Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/09/2009 Scarica PDF
Il mercato del credito e della finanza: più ombre che luci
Roberto Marcelli, Consulente FinanziarioSommario: 1. Il quadro evolutivo di riferimento: il mercato del credito e la Riforma del T.U.B. (d. Lgs. 385/93), il mercato finanziario e la Riforma del T.U.F. (D. Lgs. 58/98). 2. Le Norme Bancarie Uniformi e lo jus variandi: elementi di prevaricazione e vessazione. 3. Le soglie d'usura e le Commissioni di Massimo Scoperto: l'esplosione delle CMS e la formula edulcorata del TEG. 4. Il collocamento degli Swap: patologia dei comportamenti e debolezza dei presidi di vigilanza. 5. L'opera della Magistratura e gli interventi del legislatore: interventi tardivi della Magistratura ed interventi ripristinatori del legislatore. 6. Sintesi e conclusioni.
1. Il quadro evolutivo di riferimento
Nel corso dell'ultimo ventennio il mercato creditizio e finanziario è stato
interessato da radicali mutamenti evolutivi che si sono intrecciati e succeduti
con rapidità nel tempo. Sia il settore del credito che quello della finanza
hanno subito una trasformazione che non è fuori luogo definire epocale.
Il mercato del Credito. Con l'apertura al mercato internazionale, sospinti dal
recepimento degli orientamenti comunitari, si è proceduto alla privatizzazione
delle banche, avviata con la legge Amato del '90, all'adozione del modello di
banca universale, nonché alla conseguente radicale revisione della legge
bancaria.
In un breve volger di tempo il sistema bancario è passato da una concezione
dirigistica curata dalla Banca d'Italia, ad una concezione fondata sul mercato:
ad un'impostazione essenzialmente pubblicistica dell'attività bancaria, si è
sostituta un'impostazione privatistico-imprenditoriale, incardinata sugli
obiettivi del profitto e della massimizzazione del valore del patrimonio, con
scarsi elementi di mediazione e temperamento con le esigenze di presidio e
tutela dell'interesse pubblico sotteso all'intermediazione del risparmio.
La privatizzazione prima e le rilevanti concentrazioni bancarie poi, hanno
costituito il necessario presupposto di un modello bancario efficiente e
competitivo nel confronto internazionale.
Nel nuovo contesto regole di mercato, standardizzazioni e trasparenza delle
condizioni contrattuali, sono venute a costituire gli unici presidi e tutele,
condizionati per altro all'evoluzione ed emancipazione di operatori economici e
risparmiatori.
Il passaggio sul piano giuridico è avvenuto in una forma ibrida: se nell'ambito
della precedente legge bancaria del '36, la disciplina e il governo del credito
poggiava quasi esclusivamente su provvedimenti amministrativi, con il nuovo
T.U.B., si è predisposto un cospicuo impianto normativo primario, affiancato
tuttavia da significative fonti normative secondarie (Tesoro e CICR), che hanno
salvaguardato margini apprezzabili di discrezionalità amministrativa: la stessa
generale formulazione delle finalità di vigilanza, previste dall'art. 5 del
T.U.B., hanno conservato alla Banca d'Italia ampi spazi di intervento.
La legge sulla trasparenza bancaria e finanziaria del '92 ed il successivo
T.U.B. del '93, dopo un lungo e travagliato iter legislativo, pur apportando,
rispetto alla precedente disciplina, puntuali determinazioni dei rapporti,
riproducevano tuttavia un assetto normativo giudicato dalla dottrina
insoddisfacente sul piano della tutela della clientela bancaria. Rispetto
all'originaria proposta di legge dell'On. Minervini - che imponeva alle banche
l'obbligo di indicare il costo complessivo del credito attraverso un'unica
aliquota percentuale, posticipata in ragione d'anno, la formale sottoscrizione
del cliente e la modifica delle condizioni solo in specifici casi di mutamento
delle condizioni di mercato - il testo di legge uscito dai lavori parlamentari,
presentava indubbi elementi di squilibrio contrattuale. Né i poteri
regolamentari attribuiti dal TUB alla Banca d'Italia, hanno consentito nel proseguo
di temperare tali squilibri. Il potere contrattuale delle banche, nei rapporti
con la propria clientela, è rimasto e talune palesi clausole vessatorie
continuano ad essere riportate nei contratti, anche se in parte indebolite da
successive leggi e più puntuali interventi della giurisprudenza.
L'assetto istituzionale che si è venuto determinando non ha mancato di
riversare pregnanti riflessi nel mercato del credito e, più in generale, nello
stesso sviluppo economico del paese.
