria per le Sofferenze, con una soglia ancor più alta.[23]

Può talvolta risultare labile la linea di confine fra il fisiologico e il patologico. Con la scelta del modello di rilevazione statistica del valore ordinariamente praticato dal mercato si adottano criteri che tendenzialmente risultano atti ad escludere le fattispecie di patologia: il criterio di ordinarietà e ricorrenza fisiologica è una scelta metodologica corretta e coerente con la funzione che la legge assegna al TEGM. Così come per rilevare il valore medio fisiologico del colesterolo di una popolazione, oltre il quale intervenire con diete e farmaci, è opportuno escludere dalla rilevazione i malati presenti negli ospedali, per la determinazione del costo medio del credito si devono escludere dalla rilevazione i crediti speciali, quelli in sofferenza, revocati e in mora che, altrimenti, introdurrebbero nel valore medio una distorsione che non appartiene alla fisiologia del credito.

Nell’analisi di impatto della regolamentazione, si analizzano i riflessi derivanti dalla scelta di escludere le operazioni di micro-credito previste dalle disposizioni attuative dell’art. 111 del TUB.[24] Valutando tali erogazioni ‘strutturalmente effettuate a tassi inferiori a quelli medi’, la loro inclusione nella rilevazione è stata ritenuta ‘distorsiva’. Due pesi e due misure. Non si è avvertita la necessità e l’esigenza di dare conto delle motivazioni e dell’impatto degli effetti distorsivi, non certo trascurabili, che l’inclusione nella rilevazione di crediti deteriorati – strutturalmente effettuati a tassi superiori a quelli medi - apporta al valore del TEGM e, di riflesso, alla soglia d’usura: una prima, ancora incompleta, evidenza si palesa nelle nuove soglie in vigore dal 1° aprile ‘17. [25]

Escludere dal TEGM il micro-credito previsto dall’art. 111 del TUB in quanto praticato a tassi strutturalmente inferiori a quelli medi e, per converso, includere negli ‘Scoperti privi di affidamento’ i crediti deteriorati, strutturalmente accompagnati da tassi superiori a quelli medi, costituisce una ulteriore ‘manipolazione’ dei dati statistici, volta a fornire una fotografia ‘deviata’ del valore medio di mercato.

Nei chiarimenti in materia di usura del 3/7/13, la Banca d’Italia precisava che gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG per evitare di considerare nella media operazioni con andamento anomalo[26]; con la modifica introdotta si è creata un’apposita Categoria per l’anomalia, calcolando, per i crediti insoluti, il TEG sugli interessi divenuti moratori. La legge non contempla una soglia per l’anomalia, al contrario la comprende e contiene entro lo spread previsto dalla norma. Gli interessi dovuti sul credito revocato si vengono a configurare, a tutti gli effetti, come interessi moratori e la creazione di una Categoria dove gli intermediari fanno confluire tale forma di patologia è un palese escamotage tecnico per introdurre una soglia più alta per gli interessi di mora nei rapporti di conto: ma non ha luogo alcuna erogazione, né il tasso di mora è una componente fisiologica del costo del credito. Risultando l’omogeneità delle Categorie riferita dalla legge alla natura del credito, non del tasso, e rigettato dalla giurisprudenza prevalente l’espediente della rilevazione campionaria per l’impiego della Mora soglia (spread 2,1%), la Banca d’Italia ha ovviato alla criticità concependo, in sostituzione della soglia per il tasso di mora, una soglia per la Categoria di credito in mora. Non più tardi delle precedenti Istruzioni del 2009 si precisava, nella relativa consultazione: ‘Gli interessi di mora sono esclusi dalla rilevazione del TEG in quanto riferiti a situazioni di deterioramento del rapporto e a casi di inadempimento, che normalmente determinano un inasprimento delle condizioni economiche inizialmente applicate.’.

Con un impiego alquanto disinvolto della discrezionalità tecnica consentita dalla legge, senza alcuna informazione né motivazione, si ‘aggiustano accortamente’ i principi stessi che presiedono la rilevazione statistica del TEGM per operare una gestione attiva delle soglie: i crediti revocati, prima esclusi dalla rilevazione del costo medio fisiologico del credito, dal 1 aprile ’17 vengono ricompresi nel TEGM. Con la Categoria degli Scoperti privi di affidamento, ora allargata ai crediti affidati risultati insoluti, si viene sostanzialmente a creare una differenziazione, non in funzione del rischio associato alla natura e tipologia del credito concesso, bensì in funzione del rischio associato al cliente: si viene così a determinare una sorta di ‘camera di lievitazione’, dove far ascendere il tasso sino al 25% ed oltre, prima di rilevare la decozione del debito.

Con lo spostamento degli affidamenti revocati e scaduti, rimasti insoluti, nella Categoria degli ‘Scoperti privi di affidamento, si offrirà agli intermediari lo spunto per prevedere, già direttamente in contratto, un tasso di mora prossimo al tasso soglia della Categoria degli Scoperti[27]. Né è ravvisabile alcuna protezione della parte debole del contratto, passibile in ogni momento di revoca del fido, di innalzamento del tasso su valori insostenibili e di segnalazione in Centrale dei Rischi: in tal modo, forse si presidia la stabilità dell’intermediario, ma diviene spesso e rapidamente ineludibile una perversa spirale ascendente il cui epilogo è il drenaggio di tutte le risorse patrimoniali disponibili, fino al default del cliente. E’ proprio con simili ‘perversi’ processi di avvitamento che la finanza viene di fatto a fagocitare l’economia reale.

Se le condizioni contrattuali del finanziamento non vengono correttamente commisurate alla capacità di rientro del cliente, l’impossibilità, alla scadenza, di far fronte al pagamento degli interessi, pone il cliente in una spirale ascendente del debito che, prorogata nel tempo, si accentua a dismisura; la spirale ascendente risulta ulteriormente accelerata dal rialzo dei tassi che usualmente l’intermediario accompagna all’automatica capitalizzazione degli interessi, in linea con il deterioramento del merito di credito che il mancato pagamento degli interessi induce; né il cliente, sotto la ‘gogna’ della revoca, è in condizione di negoziare il tasso dell’esposizione. L’interesse composto è il naturale principio che presiede e conduce all’efficienza un mercato concorrenziale, come il mercato dei capitali: trasporre da tale mercato una libera applicazione dell’anatocismo al mercato del credito, aggravando oltre tutto gli effetti con la mora estesa agli interessi, senza i correttivi e i temperamenti previsti dall’art. 1283 c.c., accentua ineluttabilmente i processi di sovra-indebitamento e dissesto economico[28].

La distinzione per Categorie omogenee prevista dalla norma, è riferita alla natura oggettiva del rischio insito nella tipologia di credito, mai al rischio associato al cliente e/o all’iniziativa finanziata che, invece, deve essere compreso entro lo spread previsto dalla norma. Fra i vari criteri di omogeneità delle Categorie, la legge contempla il rischio, ma questo è da riferirsi ovviamente alla tipologia di operazioni, non al merito del cliente, rimesso alla libera valutazione dell’intermediario e calmierato, per la copertura, entro lo spread dal tasso medio. E’ questo un imprescindibile discrimine implicito nella ‘classificazione delle operazioni per categorie omogenee ’, disposto dalla legge 108/96.[29]

crediti affidati risultati insoluti, si viene sostanzialmente a creare una differenziazione, non in funzione del rischio associato alla natura e tipologia del credito concesso, bensì in funzione del rischio associato al cliente: si viene così a determinare una sorta di ‘camera di lievitazione’, dove far ascendere il tasso sino al 25% ed oltre, prima di rilevare la decozione del debito.

La norma demanda al MEF il compito di rilevare il valore medio fisiologico di mercato per le ordinarie Categorie di credito, che funga da riferimento per stabilire il margine (spread) entro cui spesare la patologia. Né lo scoperto senza affidamento, né tanto meno i fidi scaduti o revocati, costituiscono una tipologia di credito ordinario. Se si ricomprendono nella determinazione del TEGM anche circostanze di patologia del credito, non avrebbe più senso il margine (25% + 4 punti) sul tasso medio di mercato. Lo spread previsto dalla legge serve a coprire i maggiori rischi prospettici rispetto al tasso medio, valutati inizialmente all’erogazione del finanziamento: non appare coerente con lo spirito della norma rincorrere il maggior rischio insorto successivamente all’erogazione, alzando l’asticella e ponendo ulteriori margini di variazione rispetto al maggior tasso necessario a coprirli.[30] Per analogia, sarebbe come prevedere, in un contratto di assicurazione, un innalzamento del premio al verificarsi di una grave malattia o al primo segnale di incendio: il premio al rischio si commisura sulla probabilità dell’evento, non successivamente all’evidenza dell’approssimarsi dello stesso.

Se si consente, all’intermediario che ha concesso un affidamento a revoca, la piena discrezionalità di revocarlo o ridurlo alzando contestualmente il tasso di interesse sull’insoluto sino al tasso soglia della Categoria degli Scoperti privi di affidamento, si opera sostanzialmente un vistoso ampliamento dello spread : alla base del TEGM corrente previsto per le aperture di credito (II trim. ’17: 11,37% e 9,09%) risulterebbe applicabile uno spread  che, in luogo dell’ordinario 25% + 4 punti, risulterebbe ascendere al 25% + 11 – 12 punti.

L’indebita regolamentazione implicita nelle Istruzioni della Banca d’Italia, in uno con l’asimmetria informativa e la dominanza indotta nei contratti di adesione, crea spazi di ampio raggio rimessi nella più completa discrezionalità dell’intermediario. Oltre a prevedere finanziamenti tramite scoperti privi di fido, l’intermediario può concedere regolari affidamenti che in ogni momento, con un preavviso ‘lampo’, può revocare, determinare in tal modo una repentina criticità nella situazione di liquidità dell’operatore e, spostando il credito nella Categoria degli Scoperti senza affidamento, nello stato di necessità dallo stesso creato, innalzare arbitrariamente il tasso praticato. Sino ad oggi, ancorché normalmente prevista in contratto, non si è posto sostanzialmente un problema di mora nei conti correnti, in quanto gli intermediari, attraverso l’art. 118 TUB, usano portare il tasso sulla soglia prima di revocare l’affidamento. Ora, con la modifica introdotta, forzando l’utilizzo dell’art. 118 TUB, potranno ulteriormente innalzare il tasso sino a valori del 25%, ben superiori (+40%) alla soglia dei crediti affidati e allo spread di mora ordinariamente previsto in contratto. Il cliente, posto repentinamente nell’impossibilità di ripianare il debito, segnalato alla Centrale dei Rischi e privato di soluzione alternative, si trova ineluttabilmente a subire le condizioni imposte dalla banca.

Non risulta coerente con il principio di legge che un credito scaduto e non saldato possa essere automaticamente collocato in una Categoria con soglia d’usura più elevata, per le medesime riflessioni che si prospettano per il tasso di mora: non vi è alcuna nuova erogazione e la Categoria rimane quella iniziale della pattuizione. Il cliente insolvente non può che subire, passivamente disarmato, il rialzo del tasso: dove c’è necessità non c’è scelta. Il tasso di mora deve essere un tasso concordato inizialmente, non arbitrariamente imposto successivamente al momento della difficoltà finanziaria, entro una soglia all’uopo rialzata. Al manifestarsi della patologia e soprattutto a discrezione dell’intermediario, si alza l’asticella effettuando un cambio di soglia: per questa via si devia la funzione assegnata dalla legge 108/96, più propriamente si smantella il presidio all’usura, consentendo, di fatto, indebiti e più elevati livelli di tasso che, anziché presidiare, ‘legalizzano’ l’usura.

La scelta espressa dalla Banca d’Italia prelude, per altro, ad un ulteriore futuro passaggio regolamentare: nella Relazione sull’analisi d’impatto della Delibera CICR di attuazione dell’art. 117 bis, è stato auspicato l’allargamento della Categoria degli Scoperti alla componente extra-fido del credito affidato; tale evoluzione verrebbe ora ad acquisire una motivazione avvalorata dalle apprezzabili analogie di esigibilità e liquidità con il fido scaduto o revocato. Tutto questo lascia trasparire una strategia di edulcorazione delle soglie, dispiegata, step by step, nel medio periodo, la cui trama si scorge agevolmente: mentre la Banca di Francia, da un’approfondita analisi dei dati forniti dagli intermediari, ha elaborato una riforma delle Categorie di credito che ha apportato un apprezzabile riduzione delle soglie d’usura a tutto vantaggio del credito al consumo, le frequenti riforme delle Categorie operate dalla Banca d’Italia hanno sortito un graduale innalzamento delle soglie d’usura a tutto vantaggio degli intermediari, con apprezzabili riflessi sul mercato del credito, nella completa indifferenza dell’AGCM.

Già nel gennaio ’10, l’introduzione della Categoria degli ‘Scoperti senza affidamento’ aveva destato stupore, non risultando giustificata dalla natura e dimensione dell’aggregato di riferimento. Appariva anacronistico prevedere un’apposita Categoria ricomprendente forme di credito che dovrebbero risultare di breve momento e di importo modesto, rispondenti ad esigenze occasionali ed impreviste: una modesta Categoria di credito, di scarsa dimensione economica che tuttavia sembra ormai rivelarsi di significativa ampiezza, con forme stabili di credito prive di affidamento.

Il Presidente dell’AGCM, nell’Audizione al Senato del 21/4/10, nell’illustrare la distinzione fra scoperto di conto e affidamento, aveva puntualizzato la precipua natura occasionale del primo: ‘Lo scoperto è rivolto a coloro che non prevedono di doversi indebitare, come strumento di salvaguardia nel caso tale necessità si presenti inaspettatamente’. Lo scoperto dovrebbe fisiologicamente risultare occasionale, ma, se il fido concesso è inferiore alle necessità dettate dal capitale circolante e la banca – ancorché abbia valutato, nella sua discrezionalità, l’ammontare di fido ritenuto coerente con il merito di credito del cliente – si mostri flessibile e tollerante nella concessione degli scoperti, non è infrequente il ripetersi e/o il protrarsi di situazioni di scoperto: la ricorrenza è posta in buona misura nella discrezionalità della banca. Il fenomeno è ampiamente diffuso e risalente nel tempo: in sede civile numerose pronunce, anche di legittimità, si sono occupate del fido di fatto protratto talora per anni. Riporta A.A. Dolmetta[31]: “Un conto è che lo sconfinamento si protragga nonostante le intervenute richieste di pagamento (che per l’appunto risulta esatto dal creditore) e i solleciti che, reiterati, la banca manda al cliente (nel prosieguo del tempo, pure attivandosi per il recupero forzoso del dovuto): in un simile contesto, la forma tecnica dell’operazione rimane inalterata, per quanto il debito non trovi estinzione. Un altro conto, e ben diverso, è che invece non si muova per nulla, che neppure vada a chiedere al cliente il saldo scoperto: così mostrando di non avere – essa, prima di ogni altro soggetto – interesse a ricevere nell’immediato la prestazione dovutale e di tollerare, e anzi di favorire, la persistenza attuale e il protrarsi futuro del debito da sconfino dell’obbligato. Un comportamento di questo tipo viene di fatto a produrre una situazione di stabilità del rapporto che, sotto il profilo sostanziale, risulta equiparabile – mi sembra di poter rilevare – a quella caratteristica dell’apertura di credito. In materia, insomma, si manifesta cosa determinante la ragione, come oggettivamente emergente dal comportamento tenuto dalla banca, per cui lo sconfinamento viene a prolungarsi, e a prolungarsi ancora, nel corso del tempo. In sostanza: un conto è che la situazione si imponga alla banca: un’altra è che sia proprio essa a deciderla”. Con il D. Lgs. 141/10 sono state introdotte specifiche disposizioni per lo sconfinamento: all’art. 125 octies TUB si prevede una specifica informativa in favore del correntista consumatore. Dopo l’intervento normativo di definizione e regolamentazione, le banche hanno iniziato a prevedere nei contratti di c/c, a prescindere dalla qualifica o meno di consumatore, la possibilità dello sconfinamento prevedendone le condizioni economiche, pur ribadendo l’assoluta discrezionalità della banca nel concederlo. Appare evidente che la stessa previsione contrattuale di questa forma spuria di finanziamento viene a creare le aspettative di utilizzo, favorendo – nelle necessità imposte dalla limitazione del fido stabilito dallo stesso intermediario - un ricorso a tali forme esose di credito più diffuse, più frequenti e più durature[32].

Con il D. Lgs. 141/10 sono state introdotte specifiche disposizioni per lo sconfinamento: all’art. 125 octies TUB si prevede una specifica informativa in favore del correntista consumatore. Dopo l’intervento normativo di definizione e regolamentazione, le banche hanno iniziato a prevedere nei contratti di c/c, a prescindere dalla qualifica o meno di consumatore, la possibilità dello sconfinamento prevedendone le condizioni economiche, pur ribadendo l’assoluta discrezionalità della banca nel concederlo. Appare evidente che la stessa previsione contrattuale di questa forma spuria di finanziamento viene a creare le aspettative di utilizzo, favorendo – nelle necessità imposte dalla limitazione del fido stabilito dallo stesso intermediario - un ricorso, a tali esose forme di credito, più diffuso, più frequente e più duraturo[33].

Prima del ’10 gli scoperti senza affidamento erano ricompresi nella Categoria delle Aperture di credito, con una soglia, nella fascia di importo più basso, del 17% circa: con le modifiche ai criteri di rilevazione del TEG e la scissione in due distinte categorie, la soglia degli ‘Scoperti senza affidamento’ è balzata sino al 29,9%, marcando un divario di oltre il 50% dalla soglia prevista per i conti affidati (19,28%). Nei trimestri successivi i tassi degli ‘Scoperti senza affidamento’ si sono in parte ridimensionati mantenendo, rispetto ai tassi sugli affidamenti, un marcato divario, nell’ordine del 40% ed oltre.  Sull’introduzione nel ’09 della nuova Categoria degli ‘Scoperti senza affidamento’ osserva A.A. Dolmetta: ‘La previsione della categoria in questione, così come emerge dalle prescrizioni positivamente strutturate dall’Autorità amministrativa, risulta non conforme alla disposizione contenuta nell’art. 2 l. n. 108 del 1996. E in effetti, il criterio differenziale tra la categoria degli scoperti in quanto tale e quella dell’apertura viene a dipendere – secondo i termini di quanto si è appena riscontrato – non già da ragioni tecniche (che si fondino sul citato precetto di legge) bensì dalla scelta dell’operatività bancaria tra alternative (strutturalmente) equivalenti. E’ un dato di fatto che, all’inizio del 2010, i tassi soglia degli scoperti senza affidamento – sino ad allora ancorato al riferimento dato dalle aperture – siano letteralmente esplosi: così, per i rapporti inferiori ai 5000€, il primo trimestre dell’anno segnala uno scarto di addirittura 10 punti percentuali, tra scoperto e aperture. Ed è arduo pensare che un simile effetto «esplosione» non rimonti – in termini di sua causa efficiente – all’intervento separatore a quell’epoca attivato dalle Autorità amministrative (così come preannunciato, del resto, nel corso dell’anno 2009). Sicché, in questa prospettiva potrebbe non sembrare improprio parlare, secondo un uso che parrebbe crescente, di “fissazione in via amministrativa di tassi bancari soglia”. Tuttavia, in proposito neppure si può trascurare che – come si è appena visto – il detto intervento separatore si è venuto a muovere fuori dai parametri assegnati alla pubblica Amministrazione dalla legge antiusura (cfr. ancora una volta, l’art. 2). Resta ancora confermato, in definitiva, che la vigente legge anti usura non assegna alle Autorità amministrative altro compito se non quello di fotografare l’esistente; meglio, anzi, di fotografare non altro che l’esistente stabilito dal legislatore.’.  (A.A.Dolmetta, “Scoperti senza affidamento” e usura, 2013, I Contratti.).

Occorre al riguardo osservare che la regolamentazione del fido è pervasa da un’apprezzabile differenziazione: nelle FAQ e nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia si disciplina, il fido, il fido operativo nonché il ‘fido interno’ accordato al cliente, ma non formalizzato né comunicato: queste distinzioni sono pervase dalla più completa opacità[34]. Per lo scoperto senza affidamento ricorrono frequentemente equivoche criticità: quando si protrae nel tempo con il consenso della banca viene a costituire un affidamento di fatto. Rimane difficile riscontrare per tali forme di implicito affidamento una differente natura che ne giustifichi un’apposita Categoria, diversa dal credito affidato, con soglie d’usura maggiorate. Non è dato conoscere l’estensione e dimensione assunta nel tempo dalla Categoria in questione.

La modifica introdotta, nell’indebolire ulteriormente la posizione del cliente nelle forme di credito a revoca, accentua l’asimmetria contrattuale ed è suscettibile di amplificare gli aspetti di opacità e quindi di contestazioni, inducendo gli intermediari a ricorrere più frequentemente alle revoche del fido per innalzare il tasso del credito[35].

L’intermediario è preposto dall’ordinamento giuridico alla canalizzazione del risparmio verso il finanziamento dello sviluppo economico. Le risorse finanziarie rimangono un bene limitato e prezioso: salvo casi particolari e circostanziati, corroborati da ritorni economici significativi, ordinariamente non vi dovrebbero essere disponibilità per un rischio corrispondente a tassi marcatamente elevati. Tuttavia spesso non è il rischio che eleva il tasso. L’imprenditore lo subisce per semplice carenza di liquidità e il costo del credito, sino a valori effettivi del 25,12% ed oltre, non è che il ‘giogo’ risultante da comportamenti il più delle volte dissociati: il fido non viene concesso (o ampliato) ma, ciò nonostante, il credito viene erogato in scoperto di conto.

E’ un’anomalia tutta italiana la circostanza che si finanzi spesso con credito a revoca ben oltre il capitale circolante. Nel finanziamento a revoca (a tempo indeterminato) l’intermediario assume un rischio a breve che, in un costante monitoraggio, viene sistematicamente prorogato nel termine: in ogni momento può essere modificato il tasso o revocato l’affidamento. Il cliente non ha alcuna certezza contrattuale, né di tasso né di durata: pur pagando una commissione dello 0,50% trimestrale, non può fare affidamento sulla futura disponibilità del credito. Costituisce un paradosso esigere una commissione di affidamento del 2% annuo per la disponibilità di un credito revocabile in ogni momento, ad insindacabile giudizio dell’intermediario; tale commissione, per gli affidamenti a revoca, costituisce un iniquo ‘balzello’ non dissimile dall’abrogata CMS, per gli affidamenti a scadenza, costituisce una ingiustificata duplicazione per la quota parte del credito utilizzato relativamente alla quale è cessato il servizio di ‘messa a disposizione’.

L’apertura di credito, nelle varie forme ibride adottate dagli intermediari, è venuta assumendo una dimensione che esorbita le fisiologiche esigenze delle fluttuazioni del capitale circolante. Il credito in conto è una tipica fonte di finanziamento del sistema imprenditoriale italiano, tra le più onerose e le più precarie, quando assume la forma ‘a revoca’: risponde esclusivamente alle esigenze dell’intermediario che ne viene facendo un uso preponderante ed eccessivo.[36]Lo squilibrio negoziale nell’affidamento a revoca è massimo: le ‘leve’ del contratto sono rimesse nella completa discrezionalità dell’intermediario, che risulta maggiormente tutelato sia dal rischio di inesigibilità del credito, sia dal rischio di ascesa dei tassi. In assenza di alternative, il cliente subisce il ‘dettato’ della banca, pur consapevole che difficilmente potrà rispettare i tempi di rientro imposti all’atto della revoca del fido ed evitare, di riflesso, la segnalazione a tutto il sistema bancario e, dal 1° aprile ’17, l’ascesa del tasso sino a valori del 25%.

Nell’accentuata asimmetria che si viene radicando nel rapporto di credito, si assiste per altro ad uno ‘scollamento’ delle forme tecniche di finanziamento dalle effettive occorrenze imprenditoriali e ad uno scadimento del processo di selezione del credito curato dall’intermediario: il finanziamento viene spesso rimesso più alla garanzia prestata che alla qualità dell’iniziativa finanziata. L’intermediario non è un Monte dei Pegni, nel quale la garanzia esaurisce e assorbe la decisione del finanziamento, senza alcuna condivisione delle sorti del prenditore. Soprattutto per i crediti alle piccole imprese, nella scarsa attendibilità delle risultanze contabili, si rinuncia spesso ad un’analisi accurata del merito di credito dell’iniziativa finanziata, preferendo da un lato estendere il ricorso alle garanzie e dall’altro spalmare indifferentemente su tutta la clientela il costo medio delle insolvenze.[37]

Nell’allocazione del credito l’intermediario, nei limiti propri al ruolo al quale è preposto, deve farsi carico della responsabilità e rischio dell’iniziativa imprenditoriale selezionata e finanziata: il piano industriale, il know how e la capacità imprenditoriale devono costituire le migliori condizioni di garanzia, di sviluppo e, conseguentemente, di ritorno economico. L’expertise, la capacità professionale e l’informazione di cui dispone l’intermediario gli consentono di valutare, al momento dell’erogazione e nelle eventuali prorogatio del credito, se questo sia funzionale all’impresa e se l’imprenditore possa sostenere l’impegno assunto, sia nel costo corrente degli interessi, sia nel rimborso alla scadenza del finanziamento ricevuto. Il credito, anche se allarga le potenzialità dell’impresa, non è necessariamente fonte di crescita e stabilità; senza un corretto business plan nel quale trovino equilibrio e copertura il costo degli interessi e il rimborso del capitale, il patrimonio sociale può andare incontro ad una continua erosione; in tali circostanze l’erogazione del credito, tanto più se concessa a tassi particolarmente esosi e con interessi reiteratamente capitalizzati, può solo favorire la decozione[38]. Non è infrequente la circostanza nella quale la banca si rende artefice dello stato di difficoltà finanziaria, erogando il finanziamento senza un’adeguata istruttoria del merito di credito e dell’investimento finanziato, per poi aggravare la situazione economico-finanziaria del cliente attraverso automatismi di anatocismo e tassi di interesse resi via via insostenibili: l’indiscriminata pratica di capitalizzazione degli interessi sopisce l’attenzione dell’intermediario e la consapevolezza del cliente, attenuandone la responsabilizzazione.[39] L’anatocismo costituisce il primo segnale che l’istruttoria sulla natura del finanziamento e la sua copertura è risultata carente o che il ritorno dell’investimento finanziato si sta discostando dal business plan programmato: risulta ormai radicata e legalizzata una prassi bancaria dove la capitalizzazione degli interessi è la regola e il pagamento degli interessi alla scadenza l’eccezione. 

Una compiuta istruttoria, l’intuitus personae connesso al richiedente, la puntuale congruenza degli utilizzi e dei rientri del finanziamento al business plan e un costante monitoraggio in corso di realizzazione, costituiscono le prestazioni tecniche di qualificata professionalità rientranti nell’ambito dei canoni di correttezza e cautela prestati dall’intermediario creditizio. L’impiego del credito concesso deve consentire di realizzare un ciclo economico in grado di realizzare quanto meno liquidità sufficiente a restituire gradualmente l’importo finanziato e nell’immediato gli interessi maturati. Se il menzionato impiego non è in grado di realizzare tale obiettivo sarà proprio il credito ricevuto a determinare il default dell’imprenditore.

Se il margine economico dell’iniziativa non riesce, nei tempi e nelle dimensioni, a produrre la liquidità necessaria a coprire gli interessi, viene ad essere innescato un irreversibile aumento del passivo, alimentato dagli anacronistici tassi dello ‘scoperto di conto’, con una persistente erosione delle risorse sottratte agli impieghi produttivi, che finisce per pregiudicare l’integrità patrimoniale dell’impresa. Nella circostanza, per la diversa conoscenza, informazione e professionalità, all’intermediario compete una responsabilità non minore di quella del prenditore di fondi che, spesso, compresso nel bisogno del finanziamento, non ha una piena consapevolezza del percorso ascendente del debito nel quale si pone rinviando al futuro il pagamento degli interessi. D’altra parte la commissione di affidamento, sino allo 0,50% trimestrale, non costituisce una rendita di posizione: ad essa corrisponde un servizio e parallelamente un’assunzione di responsabilità della congruità e coerenza del credito erogato. La gestione di una vasta clientela non giustifica l’impiego di automatismi che vorrebbero surrogare l’attenzione per il servizio per il quale l’intermediario percepisce un congruo riconoscimento economico.

Appare indispensabile ripristinare un attento bilanciamento: se dal un lato occorre presidiare il rispetto dei termini contrattuali, dall’altro occorre evitare un sovraccarico di interessi, oneri e spese automaticamente rinviati al futuro, che si accompagnano ad una deresponsabilizzazione sia del prenditore che del datore di fondi e alimentano un processo di reiterato deterioramento delle condizioni economico-finanziarie che prelude al sovra-indebitamento e al default.

Con la menzionata modifica prevista per i fidi scaduti o revocati, gli elementi di criticità, prodromici alla conflittualità, insiti nelle Istruzioni della Banca d’Italia, si estenderanno dai profili di omogeneità dei criteri di inclusione ai profili di scelta della Categoria di confronto. Tale modifica, assai distorcente la ‘fotografia’ del mercato – come la precedente enucleazione degli Scoperti dalle Aperture di credito – è stata sottratta alla consultazione, evitando in tal modo ogni critica e contrasto e ponendo la platea dei soggetti interessati di fronte al fatto compiuto. Gli intermediari troveranno conveniente avvalersi del nuovo principio per classificare liberamente il credito nella diversa Categoria, applicare tassi sino al 25%, valutando di poco rilievo il contenzioso che verrà ad insorgere, confidando nella copertura offerta dalle Istruzioni, rafforzata oltre tutto dall’anodino endorsement fornito dalla Cassazione Civ. nn. 12965/16 e 22270/16.

Suscita indignazione la pervicace attenzione della Banca d’Italia volta ad edulcorare e stemperare, in ogni dove[40], la tutela posta dal legislatore al prenditore di fondi, con il fine diverso e confliggente di presidio della stabilità dell’intermediario: per altro questa politica del credito, ad un quarto di secolo dalla privatizzazione e liberalizzazione dell’intermediazione creditizia, nel tutelare le diffuse rendite di posizione, risulta aver apprezzabilmente contribuito a coartare la concorrenza, indirizzando e condizionando le strategie dei prezzi entro i varchi elusivi creati attraverso ‘discutibili’ scelte tecniche delle Istruzioni per la rilevazione delle soglie d’usura. Dette Istruzioni, con l’estensione dalla rilevazione del TEGM alla verifica dell’art. 644 c.p., esercitano la veste di un’indebita regolamentazione e indirizzamento del mercato del credito: se la CMS e gli oneri e spese non fossero stati favoriti dalle Istruzioni, non avrebbero avuto l’anomala lievitazione riscontrata nell’ultimo ventennio.

L’esperienza passata della CMS, posta al di fuori del TEG, prontamente amplificata e diffusa a tutti i conti, mostra che ogni deviazione e ‘smagliatura’ offerte nelle ‘Istruzioni’ dalla Banca d’Italia, soprattutto nelle categorie più chiuse alla concorrenza, viene opportunisticamente colta per ampliare il costo del credito. Se si introduce nel comparto del credito rivolto all’impresa una Categoria marginale, con tassi marcatamente elevati, è scontato il deflusso in tale Categoria dalle altre forme di credito. In un mercato pressoché privo di concorrenza è l’intermediario che stabilisce la natura, le condizioni, la durata del credito e, quindi, la Categoria. [41]

La soglia d’usura dello scoperto di conto senza affidamento già si colloca in Italia – pur considerando la diversa base di riferimento – ben 10 - 12 punti sopra la soglia francese: 25,12% (fino a € 1.500) e 23,20% (oltre € 1.500) contro il 13,55% in Francia.[42] Con tali costi del credito – estesi da circostanze occasionali a situazione apprezzabilmente diffuse e protratte nel tempo - si pregiudica lo sviluppo, conducendo l’impresa al fallimento e il consumatore al sovra-indebitamento[43].

Per giunta, introducendo con le soglie in vigore dal 1 aprile ’17, nella Categoria degli Scoperti privi di fido, le posizioni di maggiore criticità, relative ai fidi scaduti o revocati (aperture di credito e anticipazione di carta commerciale), prima escluse dalla rilevazione, si determinerà un processo di innalzamento del tasso soglia su valori ancor più discosti da quelli già anomali, praticati dagli intermediari: le prime avvisaglie già si riscontrano nelle soglie degli Scoperti di conto, entrate in vigore il 1° aprile ’17. 

La domanda e l’offerta di risorse economiche sono governate da un lato dall’utilità marginale del prenditore e dall’altro dal costo della raccolta e gestione dell’offerente. Nel servizio del credito si individuano sostanzialmente tre fattori: i) costo della provvista; ii) spese di gestione, iii) copertura del rischio di insolvenza. In un mercato concorrenziale, in assenza di vincoli e razionamenti, come per ogni prodotto, il tasso di equilibrio tende a ‘schiacciarsi’ sul costo del servizio mentre in un mercato imperfetto il tasso di equilibrio tende a ‘schiacciarsi’ sull’utilità marginale del prenditore. Soprattutto per talune Categorie di credito, vengono drenate cospicue rendite di posizione, protette da un’endemica carenza di concorrenza, protetta e favorita da contratti di adesione, marcatamente asimmetrici, nei quali il rapporto con il cliente viene asservito e ricondotto ad uno stato non dissimile dalle condizioni di dipendenza di un paziente dal proprio farmaco: in tali circostanze, il concetto di ‘accordo pattizio’, applicato ai ‘contratti di adesione’ praticati al credito, si risolve in una sostanziale finzione, ancor più palese dei vestiti del re di Andersen. Con un Euribor nell’intorno dello zero, pur considerando nell’attuale congiuntura economica la lievitazione degli insoluti, i livelli delle soglie elaborate nelle larghe maglie delle Istruzioni, finiscono per sortire una ‘copertura’ anziché un ‘presidio’ all’usura.[44]

Risulta aberrante che si consenta all’intermediario di praticare tassi così elevati: senza alcuna motivazione, prefigurando un’apposita Categoria per la patologia del credito, con un arbitrario e immotivato inserimento del credito risultato insoluto nella Categoria degli Scoperti privi di fido, si travalica e travisa il principio di legge che fissa all’erogazione il presidio d’usura. Non si può introdurre una discriminazione al verificarsi dell’insolvenza elevando la soglia per la mora; la Cassazione (n. 5286/00) ha avuto modo di rilevare che ‘la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell'accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell'art. 1, 3 comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dell'art. 1224, 1 comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura". Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sè il permanere della validità di un'obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge. ’.

Il legislatore, nel ricomprendere entro la soglia d’usura gli interessi, commissioni e spese inerenti al credito, a qualunque titolo percepiti, non ha necessariamente disconosciuto la diversa funzione degli interessi di mora dagli interessi corrispettivi, né ha inteso precludere una penale nel caso di mancato pagamento; ha solo posto un limite superiore perentorio entro il quale ricomprendere ogni tipologia di provento, ‘sotto qualsiasi forma’, richiesto o ‘promesso’, ‘indipendentemente dal momento del loro pagamento’, certo o eventuale[45].

Anche la promessa di un compenso, condizionato al verificarsi di una predeterminata eventualità, non può derogare da un divieto che il legislatore ha concepito in termini assoluti, estesi, in una logica di prevenzione, dall’azione all’intenzione[46]; il reato di usura concepito dalla norma si estende al reato di pericolo, punendo la semplice predisposizione dello strumento contrattuale: in particolare l’art. 1815, 2° comma, c.c. fa espresso riferimento agli ‘interessi convenuti.’.

Né si può ritenere, con l’ABF, Collegio di Coordinamento n. 2666 del 30/4/14, che ‘il limite e la sanzione che formano oggetto dell’art. 1815, co. 2, c.c. evidentemente riferiti alla previsione, nel primo comma della stessa disposizione, della naturale fruttuosità del mutuo e, quindi, agli interessi corrispettivi (essendo, di conseguenza, palesemente scorretto, sotto il profilo sistematico, argomentare dal carattere generico del riferimento agli “interessi”, di cui al secondo comma, una interpretazione estensiva pure a quelli moratori)’.[47] Riferire l’art. 1815 c.c. ai soli interessi corrispettivi si palesa una lettura alquanto ‘dissociata’ del presidio di legge: verrebbe tutelata la fase fisiologica del rapporto, lasciando impregiudicata la fase di patologia dove maggiormente si avverte l'esigenza di una protezione della parte debole. Come reiteratamente sottolineato dalla Cassazione – da ultimo Cass. n. 8806/17 – il disposto dell’art. 644 c.p., per la determinazione del tasso usurario, impiega una formulazione incentrata sul collegamento con l’erogazione del credito, ricomprendente costi anche diversi dagli interessi corrispettivi e in particolare ‘interessi, promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo ’.

La mora, come la penale, come anche le CIV quando non sia previsto un limite al loro cumulo, sono forme di proventi comunque promessi, ancorché eventuali, soggetti ab origine al disposto dell’art. 644 c.p.Non vi è distinzione fra offerte principali e offerte subordinate: una condizione contrattuale eventuale, che sia da ritardo, da inadempimento o da anticipata chiusura, come la mora, la CIV, la penale di estinzione anticipata o la commissione da recesso, se è usuraria, non abbisogna di attendere che venga applicata per sanzionarla: non è questo lo spirito della legge. Il legislatore, nel considerare la rilevanza sociale del fenomeno dell’usura che trova soprattutto spazio nelle condizioni di necessità che restringono, quando non precludono, le possibilità di scelta della parte, ha posto un limite inderogabile, rigidamente sanzionato penalmente, sin nel momento dell’offerta delle condizioni economiche. Le pronunce della Cassazione intervenute nel corso degli anni hanno fornito una lettura della norma particolarmente rigorosa, che non lascia adito alcuno ad interpretazioni che consentano margini di edulcorazione del presidio. La norma non sembra dare adito ad una diversa interpretazione: ‘Non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche all’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, …’ (Cass. Civ. n. 5286/00); ‘si intendono usurari gli interessi (…) promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori’ (Cass. Civ. n. 350/13).

Il presidio di legge deve risultare rispettato nelle condizioni presenti all’atto del contratto[48]: una clausola di salvaguardia che riduca entro la soglia gli eventuali oneri aggiuntivi, previsti nel caso di insoluto alla scadenza, estinzione anticipata o recesso contrattuale, può forse presidiare, per il futuro, un’usura sopravvenuta, non certo quella originaria, non potendo l’intermediario sottrarsi unilateralmente alla sanzione stabilita dall’art. 1815, comma 2, c.c. prevedendo la riduzione del tasso usurario alla soglia. [49] 

Anche per la penale, posta a presidio del rispetto dell’ordinario piano di rientro del finanziamento, vi è un’equità della misura. Per la mora, di regola, è previsto un tasso superiore a quello corrispettivo, con una funzione al tempo stesso compensativa, per il maggior onere che all’intermediario arreca l’incertezza sui tempi della solutio, e afflittiva per il cliente che incontra così un deterrente a comportamenti di scarso rispetto contrattuale. Occorre tuttavia non rimanere fissati in una rigida qualificazione di un retaggio storico che non si attaglia più all’attuale economia del credito. Delle due funzioni quella corrispettiva rimane prossima al tasso di mercato: salvo il caso di finanziamenti di dimensioni ragguardevoli, le asincronie fra i flussi di introiti e di esborsi, in una gestione controllata dell’intermediario, comportano nell’ordinario oneri aggiuntivi di scarso rilievo.[50]

Presenta aspetti di pregnante iniquità, indirizzare il cliente sul credito a revoca, pretenderne successivamente un rientro immediato e, sol per questo, innalzare il tasso di interesse. La mora, come la penale di estinzione anticipata, ha la funzione di rifondere all’intermediario il danno che gli deriva dal mancato rispetto dei termini contrattuali: ogni eccedenza, oltre detta misura, costituisce un plus ingiustificato, un’illegittima locupletazione ‘caricata’ sulla controparte nel momento di difficoltà. Il timore di incorrere nella penale non può essere esasperato; anche il presidio all’insolvenza ha un limite, né questo può essere all’occorrenza innalzato a dismisura, per il medesimo principio per il quale non è consentito difendere la propria abitazione interponendo fili di corrente ad alto voltaggio. Né la tutela può essere circoscritta, per contratti di massa, esclusivamente al ricorso al giudice per la riduzione ad equità ex art. 1384 c.c.: nell’area della sproporzione contrattuale non penalmente rilevante, in quanto non caratterizzata dallo sfruttamento dell’altrui posizione di debolezza contrattuale, può risultare idoneo il presidio civilistico, ma nella fattispecie dell’usura la natura stessa dell’abuso impone l’applicazione dell’art. 1815, 2° comma, cc.[51]

Ai fini dell’usura l’onere è rilevante sol perché è promesso, ossia potenziale. [52] Per i mutui in particolare, considerando tutti i possibili scenari che caratterizzano la casistica degli insoluti alla scadenza, o più semplicemente quello peggiore (worst case), se il rendimento effettivo del finanziamento – quindi il TAEG, e non l’interesse semplice della mora in rapporto alla rata insoluta nel mutuo[53] – risulta debordare la soglia e se non è prevista contrattualmente una clausola che prescriva in questa eventualità un ridimensionamento della mora (analogamente per penale o CIV), si rende applicabile l’art. 1815 c.c. con la nullità estesa ad ogni forma di interesse. Né si può ritenere che il carattere eventuale dell’onere, ritenuto possibile ma improbabile, precluda l’applicazione dell’art. 1815 c.c.

Tenendo nella debita considerazione che l’art. 644 c.p., oltre a proteggere la posizione del singolo contraente, è rivolto a tutelare il regolare e affidabile funzionamento del mercato del credito, per tariffazione del credito ad applicazione diffusa ad un’estesa platea di clienti, oneri che per il caso specifico sono eventuali, per la stessa legge dei grandi numeri, risultano per il mercato certi e statisticamente determinati. Per la mora, soprattutto se il tasso corrispettivo si colloca al di sopra della media, l’intermediario già si prefigura, con certezza statistica, una quota di insolvenza alla scadenza; l’usura nella circostanza non è un rischio ma una certezza, consapevolmente assunta: non risulta propriamente corretto parlare di dolo eventuale.[54]

Ancor prima e più della mora, un robusto presidio all’insolvenza è costituito dalla corretta selezione e predisposizione taylor made del finanziamento sull’iniziativa finanziata: la mora può assumere una funzione sussidiaria, di deterrenza, mai di soverchiante copertura del rischio assunto dall’intermediario, che trova, invece, la sua consona copertura nel tasso corrispettivo, valutato inizialmente congruo con il merito di credito assegnato all’imprenditore. In tali circostanze la maggiorazione del tasso di mora non è che un ‘aggiustamento del tiro’ che, nella valutazione di rischio inizialmente condotta, l’intermediario si riserva di applicare in caso di insolvenza: negli affidamenti di conto costituisce frequentemente l’ultimo di una serie di ‘aggiustamenti’ operati ai sensi dell’art. 118 TUB.         

La soglia d’usura è il punto estremo dei tassi consentiti, oltre il quale la ritorsione economica dell’intermediario sull’imprenditore insolvente è ritenuta iniqua.

Se il tasso corrispettivo si colloca nell’intorno del tasso medio di mercato, ma soprattutto se il finanziamento è stato correttamente misurato sul business plan dell’operazione finanziata, l’eventualità delle insolvenze alla scadenza è stata stimata modesta e tende statisticamente a rimanere entro dimensioni moderate e prevedibili. Se, al contrario, l’erogazione del credito, contando sulle garanzie prestate, non viene accompagnata da un’accurata istruttoria e/o la tipologia del finanziamento viene condizionata,  più che alle esigenze dell’imprenditore, a quelle dell’intermediario, come spesso avviene nelle aperture a revoca, nelle fasi cicliche di flessione congiunturale, il fenomeno degli insoluti può assumere una dimensione ragguardevole, che sfugge al controllo dell’intermediario, oltre che porre l’impresa, con la penalizzazione della mora, in un loop di ricorrenti insolvenze.

Con un tasso corrispettivo collocato nell’intorno del valore medio di mercato, vi sono ampi margini per prevedere una maggiorazione in caso di mora. Nulla impedisce all’intermediario di limitare le iniziative finanziate entro un tasso corrispettivo che consenta altresì un adeguato spread di mora a presidio di comportamenti opportunistici di inadempimento alla scadenza. Se, invece, il tasso corrispettivo inizialmente convenuto si colloca a ridosso della soglia d’usura, già sconta un significativo rischio di insoluto alla scadenza: il danno eventuale è già compreso statisticamente nel maggior tasso corrispettivo richiesto. L’intero compenso, ordinario e di mora, deve necessariamente essere compreso entro il margine stabilito dalla norma: prevedere un’ulteriore e distinta soglia per la mora corrisponde ad un indebito allargamento dello spread.

La soglia d’usura, – ancor più nel valore ampliato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito nella legge 106/11, con una spread dal tasso medio di mercato pressoché doppio di quello francese[55] – si colloca su un limite apprezzabilmente discosto dal valore medio, che rappresenta appunto l’interesse usualmente richiesto dal mercato: considerato il costo della provvista e gli elevati livelli delle soglie in essere, lo spread risulta sufficientemente ampio per ricomprendere, oltre alla necessaria diversificazione del tasso corrispettivo, anche un adeguato presidio di mora. (Cfr. Allegato 9). Agli attuali livelli i rischi di razionamento del credito risultano assai modesti: un ampliamento della soglia si risolverebbe in un ulteriore margine liberato alle rendite di posizione.

Entro il limite disposto dalla norma, si rimette all’intermediario la gestione completa dello spread da aggiungere al valore medio rilevato, così che possa nella sua discrezionalità stabilire – con riferimento al margine necessario a coprire il maggior rischio di credito – quanto ricomprendere nel tasso corrispettivo e quanto porre a deterrente di facili comportamenti di inadempimento. In tal modo i costi che derivano all’intermediario dagli insoluti vengono in parte distribuiti sulla totalità della clientela e in parte maggiore sulla clientela che incorre occasionalmente, frequentemente e/o definitivamente nell’insolvenza. Se sceglie di applicare un tasso corrispettivo a ridosso della soglia, già sconta la maggiore eventualità che alla scadenza il pagamento non venga onorato: il danno eventuale è già compreso statisticamente nel maggior tasso corrispettivo richiesto[56].