Le politiche aziendali degli istituti di credito hanno sospinto e concentrato
energie, risorse e obiettivi verso la crescita e il rafforzamento patrimoniale,
tralasciando, trascurando e disattendendo anche elementari principi di
equilibrio e trasparenza dei rapporti con la clientela.
Il nuovo modello di conduzione aziendale, incentrato sulla crescita
dimensionale delle aziende di credito e rivolto esclusivamente agli obiettivi
di efficienza organizzativa, produttiva ed economica, ha imbrigliato ed
esautorato la discrezionalità dell'addetto ai rapporti con la clientela: il
rispetto degli obiettivi di budget hanno fatto spesso premio sulle esigenze ed
interessi della clientela. La fidelizzazione della clientela è stata perseguita
e conseguita con lacci e laccioli che solo recentemente, a suon di
provvedimenti legislativi, si viene tentando di sciogliere.
La rilevante funzione pubblica assolta dall'operatore bancario - nell'attività
di raccolta del risparmio, di selezione ed erogazione del credito - se
giustifica l'attenzione e protezione che leggi speciali riservano
all'intermediario bancario, rende tuttavia, nel contempo più aberranti e
deprecabili quelle scelte aziendali che, impiegando la posizione di privilegio
normativo, condizionano e piegano all'interesse di bilancio dell'intermediario
stesso, le esigenze e l'interesse del cliente, sia esso risparmiatore od
imprenditore.
La tutela dell'utente bancario è risultata per lungo tempo pressoché assente,
affidata quasi esclusivamente ad un assetto normativo, come detto, scarsamente
equilibrato e trasparente.
L'Organo di Vigilanza, proteso a presidiare la stabilità dell'intermediario, ha
esplicato sostanziali interventi volti a rafforzare la patrimonializzazione
degli intermediari bancari, ma ha rivolto deboli misure ed inefficaci richiami
ad un più corretto e trasparente rapporto con il cliente: nel corso degli anni,
nel trade-off efficienza/trasparenza, anche i rapporti con la clientela sono
stati asserviti alla stabilità dell'intermediario, perseguita sul profilo
economico, trascurando e logorando oltre misura il rapporto fiduciario
banca-cliente, costruito nei decenni precedenti.
In questa fase di transizione del mercato sono emerse con maggiore evidenza
carenze e contraddizioni. La coazione a ripetere schemi culturali pregressi ha
spesso condotto ad interpretazioni ed applicazioni che disattendono fondamentali
principi posti a tutela del risparmiatore.
Anche sul piano dell'efficiente allocazione del credito, incongruenze e
discrasie gestionali hanno apprezzabilmente inciso sulla dimensione, natura e
modalità dello sviluppo economico. Il 78% dei prestiti bancari si concentra nel
10% degli affidati, costituiti da grandi imprese che, per altro, producono la
parte prevalente delle sofferenze.
Il mercato finanziario. Nel corso degli anni ottanta e novanta era venuto in
parte meno il modello "bancocentrico" sul quale per oltre
cinquant'anni si era fondato il trasferimento di risparmio dal principale
generatore, le Famiglie, ai principali utilizzatori, prima lo Stato, con il suo
enorme debito pubblico, poi le imprese. Accanto a quella del mercato del
credito, a partire dagli anni novanta si è predisposta una sistematica
disciplina del mercato finanziario, nel quale rimaneva tuttavia egemone l'opera
delle banche. Le banche sono state in parte sostituite dal mercato al quale le
Famiglie hanno trovato accesso, direttamente e attraverso nuovi soggetti
istituzionali, SIM, SGR, - ahimè di derivazione bancaria - oltre a Fondi comuni
e, da ultimo, Fondi Pensione, creati negli anni novanta.
Mentre le medie grandi imprese hanno potuto trovato direttamente sul mercato
opportunità di reperimento di risorse finanziarie per i propri investimenti, le
piccole imprese sono rimaste dipendenti, per le loro necessità, dal credito
bancario.
In dieci anni il mercato delle obbligazioni è raddoppiato, la capitalizzazione
di borsa è triplicata, il turnover del mercato azionario è aumentato di ben sei
volte. Si è ampliata la gamma e la complessità dei servizi e degli strumenti
offerti: accanto a quelli tradizionali (obbligazioni e azioni), l'offerta si è
estesa ai fondi comuni, ai titoli indice, ai prodotti strutturati, agli hedge,
ai derivati, ai prodotti assicurativi con contenuto finanziario.