D’altra parte l’evento di morosità, quando non è imputabile ad occasionalità a priori imprevedibili, è riconducibile ad una scorretta previsione dei flussi di cassa da parte del cliente ma deriva altresì da una concessione di credito basata su una carente istruttoria dell’intermediario, che ha stimato attendibile e capiente il business plan del cliente. Ben si comprende che taluni oneri eventuali, la cui dimensione è dipendente, in qualche misura, anche dall’expertise dell’intermediario nella valutazione del merito di credito, non appartengano al costo medio che fisiologicamente è posto a carico del cliente, ma rifluiscano all’intermediario esclusivamente dalle posizioni deteriorate. Appare corretto e coerente con lo spirito della legge, che tali oneri siano esclusi dalla rilevazione statistica del TEGM, ma debbano inderogabilmente essere inclusi nella verifica dell’usura. La modifica introdotta dalle ultime Istruzioni induce una maggiore deresponsabilizzazione, consentendo significative edulcorazioni che si traducono in un sostanziale aggiramento della norma, potendo l’intermediario prevedere termini di scadenza scollegati dal business plan finanziato e ricevere legittimamente interessi sino al 25% ed oltre, sotto la veste di interessi di mora, collocati in un’apposita categoria.

Porre il credito insoluto in una diversa Categoria, con limite di soglia più alto, equivale ad addossare, una seconda volta, sul prenditore di fondi le conseguenze di quel rischio che l’intermediario ha già valutato statisticamente e spesato nel tasso corrispettivo e di mora convenuti inizialmente entro la soglia stabilita all’erogazione: diversamente non avrebbe senso la ripartizione della clientela sulla base del merito di credito, distribuito in tassi che vanno dal minimo, prossimo al costo di raccolta, al massimo, posto sulla soglia.

Nel credito insoluto non si configura una diversa Categoria di credito, ma un credito che si presenta deteriorato in un momento successivo all’erogazione. Non si ravvisa alcuna natura oggettiva della tipologia di credito diversa dallo scadimento del merito di credito: è paradossale che lo scadimento del merito di credito, per di più rimesso alla valutazione dell’intermediario, costituisca l’occasione per alzare la soglia e legalizzare un tasso più alto. Alla banca non deriva alcun significativo nocumento, oltre quello già valutato e previsto statisticamente nelle condizioni contrattuali. Per i dieci clienti, ad esempio, che si rivelano insolventi alla scadenza, per i quali risulterà, in tutto o in parte, pregiudicato il recupero del dovuto, la copertura è offerta dagli altri novanta clienti che, posti nella stessa classe di merito, hanno corrisposto la medesima maggiorazione delle condizioni contrattuali, ma che al contrario risulteranno regolari nel pagamento alla scadenza.

Appare un nonsenso resettare la soglia prevista all’erogazione in presenza di uno stato di insolvenza: elevando la soglia nel momento di difficoltà si va contro lo spirito della legge, alimentando lo spoglio patrimoniale del malcapitato.

La diversificazione del tasso soglia, prevista dalla legge per le differenti Categorie, è riferita alla natura del credito, non dell’interesse, e alla fisiologia, non alla patologia del fenomeno. Non potrebbe essere diversamente se si considera che storicamente l’usura si configura prevalentemente proprio in situazioni di morosità. Allineando il tasso in essere al momento del passaggio in scoperto, al tasso che l’intermediario valuterebbe necessario per coprire il maggior rischio di insolvenza, maturato in un momento successivo all’erogazione e accertato alla scadenza, si perviene a tassi inusuali, fuori dall’ordinario, che appartengono alla sfera della patologia, esclusa dalla rilevazione del tasso medio di mercato. In qualunque ordinario processo di deterioramento del credito, se il tasso di interesse, atto a coprire il rischio di insolvenza, viene reso liberamente modificabile in ogni momento successivo all’erogazione per garantire l’equilibrio con il maggior rischio che si viene a manifestare gradualmente, assumerebbe, nelle circostanze descritte, una rapida crescita esponenziale senza limiti, sino a rivestire, esso stesso, un ruolo determinante nell’insolvenza del cliente. Questa perversa dinamica già si riscontra, con un’apprezzabile ricorrenza quando l’esposizione finanziaria del cliente viene sovraesposta nell’apertura di credito a revoca, dove più agevolmente e frequentemente l’intermediario può intervenire con riposizionamenti delle condizioni contrattuali e capitalizzazione degli interessi, procrastinandone nel tempo la risoluzione e favorendo in tal modo, in frequenti casi, il dissesto del cliente: in tali circostanze il cliente è inerme, nell’impossibilità di arrestare il processo stesso di decozione.

La modifica introdotta dalla Banca d’Italia risulta palesemente tradire lo spirito della legge. Trattandosi di crediti deteriorati, presumibilmente andranno a collocarsi su valori prossimi alla soglia degli ‘Scoperti’, determinando un’accelerazione ascendente della soglia stessa, in una ‘perversa’ spirale senza soluzione di continuità, su tassi ancor più alti dell’attuale 25%. Prevedendo nei ‘contratti di adesione’ distintamente il tasso per il fido, per l’extra fido e per lo scoperto privo di fido, tutti soggetti all’art. 118 TUB, rimarrà del tutto superfluo prevedere il tasso di mora. Per altro il principio del mutamento di Categoria, operato in un momento successivo all’erogazione, potrà facilmente essere traslato ad ogni altro finanziamento, prevedendo in contratto l’addebito della rata in conto con la conseguente annotazione delle rate insolute nella Categoria degli Scoperti privi di affidamento: in tali circostanze anche la rata di un mutuo, se rimane insoluta, passerebbe dalla Categoria dei mutui a quella degli Scoperti, con una soglia di riferimento più che triplicata.

L’usura si radica nel momento del bisogno. Nel passaggio dal fido scaduto o revocato nella Categoria dello Scoperto privo di fido – sia per ‘le concrete modalità del fatto’, sia per le ‘condizioni di difficoltà economica o finanziaria’ – appaiono altresì ricorrere, nella circostanza di un marcato divario fra tasso corrispettivo e tasso di mora, le condizioni contemplate dall’art. 644 c.p., comma 3°, là dove stabilisce: “Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.

Le operazioni similari richiamate dall’art. 644 c.p., comma 3°, non possono che essere riferite alla tipologia di credito ordinario posto in essere con l’accordo pattizio, non certo a quella introdotta dalla Banca d’Italia con la nuova Categoria degli Scoperti privi di fido. Per altro, al momento dell’insolvenza, di regola, il cliente non dispone di alternative che lo possano sottrarre all’eventuale decisione della banca di porlo nella diversa Categoria degli Scoperti privi di fido ed aumentare contestualmente il tasso sino al 25%. Ma con ciò, si pregiudica apprezzabilmente al cliente la possibilità stessa di trarsi fuori dallo stato di insolvenza; le condizioni di difficoltà finanziaria risultano conclamate e non possono non ravvisarsi elementi che configurano appunto la fattispecie prevista dall’art. 644 c.p., 3° comma. Con tassi nell’apertura di credito e nel salvo buon fine che dall’ordinario valore del 7% - 10%, senza procedere ad una risoluzione, vengono più o meno gradualmente elevati sino al 25%, si configurano pregnanti elementi di usura concreta. Di regola investimenti meritevoli di credito non riescono a spesare tassi così elevati: se applicati a carenze di liquidità, rivenienti da un fido che risulta preordinatamente limitato per essere ‘sforato’, lo stesso costo del credito finisce per pregiudicare anche iniziative che presentano un corretto equilibrio economico.

La modifica introdotta nelle nuove Istruzioni della Banca d’Italia, più che informarsi ad un indefinito e mai motivato criterio di omogeneità delle Categorie, appare segnatamente preordinata a proteggere gli intermediari dalle contestazioni attinenti la misura della mora nei rapporti di conto. Rimodulando la Categoria degli Scoperti privi di fido, dove far confluire la patologia del credito, con una soglia marcatamente discosta dall’ordinario costo del credito, si offre all’intermediario un formale escamotage per superare ogni problematicità di inclusione della mora nel rispetto delle soglia d’usura: risultando impraticabile una soglia per il tasso di mora, si è disposta un’apposita Categoria del credito in mora con un’’asticella’ più elevata.

Nelle nuove Istruzioni si prevede l’esclusione dalla rilevazione dei ‘Non performing exposures with forbearance measures’ di cui al paragr. 180 del Regolamento n. 680/14. Cioè a dire che vengono esclusi i crediti deteriorati e ristrutturati ma, a parte le sofferenze, tutti gli altri crediti deteriorati vengono ricompresi nella rilevazione. Con tale scelta – analogamente all’esclusione del micro-credito – si orienta unidirezionalmente la rilevazione, ritenendo anacronisticamente discosti dai tassi di mercato i crediti ristrutturati e ritenendo, invece, coerenti con i tassi di mercato i rimanenti crediti deteriorati.

Considerando che la revoca o scadenza del fido, rimasto insoluto, costituisce il primo stadio del processo di deterioramento del credito, rifluiscono nella Categoria degli Scoperti privi di fido tutti quei crediti che saranno classificati ‘Non performing’, per i quali la soglia di riferimento ai fini della verifica del 644 c.p. non sarà più la Categoria originaria, bensì quella degli Scoperti privi di fido. Così che, in una preordinata visione di medio periodo, partendo nel ’10 da una sparuta e ininfluente Categoria, singolarmente prevista per occasionali e modesti scoperti di conto, rivolti - come puntualizzato dal Presidente dell’AGCM nell’Audizione al Senato del 21/4/10 - a ‘coloro che non prevedono di doversi indebitare, come strumento di salvaguardia nel caso tale necessità si presenti inaspettatamente’, con la rimodulazione operata con le nuove ‘Istruzioni’, si perviene a costituire un ‘enclave’ oltremodo allargato, dove far rifluire il credito al primo segnale di deterioramento e consentire agli intermediari di incrementare il costo a livelli del tutto avulsi da ogni ragionevole collegamento alle condizioni di mercato e, ancor più, dai costi della raccolta.

Sotto la celata veste degli Scoperti senza affidamento, si è venuti a costituire un’apposita Categoria per la patologia del credito, la cui estensione e dimensione è rimessa nella completa discrezionalità dell’intermediario. Con un costo della raccolta pressoché nullo, rimettere nella discrezionalità dell’intermediario l’applicazione di tassi sino al 25% alla prima manifestazione di difficoltà finanziaria, viene a favorire segnatamente comportamenti opportunistici di sfruttamento della posizione di dominanza contrattuale, atti a condurre alla decozione anche imprese in crisi di liquidità ma in equilibrio economico, fisiologicamente sane e competitive nel proprio mercato. Anteponendo un’esagerata e prioritaria remunerazione del costo del capitale, alla remunerazione degli altri fattori che intervengono nella produzione, si creano le condizioni acché il mercato reale rimanga succube dalla finanza.

Appare più che evidente che:

i) se, da un lato, con scelte discrezionali, informate ad una marcata opacità e soggettività, si ‘sfilaccia’ in 25 tassi il rigore dell’art. 644 c.p.[57] e si ‘manipolano’ la rilevazione e l’inclusione di commissioni, oneri e spese, ricomprendendo anche oneri e spese riconosciuti a terzi[58] e indirizzando la stessa formula di misurazione del rendimento verso un assetto lasco ed elusivo del presidio penale,

ii) e dall’altro lato, si antepone il principio di omogeneità e simmetria delle Istruzioni ai principi di onnicomprensività e di rigorosa misurazione, disposti dall’art. 644 c.p., nonché con disinvolti criteri di scarsa tecnicità si modifica la composizione delle Categorie di credito secondo criteri soggettivi contrari allo spirito della legge[59],

si sottrae determinatezza e tassatività alla norma penale, riconducendole alla Banca d’Italia, condizionando così i presidi d’usura a finalità discoste e diverse da quelle contemplate nella norma.   

                                            

3. Le competenze dell’AGCM e la responsabilità della Banca d’Italia

La Banca d’Italia protesa a salvaguardare la stabilità e patrimonializzazione dell’intermediario, sembra del tutto indifferente agli aspetti di problematicità che, soprattutto per i consumatori e piccoli imprenditori, vengono emergendo dai frequenti e singolari cambiamenti apportati dalle Istruzioni, con riflessi di significativa recrudescenza della conflittualità e dei ricorsi seriali all’Autorità giudiziaria. Con i criteri di inclusione e calcolo del TEG, con lo stereotipo dell’omogeneità e, da ultimo, con l’introduzione della Categoria dei crediti patologici, si esercita un ruolo attivo nella gestione dell’usura, del tutto arbitrario e, in più aspetti, palesemente contrapposto allo spirito della legge.

Appare improcrastinabile un ridimensionamento dell’egemonia, esercitata dalla Banca d’Italia, riconducendo la funzione orientata ad usum Delphini, nel ristretto ambito legale, circoscritto dalla legge 108/96 alla mera rilevazione statistica, intesa, secondo ortodossi canoni scientifici, come oggettiva ‘fotografia’ del mercato.

L’AGCM, alla quale l’Ordinamento affida la salvaguardia del mercato, della concorrenza e della tutela del cliente, è rimasta passiva, esclusa dalle scelte operate nella definizione delle Categorie e nella rilevazione statistica del TEGM, nonostante si riversino riflessi di marcato rilievo nelle strategie tariffarie, negli equilibri dei rapporti e, di riflesso, nella stessa concorrenza. Appare auspicabile un tempestivo intervento dell’AGCM, prima che la Categoria dei ‘Crediti deteriorati’, alias ‘Scoperti privi di affidamento’, assuma una dimensione resa patologica dal trattamento di favore riservato alla stessa dalle nuove Istruzioni della Banca d’Italia.

Le pregnanti censure disposte dalla Suprema Corte Penale all’operato della Banca d’Italia (II Sez. Pen. n. 12028/10, II Sez. Pen. n. 28743/10, II Sez. Pen. n. 46669/11) non hanno precedenti e costituiscono un fermo richiamo al rispetto dei distinti ruoli e ambiti di competenza assegnati dalla legge. Le recenti sentenze gemelle della Cassazione Civile n. 12965/16 e n. 22270/16 appaiono, per converso, una voce dissonante, una scomposta reazione volta a suggellare l’operato della Banca d’Italia, alterando tuttavia gli equilibri istituzionali e pregiudicando lo stato di diritto.  Con le citate sentenze della Cassazione Civile si tende ad obliterare il trascorso, lasciando impregiudicati quei comportamenti degli intermediari bancari che, ancorché in un dubbio ingiustificabile, hanno scelto di anteporre i propri profitti al rispetto delle regole, anziché censurare e rettificare la condotta, valutando le responsabilità e ripristinando, nei rapporti intercorsi, il corretto rispetto delle regole di legge. Come menzionato, l’orientamento espresso dalle due citate sentenze del ’16, è stato prontamente corretto dalla sentenza della Cassazione n. 8806 del 5 aprile ’17, che ha ristabilito la centralità del principio di onnicomprensività e inerenze al credito erogato come elemento ‘necessario e sufficiente’ alla verifica dell’usura: l’elemento di ‘sufficienza’ richiamato dalla sentenza, senza altro dire, corrisponde ad un implicito ripudio dello stereotipo dell’omogeneità e simmetria con qualsivoglia indicazione difforme dell’organo amministrativo.

Senza alcuna mediazione nel trade-off  fra stabilità dell’intermediario e presidio all’usura, una mera rilevazione statistica è stata arbitrariamente trasformata in uno strumento di indirizzamento del mercato del credito e di orientamento della politica tariffaria degli intermediari; risultano indotti pregnanti condizionamenti alla concorrenza e funzionalità del mercato, informati ad obiettivi ultronei e discosti dall’usura: i rapporti con la clientela, senza alcuna mediazione o temperamento, risultano asserviti alla stabilità dell’intermediario. Il livello delle soglie d’usura, nell’indifferenza della Banca d’Italia, finiscono per sortire, anziché un presidio, una legittimazione a tassi esasperati, che rivelano ampie rendite di posizione, sintomatiche di un’endemica carenza di concorrenza, funzionale a preservare l’egemonia della finanza sull’economia reale.[60]

Se lo stesso Organo di Vigilanza, istituzionalmente preposto dalla legge all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia da parte degli intermediari, utilizza le pieghe della norma per disattendere, nell’apparente rispetto formale, gli obiettivi della legge, sia pure per una diversa finalità, presidiata anch’essa da specifici ma distinti interventi regolamentari, si realizza una forma di corruzione non dissimile da altre, che appaiono più riprovevoli, ma non meno dannose per la democrazia dell’Ordinamento. 

L’eccesso di potere si esercita nelle pieghe di una prestazione specialistica che, nel prestare un servizio tecnico all’estrinsecazione del divieto, assume un’indebita marcatura normativa; alla Banca d’Italia non spetta alcuna funzione regolatrice: questa è esaustivamente ricompresa nella legge. ‘L’utilizzo della normazione secondaria per scopi che travalicano il piano di un ausilio specialistico – e che si risolvono, in buona sostanza, nell’immissione di contenuti incidenti su profili strutturali dell’illecito – è da considerarsi una metodologia di produzione del precetto elusiva delle istanze sottese alla riserva di legge, metodologia che i decreti ministeriali – nella veste di «strumenti di esercizio innominato e atipico della funzione normativa» – concorrono a fecondare. Il dubbio di legittimità, evidentemente, non risiede nel rinvio, operato dalla legge, a strumenti di natura provvedimentale che ne delineino i presupposti applicativi o intervengano in chiave esplicativa di peculiari profili, bensì nel caso in cui dall’atto amministrativo si intenda far discendere contenuti a carattere dispositivo che contribuiscano a plasmare la conformazione e la portata del divieto: così, atti di questo tipo rischiano di sovvertire completamente il sistema delle fonti, rendendo sempre più sfocata quella linea di demarcazione tra il «disporre» e il «provvedere» che, con Sandulli, era affidata ai canoni di generalità e astrattezza, «propri del regolamento, ma assenti nei provvedimenti generali». (…) Il frequente utilizzo di fonti atipiche che simulano l’introduzione di contenuti sostanzialmente normativi dietro il velo della discrezionalità tecnica è una metodologia che subisce, oggi più di ieri, vigorose marcature: a fronte dell’ermeneutica elaborata dal Consiglio di Stato in punto di sindacato giurisdizionale «intrinseco» – ancorché non «sostitutivo pieno» – del G.A., si profila, cioè, uno spazio – certo, ancora impervio – di legittimo controllo giudiziale sugli apprezzamenti tecnici della P.A., che consente di ripristinare più compiutamente quell’ineliminabile sostrato valoriale già individuato da Montesquieu nell’esigenza di una netta separazione dei poteri.’ (E. Greco, Eterointegrazione cautelare e successione di leggi nelle cadenze strutturali dell’illecito colposo, Diritto Penale Contemporaneo, n. 3/2016).

La legge ha rimesso alla Banca d’Italia, attraverso il MEF, un compito di specifica e oggettiva professionalità tecnica, non ritenendo necessario, considerata la circostanza di mera rilevazione statistica, prevedere un espresso intervento dell’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato. D’altra parte, se la rilevazione dei tassi per la determinazione delle soglie di usura si limitasse ad una mera fotografia del valore medio di mercato, come previsto dalla norma, non vi sarebbe un’orientata interferenza con le strategie adottate dagli intermediari nel mercato del credito. Tuttavia, nelle pieghe della delega prevista dalla legge n. 108/96, la Banca d’Italia – nella più completa autonomia e supino assenso del MEF -, esorbitando largamente la funzione assegnatale dalla norma, ha introdotto singolari e devianti modifiche, non rispondenti a rigorosi canoni tecnici, che interferiscono apprezzabilmente nell’applicazione delle soglie d’usura e, di riflesso, con lo stesso funzionamento del mercato del credito.

Risulta assente ogni temperamento e bilanciamento dell’AGCM nel cui ruolo si coniuga lo stretto legame tra enforcement del diritto alla concorrenza, efficienza e competitività del mercato e tutela della clientela bancaria.[61] Il mercato del credito segna un’arretratezza organizzativa, un’inefficienza allocativa e un’endemica carenza di concorrenza, che si riverberano sul costo del credito posto ai livelli più alti nella Comunità Europea. Il pregnante interesse pubblico per la strategica rilevanza che assume il credito nello sviluppo del Paese, impongono una particolare attenzione al delicato equilibrio fra le distinte funzioni alle quali sono preposte la Banca d’Italia e l’AGCM: una più intensa concertazione, sin dalla fase progettuale e propositiva della rilevazione della soglia d’usura può meglio contemperare le scelte metodologiche – che pur interferiscono con il mercato - ed equilibrare i diversi interessi tutelati in una superiore sintesi, funzionale alle diverse, talvolta confliggenti esigenze di stabilità, concorrenza e tutela della clientela.

La menzionata sentenza della Cassazione n. 12965/16, senza cimentarsi nel merito, si é limitata a riportare che ‘quand’anche le rilevazioni della Banca d’Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità’ si dovrebbe allora ‘ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura’. Sia considerando il precetto penale propriamente integrato e completato esclusivamente dalla pubblicazione del TEGM in G.U., sia considerando compresa nel presidio all’usura anche la procedura di rilevazione condotta nei termini indicati nelle Istruzioni, come sembra ritenere la Cassazione Civile n. 12965/16, dalla presunta illegittimità della rilevazione non può non derivare una responsabilità della Banca d’Italia per i pregnanti riflessi economici che, a seguito dell’ampio contenzioso, possono essere derivati, rispettivamente, da un lato agli intermediari che hanno seguito pedissequamente le indicazioni delle Istruzioni anche per la verifica dell’art. 644 c.p. e sono stati chiamati a rispondere ai clienti ricorrenti, dall’altro alla generalità degli utenti bancari che sono risultati privati di una più stringente protezione prevista dalla norma. In particolare, il danno subito dall’esclusione della CMS dalla verifica dell’usura, o è ascrivibile all’intermediario bancario che non ha propriamente rispettato il dettato dell’art. 644 c.p., o è ascrivibile alla Banca d’Italia che non ha incluso la CMS nel calcolo del TEGM.

Soprattutto nella circostanza di una ‘norma tecnica autorizzata’, che travalicando la via, solo mediata, di completamento della norma penale in bianco, si impone nella determinazione stessa del reato, l’intervento della P.A., senza alcuna riserva di amministrazione, né tanto meno può essere informato ad un’indifferenziata creatività. La Cassazione, se da un lato ha avuto modo di riconoscere che l’intervento di ‘fotografare’ i tassi di mercato comunque ‘postula delle scelte interpretative’, dall’altra ha qualificato tali scelte entro ‘rigorosi criteri tecnici’ che, per il particolare rilievo pubblico ricoperto, devono altresì essere informati alla massima informazione e trasparenza. Entro canoni oggettivi di scientificità, informazione e trasparenza, la discrezionalità dell’organo amministrativo rimane compressa sino a divenire pressoché inesistente; in questo senso deve essere intesa la Cassazione del ’03 quando precisa: ‘nulla essendo lasciato a scelte di opportunità e a valutazioni non fondate su rigorosi criteri tecnici ’.