D'altra parte, con la riconduzione del debito pubblico entro limiti definiti e,
soprattutto con l'introduzione dell'Euro, si sono allentate le pressioni sul
tasso d'inflazione e, di riflesso, sul tasso di interesse. I rendimenti a due
cifre, tipici degli anni settanta e ottanta, sono stati ricondotti rapidamente
a valori assai modesti. Depurati dall'inflazione, i tassi sugli impieghi
free-risk sono risultati prossimi allo zero: il rendimento dei BOT si è
mantenuto assai prossimo al tasso d'inflazione. In tali circostanze
l'acquisizione di un effettivo rendimento, il conseguimento di un rendimento
reale, non può avvenire senza l'assunzione di rischio, tanto più esteso quanto
più ambizioso è l'obiettivo dei risultati che si vuole conseguire nei propri
impieghi finanziari.
Il popolo dei BOT è stato gradualmente iniziato al mercato, attraverso
l'istituzione di intermediari che lo potessero supportare e attraverso il
dispiego di un'estesa normativa volta sia a conseguire livelli di maggiore
trasparenza dell'operatività sia a creare condizioni giuridiche di tutela di
quella forma di risparmio che, nei documenti di studio dei primi anni novanta
si definiva "risparmio inconsapevole", cioè quel risparmio gestito
direttamente dal Settore Famiglia, poco emancipato, che poteva facilmente
andare incontro a rischi impropri, derivanti da un'asimmetria informativa, in
un mercato evoluto e sofisticato. Questo, per taluni aspetti, era un fenomeno
tutto italiano, sia per la storica concentrazione del risparmio presso il
Settore
Famiglia, sia per l'assenza di investitori istituzionali, fondi comuni e fondi
pensione, da decenni presenti in altri paesi europei.
Da qui l'esigenza di disporre di regole di mercato chiare e trasparenti ed
un'opportuna tutela del piccolo risparmiatore che si è venuto affacciando sul
mercato.
Nonostante l'estesa e puntuale normativa introdotta negli anni novanta, il
risparmio della clientela retail non ha potuto beneficiare di un adeguato
livello di tutela e protezione. I fatti intervenuti negli ultimi anni - si
pensi ai casi di Cirio, Argentina, Parmalat - ma anche l'ampio contenzioso
insorto nell'usuale attività dei servizi finanziari prestati dagli
intermediari, in primis le banche, mostrano, in maniera evidente, il disagio e
i danni subiti dai risparmiatori.
Le aule dei Tribunali sono piene di vertenze che coinvolgono per lo più piccoli
risparmiatori che, ingenuamente - alla ricerca forse di quei rendimenti elevati
che avevano caratterizzato il decennio precedente - sono stati indotti, spesso
inconsapevolmente, ad impieghi ad elevato rischio.
Le attività finanziarie dei risparmiatori italiani sono per lo più posizionate
sul risparmio amministrato: il risparmio gestito, dopo le scarse performance
mostrate negli ultimi anni, è venuto assumendo una quota assai limitata nel
portafoglio delle famiglie italiane.
In presenza di una cultura finanziaria assai limitata, dove l'emancipazione del
risparmiatore italiano - a differenza di altri paesi - è ancora ad uno stadio
embrionale, il ridimensionamento delle griglie di protezione del risparmiatore
retail, che sembra prefigurare la nuova normativa finanziaria introdotta con la
Mifid, rischia di minare ulteriormente la fiducia nei mercati e negli
intermediari, già apprezzabilmente compromessa dai fatti intervenuti negli
ultimi anni.
Si ha l'impressione che sia mancata a livello comunitario - in sede di stesura
di Direttive e Regolamenti - un'adeguata rappresentanza delle peculiari
esigenze italiane: di fatto ci troviamo imposta una normativa che mal si
attaglia alla realtà italiana ed appare invece più rispondente ad una cultura
anglosassone che per tradizione, storia e prassi regolamentare è più funzionale
ad investitori istituzionali che ad investitori retail.
2. Le Norme Bancarie Uniformi e lo jus variandi
Il legislatore e la giurisprudenza si erano sempre mostrati in passato restii a
censurare e limitare i comportamenti dell'operatore bancario, a rispetto e
tutela della delicata funzione rivestita dall'intermediazione creditizia:
sintomatico era l'impiego diffuso del generico rinvio agli usi di piazza, ampiamente
tollerato e consentito nei contratti bancari sino al 1992.
Con la legge sulla trasparenza e, successivamente, con il Testo Unico Bancario
si è operato un primo intervento volto a ricondurre l'operatività
dell'intermediazione bancaria in una cornice normativa di maggiore equilibrio e
trasparenza.
La nuova normativa bancaria ha tuttavia mancato di conseguire gli obiettivi che
originariamente animavano i primi estensori del progetto di legge: al di là
degli aspetti formali è stata frapposta, nei comportamenti, una sostanziale
resistenza. Attraverso un impiego diffuso dello jus variandi, su contratti
uniformi di adesione, predisposti dall'ABI, la posizione di dominanza
dell'operatore bancario si è protratta nel tempo, pregiudicando ed impedendo
che si liberassero gradi di concorrenza a beneficio di prezzi e condizioni.
Si è venuti assistendo ad un diffuso e preordinato abuso del diritto: nel
rispetto più o meno formale dei limiti di legge, si sono venuti a perseguire
obiettivi del tutto difformi da quelli per i quali la legge ha riconosciuto
speciali diritti.
Le Norme Bancarie Uniformi, adottate pressoché dalla totalità degli operatori
bancari associati all'ABI, più che recepire prassi ed esigenze di mercato, sono
venute imponendo vincoli e condizioni che, sedimentandosi nel tempo, hanno
finito talvolta per determinare usi e consuetudini ad esclusivo favore
dell'operatore bancario, risultando di fatto impedita ogni forma alternativa di
contratto. Nonostante taluni modesti interventi di censura curati negli anni
passati dalla Banca d'Italia, le indicazioni uniformi suggerite dall'ABI
inducono significativi elementi di uniformità nell'offerta del servizio e
apprezzabili limitazioni alla concorrenza, risultando completamente coartata la
libertà negoziale dell'utente bancario.
L'istituto dello jus varandi - facoltà di modificare, in un rapporto
contrattuale, le originarie condizioni normative ed economiche - è una
possibilità riconosciuta alle banche dal T.U.B. (art. 118 Testo Unico Bancario
D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385)
Il ricorso alla facoltà dello jus variandi per modificare unilateralmente
tassi, prezzi e altre condizioni - sin'anche ad introdurre nuovi oneri e spese
- è stato, per lungo tempo, ampiamente utilizzato dalle banche, determinando
disagi nei confronti dei clienti.
Tale clausola, che presenta una chiara natura vessatoria, è stata consentita
dal legislatore del T.U.B. del '93, in considerazione del particolare rilievo
dei contratti di durata relativi a servizi bancari e finanziari, che necessitano
di adeguarsi prontamente alle modifiche che intervengono sul mercato
finanziario.
La Legge del 4/8/06 n. 248 (conversione del D.L. del 4/706 n. 223) è
intervenuta a temperare talune incongruenze: l'art. 118 del T.U.B. è stato
sostituito, prevedendo il giustificato motivo, la comunicazione scritta al
cliente, il termine di 30 gg. di preavviso e il termine di 60 gg. per la
facoltà di recesso senza oneri.
Certamente con la Legge n. 248/06 si sono introdotti un miglior equilibrio e
una maggiore trasparenza nel rapporto tra banca e cliente: la previsione di un
"giustificato motivo", esteso ad ogni elemento del contratto, può
esercitare un contenimento del ricorso ad arbitrarie modifiche delle condizioni
di conto, senza tuttavia impedire i necessari adeguamenti alle mutevoli
condizioni di mercato.
Le iniziative di autoregolamentazione e trasparenza promosse dall'ABI, si sono
spesso risolte in enunciazioni e proclamazioni, con una scarsa incidenza nella
cultura e negli atteggiamenti dei vertici bancari e nei rapporti
quotidianamente intrattenuti con la clientela.
Tuttavia accadimenti di mala gestio bancaria, più frequentemente polverizzata,
per piccoli importi, su un'ampia schiera di risparmiatori2, richiedono, più
sostanziali riequilibri dei rapporti cliente/banca: l'introduzione dell'azione
collettiva3, class action, potrà costituire un primo significativo presidio
alla corretta applicazione della norma.
Nelle attuali condizioni i margini di negoziazione per il cliente bancario
permangono assai limitati, compresi fra un contratto uniforme di adesione e uno
jus variandi al quale la banca ricorre più frequentemente di quanto
risulterebbe giustificato dalle variazioni di mercato. Anche quando il cliente
perviene a trattare - non la struttura del contratto bancario che rimane
monoliticamente un contratto di adesione - ma la misura delle condizioni
economiche del rapporto, si trova, all'indomani, modificati unilateralmente
tasso, commissioni, oneri e spese concordati: in presenza di un'esposizione a
debito, per lo più su un fido a revoca, le possibilità di recedere dal
contratto e/o di impugnare modifiche contrattuali non adeguatamente
giustificate si arrestano alla lettera della norma, risultando di fatto
precluse.