Le responsabilità della Banca d’Italia – e quelle preminenti del MEF che ne ha supinamente accompagnato le scelte - per le indebite ingerenze normative, vengono arrecando un grave pregiudizio alla certezza dell’Ordinamento giuridico e al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. Le scelte, le indicazioni e le disposizioni della Banca d’Italia non sono immuni da responsabilità alla stregua di un qualunque organo della P.A., senza le deroghe e cautele previste per le Autorità indipendenti dalla l. 262/05 come modificata dal d.lgs. n. 303/06[62]. Il ruolo assegnato alla Banca d’Italia, attraverso il MEF, dalla legge 108/96 non sembra rivestire alcuna connotazione di vigilanza e controllo che ne permetta l’inclusione nell’ambito limitativo della responsabilità previsto dalla l. 262/05.

La limitazione della responsabilità nelle ipotesi previste dalla legge n. 262/05 risulta circoscritta alla diversa sfera della discrezionalità ‘pura’ attribuita alla Banca d’Italia esclusivamente nell’espletamento della funzione propriamente di vigilanza creditizia, coinvolgente ‘valutazioni tecniche complesse’, che si espongono a riesame solo in presenza di dolo o colpa grave. Ben si comprende che in tali circostanze l’attività di vigilanza, propriamente istituzionale, della Banca d’Italia comporti giudizi prognostici ad alto tasso di discrezionalità tecnica, nonché in contemperamento di interessi diversi: stabilità del sistema, solidità degli intermediari, protezione dei depositanti. In questo ambito di discrezionalità ‘pura’ il sindacato giudiziale incontra necessariamente limiti e condizionamenti, ribaditi e precisati dalla legge 303/06; il comma 6 bis introdotto nell’art. 24 della l. n. 262/05 prevede infatti: ‘nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo le Autorità di cui al comma 1 (Banca d’Italia, CONSOB, ISVAP e COVIP) e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, i componenti dei loro organi nonché i loro dipendenti rispondono dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave’.

In una pronuncia del TAR (Lazio, 9 agosto 2005, n. 6157) si colloca l’apprezzamento rimesso alla Banca d’Italia nella categoria delle valutazioni tecniche complesse che non hanno il carattere di regole scientifiche esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze inesatte ed opinabili, di carattere prevalentemente economico, per le quali è escluso in sindacato giurisdizionale caratterizzato dalla possibilità di sostituzione della valutazione del giudice a quella effettuata dall’amministrazione. Il principio che dovrebbe rappresentare il parametro di legittimità dell’azione dell’autorità di vigilanza bancaria, in questa circostanza, ha un contenuto così indeterminato ovvero rimesso alla determinazione caso per caso della stessa autorità, da rappresentare, in realtà, la leva che consente di escludere ‘legittimamente’ il principio di legalità.

Il comma 6 bis, inserito dal d. lgs. 303/06, presenta tuttavia rilevanti criticità in tema di eccesso di delega.[63] Osserva D. Siclari[64]: ‘il legislatore, nel valutare se stabilire o meno una tale limitazione, dovrebbe comunque ispirarsi a criteri di ragionevolezza, assicurando la possibilità di tutela giurisdizionale e di soddisfazione in sede di risarcimento alla parte lesa, pena la contrarietà alle norme costituzionali che sostanziano nel nostro ordinamento il principio dello Stato di diritto e tenendo conto di tutti i referenti costituzionali. Fra altro, va considerato che prevedere forme di immunità a favore dell’autorità di vigilanza potrebbe pure comportare, di fatto, una riduzione del grado di accountability della sua azione. In ogni caso, non sembra possa ritenersi conferente la giustificazione basata sull’elevata complessità dell’azione dell’autorità di vigilanza e dei maggiori e più complessi compiti che sono stati ad essa attribuiti dalla legge di riforma della tutela del risparmio (legge n. 265 del 2005), in quanto nel caso di sindacato su valutazioni tecnicamente complesse, secondo l’attuale modulo di tutela disegnato dalle indicazioni contenute nella sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 500 del 1999, non può accordarsi tutela risarcitoria, pure in presenza di un atto impugnato che sia stato annullato in quanto illegittimo, ove non si possa muovere all’autorità alcun rimprovero in termini di colpa. Pertanto, nel caso delle valutazioni tecniche dell’autorità di vigilanza basate sull’applicazione di concetti giuridici indeterminati o di clausole generali, quali la sana e prudente gestione delle banche vigilate, la responsabilità sarebbe comunque circoscritta prudentemente da una sorta di opportuna “rete di contenimento”, che considererebbe l’eventuale errore compiuto una valida esimente ove inevitabile o non facilmente evitabile. Fra l’altro, se alle autorità di vigilanza sui mercati finanziari viene riconosciuto uno status “privilegiato” rispetto a quello delle altre normali pubbliche amministrazioni anche proprio in virtù della loro elevata competenza tecnica, non si può poi invocare, se non altro per ragioni di logica sistematica, l’applicazione del modello di esimente da responsabilità previsto dall’art. 2236 c.c.. Né la supposta complessità dei nuovi compiti che sono stati attribuiti alle autorità di vigilanza dalla legge n. 262 del 2005 e dal d.lgs. n. 3003 del 2006 può giustificare una limitazione della responsabilità di tali amministrazioni, ex art. 2236 c.c., all’ipotesi di colpa grave, in quanto, come noto, l’attività di applicazione della legge da parte dell’amministrazione non è qualificabile come attività professionale che presupponga un elevamento del grado di perizia richiesto dalla particolare natura dell’attività prestata.’.

Ma la funzione di Vigilanza propriamente assegnata dall’Ordinamento alla Banca d’Italia è un’attribuzione distinta e separata da quella che, per altro solo in via mediata, le deriva dalla legge 108/96; quest’ultima esula completamente dall’ambito della funzione di controllo richiamata dalla legge 262/05, né la rilevazione del TEGM può essere subordinata e piegata alle funzioni istituzionali di gestione e presidio dell’attività creditizia, la cui giurisdizione è affidata in via esclusiva al giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. c) del codice del processo amministrativo. Nella circostanza alla Banca d’Italia non è rimesso alcun esercizio di merito amministrativo o regolamentare. La rilevazione statistica del tasso medio di mercato, funzione svolta dalla Banca d’Italia nell’ambito della legge 108/96, non si discosta da una mera attribuzione tecnica, non dissimile da quella svolta da un qualsiasi organo esecutivo della P.A., quale, ad esempio, l’ISTAT.

Come ribadito dal Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 657/15): “… la distinzione fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica presuppone, per la prima, la coesistenza del momento del giudizio - acquisizione ed esame dei fatti - e del momento della scelta - determinazione della situazione maggiormente opportuna ai fini della miglior tutela dell’interesse sottostante -, mentre la discrezionalità tecnica si concreta nella mera analisi di fatti e, perciò, non concerne il merito. (…) anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere.[65] 

I criteri di calcolo e di inclusione nel TEGM stabiliti dalla Banca d’Italia nelle Istruzioni, e le marcate esondazioni dalla funzione alla stessa assegnata, concernono i rapporti di quest’ultima con la legge e la sua responsabilità istituzionale, nell’opera tecnico-professionale, di una mera rilevazione statistica, prestata al MEF in materia di usura, opera distinta e separata dalle generali funzioni istituzionali che, nei distinti ruoli, condivide con gli altri Organi di Vigilanza: la legge non rimette alla Banca d’Italia alcuna discrezionalità amministrativa o regolamentare e quella tecnica è ristretta entro canoni scientifici oggettivi, sui quali è chiamata a dare informazione alla platea dei soggetti che nei distinti ambiti soggiacciono o usufruiscono del presidio disposto dalla legge, nella più completa trasparenza dei dati statistici rilevati e delle motivazioni che presiedono le scelte operate.

Come per la determinazione del valore medio di mercato (TEGM), per la distinzione del credito in Categorie omogenee e per i criteri di inclusione nelle stesse, la discrezionalità del MEF e della Banca d’Italia riveste una natura squisitamente tecnica e non può estendersi sino all’arbitrio, incontrando limiti circoscritti, oltre che nei termini e finalità fissati dalla legge, nei principi di oggettività scientifica e coerenza logica con lo spirito della legge stessa. Ignorando le reiterate indicazioni della Suprema Corte, con le ultime Istruzioni del ’16, le scelte e le indicazioni della Banca d’Italia, dopo aver alimentato per un ventennio criticità e confusioni nella verifica dell’usura ponendosi in contrasto con l’art. 644 c.p., vengono ora estendendo, la discrezionalità accordata dalla legge al MEF nell’individuazione delle Categorie omogenee, ai criteri di inclusione nelle stesse. Anteponendo il principio di omogeneità e simmetria delle Istruzioni al principio di onnicomprensività e inerenza al credito dell’art. 644 c.p., alterando altresì il momento temporale dell’erogazione, si piega la determinazione del TEGM ad obiettivi diversi e confliggenti con le finalità stesse della legge.

La stessa soppressione delle FAQ, intervenuta con le Istruzioni ’16, e la ritrosia a dischiudere il bacino di informazioni statistiche raccolte nella rilevazione del TEGM, segnalano una condotta ‘traversa’ che, nel sottrarsi al vaglio della trasparenza, manifesta la debolezza di scelte tecniche che appaiono strumentalmente orientate a finalità ultronee, fortemente incidenti sul mercato del credito e sulle quali la pertinenza dell’AGCM si palesa dominante.

Si ritiene che la schiera di perplessità e criticità che emergono, in gran copia, nell’operato della Banca d’Italia e che continuano a pregiudicare l’applicazione del presidio all’usura, sollevando una schiera di contestazioni che serialmente vengono occupando ed impegnando apprezzabilmente l’organo giurisdizionale, richiederebbe – a questo punto – un attento vaglio e puntuale sindacato dell’operato tecnico della Banca d’Italia e del MEF, che riconduca entro chiari e trasparenti argini normativi, le attribuzioni, il ruolo e le funzioni dell’organo amministrativo[66].

Osserva A. Cariola[67]: ‘L’”ingresso” di saperi specialistici nell’amministrazione pubblica oggettivizza e limita la potestà amministrativa di decisione. Le competenze di ordine tecnico restringono l’ambito dell’apprezzamento di carattere politico-amministrativo”. Riporta altresì Molica[68]: ‘Tradizionalmente la discrezionalità tecnica e la discrezionalità pura venivano fatte rientrare nel c.d. merito amministrativo alla luce della c.d. “teoria assimilativa” o della “riserva di amministrazione”. Secondo tale impostazione teorica, entrambe le forme di discrezionalità, importando l’esercizio di un potere – il quale a sua volta atterrebbe al merito del potere esecutivo – sarebbero riservate alla P.A., senza che al giudice sia concesso alcun margine di sindacabilità delle scelte operate, se non al prezzo di contravvenire al principio di separazione dei poteri. Orbene, mentre tale visione avrebbe affascinato la giurisprudenza per molto tempo, con echi ancora oggi ben percepibili, ciò non è accaduto in dottrina, dove ben presto si è affermata l’idea della alterità ontologica tra le due forme di discrezionalità. Il nucleo del ragionamento, in estrema sintesi, concerne la tipologia di valutazione che la P.A. è chiamata ad effettuare: nella discrezionalità amministrativa, la P.A. esprimerebbe un giudizio di valore, attraverso una manifestazione di volontà, frutto di un bilanciamento tra interesse pubblico primario affidato alla cura della medesima P.A. e interessi secondari, e caratterizzata dall’elemento dell’opportunità; nella discrezionalità tecnica, al contrario, la legge predeterminerebbe l’interesse oggetto di tutela, demandando alla P.A. di far ricorso ai canoni scientifici o tecnici non certi – cui la legge accorda rilevanza – per pervenire ad una scelta che appartiene al mondo dell’opinabilità. In altri termini, la discrezionalità tecnica altro non sarebbe che un potere basato sull’esame dei fatti o situazioni che, mediante l’utilizzo di nozioni tecniche anche extragiuridiche, consente di pervenire ad una soluzione opinabile, nel quadro di un interesse preordinato dalla legge che, giocoforza, circoscrive l’ampiezza dell’azione amministrativa. Rebus sic stantibus, mancando nella discrezionalità tecnica un vero e proprio giudizio che implichi il contemperamento di opposti interessi, mancherebbe altresì qualsiasi forma di discrezionalità intesa quale esercizio di potere amministrativo e, pertanto, la riferita riserva d’amministrazione non avrebbe ragione d’essere.

Se da un lato il principio di separazione dei poteri, impedisce al giudice di sindacare le scelte operate dalla P.A., dall’altro in dottrina si è reiteratamente distinto e separato la discrezionalità propriamente amministrativa dalla discrezionalità tecnica[69]. Quest’ultima si caratterizza per la cognizione e l’applicazione di discipline specialistiche e per l’assenza di scelte (in senso proprio). E’ presente solo il momento cognitivo-valutativo, mai quello volitivo che, invece, viene definito dalla legge.

Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 601/99 per la prima volta si è ammesso la possibilità di un sindacato intrinseco sulle valutazioni tecniche della P.A.: ‘il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può svolgersi in base non al mero controllo formale ed intrinseco dell’iter logico seguito dall’Autorità amministrativa, bensì invece alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo. Non è, quindi, l'opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell'amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice, ma la loro inattendibilità per l'insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo’.

Nello specifico ambito della disciplina del presidio all’usura il giudizio di responsabilità dipende esclusivamente dalle forme del suo esercizio legittimo, dalle finalità per le quali è conferito, dalla normativa di attribuzione di tale esercizio; senza trascurare le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali l’esercizio della pubblica amministrazione deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità (Cass. 5883/91; Cass. 500/99). In tali circostanze non sembra che la Banca d’Italia possa trincerarsi dietro lo scudo della discrezionalità dei poteri istituzionali di vigilanza ad essa assegnati e che conseguentemente i giudici debbano escludere in modo generalizzato la tutela risarcitoria, se non addirittura la loro stessa giurisdizione.

La Cassazione Penale n. 46669/11 ha puntualmente asseverato le difformi indicazioni della Banca d’Italia che si sono tradotte ‘in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari’. La Cassazione si è occupata, nello specifico, dell’inclusione della CMS nel calcolo del TEGM: altre rilevanti criticità sono ricomprese nelle Istruzioni. Nello stabilire l’illegittimità dello scorporo dal TEGM della CMS ai fini della determinazione del tasso usurario, la Cassazione ha ribadito come, in termini generali l'ignoranza del tasso di usura da parte delle banche è priva di effetti e non può essere invocata quale scusante, trattandosi di ignoranza sulla legge penale (art. 5 c.p.)’. Il principio è logicamente estensibile alla stessa Banca d’Italia e al MEF, ai quali possono essere ascritti i riflessi economici che dalle difformi indicazioni possono essere derivati sia alla clientela che agli intermediari. La recente sentenza della Cassazione n. 12965/16, nel ritenere praticabile l’esclusione della CMS dal calcolo della verifica dell’art. 644 c.p. e l’applicazione del criterio indicato dalla Circolare 2/12/05 della Banca d’Italia, individua comunque una soluzione diversa e più ‘lasca’, sopperendo a quella che correttamente si sarebbe adottata con un atto amministrativo coerente e congruente con il disposto di legge[70].

Diversa è la posizione riservata dall’Ordinamento alle Autorità indipendenti nell’esercizio proprio alla specifica funzione alle stesse assegnata, posizione che conferisce loro una marcata autonomia, indipendenza e un più limitato sindacato, per l’elevato grado di competenza e specifica valutazione professionale, richiesti nel settore in cui operano. Ma anche in tale funzione, a presidio di una ‘deriva tecnocratica’, permane pur sempre un sindacato, anche penetrante, sulle loro determinazioni. E’ rimasta sino ad oggi inesplorata la responsabilità del controllore autore mediato che ha indotto in errore. Si pone questa domanda V. Pacileo: ‘Ma le eventuali colpe dei regolatori possono determinare un ristoro a favore dei risparmiatori che ne hanno subito le conseguenze? A certe condizioni la risposta è positiva. Infatti, il nostro ordinamento ha previsto con l’art. 6-bis della L. 262/2005, introdotto dall’art. 4 co. 3 lett. d) del D. Lgs. 303/2006, una responsabilità per dolo o colpa grave per gli atti compiuti dai componenti degli Organi di vigilanza, tra cui Banca d’Italia e Consob, e dai loro dipendenti, che abbiano cagionato danni a terzi. La giurisprudenza ha riconosciuto che la domanda di risarcimento del danno proposta dai risparmiatori nei confronti della Consob per violazione degli obblighi di vigilanza sul credito e sul mercato mobiliare è devoluta al giudice ordinario, anche in base al regime di riparto della giurisdizione introdotto dall’art. 7 della L. 21.7.2000 n. 205, il quale ha sostituito, fra l’altro, gli artt. 33 e 35 del D. Lgs. 31.3.98 n. 80. Invero, si è detto, i risparmiatori vantano una posizione di diritto soggettivo, che determina appunto l’accesso alla giurisdizione ordinaria, in quanto soggetti ‘tutelati’ dall’ordinamento; il che peraltro non escluderebbe in radice la giurisdizione amministrativa ove ricorresse un caso di giurisdizione esclusiva da tipizzare legislativamente. (Cass. SS.UU. 2.5.2003 n. 6719; Cass. SS.UU. 29.7.2005 n. 15916)’. (V. Pacileo, I derivati, Eutekne, 2015). [71]

A vent’anni dalla legge, le scomposte e disinvolte interferenze dell’organo amministrativo hanno determinato un presidio all’usura che rimane ancora in buona parte disatteso, attraverso forme ‘acconciate’ di edulcorazione che si estendono dai criteri di rilevazione e classificazione nelle Categorie di credito, ai criteri di inclusione e di calcolo del TEG, estesi arbitrariamente ai criteri di verifica dell’art. 644 c.p.

Se, come espresso dalla Cassazione[72], ‘vengono in gioco anche – e forse soprattutto – gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito e alla regolare gestione dei mercati finanziari’, appare consona e funzionale la presenza dell’Autorità del Garante della Concorrenza e del Mercato nella progettazione e realizzazione della procedura di rilevazione statistica del TEGM che appare costituire, con i criteri di determinazione delle categorie e con i dettagli operativi, l’altra faccia della medaglia, che presiede le corretta applicazione delle soglie d’usura e che risulta interferire apprezzabilmente sul corretto funzionamento del mercato. Un’attenta retrospettiva di ventanni di applicazione del presidio penale all’usura, evidenzia come la determinatezza e tassatività della norma incontrino ampi margini di pregiudizio in zone d’ombra dove si annidano diffusi comportamenti degenerativi dell’attività creditizia e, in presenza di un’endemica carenza di concorrenza, il costo del credito ascende a valori che, più che in altri paesi, condizionano apprezzabilmente lo sviluppo economico.

I giudici, dopo un’opportuna valutazione delle circostanze – considerando altresì, come stabilito dalla Cassazione, che ‘le circolari e le Istruzioni della Banca d’Italia non rappresentano una fonte di diritto ed obblighi’ – potranno pacificamente acquisire un ragionevole convincimento sull’estensione delle aree escluse all’organo amministrativo e disapplicare l’eventuale indicazione giudicata ‘difforme’, senza per questo ritenere viziato il valore del TEGM pubblicato in G.U. Per altro, in tale circostanza si porrebbe l’esigenza di valutare la refusione dell’eventuale danno subito dai soggetti interessati. Come menzionato, la definizione delle Categorie compete propriamente al MEF e, al momento, nessun decreto del MEF ha ratificato l’anomalo spostamento dei crediti revocati o scaduti in una Categoria diversa da quella originariamente individuata al momento dell’erogazione. Ma tale scelta assumerebbe comunque una valenza esclusivamente circoscritta alla rilevazione del TEGM. Ai fini della verifica dell’art. 644 c.p. non compete al MEF, né tanto meno alla Banca d’Italia, alcunché; la norma di legge è in sé esaustiva e esclusivamente criteri finanziari di coerenza con la legge, rimessi al giudice, presiedono l’inclusione nelle Categorie stabilite dal MEF: il criterio di inerenza alla Categoria di credito pattuito all’atto dell’erogazione non sembra potersi trasmutare, con l’insolvenza alla scadenza, in una diversa Categoria di credito. Non può trascurarsi che: ‘Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo.’ (Cassazione Pen. n. 46669/11).

Adottando comportamenti che, per i crediti scaduti o revocati, privilegiano opportunisticamente le soglie più elevate degli ‘Scoperti privi di affidamento’, potrà rendersi applicabile l’art. 1815, 2° comma, oltre che valutare, sul piano penale, la ricorrenza di quel ragionevole dubbio, al quale la Cassazione riconduce il dovere di astenersi. La Cassazione n. 46669/11 ha infatti puntualizzato: ‘Soltanto l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali, e, in particolare, della giurisprudenza di legittimità, nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma … non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale, in quanto il ragionevole dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illeceità’.

Né si può ritenere che le pronunce della Cassazione n. 12965/16 e n. 22270/16 – tempestivamente ritrattate dalla Cassazione n. 8806/17 - possano salvaguardare, attraverso lo stereotipo dell’omogeneità, gli intermediari che estendono alla verifica dell’art. 644 c.p., gli anodini criteri di calcolo, di inclusione dei costi e di scelta della Categoria di riferimento, impiegati dalla Banca d’Italia nella rilevazione del TEGM. Un ulteriore filone di conflittualità si riverserà nelle aule di giustizia, alimentato dall’incertezza estesa, a partire dal 1° aprile ’17, alla Categoria di riferimento della soglia d’usura.

Risultando la Banca d’Italia esclusa da ogni circuito democratico-rappresentativo, non risulta legittimata ad un esercizio di indirizzo politico del credito, né tanto meno del presidio all’usura. Il doveroso atteggiamento di estremo rispetto e cautela nei confronti della funzione istituzionale della Banca d’Italia non può trascendere in una cieca deferenza ed imprevidente autocensura, in presenza di scelte ed indicazioni che risultano incompatibile con il principio dello stato di diritto e con la concreta tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Non si può lasciare trascurato il dettato dell’art. 28 Cost., circoscrivendo la responsabilità della Banca d’Italia esclusivamente alla colpa grave e riversando sulla platea degli utenti bancari il costo dell’azione amministrativa che, quand’anche con colpa lieve, ha generato il danno.

 

La legislazione francese relativa alla soglie d’usura

La legislazione francese relativa alle soglie d’usura, si basa sugli artt. da L. 314-6 a L. 314-9 del codice di consumo e sull’art. L. 313-5-1 del codice monetario e finanziario. Su queste disposizioni sono intervenute tre leggi negli anni 2003, 2005 e 2010.

Nel 2003 e 2005 è stato rimosso il presidio penale, ad eccezione dei prestiti immobiliari e dei prestiti al consumo. Nel contempo la sanzione civile prevista per gli scoperti di conto relativi agli enti morali esercenti un’attività commerciale è stata estesa alle persone fisiche esercenti attività professionale.

Ai sensi dell’art. L. 314-6 del codice del consumo, costituisce un prestito usurario ogni prestito concesso ad un tasso effettivo globale che eccede, al momento in cui è convenuto, di oltre un terzo, il tasso effettivo medio praticato nel corso del trimestre precedente dagli intermediari bancari e finanziari per operazioni della stessa natura. I tassi effettivi medi praticati, rilevati dalla Banca di Francia e le relative soglie sono oggetto di pubblicazione trimestrale.