Rimane infatti difficile e oltremodo oneroso per il cliente recedere dal
contratto e trasferire il rapporto presso un'altra banca, soprattutto se questo
è accompagnato dagli usuali servizi finanziari che spesso affiancano il conto
corrente.
Mentre vengono minimizzati oneri e costi al momento dell'ingresso per attrarre
la clientela, una volta estesa la rete di servizi - carta, domiciliazione
utenze, titoli, ecc.. - viene praticato, in forza dello jus variandi, un
innalzamento delle tariffe a cui la clientela, di norma, non può sottrarsi, a
causa non solo degli elevati costi, ma anche dell'assoluta incertezza sui tempi
e modalità del trasferimento dei rapporti.
Di fatto si è determinata una notevole inerzia della clientela, che rimane
sostanzialmente legata e vincolata alla propria banca, alla quale è rimesso un
notevole potere di monopolio, ampiamente utilizzato nell'applicazione, ai
servizi finanziari offerti, di tariffe che spesso si discostano
apprezzabilmente dai costi.
Di converso si determina una barriera all'ingresso, per i nuovi operatori
bancari, che vedono elevarsi i costi di acquisizione della clientela.
Il potere di monopolio, di cui la banca gode in presenza di vischiosità ed
impedimenti alla concorrenza, è esteso ai vari servizi finanziari: in un
intervento all'ABI (12/7/06) il Governatore della Banca d'Italia ha avuto modo
di puntualizzare: "Rimangono elevati i guadagni nella gestione del
risparmio, in alcuni comparti del sistema dei pagamenti e nel credito al
consumo, dove i prezzi rivelano minore permeabilità alla concorrenza".
L'esperienza ha spesso mostrato che interventi volti a favorire il mercato,
dispiegano radicali effetti sul contenimento dei costi e l'efficienza stessa
dei servizi: liberando meccanismi di selezione del mercato, la domanda si
orienta là dove l'offerta è più efficiente; errori e disservizi, anziché
scaricarsi sull'utente, vanno a colpire, attraverso l'emarginazione dal
mercato, l'intermediario inefficiente e, in definitiva, i suoi azionisti.
Per lunghi anni si è perseguita la stabilità del sistema bancario prestando
attenzione sovrana alla patrimonializzazione degli istituti di credito
rimettendo, invece, a regole di comportamento e trasparenza la tutela del
cliente utilizzatore dei servizi: le regole, tuttavia, si sono spesso rivelate
carenti e insufficienti.
Sino ad oggi è stata pervicacemente protetta la funzione creditizia da
un'eccessiva esposizione alla concorrenza nella convinzione, assai diffusa, che
quest'ultima potesse ledere la stabilità del sistema. Questo ha indotto, per
molti anni, l'autorità monetaria a tenere un atteggiamento di estrema cautela,
privilegiando la redditività delle banche per i positivi riflessi di stabilità.
Ne ha sofferto il rapporto costo/qualità dei servizi che un mercato più libero
andrebbe a comprimere a tutto vantaggio degli utilizzatori: le banche
beneficiano ancora di una sorta di rendita di posizione attraverso
un'articolata rete di impedimenti che, di fatto, ingessa il mercato, impedendo
che si esplichino concorrenza e selezione.
3. Le soglie d'usura e le Commissioni di Massimo Scoperto
Quando poi il legislatore del '96 ha posto limiti operativi e presidi penali ai
tassi bancari di remunerazione del credito, grazie anche a provvedimenti
amministrativi di dubbia chiarezza, si è potuto liberamente operare con forme
surrogatorie di remunerazione, per lo più riconducibili alle Commissioni di
Massimo Scoperto, oltre ad una proliferazione di spese di dubbio contenuto.
La chiara ed inequivocabile formulazione dei limiti dell'usura, introdotta
dalla legge 108/96, è risultata completamente stravolta nella pratica
operativa, sino a prevedere una Commissione soglia, distinta e separata dalla
soglia d'interesse, come se i due oneri non attenessero congiuntamente allo
stesso credito.
La Commissione di Massimo Scoperto sarebbe rimasta presumibilmente relegate a
parte, congiuntamente agli oneri minori, se non fosse intervenuta la legge
108/96 a porre rigide limitazioni ai tassi di interesse. Costrette nei vincoli
delle soglie d'usura, le banche hanno impiegato i gradi di libertà operativa
loro offerti dalle istruzioni della Banca d'Italia per la rilevazione dei tassi
ai fini della determinazione delle soglie d'usura, per riversare nella CMS,
margini di crescita degli interessi che avrebbero debordato i vincoli di legge.
Tradizionalmente applicata, per aliquote prossime allo 0,125% ed ad una
ristretta compagine di conti affidati, successivamente alla legge sull'usura,
la CMS è stata estesa alla generalità dei conti, affidati o meno, per aliquote
frequentemente decuplicate.
Nel volger del tempo le banche hanno innalzato l'aliquota, dall'usuale valore
dello 0,125% (l'ottavino) trimestrale, sino a valori che, nei limiti di soglia,
hanno toccato l' 1,26% trimestrale. In presenza di tassi di mercato in
flessione, si è determinata una marcata incidenza di tale componente nel costo
complessivo del credito: nei valori medi rilevati nelle aperture di credito, il
rapporto CMS/Interessi è passato da valori inferiori al 5% all'inizio degli
anni '90, al 16% nel '97 e al 30% nel '09.
La Commissione di Massimo Scoperto è così venuta gradualmente a costituire una
insidiosa voce di costo, apprezzabilmente lievitata in questi ultimi anni, sia
nella dimensione sia nella diffusione alla generalità dei conti che presentano
anche un accidentale scoperto.
Il meccanismo di calcolo impiegato per le CMS presenta rilevanti aspetti di
iniquità, potendo indurre - in conseguenza della fisiologica accidentalità
negli addebiti e rimesse che caratterizzano i flussi di cassa di un operatore
economico - gravosi e diffusi oneri, che trovano una scarsa giustificazione nei
costi sopportati dall'intermediario bancario per il servizio prestato.
Il recente intervento del legislatore sulla disciplina della Commissione di
Massimo Scoperto, operato con l'art. 2 bis della legge n. 2/09, pur enucleando
le forme estreme di iniquità della Commissione, ne radicalizza, anziché
rimuovere, l'uso diffuso.
L'art. 2 bis della legge n. 2/09, nell'articolato quanto contorto testo
approvato, più che una ponderata mediazione fra stabilità dell'intermediario e
tutela del cliente, sembra esprimere un sofferto confronto fra rapporti di
forza: negli aspetti sostanziali non risulta scalfita la posizione dominante
dell'operatore bancario nel rapporto negoziale con il cliente, che al contrario
si consolida con l'introduzione della liceità di forme surrettizie di
remunerazione, avulse da concrete giustificazioni di servizio e in deroga ai
principi contenuti negli artt. 820 e 821 c.c., che vincolano i frutti alla
durata e all'importo effettivo del capitale prestato al cliente.
Così la prassi delle Commissioni sul Massimo Scoperto, a cui non corrisponde
alcun sostanziale servizio che ne giustifichi la significativa incidenza sul
costo del credito, sistematicamente applicata alla generalità dei conti e che
consente alle banche di drenare dai conti dei clienti ingenti risorse
economiche, viene consentita e, con un passaggio di legge, diviene legittima e
non più censurabile dalla Magistratura. La circostanza ricorda d'appresso le
vicende che hanno portato nel '00 alla restaurazione dell'anatocismo
trimestrale.
Nello scorso mese di giugno le banche hanno provveduto a comunicare alla
clientela le nuove commissioni di fido, che, nella variegata terminologia
impiegata, si attestano, in taluni casi, sino allo 0,90% trimestrale, 3,75% in
ragione d'anno. Un "balzello" di tale misura, praticato ancor prima
dell'erogazione del credito, all'atto della concessione di un fido revocabile
unilateralmente in qualunque momento, palesa un'estrema vessazione, tanto più
aberrante se si considera che l'Euribor si attesta nell'intorno dell'1%; assai
debole appare l'intervento calmieratore operato con il D.L.
"anticrisi" che ha ricondotto al 2% la percentuale annua massima di
commissione. In Francia, dove viene impiegata un'analoga commissione sul
massimo scoperto, la misura media comunicata dalla Banca di Francia lo scorso
30 giugno '09, è risultata dello 0,06% mensile, corrispondente allo 0,7%
annuale, contro un valore dello 0,65% trimestrale, corrispondente al 2,6%
annuale, comunicato negli stessi giorni dalla Banca d'Italia.
Nel comparto del credito l'unificazione del mercato e la libera concorrenza,
sono rimaste arrestate, da lungo tempo, alle dichiarazioni di intento della
Banca d'Italia: la stabilità e solidità del sistema bancario italiano appare
fondata più su tali forme di balzelli imposti a risparmiatori ed operatori
economici, che sui margini di efficienza acquisiti con la crescita
dimensionale.