L’art. 1 della legge 1/7/10 ha inoltre istituito un Comitato per la riforma dell’usura (presieduto dal Governatore della Banca di Francia e composto da un deputato, un senatore e dal Direttore Generale del Tesoro) incaricato di analizzare l’evoluzione dei tassi di interesse praticati al consumatore, le modalità di finanziamento, nonché i margini praticati dagli intermediari. Il Comitato ha riferito al Parlamento nel corso dei due anni di durata.

La legge 1/7/10 ha riformato il credito al consumo disponendo che i tassi d’usura vengano calcolati in funzione del montante (fino a € 3.000, da € 3.000 a € 6.000, oltre € 6.000), senza considerare la natura del credito. La modifica è stata suggerita dalla costatazione che i prestiti revolving avevano subito un maggiore sviluppo dei prestiti ad ammortamento, per il più elevato tasso e margine riveniente all’intermediario, mentre, per contro, si presentavano di gestione più complessa e meno adatti alle esigenze del consumatore.

Più recentemente la normativa è intervenuta sui prestiti immobiliari concessi ai consumatori distinguendo, per il tasso fisso, le classi in funzione della durata, sino a 10 anni, fra 10 e 20 anni, oltre 20 anni.

Ancorché si debba tenere in debita considerazione la diversa base di riferimento (Famiglie e Imprese) che caratterizza la rilevazione delle soglie in Italia, assai più estesa di quella impiegata per la rilevazione francese (Famiglie, professionisti imprenditori), si riscontra un apprezzabile divario fra i tassi italiani e quelli francesi.

Nel comparto dei mutui, caratterizzato da un’incidenza più pervasiva della concorrenza, i tassi medi praticati in Italia, anche tenendo conto della diversa base di riferimento, possono ritenersi sostanzialmente allineati a quelli francesi; rimane apprezzabilmente più ampio lo spread di elasticità del tasso consentito dalle soglie italiane.

Al contrario, nei prestiti al consumo e negli scoperti di conto, si riscontra un divario enorme per il quale non si ravvisano valide giustificazioni, diverse da una sostanziale rendita di posizione, che l’assoluta carenza di concorrenza permette all’intermediario italiano di lucrare.

Taux maximal d'intérêt appliqué en 2017 au découvert accordé à une société ou à une personne physique agissant pour ses besoins professionnels.

Plan:

Introduction

Pour les découverts en compte, constitue un prêt usuraire à une personne physique agissant pour ses besoins professionnels ou à une personne morale se livrant à une activité industrielle, commerciale, artisanale, agricole ou professionnelle non commerciale, tout prêt conventionnel consenti à un taux effectif global qui excède, au moment où il est accordé, de plus du tiers, le taux effectif moyen pratiqué au cours du trimestre précédent par les établissements de crédit pour les opérations de même nature comportant des risques analogues.

Après avoir collecté auprès d'un large échantillon d'établissements de crédit les taux effectifs moyens pratiqués pour 11 catégories de prêts, puis augmenté ces taux d'un tiers, la Banque de France fixe les 11 seuils de l'usure correspondants. Les seuils de l'usure sont publiés à la fin de chaque trimestre pour le trimestre suivant.

Le dispositif de l'usure a été modernisé en avril 2011. L'objectif de la réforme prise en application de la loi du 1er juillet 2010 relative à la protection du consommateur, est d'élargir l'accès des consommateurs au crédit amortissable et de réduire le taux d'usure sur les crédits renouvelables d'un montant important (actualité du 23 mars 2011). Les découverts accordés aux personnes physiques agissant pour leurs besoins professionnels et aux personnes morales sont régis par l'article L313-5-1 du Code monétaire et financier.



[1] Tratto dal testo: R. Marcelli, USURA BANCARIA AD UN VENTENNIO DALLA LEGGE: UN IMPIETOSO BILANCIO. Due omologhe sentenze della Cassazione Civile (nn. 12965/16 e 22270/16), tentano di lavare i panni sporchi della Banca d’Italia, ma vengono prontamente ripudiate dalla stessa Sez. I (n. 8806/17). Le Istruzioni dell’usura, sottratte alla concertazione con l’AGCM, continuano ad alimentare l’endemica carenza di concorrenza e, con essa, le rendite di posizione del sistema bancario: il maggior costo del credito, rispetto alla media dei paesi comunitari, viene ad incidere per almeno il 2% del PIL.’, 2017, in www.assoctu.it.

[2] In precedenza, soltanto per le Istruzioni 2009 si era previsto il periodo transitorio che, tuttavia, era espressamente stabilito dalla legge n. 2/09. Per le Istruzioni ’16 la previsione del periodo transitorio – non previsto nel documento di consultazione - risponde ad un’espressa richiesta formulata dall’ABI: ‘Si richiede all’Autorità di fornire indicazioni sui tempi di entrata in vigore delle nuove Istruzioni. In particolare, occorre che rimanga fermo il principio di omogeneità delle regole di calcolo nella fase di segnalazione e in quella di verifica. Infatti, le novità introdotte potrebbero modificare il valore del TEG di ciascun rapporto interessato e, pertanto, non sarebbe corretto confrontare quest’ultimo con tassi soglia basati su segnalazioni effettuate con presupposti diversi. Ne deriva quindi l’importanza di avere conferma (come fu nel 2009, per legge, al tempo della prima inclusione nei TEG/TEGM degli oneri collegati ad affidamenti/sconfinamenti) che, in una prima fase, gli intermediari siano tenuti a effettuare le segnalazioni – ma non le verifiche – secondo la nuova regola e solo in un secondo momento (e più precisamente, solo quando verranno pubblicati dei tassi soglia basati sulle nuove segnalazioni che tengano conto delle modifiche introdotte dalle nuove Istruzioni) siano tenuti a effettuare anche le verifiche di non usurarietà secondo le nuove regole.’ (ABI – Osservazioni al documento posto in consultazione). L’ABI, e con essa la Banca d’Italia, hanno sistematicamente trascurato che Il comma 2 dell’art. 2 bis della legge n. 2/09, si occupa di due aspetti: i) si dispone che ‘le commissioni, e le provvigioni derivanti da clausole, comunque determinate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi’, dal 29 gennaio ’09 (entrata in vigore della legge), sono comunque rilevanti per l’art. 1815 c.c., per l’art. 644 c.p. e per gli artt. 2 e 3 della legge 108/96; ii) solo per l’applicazione dell’art. 2 della legge 108/96 (rilevazione statistica) vengono demandate al MEF disposizioni transitorie per la determinazione della soglia, che lascino immutata la disciplina vigente ‘fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni’.

[3] Le Istruzioni della Banca d’Italia, in quanto esprimenti un carattere amministrativo, sono ritenute dalla Cassazione Penale ‘non vincolanti per l’interprete’, mentre risultano vincolanti per gli intermediari solo con riferimento alla rilevazione statistica del TEGM; in quest’ultima edizione si dettano vincoli per gli intermediari che, oltre che per la rilevazione, vengono esplicitamente riferiti alla verifica dell’art. 644 c.p. 

[4] Diversamente, nella precedente edizione delle Istruzioni 2009, si riportava: ‘In attuazione del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze in tema di ‘disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’art. 2 della legge 7 marzo n. 108 (pubblicato in G.U. del 29 luglio 2009)’….

[5] Una mal celata frizione si trascina da lungo tempo, in materia di soglie d’usura. L’Istituto Centrale, sin dai lavori parlamentari di preparazione alla l. 108/96, ha reiteratamente espresso, in Commissioni parlamentari e consessi pubblici, la propria opinione contraria ad ogni limitazione amministrativa al costo del credito che, anziché contenere, favorisce il fenomeno dell’usura criminale (Cfr. A. Fazio, Intervento presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, 7 ottobre 1994; G. Carosio, Prevenzione dell’usura ed evoluzione dei mercati creditizi, Senato della Repubblica, 2° Commissione permanente Giustizia, 23 marzo 2007). D’altro canto la Banca d’Italia è chiamata a rilevare i parametri medi di mercato di individuazione delle soglie e a presidiare il rispetto delle norme da parte del sistema bancario. Sia nell’una che nell’altra funzione le scelte e le decisioni assunte in vent’anni di applicazione – senza alcuna concertazione e bilanciamento con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - palesano una non mascherata resistenza ad una norma non condivisa, attraverso ‘Istruzioni’ e chiarimenti che vengono depotenziando il presidio di legge e pregiudicando il mercato del credito. La contrapposizione è emersa, in termini eclatanti, nelle sentenze della Suprema Corte Penale (II Sez. Pen. n. 12028/10, II Sez. Pen. n. 28743/10, II Sez. Pen. n. 46669/11), con le quali è stato esplicitamente censurato il comportamento della Banca d’Italia, per non aver svolto in maniera compiuta e corretta la rilevazione funzionale al presidio disposto dalla legge 108/96. La circostanza non ha precedenti e costituisce un fermo richiamo al rispetto dei distinti ruoli istituzionali e ambiti di competenza. Sul piano penale, con le discrasie insite nelle scelte della Banca d’Italia, buona fede e favor rei hanno sino ad oggi di fatto arenato i procedimenti di accertamento dell’usura. Le ‘difformi’ Istruzioni hanno per lungo tempo prestato una ‘copertura’ all’operato degli intermediari bancari consentendo, nel rispetto della forma, di disattendere l’art. 644 c.p.

[6] Una sentenza di Cassazione del mese precedente (Cass. Civ., Sez. III, n. 5609 del 7/3/17), nell'occuparsi di anatocismo della CMS, dopo aver richiamato la precedente Cassazione 11772 del 2002, è prevenuta a stabilire: ‘Pertanto, la decisione del giudice di merito, che ha ritenuto la nullità della clausola di commissione di massimo scoperto, facendo propri gli elaborati del c.t.u. che avevano epurato il saldo del conto corrente dall'incidenza di tale pattuizione, si sottrae a censure di legittimità.'. Mentre, con riguardo alla CMS, la Cassazione Civ. n. 12965/16 aveva, al contrario, ritenuto che la legge n. 2/09 ‘pur omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, abbia effettuato una ricognizione dell'esistente con l'effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alla censura di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa'.

[7]Nell’interpretare le leggi le Autorità amministrative – quand’anche di prestigio grande, com’è nel caso della Banca d’Italia – hanno per definizione un ruolo subalterno nei confronti dell’Autorità giudiziaria. Secondo i principi del sistema, inoltre, la funzione nomofilattica risulta affidata alla Corte di Cassazione. Senza riserve di materie: già per questo motivo, dunque, le rilevazioni trimestrali dell’usura devono mostrarsi specchio fedele degli orientamenti consolidati di quella. D’altro canto, nell’ambito della normativa sull’usura al Ministero dell’Economia e alla Banca d’Italia non risulta affidato nessun potere secondario di specificazione dei precetti primari di legge (secondo quanto capita talvolta nell’ambito della normativa di protezione del cliente; così, ad esempio, nel caso dell’art. 117, comma 2, TUB). Come puntualmente ha osservato proprio il Supremo Collegio, le rilevazioni trimestrali non hanno la funzione di produrre opinioni, bensì quella esclusiva di «fotografare» l’esistente. Di rilevare il fatto storico dei tassi applicati dall’operatività, così; come pure di dare fotocopia alle consolidate letture che del dato normativo esprima la Corte di Cassazione.” (A. A. Dolmetta, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3/7/13: usura ed interessi moratori, in ilcaso.it, 8 luglio 2013).

[8] Di riflesso, le decisioni dell’ABF – troppo spesso all’unisono con gli orientamenti della Banca d’Italia – pervengono all’aberrante conclusione di accertare – a legge invariata - l’’usura sopravvenuta’ nella modifica delle ‘Istruzioni’ dell’Organo di Vigilanza. Osserva A. A. Dolmetta: ‘ In più di una occasione l’Arbitro bancario finanziario ha considerato rilevante ipotesi di usura – e di usura sopravvenuta, in particolare – quella che viene a prodursi a seguito di modifiche delle Istruzioni emanate della Banca d’Italia che sopravvengono durante il corso di svolgimento del rapporto tra le parti. Si vedano così, tra le altre, di recente la decisione del Collegio Roma, 11 gennaio 2013, n. 174 (carico considerato comprensivo anche delle spese di assicurazione a far data dall’1 gennaio 2010 e da lì ritenuto usurario); quella del Collegio Napoli, 3 aprile 2013, n. 1796 (commissione di massimo scoperto); quella del Collegio Roma, 25 luglio 2013, n. 4036 (spese per assicurazione); nonché quella Collegio Roma qui pubblicata, n. 4374/2013 (sempre spese di assicurazione; in via incidentale la decisione sottolinea come gli oneri «estremamente elevati» del finanziamento abbiano comportato – una volta inserita la voce assicurativa – che il costo relativo ha finito per «risulta[re] sempre superiore al tasso soglia dell’usura»). Ora, nei confronti di questo tipo di soluzione – così come astrattamente considerata – non mi pare vi sia nulla da obiettare. Sennonché, a guardare bene le fattispecie concrete, che sono state giudicate, si scopre che ci si trova di fronte (= che ci si può trovare di fronte, rectius) a ipotesi in cui la sopravvenuta modifica delle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia altro non è che un (tardivo) adeguamento della Vigilanza a indirizzi interpretativi della legge antiusura già fatti propri dalla giurisprudenza (di legittimità e/o di merito). Per queste ipotesi - e così, dunque, per la decisione qui annotata, per l’appunto concentrata sulla voce economica relativa alla polizza assicurativa a servizio del credito - si può molto dubitare, a me pare, che la soluzione dell’usura sopravvenuta sia davvero corretta: qui, piuttosto, la fattispecie rinvia diretta alla figura dell’usura originaria. Detto in altri termini: un conto è che la Banca d’Italia modifichi il proprio orientamento entro il segno della discrezionalità che la legge n. 108/1996 le consente (come quando rimodula le categorie di operazioni sulle quali ordinare i diversi TEGM, rispettando appieno le prescrizioni di legge al riguardo); un altro conto, e diverso assai, è quando la (precedente) interpretazione della Vigilanza si pone in contrasto con le indicazioni fornite dalla legge (specie se pure avallate dall’autorità della lettura giurisprudenziale). Come spesso vengono a ricordare le sentenze dei giudici (e ormai non solo più di quelle di Supremo Collegio), in effetti, le «direttive e le istruzioni della Banca d’Italia … non sono vincolanti per gli organi giurisdizionali, non essendo fonti normative’ (Dolmetta, Usura sopravvenuta per modifiche regolamentari della Banca d’Italia (quando non originaria, in diritto bancario.it, febbraio 2014).

[9]Mentre il primo comma dell’art. 644 c.p. contiene un esplicito rinvio alla legge per la determinazione dei tassi usurari, il comma 4 non prevede un analogo rinvio, anzi, la norma è totalmente autosufficiente, in quanto funzionale alla determinazione del tasso complessivo dell’operazione. In questo compito, gli organi amministrativi non godono di nessuna discrezionalità, ma sono al contrario soggetti ai vincoli che la legge pone. L’intento è di non eludere il precetto penale, evitare aggiramenti del precetto, mediante una previsione formale di oneri e costi che mascherano la corresponsione di interessi usurari come corrispettivo. Elementi di costo non inclusi nella rilevazione statistica assumono comunque rilevanza ai fini penali, nella misura in cui possono comportare un surrettizio aumento del tasso di interesse. La giurisprudenza ha affermato la prevalenza e ampia operatività della norma penale sulla discrezionalità tecnica degli organi amministrativi, sebbene tali vincoli normativi non condizionino la fase a monte della rilevazione dei tassi medi. Tuttavia, a causa di un contorto meccanismo giuridico, è accaduto che, di fatto, la Banca d’Italia ha svolto un ruolo che è andato ben oltre il compito di mero accertatore tecnico, di mero rilevatore dei tassi, un ruolo fondante nella determinazione del procedimento di definizione del tasso e nell’interpretazione della norma penale, sostanzialmente aggirando il precetto penale, non nella fase della verifica del tasso soglia ma, ma a monte, in quello della determinazione del TEGM.(…) ‘La violazione della legalità penale è avvenuta in quanto la Banca d’Italia ha inopinatamente e in violazione del comma 4 art. 644 c.p. non incluso (o rilevato separatamente) voci di costo che sarebbero dovute confluire anche nella rilevazione statistica del tasso medio, e non solo nella verifica del costo complessivo dell’operazione. In questi casi, la mancata considerazione a fini statistici del tasso medio da parte delle Istruzioni della Banca d’Italia di voci di costo che rientravano, a tutti gli effetti, nella fisiologia del rapporto di credito si è tradotta in una opinabile e censurabile sottostima del costo del credito (TEG), aprendo un varco ad una sostanziale elusione del tasso soglia’. (M.B.Magro, ‘Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria’, Diritto Penale Contemporaneo, marzo 2017).

[10] Si osserva che i valori dei TEGM pubblicati in Gazzetta Ufficiale non corrispondono esattamente ai tassi rilevati dalla Banca d’Italia, risultando integrati delle variazioni intervenute nel tasso applicato alle operazioni di rifinanziamento principali della BCE, in sostituzione della cessata ragione normale dello sconto. Sino al ’09 non si dà alcuna evidenza nei comunicati della Banca d’Italia e del MEF ma dal al 1 gennaio ’04, sono incluse nel TEGM 28 rettifiche del valore medio di mercato, a seguito di n. 26 variazioni che hanno interessato il tasso di riferimento della BCE. (Cfr. Allegato 1).

[11] Nella circostanza della modifica introdotta dal d.l. n. 70/11, conv. l. 106/11, la Cassazione Pen. n. 4666/11 ha precisato che pur ‘considerando che la stessa giurisprudenza di legittimità non ha un orientamento uniforme, ritiene di aderire all'orientamento che afferma l'inapplicabilità del principio previsto dall'art. 2 c.p., comma 3, in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, che non incidano sulla struttura essenziale del reato ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando’. Per converso, secondo Cassazione S.U. 898/08, nell’accertamento del ‘rapporto di integrazione’ tra l’art. 2, comma 4, l. 108/96 e l’art. 644 c.p. si potrebbe ravvisare, l’applicazione della disposizione più favorevole.

[12] A fronte della ‘fotografia’ più volte richiamata dalla Cassazione, la Banca d’Italia, oltre che con le Istruzioni, interviene pervasivamente con le FAQ nei dettagli operativi della rilevazione statistica, realizzando forme di discrezionalità avulse da ogni criterio di oggettività e coerenza con il presidio d’usura, con punte di parossismo che appaiono preordinate a depotenziare il presidio stesso. Ancorché escluse dalla pubblicazione in G.U., le FAQ costituiscono, come ribadito dalla Banca d’Italia, parti integranti le ‘Istruzioni’. Con le FAQ relative alle Istruzioni ’09 il concetto di ‘evento occasionale non ripetibile’ delle ‘Istruzioni’ viene rimosso e sostituito con il concetto di ’evento non continuativo’, così che se l’onere addebitato, ancorché ricorrente in tutti i trimestri, è riferibile a scoperti non continuativi, va considerato solo nell’ultimo addebito, con esclusione quindi degli altri addebiti allo stesso titolo effettuati nell’anno. Una successione di sconfinamenti frazionati nel corso dell’anno, che hanno generato costi ripetitivi, ma riferiti ad uno sconfinamento non continuativo concorrerebbero solo per l’ultimo sconfinamento senza alcuna annualizzazione. Anche le spese ripetute nei trimestri, relative ad uno sconfinamento continuativo, se interrotto anche brevemente, prima del trimestre di rilevazione, egualmente non concorrerebbero nel calcolo del TEG. Una simile lettura delle ‘Istruzioni’ – disposta per altro con decorrenza, per la verifica dell’usura, dal 1 aprile ’11 – risulta ‘bislacca’, priva di ogni fondamento logico-finanziario: rimuovendo nella circostanza l’annualizzazione, ha riflessi economici di dimensioni significative. La confusione e l’irragionevolezza finanziaria del criterio prospettato hanno sollevato ampie perplessità, minando la tassatività della norma, quando vengono mutuate nella verifica dell’usura. Con il chiarimento dettato dalla FAQ, dopo poco meno di un anno, si è mirato a modificare il dettato delle ‘Istruzioni’, sotto la veste di una ‘precisazione’ alla quale si è attribuita altresì una decorrenza; nel senso che prima della rilevazione del trimestre ottobre-dicembre 2010, le ‘Istruzioni’ andavano interpretate per come sono scritte, mentre con la menzionata rilevazione, vengono interpretate come riportato nella precisazione. Appare un ossimoro: come può una FAQ, per la natura stessa che la costituisce, avere una valenza modificativa della norma che intende chiarire? Con le recenti Istruzioni ’16 la Banca d’Italia si è ravveduta e ha nuovamente modificato il criterio di inclusione delle CIV, rimuovendo in buona parte la deviante lettura degli ‘eventi non continuativi’. Come si può pretendere che, con lo stereotipo dell’omogeneità, tali ‘marchiane’ distorsioni vengano mutuate nella verifica dell’art. 644 c.p. a detrimento della tutela del prenditore di fondi?.

[13] In un risalente intervento del 1995 di Sabino Cassese si riporta: ‘L’AGCM è investita dalla legge n. 287 di una "missione" circoscritta e ben individuata (la tutela e la promozione della concorrenza), che ormai trova un fondamento specifico nelle disposizioni, di rango equiparabile a quello costituzionale, contenute nel Trattato di Maastricht che obbliga gli Stati membri a perseguire una politica economica condotta conformemente "al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza" (art. 3A del Trattato). Al pari di altri apparati pubblici serventi rispetto a un valore oggettivo predeterminato, l'Autorità è tenuta a perseguirlo prescindendo da ogni altra considerazione di opportunità politica in senso lato.’

E ancora: ‘Tra gli strumenti a disposizione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per promuovere la concorrenza all'interno del sistema economico italiano, ce ne sono alcuni che possono apparire a prima vista meno incisivi, ma che in una visione di lungo periodo possono contribuire a creare e rafforzare quella cultura della concorrenza e del mercato della quale fanno difetto nel nostro Paese non solo ampi settori di imprese, ma anche gran parte della classe politica e burocratica. Essi consistono essenzialmente nel potere di segnalazione al Parlamento e al Governo dei casi nei quali gli effetti distorsivi della concorrenza dipendono da disposizioni di legge o di regolamento o da provvedimenti amministrativi generali (art. 21 della legge n. 287), nel potere consultivo in ordine a iniziative legislative o regolamentari (art. 22) e nelle indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali il meccanismo della concorrenza non funziona in modo corretto (art. 12, secondo comma). (…) Quasi nessun settore della legislazione amministrativa vigente - formatasi per stratificazioni successive in epoche nelle quali l'intervento dello Stato anche nelle forme più intrusive nella libertà di iniziativa economica privata (regimi concessori e autorizzatori di tipo discrezionale, atti di pianificazione e programmazione quantitativa dell'offerta di servizi, eccetera) veniva visto con favore - supera indenne un esame volto ad appurare se le restrizioni alle regole della concorrenza siano giustificate solo da ragioni di interesse pubblico obiettivo e se, per tutelare tali interessi, esistano strumenti di intervento alternativi che producono effetti meno distorsivi della concorrenza.