Nel 2° comma dell'art. 2 bis della legge n. 2/09 si prevede finalmente
l'inclusione delle CMS nella verifica della soglia d'usura. Ma le nuove
disposizioni per la rilevazione del TEG - poste in consultazione dalla Banca
d'Italia - in luogo della tradizionale modalità di calcolo (TAEG), già
impiegata nella rilevazione dei tassi attivi delle banche.
Tale aspetto non è trascurabile. Il TEG così determinato non può rappresentare
una misura finanziariamente corretta del costo del credito: permarrà un divario
fra il costo del credito calcolato sulla base di corretti principi finanziari
(TAEG) e il costo del credito misurato con la singolare formula del TEG.
La Direttiva CEE, relativa ai contratti di credito al consumo riporta
esclusivamente la prima formula, né risulta che altri paesi della Comunità
facciano uso di formule ibride di questo tipo. La Banca d'Italia non ha fornito
una illustrazione delle motivazioni che l'hanno indotta a discostarsi da
ordinari principi finanziari.
La singolare formula indicata dalla Banca d'Italia presenta fuorvianti
improprietà tecniche: non vi è alcun principio della scienza finanziaria e/o
statistica che possa supportare logicamente la somma di due aggregati aventi
basi diverse. Oggetto della rilevazione è il costo del credito, non il costo
del fido accordato: sommare, in luogo dei due ammontari addebitati, i rispettivi
rapporti, il primo al credito e il secondo al fido, fornisce un valore privo di
senso, non avendo un contenuto di sintesi informativa né per l'uno né per
l'altro4.
Questo aspetto non appare affatto trascurabile ed è suscettibile di interferire
apprezzabilmente nelle scelte strategiche di determinazione delle condizioni di
conto che adotteranno le banche.
Sia per il cliente che per la banca, più che il TEG, assume un rilievo
assorbente il valore del TAEG, che costituisce specularmene per l'uno il costo
per l'altra il ricavo.
A parità di costo del credito (TAEG), il TEG risulterà apprezzabilmente più
basso a seconda della quota interessi e della quota CMS che lo compongono:
l'intermediario bancario, attraverso una calcolata modulazione delle condizioni
contrattuali, disporrà di margini non trascurabili per accrescere il costo del
credito entro i limiti di TEG riveniente dai calcoli della Banca d'Italia.
Il divario fra costo effettivo del credito e misura del TEG che si può
determinare nella generalità dei casi, non è affatto trascurabile e in taluni
casi, non del tutto infrequenti, può assumere valori multipli del TEG.
Con l'esplicita previsione legislativa delle CMS, congiuntamente al costrutto
metodologico proposto dalla Banca d'Italia, si viene di fatto a consentire alle
banche di praticare condizioni di usura pur restando entro i limiti di legge.
Modificando il metro di misura l'usura bancaria viene compresa nei limiti di
legge: come dire che, utilizzando un diverso metro di misura, anche i corazzieri
presentano un'altezza inferiore a un metro5.
La legge 108/96 non indica i criteri di calcolo, così come non individua i
parametri qualificanti le categorie di rilevazione, rimessi alla valutazione
dell'Autorità amministrativa.
Con la metodologia di calcolo proposta dalla Banca d'Italia assumono rilievo e
concretezza le perplessità e critiche, che ravvisano circostanze di una norma
penale in bianco, in considerazione di valutazioni che, travalicando ordinari
principi di matematica finanziaria, vengono ad assumere un pregnante carattere
discrezionale6.
I bilanci degli intermediari bancari evidenziano come i ricavi si sono
progressivamente spostati dagli interessi in senso stretto alle commissioni e
spese per i servizi prestati: tra questi vi sono le CMS, apprezzabilmente
incrementatesi nel corso di pochi anni.
La legge 108/96 ha modificato sostanzialmente il concetto di usura: in una
nuova e più ampia accezione si è inteso presidiare, oltre alle forme classiche
in cui si esplicita il fenomeno, anche forme di usura che perseguono,
attraverso l'esercizio legale del credito, interessi diversi e opposti al
progresso dell'economia nazionale7.
Non si può ritenere che esigenze di mercato e di equilibrio del credito possano
giustificare interferenze che travalicano il dettato legislativo e, attraverso
forme lasche di definizione del costo del credito, vengano a depotenziare
sostanzialmente i principi stessi della legge.
Se il Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze continuerà a
riportare la menzionata previsione: "le banche e gli intermediari
finanziari al fine di verificare il rispetto del limite di cui all'art. 2,
comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo
delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi
della legge sull'usura, emanate dalla Banca d'Italia", per la verifica del
rispetto dell'art. 644 c.p., le banche non impiegheranno il classico e
tradizionale rapporto costo/credito, bensì la somma dei rapporti: interessi/credito
+ CMS/fido, con tutti i gradi di libertà operativa che tale originale
definizione consente.