La legge n. 262/05, come modificata dal d. lgs. n. 303/06, ha esteso il potere di intervento dell’AGCM al comparto bancario; inoltre la legge 248/06 ha attribuito nuovi e pregnanti poteri cautelari, istruttori e sanzionatori all’AGCM, prevedendo: ’Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza, l’Autorità può, d’ufficio, ove constatata ad un sommario esame la sussistenza di un’infrazione, deliberare l’adozione di misure cautelari’, nonché disporre l’applicazione di sanzioni pecuniarie, sino a disporre, nel caso di reiterata inottemperanza alla diffida, la sospensione dell’attività.

[14] I nuovi criteri di classificazione dei crediti deteriorati, adottati dalla Commissione europea con la regolamentazione UE n, 227/2015, prevedono le seguenti categorie: sofferenze, ‘inadempienze probabili’, esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate; la somma di tali categorie corrisponde all’aggregato Non Performing Exposures. Si introduce altresì una categoria ‘traversa’ rappresentata dalle esposizioni oggetto di misure di tolleranza, definite ‘esposizioni oggetto di concessione’ (forbearance), corrispondenti alle esposizioni ristrutturate. Le nozioni di esposizioni incagliate e di esposizioni ristrutturate sono abrogate. Le concessioni oggetto di concessioni (forbearance) possono riguardare sia ‘performing esposures’ sia ‘non performing exposures’: queste ultime non costituiscono una categoria a se stante, ma rappresentano una parte, un dettaglio delle sofferenze, delle ‘inadempienze probabili’ oppure delle esposizioni scadute e/o sconfinati deteriorate. Non si comprende in base a quali criteri, nelle nuove Istruzioni ’16, anziché escludere dalla rilevazione l’intero aggregato delle Non performing exposures, l’esclusione è stata limitata, oltre che alle posizioni classificate a sofferenze, esclusivamente alle Non performing exposures with forbearance measures. Questo comporterà che i crediti deteriorati, non soggetti a ristrutturazione, entreranno a far parte della rilevazione.

[15] L’incremento delle soglie può essere in parte riconducibile all’annualizzazione delle CIV. A quest’ultima viene esclusivamente attribuito, nel comunicato stampa della Banca d’Italia del 28 marzo ’17, l’incremento riscontrato nella Categoria Scoperti privi di affidamento, senza alcuna menzione ai crediti revocati o scaduti affluiti nella Categoria. Non si dispone delle statistiche di dettaglio ma, considerata la dimensione sistemica dei non performing exposures – pur escludendo sofferenze e crediti ristrutturati – l’incidenza dell’inclusione di tale aggregato non appare certo trascurabile.

[16] La modifica apportata alle Istruzioni ’16 era già presente nelle intenzioni della Banca d’Italia. Nella ‘Giornata Mondiale del Risparmio’, il 28 ottobre ’15, con riferimento alle statistiche rilevate dalla Banca d’Italia ai fini del contrasto all’usura, il Governatore affermava: ’Vengono calcolate in questo caso medie semplici dei tassi di interesse, includendo anche i prestiti deteriorati, purché non in sofferenza, e le commissioni; possono pertanto risultare superiori, in alcuni casi in misura rilevante, rispetto ai tassi armonizzati’.

[17] Le nuove Istruzioni risultano prive delle relative FAQ: quelle disponibili sono riferite alle precedenti Istruzioni. Nel resoconto della Consultazione, alla richiesta di includere le FAQ nelle Istruzioni, si rappresenta: ‘Al fine di realizzare un unico documento organico tale richiesta è stata accolta e, nel processo di inclusione, si è proceduto a rendere coerenti le risposte ai quesiti con le modifiche apportate al testo delle Istruzioni e con le novità normative. Non sono state incluse le risposte non più valide o comunque superate’. L’opacità regna sovrana: più che di inclusione, risulta configurarsi la soppressione delle FAQ; le Istruzioni non includono nessuna risposta ai quesiti, né una nuova coerente edizione delle FAQ risulta al momento disponibile. Qualora i chiarimenti delle Istruzioni vengano sottratti - come appare al momento presumersi – ad ogni forma di pubblica trasparenza e vengano relegati nell’opacità dei rapporti informali con gli intermediari, si favorirebbe una lievitazione dei margini di dubbio, con una significativa incidenza nei procedimenti civili e penali. Con l’asserito criterio di omogeneità, per dirimere tali dubbi si renderebbe paradossalmente necessario l’intervento di consulenti tecnici della Banca d’Italia, che svelino le scelte interpretative adottate, caso per caso, nelle specifiche problematiche operative. Il ricorrente ricorso a funzionari della Banca d’Italia per il supporto tecnico nei procedimenti penali, presenta seri aspetti di criticità: ancorché operanti in veste personale, e non quali esponenti dell’Istituto, la provenienza e la stessa cultura aziendale di formazione costituiscono pregnanti elementi che opacizzano la trasparenza ed indipendenza delle valutazioni espresse nelle perizie.

[18] Si è dato rilievo agli scoperti, che dovrebbero risultare occasionali, di modesto importo e di breve momento, e si é collocato, in una categoria residuale, un coacervo di crediti di natura, garanzia e rischi marcatamente differenziati. Una completa informativa sui dati di dettaglio consentirebbe di valutare, in piena trasparenza, le scelte della Banca d’Italia che frequentemente sono apparse quanto meno singolari.

[19] L’analisi delle serie storiche – pur nelle difficoltà indotte dai frequenti cambiamenti dei criteri di rilevazione – è suscettibile di apportare un prezioso bacino di informazioni per inferire i comportamenti degli intermediari. In Francia, l’analisi di tali dati ha consentito di evidenziare una rilevante interferenza delle soglie d’usura sulle strategie tariffarie adottate dagli intermediari: attraverso una diversa classificazione delle Categorie, si è conseguito un significativo ridimensionamento del costo del credito al consumo.

[20] Data l’importanza dei criteri di rilevazione statistica e la stretta connessione con le politiche dei tassi fissati dagli intermediari, non sembra possa escludersi una concreta e sostanziale partecipazione dei soggetti interessati nella predisposizione delle norme operative. Cfr. in tal senso la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7972, in Giornale di diritto amministrativo, 2007, p. 377, con nota di Screpanti e in Resp. civ., 2007, 1139, con nota di Poto, secondo cui “l’esercizio di poteri regolatori da parte di Autorità, poste al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri e al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall’art. 95 della Costituzione, è giustificato anche in base all’esistenza di un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative. In assenza di responsabilità e di soggezione nei confronti del Governo, l’indipendenza e neutralità delle Autorità può trovare un fondamento dal basso, a condizione che siano assicurate le garanzie del giusto procedimento e che il controllo avvenga poi in sede giurisdizionale. Del resto, non è pensabile che l’attività di regulation venga svolta senza la necessaria partecipazione al procedimento dei soggetti interessati: nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del contraddittorio (la dottrina ha sottolineato che si instaura una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità procedurale: quanto meno è garantita la prima, per effetto dell’attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri normativi e amministrativi non compiutamente definiti, tanto maggiore è l’esigenza di potenziare le forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessati nel procedimento finalizzato all’assunzione di decisioni che hanno un impatto così rilevante sull’assetto del mercato e sugli operatori). Uno strumento essenziale per arricchire la base conoscitiva dell’attività di regolazione è costituito dalla consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei soggetti interessati”.

[21] Il MEF, come previsto dalla norma, emana annualmente, ordinariamente nella seconda metà di settembre, l’elenco delle Categorie omogenee. Nel decreto 23/9/09 l’elenco delle Categorie non ricomprende lo ‘Scoperto senza affidamento’. Nel decreto del 24/12/09 di pubblicazione delle soglie vigenti per il I trimestre ’10, si richiama il proprio decreto del 23 settembre 2009, recante la “classificazione delle operazioni creditizie per categorie omogenee ai fini della rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari”, ma si allega una Tabella dei TEGM che si discosta dalla richiamata classificazione, riportando, per la prima volta, tra le Categorie, anche lo ‘Scoperto senza affidamento’. Nello stesso decreto del settembre si prevedeva altresì che “La Banca d’Italia procede per il trimestre 1° ottobre ’09 – 31 dicembre ’09, alla rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari con riferimento alle categorie di operazioni indicate nell’apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze”. La Banca d’Italia, nel predisporre la rilevazione del III trimestre ’09, base della Tabella delle soglie vigenti al I trimestre ’10, aveva autonomamente allargato la classificazione allo ‘Scoperto senza affidamento’, avvalendosi presumibilmente del dettato dell’art. 2 dei DM di classificazione del credito che dispone: “La Banca d’Italia procede alla rilevazione dei dati avendo riguardo, ove necessario, per le categorie di cui all’art. 1, anche all’importo e alla durata del finanziamento, nonché alle garanzie e ai beneficiari in ragione del rischio”. La discrasia è stata completamente sanata solo successivamente con il DM del 25 marzo ’10.

[22] Al contrario, i nuovi e più rigorosi criteri di Basilea assegnano una gradazione di maggiore patologia al persistere dell’insolvenza alla scadenza e alla revoca.

[23] Cfr. fra i tanti, G. Sellaroli, Il tasso di usura prefissato: una pericolosa illusione? In Riv. Dir. Proc. Pen. 1997.

[24] L’art. 111 del TUB prevede che: ‘In deroga all’articolo 106, comma 1, i soggetti iscritti in un apposito elenco, possono concedere finanziamenti a persone fisiche o società di persone o società a responsabilità limitata semplificata di cui all’articolo 2463-bis codice civile o associazioni o società cooperative, per l’avvio o l’esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa, a condizione che i finanziamenti concessi abbiano le seguenti caratteristiche: a) siano di ammontare non superiore a euro 25.000,00 e non siano assistiti da garanzie reali; b) siano finalizzati all’avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all’inserimento nel mercato del lavoro; c) siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati’.

[25] L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), è stata prevista dall’art. 23 della legge del risparmio n. 262/05 per le Autorità di Vigilanza (Banca d’Italia, Consob, Isvap e Covip). La Banca d’Italia, nel disciplinare tale obbligo, ha previsto: ‘Qualora sia ritenuto opportuno, l’analisi d’impatto può essere condotta anche in casi diversi da quelli previsti dalla legge sul risparmio, coerentemente con l’art. 1, comma 5, del Regolamento, in base al quale la Banca d’Italia tiene conto dei principi del Regolamento nell’attività istituzionale di collaborazione e cooperazione, anche in ambito internazionale, in ragione delle funzioni di vigilanza bancaria e finanziaria’. Nel contempo ha altresì precisato: ‘Trattandosi di scelte non obbligate in base all’art. 23 della legge sul risparmio, l’estensione dei principi oltre l’ambito di applicazione definito dalla legge e l’utilizzo di strumenti ulteriori rispetto a quelli individuati dalla stessa sono rimessi alla discrezionalità della Banca d’Italia, guidata dai criteri di proporzionalità, efficacia ed efficienza nel perseguimento delle finalità di vigilanza.’. Non si ritiene che l’analisi ‘semplificata’ (l’AIR semplificata viene condotta dalla stessa Divisione normativa che predispone il provvedimento, a differenza di quella ‘completa’ che viene predisposta da un’apposita struttura a ciò formalmente investita), fornita dalla Banca d’Italia nella circostanza, rientri nelle materie contemplate dall’art. 23 della legge 262/05. Nelle ultime Istruzioni, accompagnate da un’Analisi ‘semplificata’, si precisa che ‘l’affidabilità delle analisi beneficia proprio dell’approfondita conoscenza dei problemi, il cui grado di complessità può essere notevole e che sono pertanto noti alla struttura “competente per materia”. La chiusura alla trasparenza appare sintomatica di un atteggiamento di preclusione ad ogni forma di interferenza e condivisione.

[26] Si configura una palese discrasia dell’Ordinamento, rimasta impregiudicata da vent’anni, la circostanza che la Banca d’Italia, ritenendo di ravvisare una carenza della norma, con un’esuberante leggerezza, si sostituisca al legislatore, disponendo d’iniziativa una CMS soglia e una Mora soglia, sulla base di criteri discosti e difformi dai principi ispiratori della legge e a tali criteri uniforma la propria attività di controllo e vigilanza sugli intermediari: di ciò ne viene data informazione, per la mora - dopo dieci anni dalla rilevazione campionaria - nella comunicazione del 3/7/13, senza tuttavia precisare a quali criteri si fosse ispirata l’attività di vigilanza nei sei anni precedenti il 2003. ‘ … nell’attuale ordinamento giuridico vige un unico criterio per l’accertamento dell’usurarietà degli interessi, ricavabile dall’art. 644 c.p. e valido anche per l’art. 1815, comma 2, c.c. In altri termini per comprendere quando, sia sul piano penale che su quello civile, gli interessi siano usurari bisogna far riferimento alla legge n. 108 del 1996 per il tramite dell’art. 644 c.p., che da quest’ultima è stato completamente riformato. A tal proposito, dunque, l’eventuale introduzione nella generale disciplina sull’usura di una distinzione restrittiva di fonte civilistica – fondata sulla diversa funzione o titolo degli interessi corrispettivi e moratori – mal si coordinerebbe con l’esteso ambito a cui si rivolge la legge n. 108 del 1996, alla quale bisogna fare riferimento per individuare la generale nozione, anche civilistica, di interesse usurario. Tale legge, infatti, dettando un unico criterio che spiega i suoi effetti sia in ambito civilistico che penalistico e che amplia l’ambito di operatività della disciplina, non ammetterebbe distinzioni sistematiche, provenienti dal solo campo civile ed idonee a limitarne l’efficacia applicativa. Pertanto, sulla base di tali considerazioni, conformemente all’ampio e rinnovato ambito applicativo dell’intera disciplina sull’usura, la nozione di interessi usurari dovrebbe includere tutti i tipi di interessi, quindi anche quelli moratori.’ (C.M. Bianca, I contratti bancari, Dike 2013).

[27] Una diffusa applicazione di tale criterio condurrebbe inevitabilmente ad una spirale ascendente del tasso, per l’effetto ‘perverso’ dell’échelle de perroquet.

[28] Con un’autorizzazione preventiva, che è stata de plano inserita nei contratti, l’addebito degli interessi viene assimilato al pagamento, trasformandosi in sorte capitale, immediatamente produttiva di interessi. Questa condizione di privilegio giuridico prevista dalla norma per l’apertura di credito e lo scoperto non potrà che accelerarne lo sviluppo, che già assume una dimensione patologica. Senza la tempestiva introduzione di adeguati correttivi, venendo meno la protezione ad un inconsapevole e spesso inarrestabile avvitamento del debito, si alimenterà e favorirà il fenomeno del sovra-indebitamento delle imprese e Famiglie, con una forma tra le più insidiose di conduzione al dissesto economico. Osserva G. La Rocca: ‘l’anatocismo, per usare le suggestive parole di una decisione della Corte di Cassazione degli anni trenta del secolo scorso, non ha mai cessato di essere ‘materia … dibattuta nella coscienza di economisti giuristi e filosofi’. Chi cercasse rapide conferme del lacerante dibattito, cui accennava la Cassazione, non si troverebbe nella necessità di indagare oltre i confini della dottrina giuridica, dove a giudizi sferzanti sull’art. 1283 c.c., in termini di ‘anacronistico residuo’, di ‘archeologia giuridica’, si sono contrapposte letture improntate a sostanziale giustificazione, in quanto norma rispondente alla ‘coscienza sociale’, strumento preordinato a proteggere il debitore dalle vessazioni del creditore e, al tempo stesso, utile ad assicurare la conformità dell’esercizio del credito agli auspici dell’autorità monetaria, ‘frutto’ – prosegue un autore recente, confrontando l’art. 1283 c.c. alle corrispondenti norme di altri ordinamenti – ‘di una più generale presa di posizione nel senso della necessità di una sorta di dialettica fra libertà di determinazione degli interessi, da un lato, e contestuali limitazioni della stessa, dall’altro’. (G. La Rocca, L’anatocismo, E.S.I. 2002).

[29] ‘l’esclusione della mora (e direi anche dei crediti “difficili”) si traduce anche in un effettivo “calmiere” del mercato creditizio, nella misura in cui evita l’inquinamento del TEGM con tassi (quasi per definizione) sopra la media che, se rilevati, porterebbero un aumento del TEGM e quindi, per il tramite dei coefficienti (1,5; 1,25 + 4 p.p.), del tasso soglia (TS). Questa funzione di calmiere, rappresentata dall’esclusione della mora dalla rilevazione del TEGM, viene rivendicata dalla stessa Banca d’Italia che, tuttavia, si contraddice affermando subito dopo che per comparare grandezze omogenee, il TEGM deve essere incrementato di 2,1 p.p.. Al di là di ogni considerazione in merito alla patente inadeguatezza della rilevazione (fatta una tantum nel 2002, senza distinzione per classi di operazioni ecc.), è evidente anche a un profano che c’è un “calmiere” soltanto se il costo dell’inadempimento è una variabile dipendente dal costo normale del credito, ossia è contenuto nel “cuscinetto” compreso tra il TEGM e il TS. Assumendo invece che il costo dell’inadempimento sia separatamente rilevato e sommato al TEGM, senza alcun ancoraggio al “costo fisiologico del credito”, è evidente che (non la singola banca, tenuta a praticare tassi non superiori del 50% o del 25% + 4 p.p. ma) il sistema bancario nel suo insieme potrebbe legittimamente elevare lo spread di mora (variabile ormai indipendente).’ (E. Astuni, Relazione al convegno della Associazione Studi Bancari, Milano 27 ottobre 2015).

[30]Il ‘farsi dare” interessi o altri vantaggi usurari rileva come condotta del delitto non in quanto costituisce mera ricezione di un lucro di per sé ingiustificato – per questa ragione l’art. 644 scriveva, e scrive tuttora, che è punito non il ricevere, ma il “farsi” dare – bensì in quanto a ogni dazione si rinnova, portandosi a realizzazione sempre più piena, l’approfittamento dell’altrui debolezza, radicatosi nell’avvenuta stipulazione. Solo tale atto, infatti, ha il potere di radicare lo sfruttamento usurario – per cui è pur sempre al momento dell’accordo che deve verificarsi la sussistenza di tutti i requisiti dell’usurarietà del fatto – nonché quello di unificare tutte le successive corresponsioni nella medesima condotta delittuosa.’ (A. Boido, Usura e diritto penale, CEDAM, 2010).

[31] A.A. Dolmetta, ‘Scoperti senza affidamento e usura, 2013, I contratti.

[32] Osserva Pierluigi Oliva: ‘Lo sconfinamento in quanto contratto di credito dovrà necessariamente fissare non solo le condizioni economiche ma anche i reciproci diritti e obblighi. (…) Il fatto che i contratti in uso non esplicitino in positivo le circostanze in cui la banca concederà lo sconfinamento, ma si limitino a ribadire il carattere meramente discrezionale di tale facilitazione, non può lasciare del tutto tranquilli, in quanto la giurisprudenza, nel silenzio del contratto, non dovrebbe avere particolari difficoltà nell’individuare una serie di circostanze, in presenza delle quali la banca dovrebbe concedere gli sconfinamenti, pena la violazione dei principi di buona fede contrattuale e gli obblighi di protezione del cliente.’ (P. Oliva, Lo sconfinamento e la sua remunerazione, Banche e Banchieri, n. 2/11).

[33] Osserva Pierluigi Oliva: ‘Lo sconfinamento in quanto contratto di credito dovrà necessariamente fissare non solo le condizioni economiche ma anche i reciproci diritti e obblighi. (…) Il fatto che i contratti in uso non esplicitino in positivo le circostanze in cui la banca concederà lo sconfinamento, ma si limitino a ribadire il carattere meramente discrezionale di tale facilitazione, non può lasciare del tutto tranquilli, in quanto la giurisprudenza, nel silenzio del contratto, non dovrebbe avere particolari difficoltà nell’individuare una serie di circostanze, in presenza delle quali la banca dovrebbe concedere gli sconfinamenti, pena la violazione dei principi di buona fede contrattuale e gli obblighi di protezione del cliente.’ (P. Oliva, Lo sconfinamento e la sua remunerazione, Banche e Banchieri, n. 2/11).

[34]Oltre che nella forma dell’espressione normativa, anche nel merito peraltro la sussistenza di una distinta categoria «scoperti senza affidamento», così come appare strutturata, lascia alquanto perplessi. E per più motivi: in somma tra loro, come pure presi in via singolare e separata. La censura va al di là, cioè, delle incertezze di conformazione interna della categoria che vengono consegnate dalle Autorità amministrative. (…) Per chiarezza va, peraltro, subito aggiunto che rimane oggettivamente oscura ed incerta, per vero, la specifica nozione di «fido» che – tra più varianti disponibili – il pensiero delle Autorità amministrative (intese, appunto, come fonte storica di formazione) abbia ritenuto di assumere in proposito. E così, se rientri nella categoria dell’apertura solo la concessione di fido che risponda in toto ai requisiti fissati dall’art. 117, comma 1, TUB (consegna compresa, nel caso); ovvero pure quella che semplicemente si appoggi sulla previsione di cui al comma 2 del medesimo articolo; o altresì quella che rinvii a un accordo esclusivamente verbale con il cliente, ovvero che vada ricompresa, inoltre, la concessione che è stata solo comunicata al cliente (per lettera, a voce, …) o, ancora in addizione, quella proprio non esternalizzata, bensì regolarmente deliberata dai competenti organi della banca. (A.A.Dolmetta, “Scoperti senza affidamento” e usura, 2013, I Contratti).

[35] I contratti di apertura di credito riportano la clausola: ‘La banca ha la facoltà di recedere, ovvero ridurre l’ammontare dell’apertura di credito con un preavviso di 15 giorni, o senza preavviso nel caso in cui ricorra un giustificato motivo’. Se anche pattiziamente consentito senza giusta causa, il recesso della banca dal rapporto di apertura di credito, può risultare illegittimo per abuso del diritto e violazione del principio di buona fede (art. 1375 c.c.) ove assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, con i debiti riflessi di attribuzione della Categoria di classificazione e della relativa soglia. Anche in presenza di giusta causa, la Cassazione 9321/00 ha fissato il principio di diritto: "Alla stregua del principio secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (articolo 1375 c.c.), il giudice deve accertare che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito a tempo determinato, in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, non sia esercitato con modalità del tutto impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate".

[36] Nel 2008 il finanziamento in conto copriva il 33% dei prestiti, contro il 9% della Germania e il 12% della Francia. Tale peculiarità non è sfuggita al Governatore Visco che in un suo intervento ha osservato come: ‘la grande diffusione di questa forma tecnica in Italia, assai superiore che in quasi tutti gli altri paesi dell’area, rende necessaria una riflessione sul suo utilizzo. Le imprese devono valutare la possibilità di utilizzare metodi più efficienti e meno costosi di gestione della liquidità, nonché l’opportunità di accrescere il ricorso ai prestiti a scadenza fissa. Le banche devono assicurarsi che i servizi di liquidità inclusi nelle anticipazioni in conto corrente siano fatti pagare a un prezzo non superiore al valore del servizio effettivamente reso e che tenga in dovuto conto anche i vantaggi indiretti che le stesse banche ricavano dall’offerta di questi servizi’.

[37] Poco più dell’85% delle imprese non ha obblighi contabili, in quanto non costituite nella forma di società di capitale e le esigenze di carattere informativo necessarie per l’applicazione delle regole prudenziale introdotte da Basilea non possono essere soddisfatte appieno. Il rapporto con l’intermediario assume peculiarità poco formali e strutturate e la conoscenza della realtà aziendale si fonda scarsamente su analisi puntuali dei vari indicatori reddituali, finanziari e patrimoniali: le analisi risultano per lo più sintetiche e il patrimonio ricopre un ruolo centralissimo, come dimostra la ormai consueta richiesta ai propri clienti da parte della banca di fornire garanzie personali.

[38]attraverso l’erogazione del credito, l’imprenditore dota la sua organizzazione produttiva  di un capitale la cui acquisizione si giustifica perché esso viene a costituire uno strumento di produzione dell’impresa stessa. Ma questo significa che, al pari di tutti gli strumenti di produzione, anche il finanziamento ricevuto ha i suoi costi ed i suoi oneri: il costo degli interessi ed altre spese dovute quale corrispettivo alla banca e l’onere di dovere restituire l’intera somma ricevuta alla scadenza. L’imprenditore dovrà necessariamente realizzare un piano industriale che gli consenta di trarre utili in una misura sufficiente almeno a coprire il costo degli interessi dovuti al finanziatore. Infatti, in mancanza di un equilibrio tra misura degli utili e misura degli interessi, l’intero patrimonio dell’impresa sarà progressivamente ed inesorabilmente pregiudicato, si verificherà un aumento irreversibile del passivo, come pure si verificherà una inevitabile erosione di risorse che verranno distolte da usi produttivi per far fronte al crescente debito degli interessi. Nella sua forma estrema tale pregiudizio si osserva nei finanziamenti usurai caratterizzati dal fatto che l’abnorme costo degli interessi è, per definizione, di molto superiore a qualsiasi possibile remunerazione e reimpiego che l’imprenditore può trarre dall’uso del denaro acquisito con il finanziamento. (…) Da quanto rappresentato emerge che il danno che può derivare dalla condotta della banca che abbia finanziato in modo irregolare l’impresa investe proprio la società ed il suo patrimonio, il quale, per effetto degli ingiustificati finanziamenti concessi dalla banca stessa, verrà ad essere progressivamente eroso fino a diventare deficitario.” (B. Inzitari, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, 2007, in: ilcaso.it).

[39]L’interesse, per le sue peculiari caratteristiche di remunerazione avente ad oggetto, a propria volta, una somma di denaro – cioè il bene la cui mancanza ha spinto l’usurato a chiedere il prestito – e, inoltre, avente carattere periodico e reiterato, rappresenta una sorta di rendita sulle altrui capacità reddituali ed economiche: esso, infatti, ha in sé insita la capacità alla moltiplicazione esponenziale della somma dovuta da parte dell’usurato, costretto dal rapporto originariamente istaurato alla soddisfazione delle pretese dell’usurario ad libitum nell’ambito di una vera e propria soggezione a costui.’ (A. Boido, Usura e diritto penale, CEDAM, 2010).

[40] Un’ulteriore edulcorazione è stata introdotta nelle Istruzioni ’16 per i crediti sconfinati rispetto al fido, per i quali sino alle precedenti Istruzioni era previsto al denominatore della seconda frazione del TEG l’accordato, mentre con le nuove Istruzioni si prevede il saldo liquido massimo. Nel documento posto in consultazione nell’aprile del ’15 si riportava: ‘Nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o comunque se si verificano utilizzi di finanziamento senza che sia stato precedentemente predeterminato l’ammontare del fido accordato, l’attribuzione alla classe di importo va effettuata prendendo in considerazione l’utilizzo effettivo nel corso del trimestre di riferimento (ad es. nel caso di passaggi a debito di conti correnti non affidati deve essere considerato il saldo liquido massimo di segno negativo; nel caso di operazioni di factoring su crediti acquistati a titolo definitivo e di sconto di effetti deve essere considerato l’importo erogato. (…)’. Nella versione definitiva, resa pubblica il 29 luglio, senza che alcunché fosse riportato nel resoconto della consultazione, né alcuna giustificazione avesse accompagnato la modifica, nel trattare i conti non affidati – con un’espressione alquanto equivoca e contraddittoria - si introduce ‘una forzatura’ per ricomprendere anche gli sconfinamenti dei conti affidati: ‘Nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o comunque se si verificano utilizzi di finanziamento senza che sia stato precedentemente predeterminato l’ammontare del fido accordato, l’attribuzione alla classe di importo va effettuata prendendo in considerazione l’utilizzo effettivo nel corso del trimestre di riferimento (ad es. nel caso di passaggi a debito di conti correnti non affidati e degli sconfinamenti rispetto al fido accordato deve essere considerato il saldo liquido massimo di segno negativo; nel caso di operazioni di factoring su crediti acquistati a titolo definitivo e di sconto di effetti deve essere considerato l’importo erogato. (…)’. Di nuovo una modifica, introdotta ‘alla chetichella’, con la quale si crea un’ulteriore discriminazione a favore degli intermediari: se l’utilizzato è inferiore all’accordato, nel TEG si considera l’accordato, se l’utilizzato è superiore all’accordato, si considera il saldo massimo.

[41]… in questo settore normativo il tema dello scoperto senza affidamento viene a giocare un ruolo di primario rilievo. Perché tale figura propone una dimensione di carico economico assai elevata: che sta ai vertici della lista dei TEGM; a “combattere per il primato”, meglio, con quello legato al credito revolving. E perché, inoltre, l’effettivo utilizzo della figura da parte delle banche si attesta su misure quantitative notevole e pare anche in crescita. Cosa, quest’ultima, che d’altra parte non sorprende: se l’allontanamento dello spettro della revocatoria fallimentare tende naturalmente a incentivare la pratica degli sconfinamenti (in genere e, comunque, a scapito dell’apertura di credito), la sussistenza di un tasso soglia di assoluta ragguardevolezza per un dato tipo di operazione è evento che di per sé stesso indirizza le banche a preferire l’uso di tale operazione rispetto alle altre (là dove possibile, s’intende)’ (A.A.Dolmetta, “Scoperti senza affidamento” e usura, 2013, I Contratti.).

[42] Di riflesso il costo medio degli scoperti risulta in Italia (17,12% e 15,36%) di 5 – 7 punti maggiore di quello rilevato in Francia (10,16%).

[43] ‘Ove si riflette che di regola il meccanismo usurario è concepito in modo tale da produrre interessi che non sono neppure lontanamente comparabili con i tassi normalmente praticati dagli operatori istituzionali del credito, si comprende quanto l’asservimento della persona possa raggiungere un misura vicina alla integralità: l’usurato non ha, talora, quasi più spazio alcuno per il sostentamento proprio e della propria famiglia, ogni guadagno presente o futuro ha una destinazione segnata; spesso l’usurato riesce a soddisfare le pretese dell’usurario solo a costo di contrarre altri debiti, con amici, familiari e conoscenti, a volte con altri usurai più esosi ancora. Quando ciò accade, la lesione della dignità dell’usurato è massima, al punto che il danno personale finisce con l’essere preponderante rispetto a quello patrimoniale: sono questi i casi nei quali all’usura conseguono la disperazione, le disgregazione della famiglia e di ogni altro rapporto sociale, la perpetrazione di reati da parte dello stesso usurato, talora il suicidio.’ (A. Boido, Usura e diritto penale, CEDAM, 2010).

[44] Sul piano tecnico-pratico l’intermediario, facendo riferimento al costo della provvista, stabilisce le condizioni di credito applicate in funzione dell’affidamento del cliente e del merito di credito dell’iniziativa che deve essere finanziata: i tassi praticati vengono così distribuiti in un arco di valori compresi fra un minimo prossimo all’Euribor ed un massimo prossimo alla soglia d’usura. Taluni intermediari hanno iniziato a prevedere, per il credito in conto corrente, sia esso apertura di credito, anticipazione o altro, un tasso variabile che, anziché essere collegato all’ordinario parametro di finanziamento praticato dal mercato, quale l’Euribor, viene riferito direttamente al tasso soglia, sottraendo a questo uno spread fisso in funzione del merito di credito del cliente. Il paradossale sistema di tariffazione lascia trasparire la scarsa concorrenza del mercato del credito e la significativa dominanza dell’operatore bancario nei finanziamenti in conto: anziché partire dal costo della raccolta e dagli oneri di copertura dei costi, per stabilire il proprio margine di intermediazione, si parte dal margine massimo praticabile per sottrarre la minore copertura del rischio che il cliente presenta rispetto allo standard. Da un punto di vista sistemico si può ravvisare in tali comportamenti quella che A.A. Dolmetta configura come ‘una rendita da posizione (quale species facente parte del genus espressivo dell’approfittamento da posizione), le cui implicazioni reali vanno colte – pure questo è evidente – con riferimento non al singolo rapporto, bensì alla misura di serialità immessa col prodotto sul mercato’.

[45]La clausola che prevede l’applicazione degli interessi moratori deve essere, si badi bene, inclusa nel calcolo in quanto tale, cioè per il semplice fatto di essere stata prevista, non occorrendo che si sia verificato il fatto dell’inadempimento del debitore nella restituzione che determina la mora. L’ultima pronuncia in tal senso è la n. 350 del 2013, che ha affermato che “ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”. La soluzione positiva che la pronuncia n. 350/2013 dà al problema del computo degli interessi moratori tra le voci rilevanti per il riscontro di usurarietà è indiscussa. La Banca d’Italia ha sempre avuto un atteggiamento opposto, emanando diverse Istruzioni in cui ha decisamente smentito la riconducibilità degli interessi moratori al tasso di interesse da calcolare per la il superamento del tasso soglia. In particolare, in una nota diramata proprio qualche giorno dopo la sentenza Cass. 350-13, l’Istituto di Vigilanza ha specificato che dal tasso soglia vanno sempre esclusi gli interessi moratori in quanto futuri ed eventuali. Tale decisa presa di posizione, in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale ricordato, è stata vivacemente criticata in dottrina, poiché espressione di una volontà da parte di un organo amministrativo, per quanto altamente qualificato, di ergersi ad interprete della legge, compito che spetta in via esclusiva all’autorità giudiziaria. Su tali conclusioni non si può non essere d’accordo, essendo evidente che la Banca d’Italia non ha il potere di interpretare una norma, compito che è invece demandato al potere giudiziario’ (C. De Robbio, Convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura insieme all’ABI, Palazzo Altieri, 15/7/14).

[46] È stato autorevolmente affermato che in sostanza e a differenza della maggior parte dei reati, il delitto di usura non si configura per l’esistenza o meno di un fatto (naturale) causato, dolosamente o colpevolmente, da una persona (reo), ma si concretizza semplicemente con l’instaurarsi tra le parti di un rapporto (giuridico) sinallagmatico, cioè con un accordo che prevede obbligazioni reciproche per effetto del quale una delle parti si “fa dare o promettere... in corrispettivo di una prestazione di denaro, interessi usurari”.

[47] L’ABF, salvo casi di palese evidenza e di modesto rilievo sistemico, si muove all’unisono con le posizioni assunte dalla Banca d’Italia. Oltre al paradossale rilievo dell’usura sopravvenuta, ritenuta insorgere a seguito delle modifiche intervenute nelle Istruzioni, altrettanto speciosa ed elusiva dell’art. 1815 c.c. è la petizione di principio, assunta dal Collegio di Coordinamento dell’ABF, nella circostanza di una clausola contrattuale che, ritenuta nulla, non potrebbe esplicare effetti nel computo ai fini dell’usura. ‘La pretesa usurarietà del tasso – e la conseguente nullità della previsione del complessivo corrispettivo del finanziamento – finirebbe con il derivare dagli effetti della clausola, pur per definizione nulla, in quanto contra legem; ma simili effetti non si possono considerare, in realtà, mai prodotti, data la retroattività connaturata alla operata qualificazione in termini di nullità della clausola che è alla loro base’. In altri termini ‘l’improduttività ab origine di effetti da parte della clausola nulla vale ad escludere ogni possibilità di relativo computo ai fini della individuazione del TEG, il quale, dunque, correttamente computato – depurato, cioè, degli effetti, in quanto concretamente mai prodottisi, della clausola nulla, - finisce col risultare conforme alla legge’.

Osserva al riguardo M. Cian: ‘il giudizio di usurarietà è diretto a verificare proprio l’attitudine della convenzione di costo, nel complesso delle sue componenti, a produrre effetti, così che l’argomento provoca, se si vede bene, una sorta di circolo vizioso: si defalcano taluni effetti non prodottisi da un insieme di effetti la cui produzione come insieme è comunque in discussione. Continua in altre parole a non avere plausibilità giuridica la tesi della segmentazione di detto insieme, per salvarne una parte. A riprova dell’incongruenza di tale segmentazione, può osservarsi che essa conduce ad un trattamento deteriore per le fattispecie con il minor grado di difformità dalla legge. Dato invero “c” il costo del credito complessivamente convenuto, in quanto composto dalla somma delle voci “a” e “b”, quando una di esse presentasse un qualche vizio autonomo, la residua voce verrebbe fatta salva (per effetto della depurazione indicata) e il creditore ne conserverebbe il diritto alla percezione, pur se “c” risultasse usurario; quando invece “a” e “b”, separatamente considerate, fossero ciascuna per sé legittima, ma “c” risultasse pure usurario, il costo verrebbe interamente azzerato, senza salvezza né dell’una, né dell’altra voce. Il che, se è esatto, riporta alla tesi avversata dall’ABF: concorrere qui due vizi, nessuno dei quali gerarchicamente e logicamente sovraordinato, con la conseguenza che la voce di costo ex se illegittima lo è anche, al contempo, per la violazione, in una con le altre voci di costo, dell’art. 1815, con la ulteriormente conseguente neutralizzazione anche di queste ultime e l’azzeramento integrale degli interessi.’ (M. Cian, Questioni in tema di massimo scoperto: a volte ritornano (anzi, sono sempre state qui), Convegno: L’opacità della normativa bancaria, Corte d’Appello Roma, 2017).

[48] Da un punto di vista finanziario la mora è assimilabile, per taluni aspetti, ad uno scoperto privo di affidamento: costituisce un’opportunità che consente di disporre di credito ad un tasso maggiorato. Tale analogia ha condotto presumibilmente, in un’ottica di medio periodo, a istituire prima l’anacronistica Categoria degli Scoperti privi di fido, per poi ricomprendervi gli affidamenti che, in quanto revocati e scaduti, danno titolo alla mora, precostituendo in tal modo un’apposita Categoria per i crediti deteriorati, ricompresi nella nuova classificazione dei non performing loans.

[49]la predetta clausola di salvaguardia è da ritenersi operativa “per l’avvenire”, quindi successivamente al momento di stipula del contratto; non è pensabile l’applicazione della clausola di salvaguardia a pattuizioni geneticamente contrarie alla legge, poichè questo si risolverebbe nella disapplicazione dell’art. 1815 comma 2, cod. civ.,  secondo il quale “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” (Ordinanza Tribunale di Asti del 06/07/2015). Per la mora, quando direttamente riferita alla soglia d’usura, suscita perplessità la circostanza che non risulti predeterminata con certezza, quanto meno nella componente di maggiorazione sul tasso corrispettivo: una funzione risarcitoria ed afflittiva viene commisurata ad un valore indeterminato ed aleatorio, di riferimento certo ma, in parte, trascendente l’ordinario costo del denaro, riferito all’Euribor. Per la componente più propriamente remunerativa del tempo, la mora può ben accompagnare i mutamenti nel tasso di interesse che intervengono nel mercato, mentre per la componente afflittiva assai labile appare la giustificazione di una parametrazione al TEGM, dipendente anche da oneri e spese e la cui variazione risulta, per altro, accelerata del 25%; alla componente afflittiva dovrebbe corrispondere un valore predeterminato, ancorché espresso in termini percentuali. Mentre per la componente remunerativa è implicita la giustificazione nella parametrazione al tasso di mercato, per la componente più propriamente afflittiva una parametrazione, per di più aggravata dal TEGM, viene a costituire una variazione ingiustificata, eludente il disposto dell’art. 118 TUB che prevede al comma 4°: ‘Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria (…) si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente’.

[50] Diversa, e priva di accostamento, è la funzione del tasso legale di mora delle transazioni commerciali, previsto dalla legge 231/02. Le asincronie nei flussi di pagamento dei clienti assumono per l’imprenditore un marcato rilievo, con un ‘effetto domino’ di immediata e significativa diffusione nella compagine degli operatori presenti sul mercato. Come diversa è la funzione (deflazionamento del contenzioso giudiziale) del saggio di interessi previsto dal novellato art. 1284 c.c. (modificato dalla legge 162/14) dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale.

[51]nel concorso tra l’art. 644 c.p. e l’art. 1815, 2° comma, cc, la coincidenza dei presupposti applicativi riguarda il solo elemento oggettivo del reato e non la fattispecie incriminatrice nel suo complesso. Con la conseguenza che la disposizione civilistica, per la cui operatività è sufficiente il solo fatto dell’usurarietà dell’interesse convenuto, si applicherà indipendentemente dalla sussistenza in concreto del reato di usura. Il che avverrà non solo in tutte quelle ipotesi nelle quali facciano difetto gli altri elementi richiesti per l’integrazione dell’ipotesi di reato e particolarmente l’elemento soggettivo costituito dalla volontà di farsi dare o promettere, in corrispettivo della prestazione di denaro, interessi superiori al limite legale (dolo generico), ma anche in tutti quegli altri casi nei quali, pur essendo astrattamente configurabile l’ipotesi di reato, questo non sia possibile in concreto per l’esistenza di cause estintive, come ad esempio la morte del reo o la prescrizione’ (D. Buzzelli, Mutuo usurario e invalidità del contratto, Jovene Ed. 2012).

[52]Segnatamente, con riferimento al perfezionamento della fattispecie penale sembra rilevare ben poco che la prestazione patrimoniale imposta sia oppure o no eventuale. La legge penale, per il tramite del rinvio al tasso soglia, fissa un limite al costo del credito e sanziona duramente la condotta di chi quel limite supera. Che poi il suo superamento possa in concreto essere soltanto eventuale in quanto subordinato alla maturazione di ulteriori circostanze in presenza delle quali alcuni carichi economici da essere incerti nell’an diventano certi è dato il quale non aggiunge né toglie nulla al disvalore della condotta. Resta l’intenzione di trarre dall’operazione economica un profitto che, seppure eventuale, è allo stesso modo reputato eccessivo dall’ordinamento’ (M. Semeraro, Usura originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori, R. Diritto Bancario, 2015).

[53]La verifica dell’usura non può essere esperita sul rapporto fra interessi di mora e ammontare della rata scaduta ma va ricondotta al costo complessivo che il credito concesso subisce a seguito dell’eventuale morosità che possa intervenire in una o più rate e/o nel capitale a scadenza. Il tasso di mora non è un tasso effettivo, è un tasso semplice che integra il tasso corrispettivo, come riflesso del mutamento determinatosi nel piano di ammortamento.’(Cfr. R. Marcelli, La mora e l’usura: criteri di verifica, in assoctu.it).

[54] A questa tesi, informata al massimo rigore, si contrappone la tesi nella quale si fa ricorso ad una ‘politica del diritto’ per dare rilievo all’effettività della condizione alla quale è subordinata la penalizzazione: ‘Evidente la sopravvalutazione del dato letterale dell’art. 1. “Se indica che gli interessi moratori contano nel calcolo usurario, esso non dice tuttavia che questi debbano essere considerati nello stesso identico modo di quelli compensativi; che cioè la rilevanza degli interessi da risarcimento prescinda dall’essersi verificato il medio logico che è pur necessario per la loro effettiva applicazione (mentre i compensativi corrono, per contro, proprio in ragione dell’avvenuta consegna del denaro ex art. 821 c.c.)”. In altri termini, l’onere eventuale è rilevante in quanto, oltre a essere stato promesso, si è verificata la fattispecie applicativa (ritardo nell’adempimento, risoluzione del contratto ecc.), poiché soltanto a questa condizione la potenzialità può dirsi divenuta effettiva. Segue per contro l’irrilevanza giuridica dei debiti per remunerazioni commissioni e spese, bensì collegati all’erogazione del credito, ma: a) meramente potenziali, perché non dovuti per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinati al verificarsi di eventi futuri (ancora possibili ma concretamente) non verificatisi; b) del tutto irreali, perché non dovuti per effetto della mera conclusione del contratto e subordinati al verificarsi di eventi che non si sono verificati, né potranno in seguito mai verificarsi. (…) C’è un criterio di politica del diritto che fa senz’altro preferire l’effettività del costo. La tesi della mera potenzialità ha una portata diffusiva. Se è vero che il worst case corrisponde “all’inadempimento di tutte le rate, ma pagamento di tutte le more via via maturate”, viene da chiedersi in saecula saeculorum quale contratto di mutuo potrebbe mai riuscire esente da questo scenario. Peggio ancora, se il contratto prevede una penale di estinzione anticipata senza limiti all’applicazione: è sufficiente ammettere che il cliente receda anticipatamente il giorno dopo la conclusione del mutuo per far volare ad altezze siderali il tasso di interesse. Si arriva allora al punto. La tesi della mera potenzialità non è in grado di distinguere le vere vittime di usura dalle vittime immaginarie, veri free rider che, senza aver subito alcuna usura, tentano di farsi un pasto gratis.’ (Cfr. E. Astuni, Interessi di mora e usura, Convegno Associazione Studi bancari, 27/10/15).

 Una recente sentenza della Cassazione sembrerebbe avvalorare questa seconda tesi: ‘Il reato si consuma non solo con la promessa o la dazione di ‘interessi’ (richiamandosi qui la trama normativa dettata dagli artt. 1815 e 1284 c.c. e L. n. 108 del 1996, art. 2), ma anche se oggetto di pattuizione sono comunque ‘vantaggi usurari’. Questi ultimi sono illegittimi profitti, di qualsivoglia natura che l’eccipiens riceve e che per il valore, raffrontato alla controprestazione, assumono carattere di usura cioè di interessi eccedenti la norma. Si intende, poi, che allorché si verifichi l’estinzione anticipata del credito, ove evitare di imporre un interesse usurario, occorrerà ridurre le spese e le commissioni rapportandole alla durata onorata del prestito, e comunque mantenendo spese e commissioni nei limiti che impediscano il superamento del tasso legale. Il che nel caso di specie non è avvenuto con le conseguenze obbligate per legge in punto di responsabilità penale’. (Cassazione Pen. Sez. 2, n. 28928, 26/6/14).

Si ritiene tuttavia che l’aspetto dirimente sia la volontà espressa nel contratto; anche il worst case deve risultare regolato nel rispetto dei limiti d’usura. Nulla impedisce alle parti – o meglio all’intermediario che predispone il contratto di adesione – di escludere la risoluzione anticipata nel periodo iniziale o di prevedere un diverso e più moderato costo in eventualità che risultano eccezionali ma possibili e per l’intermediario, su un’ampia platea di clientela, statisticamente certe.

[55] Sino a valori del TEGM prossimi al 10% lo spread italiano (25% + 4 punti) risulta superiore al doppio di quello francese (33%). Sopra il 10% il divario fra i due valori si riduce sino ad annullarsi per un TEGM del 24%.

[56]Da oltre quattrodici anni i decreti ministeriali, nella medesima opacità che ha contraddistinto l’evidenza a latere delle CMS, continuano a menzionare l’indagine campionaria, curata dalla Banca d’Italia nel 2001, che aveva accertato per la mora un tasso collocato 2,1 punti al di sopra del tasso medio corrispettivo rilevato per il complesso del campione esaminato. L’ABI, dopo l’indagine sui tassi mora richiamata dal decreto ministeriale, in una lettera circolare indirizzata alle associate (n. 4681/2003), sulla base di ‘prime autorevoli interpretazioni della dottrina’ – rimaste, di fatto, alquanto isolate - aveva suggerito, per la mora, l’adozione di un sofisticato criterio, successivamente mutuato dalla Banca d’Italia per la CMS con la Circolare del 2/12/05: soglia per la mora pari alla somma del tasso medio di mercato, individuato dalla Banca d’Italia per gli interessi corrispettivi, e della maggiorazione di 2,1 punti percentuali, media rilevata per la mora nella rilevazione campionaria, il tutto aumentato del 50% (ora 25% + 4 punti). Questo criterio più recentemente ha incontrato l’esplicito avallo della Banca d’Italia, la quale, a distanza di dieci anni, con la comunicazione del 3 luglio 2013, ha espresso chiaramente le finalità della rilevazione campionaria della mora, menzionata sistematicamente in tutti i decreti ministeriali di pubblicazione delle soglie d’usura e mai esplicitata nella sua funzione: non è questa la trasparenza che ci si attende dall’Organo di Vigilanza.

[57] Il passaggio da n. 15 a n. 25 Categorie (e classi di importo) omogenee, ciascuna con un proprio tasso medio di riferimento, ha ridotto apprezzabilmente la dispersione intorno alla media, consentendo di allentare il rigore dello spread disposto dalla legge 108/96.

[58] Del tutto inosservata è passata, in precedenza, l’inclusione nel TEG, con conseguente sopravvalutazione del TEGM, di oneri e spese inerenti al credito ma direttamente riconosciuti a terzi (spese per assicurazione, altre garanzie, oneri riconosciuti dal cliente al mediatore, ecc.), quando l’art. 2 della legge 108/96 – con una presunta funzione calmieratrice - circoscrive la rilevazione del ‘tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari’. 

[59] Osserva A.A. Dolmetta: ‘Se si guarda all’attuale organizzazione delle categorie (Istruzioni del 2009 e successivi decreti trimestrali), ne esce, a me pare, un fronte non già lineare, quanto piuttosto pasticciato, che di necessità va riformulato: questa, per l’appunto, la tesi minore. Così, per fermare qualche impressione a volo di uccello, perplessità desta la collocazione in distinte categorie della cessione del quinto (Cat. 8) e della delegazione di pagamento (Cat. 10); come pure quella di separata sistemazione degli anticipi su crediti e documenti (Cat. 2) e del factoring (Cat. 5). Confusa appare, dal canto suo, la gestione del credito revolving di cui alla categoria 9 («linea di fido diversa dalle apertura di credito in conto corrente, da utilizzare interamente o parzialmente … presso venditori convenzionati» ed eventualmente «connessa con l’utilizzo di una carte di credito»), anche in relazione alla Cat. 3 (prestito personale), alla Cat. 1 (apertura di credito in conto corrente) e alla Cat. 4 (credito finalizzato). Senz’altro non giustificato si manifesta poi lo scorporo degli sconfinamenti da deposito dal ceppo dell’apertura di credito (Cat. 1), che è stato disposto dall’inizio del 2010. Ma pure la categoria del mutuo, di cui alla categoria 7, andrebbe rivista dalle fondamenta: si pensi anche solo all’individuazione dei presupposti la cui presenza occorre perché la stessa entri in applicazione’ (A.A. Dolmetta, Regole nuove per le rilevazioni usurarie’, 2015, www.assoctu.it).

[60] In tali circostanze insorgono pregiudizi che, ad esempio, non fanno ritenere compiutamente trasparenti commissioni di istruttoria veloce la cui aderenza ai costi è affidata a procedure interne soggette esclusivamente al controllo dell’Organo di Vigilanza. I casi di abuso di tali commissioni risultano ricorrenti e diffusi: le frequenti decisioni dell’ABF ne forniscono testimonianza. 

[61] La competenza dell’AGCM coesiste con quella dell’Autorità di vigilanza preposta al credito, in ragione delle diverse finalità delle funzioni svolte dai due istituti. L’AGCM è indirizzata alla protezione dei consumatori e degli interessi concorrenziali tra le imprese, mentre l’attività di Vigilanza svolta dalla Banca d’Italia è rivolta, più propriamente, ad assicurare la ‘sana e prudente gestione’, nonché la stabilità del sistema bancario.

[62] Le nuove disposizioni in materia di giustizia amministrativa prevedono un particolare rito in materia di ricorsi contro gli atti delle Autorità indipendenti ( art. 4, legge 21 luglio 2000, n. 205), e la legge sul procedimento amministrativo demanda ai  rispettivi ordinamenti la disciplina sul diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza ( art. 23, legge 8 agosto 1990 n. 241). In dottrina sono state operate delle distinzioni tra Autorità con poteri di garanzia di interessi afferenti all’ordinamento generale e di immediata derivazione costituzionale, che sono generalmente titolari di competenze esclusive; Autorità con prevalente regolazione di settori economici, che agiscono in concorrenza con il Governo; e autorità con competenze tecnico - amministrative. La prima categoria comprende la Consob, la Banca d’Italia per alcune funzioni e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che, in quanto dotata di poteri para-giurisdizionali, rappresenterebbe il modello puro. Il Governo nei confronti di queste autorità è sprovvisto di poteri di indirizzo anche se non è sempre estraneo alla nomina del vertice.  La seconda categoria comprende l’Isvap e le autorità sui servizi di pubblica utilità, elettricità gas e telecomunicazioni. Nei confronti di esse il governo esercita funzioni di indirizzo di politica generale e di settore, oltre ad avere un ruolo nella nomina del vertice (previa sottoposizione delle designazioni effettuate dal Governo al parere delle Commissioni parlamentari competenti reso con maggioranza dei due terzi).  La terza categoria comprende l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione e l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, con funzioni di coordinamento o controllo tecnico in certi settori di intervento, e riconducibili al governo che esercita su di loro funzioni di indirizzo e vigilanza. Una collocazione differente riguarda il Garante per la protezione di dati personali e la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, entrambe volte a bilanciare diversi diritti costituzionalmente garantiti. (in Diritto&Diritti, dicembre 2003).

[63] Rileva G. Carriero (in ‘La responsabilità civile delle Autorità di Vigilanza’, Il Foro Italiano Vol. 131, No. 9 Settembre 2008): ‘…la norma di legge italiana è stata sottoposta a rilievi critici. Sul piano procedurale, in particolare, per il ritenuto eccesso di delega che la caratterizzerebbe. L’art. 43 della legge sul risparmio si limitava infatti a prevedere l’adeguamento del testo unico bancario, di quello della finanza e delle altre leggi speciali di settore ai contenuti della l. n. 262/05 e le conseguenti modifiche “necessarie per il coordinamento delle disposizioni stesse”. Sicché, sotto l’indicato versante, è stato facile osservare che “l’innovazione normativa…non è assolutamente autorizzata dal legislatore delegante” (D. SICLARI, Costituzione e autorità di vigilanza bancaria, Padova, 2007, 427). Appare peraltro importante ricordare la tradizionale “prudenza” del giudice delle leggi a sindacare operazioni di legislazione delegata parzialmente divergenti o eccedentarie rispetto alla delega legislativa, segnatamente a fronte della riconosciuta rilevanza dello scopo finalistico sotteso alla norma delegante. Ma, oltre a riguardare profili formali, critiche severe hanno investito lo stesso contenuto della disposizione. Ciò sinteticamente in quanto essa: 1) diverge dal sistema di responsabilità civile della p.a., ove solo la responsabilità personale dell’impiegato è circoscritta al dolo e alla colpa grave (d.p.r. 3/1957, art. 22) mentre quella dello Stato- persona giuridica non gode di tale esenzione e può perciò estendersi anche alla colpa lieve; 2) diverge dallo stesso regime del codice civile in punto di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale (alla cui figura verrebbe assimilata l’attività delle autorità indipendenti) perché la circoscrizione alla colpa grave riguarderebbe, nella fattispecie ex art. 2236 cod. civ., il solo caso dell’imperizia e non anche quelli della negligenza e dell’imprudenza (cfr. i rilievi espressi da D. SICLARI, Costituzione e autorità di vigilanza, cit. Contra v. tuttavia, prima della promulgazione della norma in rassegna, le considerazioni di G. DELLA CANANEA, L’autonomia della Banca d’Italia dopo la “riforma” del 2005, in Quaderni cost., 2006, 787).

[64]La limitazione della responsabilità civile delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari recata dall’art. 24, comma 6-bis, della legge n. 262/05: un primo monito della Cassazione?’ Nota a Cass., I, 25 febbraio 2009, n. 4587.

[65] D. Siclari (La limitazione della responsabilità civile delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari recata dall’art. 24, comma 6-bis, della legge n. 262/05: un primo monito della Cassazione? (Nota a Cass., I, 25 febbraio 2009, n. 4587), nel rilevare l’eccesso di delega del comma 6-bis dell’art. 24 della legge 262/05, apportato dal d. lgs. 303/06, ricorda che: ‘Con riguardo al riparto di giurisdizione in materia, si ricorda che le controversie promosse dagli investitori nei confronti dei soggetti pubblici preposti alla vigilanza, per ottenere il risarcimento dei pregiudizi subiti in conseguenza di operazioni con intermediari e soggetti vigilati, appartengono alla cognizione del giudice ordinario (v. Cass., Sez. un., 29 luglio 2005, n. 15916, annotata da M. FRATINI, Le sezioni unite sui danni da omessa vigilanza Consob, in Urb. app., 2005, 1413 nonché, di recente, W. TROISE MANGONI, Azione risarcitoria del risparmiatore nei confronti della Consob: considerazioni attinenti alla giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2007, 414 ss. e M. POTO, Le autorità di vigilanza sul mercato mobiliare, cit., 173; in precedenza, R. CARANTA, Responsabilità della Consob per mancata vigilanza e futuri problemi di giurisdizione, cit., 571 ss.; G. MONTEDORO, Questioni di giurisdizione in materia di atti illeciti delle autorità di vigilanza sui mercati, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2002, II, 33 ss.; E. GALANTI, Responsabilità delle autorità di controllo e giurisdizione, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, 406 ss.).

[66] Non sembra nella circostanza che all’acquisizione di dati di dettaglio relativi alla rilevazione dei tassi ai fini d’usura, si possa frapporre il segreto d’ufficio, risultando previsto dall’art. 7 TUB che le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia sono coperti da segreto d’ufficio solo ed esclusivamente in ragione della sua attività di vigilanza.

[67] A. Cariola, ‘Discrezionalità tecnica ed imparzialità’, in Dir. Amm., 1997, pag. 469 ss.

[68] G. Molica, ‘Sulla responsabilità civile delle autorità amministrative indipendenti’, Giur. Comm.le, n. 2, 2016).

[69]La dottrina tradizionale ha per lungo tempo assimilato sul piano sostanziale la discrezionalità tecnica con la discrezionalità pura, assoggettandola agli stessi limiti e quindi ammettendo un sindacato del giudice amministrativo solo rispetto al profilo dell’eccesso di potere. Tale posizione ha trovato supporto nella giurisprudenza che, incerta sulla possibilità di consentire un sindacato pieno e sostitutivo delle valutazioni tecniche, lo ha limitato ai casi di dubbia ragionevolezza delle valutazioni effettuate. “Compito primario del giudice è quello di verificare se il potere amministrativo sia stato esercitato con un utilizzo delle regole tecniche conforme a criteri di logicità, congruità, ragionevolezza e corretto apprezzamento dei fatti. In altri termini, le valutazioni compiute dall’Amministrazione in ordine all’anomalia dell’offerta costituiscono espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale, di per sé insindacabile in sede giurisdizionale, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o errori di fatto” (Cons. Stato, sez. IV, n. 3554/2004). Il sindacato del giudice amministrativo sarebbe dunque limitato ad un controllo estrinseco sulla motivazione del provvedimento amministrativo. In verità, mentre i fatti semplici erano ritenuti pacificamente sindacabili, in quanto l’applicazione di regole tecniche avrebbe determinato in questi casi soluzioni univoche, lo stesso non poteva dirsi per i fatti complessi. Il sindacato di legittimità sul fatto poteva dunque esercitarsi solo se la norma di riferimento era assolutamente chiara e precisa, anche se, in tal caso, più che di discrezionalità tecnica si sarebbe dovuto parlare di accertamento tecnico, diretto a verificare la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma per l’emanazione del provvedimento. Viceversa, nel caso in cui l’amministrazione ritenesse necessario compiere un’ulteriore valutazione sul dato accertato, il potere esercitato avrebbe avuto natura discrezionale e come tale sarebbe stato sindacabile solo sotto il profilo dell’eccesso di potere e delle sue figure sintomatiche. Tale riserva a favore dell’amministrazione presentava tuttavia profili di incostituzionalità rispetto al principio di effettività della tutela, il cui rispetto implica che non si possano escludere dal sindacato del giudice amministrativo valutazioni diverse da quelle legate alle scelte di “opportunità” della pubblica amministrazione. Da qui la necessità di un sindacato “intrinseco” del giudice amministrativo sugli atti discrezionali, al pari di quanto previsto per il giudice penale e quello contabile che, rispetto a provvedimenti sintomatici di una discrezionalità non pura, non si limitano a svolgere un sindacato esterno. L’applicazione più stringente del principio della piena tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione ha determinato, a partire dagli anni Ottanta, un controllo più ampio sui giudizi tecnico-valutativi posti in essere dai pubblici poteri. Ciò al fine di consentire al giudice, in quanto peritus peritorum, una cognizione estesa al fatto e alla correttezza del procedimento seguito dall’amministrazione nell’emanazione del provvedimento. A sostegno di tale tesi l’art. 16 della l. 205/2000 ha aggiunto al comma 1 dell’art. 44 del R.D. n. 1054/1924 le parole “ovvero disporre la consulenza tecnica”. Viene così introdotto uno strumento processuale fondamentale per consentire al giudice di verificare l’attendibilità e la correttezza delle valutazioni tecniche e la cui assenza, in passato, ha costituito un solido argomento a sostegno dell’inammissibilità del sindacato intrinseco. (…) Una volta accertati i fatti e verificato l’iter logico-valutativo posto in essere dalla pubblica amministrazione, sulla base di regole tecniche e di buona azione amministrativa, il giudice, se ritiene tali valutazioni corrette, ragionevoli, proporzionate ed attendibili, non deve esprimere propri convincimenti o compiere autonome scelte. Non è consentito infatti all’autorità giudiziaria di sostituirsi ad un potere già esercitato, potendo questa “solo stabilire se la valutazione complessa operata nell'esercizio del potere debba essere ritenuta corretta sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità a parametri tecnici, che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato”.  La consulenza tecnica disposta dal giudice serve dunque a porre in essere un controllo sulla ragionevolezza e sulla coerenza tecnica delle decisioni adottate dall’amministrazione. In questo caso “il giudice penetra nel momento conoscitivo dell’autorità e ne vaglia l’esito, ma solo allo scopo di accertarne l’attendibilità scientifica, arrestandosi di fronte alla sfera di opinabilità che sostanzia il nucleo forte del concetto giuridico indeterminato”. La tesi del sindacato “debole” ha trovato pieno accoglimento da parte della giurisprudenza. Il Consiglio di Stato ha affermato, al riguardo, che “(…) al giudice non è certamente concesso un potere di sostituzione del proprio giudizio a quello dell’amministrazione (…). Ne segue, altresì, che il provvedimento deve reputarsi legittimo quando il giudizio tecnico (di applicazione del concetto giuridico indeterminato), anche a prescindere dalla intrinseca e sicura esattezza, è obiettivamente attendibile: ossia quando in una ragionevole percentuale di casi conduce ad un risultato corretto” . Nello stesso senso, nella sentenza n. 829 del 27 febbraio 2006, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che “(…) la c.d. discrezionalità tecnica esprime un concetto diverso dal merito amministrativo e pertanto non può essere aprioristicamente sottratta al sindacato da parte del giudice amministrativo atteso che l’apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento, siano essi semplici o complessi, attiene comunque alla legittimità di quest’ultimo. Tuttavia la censurabilità della discrezionalità tecnica non deve mai arrivare alla sostituzione del giudice all’amministrazione nell’effettuazione di valutazioni opinabili, ma deve consistere nel controllo, ab externo, dell’esattezza e correttezza dei parametri della scienza utilizzata nel giudizio’. (Barbara Fenni, La discrezionalità tecnica ed il sindacato del giudice amministrativo, in diritto.it).

[70] ‘La valutazione della legittimità degli atti amministrativi (decreti ministeriali e circolari) posti in essere dai medesimi, non potrà essere sottratta al giudizio, sia pur incidentale ed alla conseguente possibile disapplicazione del giudice ordinario, sempre che gli stessi, come parrebbe, non abbiano a ritenersi espressione di mera discrezionalità tecnica. Invero in questo caso si porrebbe il problema, dell’ammissibilità a monte di un sindacato nel merito delle scelte della P.A., allorché siano operate sulla base di una discrezionalità tecnica, alla stessa dalla legge conferita, sia nel determinare il costo del credito sia, ancor prima, nel classificare le operazioni cc.dd. “omogenee”. Il problema è di una complessità tale da non essere suscettibile di una compiuta trattazione in questa sede. Riteniamo però che al giudice ordinario non possano disconoscersi poteri di sindacato diversi e più ampi di quelli del giudice amministrativo, deputato istituzionalmente al controllo del potere pubblico. Conseguentemente la disapplicazione può trovare fondamento in qualsiasi vizio di legittimità, ma non può prendere spunto da valutazioni di merito istituzionalmente riservate all’amministrazione. La valutazione della legalità del provvedimento, ivi compreso il vizio dell’eccesso di potere che compete anche al giudice ordinario, ex se non comporta l’ammissibilità di un sindacato sull’opportunità del medesimo. Per l’effetto, ove si acceda alla tesi che si versi in ipotesi di discrezionalità tecnica, nessun intervento di disapplicativo in toto o parzialmente disapplicativo ed in parte correttivo potrebbe fare a nostro avviso il giudice ordinario, sostituendosi alla P.A., come suggerito invece da alcuni giudici di merito.(V. Farina, Clausa di salvaguardia, commissione di massimo scoperto e divieto delle usure, I contratti 11/2016).

[71] Plurimi sono gli aspetti che, anche sotto la veste del controllore, destano ampie perplessità. Da ultimo appare palese la contraddizione della mora, prima correttamente esclusa dalla rilevazione per non inficiare la natura fisiologica del TEGM, poi, riscontrando disatteso dalla giurisprudenza l’arbitrario margine di 2,1 punti riveniente dalla rilevazione campionaria concepita nel 2001, configurata – per le aperture di credito - implicitamente in una Categoria della patologia (Scoperti privi di affidamento) dove far confluire i fidi revocati e scaduti, rimasti insoluti, quindi soggetti a mora. Nella comunicazione del 3 luglio ’13, con la quale per la prima volta si esplicita la funzione della rilevazione campionaria del 2001, la Banca d’Italia riporta: ‘In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.’. Gli stessi controlli di vigilanza curati dagli ispettori della Banca d’Italia presso le banche risultavano, e risultano tuttora per i mutui e gli altri finanziamenti, di fatto edulcorati, in quanto informati alle indicazioni dell’Istituto Centrale in luogo di quelle rivenienti dalla Suprema Corte. Non si vede come possa prevedersi una specifica soglia per gli interessi di mora senza porsi in contrasto con il dettato normativo che dispone la soglia per il tasso di interesse, a qualunque titolo convenuto, sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio: come detto, la diversificazione del tasso soglia, prevista dalla legge per le differenti categorie, è riferita alla natura del credito, non dell’interesse, e alla fisiologia, non alla patologia, del fenomeno. Non potrebbe essere diversamente si si considera che storicamente l’usura si configura prevalentemente proprio in situazioni di morosità. Il principio di astensione nelle circostanze di ragionevole dubbio, ribadito dalla Cassazione Penale 46669/11, avrebbe dovuto essere ossequiosamente rispettato anche dalla Banca d’Italia, continuando quanto meno ad astenersi o mantenere un ragionevole silenzio sulle finalità ed impiego della rilevazione del tasso mora del 2001, come fatto del resto da oltre dieci anni, anziché prospettare, solo nella comunicazione del 3/7/13, una soglia della mora, adottata arbitrariamente, ad usum Delphini, nei controlli sulle procedure degli intermediari. Appare non trascurabile la responsabilità che si é assunta la Banca d’Italia, per i debiti riflessi di emulazione indotti nei comportamenti bancari, celatamente sottratti, sino alla comunicazione del 3/7/13, al presidio disposto a tutela della platea degli operatori che tali comportamenti hanno subito. Considerata la particolare professionalità tecnica, superiore alla generalità della pubblica amministrazione, non sembra escludersi quella colpa grave che la Cassazione n. 4587/09 ha ravvisato ‘anche quando l’agente, per essendone obbligato iure, non faccia uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito’.

[72] La Suprema Corte di Cassazione così si è espressa nella sentenza n. 20148 del 18 marzo 2003: “(…) E’ noto come, a seguito della riforma del 1996, la fattispecie incriminatrice delineata dall’art. 644 c.p., sia stata caratterizzata dalla determinazione legale dell’interesse usurario e dal correlativo abbandono di quell’etereo parametro rappresentato dall’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, iscritto nella originaria struttura del reato quasi come un elemento indicatore di una condizione di “minorata difesa” sul piano economico atta a perturbare una effettiva libertà di autodeterminazione del soggetto; al tempo stesso, ne è risultata espunta, dalla ipotesi di base, l’altrettanto vaga nozione di condizione di “difficoltà economica o finanziaria” tipizzante la fattispecie di usura impropria di cui all’art. 644 bis c.p., aggiunto all’art. 11 quinquies, comma 2, del d.l. n. 306 del 1992 e poi abrogato dall’art. 1, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108. Nella attuale formulazione, dunque, la eliminazione dell’estremo dell’abuso e della correlativa condizione dello stato di bisogno rappresenta indubbiamente l’aspetto di maggior risalto scaturito dalla riforma, posto che, agli effetti della rilevanza penale, ciò che conta è l’oggettivo superamento della soglia oltre la quale l’interesse o il vantaggio promesso o dato viene ad assumere – secondo una valutazione legale tipica – il carattere usurario. Una scelta legislativa dunque dalla quale traspare l’evidente intento di delineare la disciplina della usura in chiave tendenzialmente oggettiva, caratterizzando la fattispecie come una violazione del rapporto di adeguatezza delle prestazioni, secondo parametri predefiniti ed obiettivi che necessariamente non possono non tener conto delle leggi di mercato e del variabile andamento dei tassi che da esse conseguono. Attraverso l’abbandono del tradizionale requisito per così dire soggettivistico dell’abuso, e la sua sostituzione con il rilievo del tutto prevalente che nella struttura della fattispecie finisce per assumere il requisito – tutto economico – della sproporzione tra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario, la prospettiva della tutela sembra dunque essersi spostata dalla salvaguardia degli interessi patrimoniali del singolo e, se si vuole, dalla protezione della personalità del soggetto passivo, verso connotazioni di marcata plurioffensività, giacché accanto alla protezione del singolo, vengono senz’altro in gioco anche – e forse soprattutto – gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito e alla regolare gestione dei mercati finanziari”.



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