A parità di importo addebitato al termine del trimestre, la presenza o meno
dell'usura dipenderà dalla natura degli addebiti effettuati dalla banca.
Quest'aspetto non mancherà di sollevare, in chiave giuridica, dubbi e
perplessità, con i conseguenti riflessi nei ricorsi alla Magistratura.
4. Il collocamento degli Swap
Assai emblematiche sono state le vicende che hanno caratterizzato il diffuso
collocamento di Swap presso imprese ed Enti territoriali.
Le Autorità di Vigilanza hanno seguito, monitorato e rilevato il fenomeno,
individuando gli elementi di patologia e criticità che venivano emergendo. Sono
risultati tuttavia assenti interventi efficaci, pronti e mirati a circoscrivere
e limitare il fenomeno al suo primo manifestarsi, prima che si estendesse ad un
ampio arco di operatori economici.
Numerose imprese ed Enti locali, che hanno subito il collocamento di prodotti
finanziari complessi, speculativi e non idonei ai loro profili di rischio,
vengono patendo conseguenze economiche di ragguardevole dimensione, per la sola
circostanza che non essendo "operatori qualificati" non erano in
grado di vagliare ed assumere consapevolezza dei rischi insiti negli swap che
la banca veniva loro proponendo.
Nell'indagine condotta presso gli intermediari finanziari operanti in derivati,
nel riscontrare termini e modalità di collocamento non propriamente rispondenti
ai principi di diligenza e correttezza stabiliti dal TUF, D. Lgs. n. 58/98, già
evidenziati dalla Consob, la Banca d'Italia, nella cornice dei compiti
istituzionali che le attribuisce il TUB, D. Lgs 385/93 e TUF, D. Lgs 58/98, si
è limitata ad esprimere un giudizio di preoccupazione, esclusivamente attento e
rivolto alla stabilità degli intermediari e del mercato: "... l'evoluzione
delle tipologie contrattuali ha determinato per le banche un'accentuazione dei
rischi di controparte e l'emersione di ulteriori rischi, non tradizionali e
difficilmente quantificabili, come quelli legali e reputazionali, che possono
compromettere il legame fiduciario con la clientela con pesanti riflessi sul
valore aziendale.". E avverte l'esigenza di raccomandare: "... al
fine di prevenire potenziali effetti negativi connessi allo sviluppo dei
mercati dei derivati, è necessario che la vendita dei contratti si rivolga a
soggetti debitamente qualificati e si realizzi attraverso un elevato livello di
trasparenza informativa, elemento cruciale per garantire la piena rispondenza
dei prodotti collocati alle esigenze e ai profili di rischio delle
controparti". (Audizione Camera Deputati 6/11/07).
Gli interventi presso gli intermediari della Banca d'Italia risultano limitati
e circoscritti all'ambito ristretto, individuato dall'art. 5 del TUF con
riguardo al "contenimento del rischio e alla stabilità patrimoniale"
e con riguardo alla "sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla
stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema
finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia
creditizia".
I fatti e le circostanze che hanno caratterizzato il diffuso fenomeno del
collocamento degli swap e le posizioni assunte dalla Banca d'Italia, sembrano
delineare un quadro di riferimento nel quale risparmiatori ed imprese trovano
spazi di tutela solo nella misura in cui questa è funzionale alla stabilità
degli intermediari e del mercato. Di riflesso comportamenti che, occultando od
eludendo norme poste a tutela di risparmiatori e imprese, portino beneficio
agli intermediari, non risultano essere rilevati e censurati dalla Banca
d'Italia secondo un'interpretazione, che rimetteva esclusivamente tali compiti
alla Consob, precedentemente al D.Lgs 164/07.
La correttezza e regolarità dei rapporti con la clientela sembrano rientrare
nell'attenzione della Banca d'Italia solo indirettamente, nella misura in cui
comportano rischi legali o reputazionali e coinvolgano il rischio di
controparte o la sana e prudente gestione delle aziende.
Ma il rischio di controparte, il rischio legale e il rischio reputazionale
vengono spesso valutati dalle Banche con gli ordinari principi aziendali,
informati esclusivamente ai criteri di costi/benefici, senza alcun temperamento
e limitazione imposti dai più generali principi di tutela del risparmio e di
sviluppo economico.
In un ristretto ambito di politica aziendale, i criteri di costi/benefici
inducono a sospingere i rischi legali e reputazionali almeno sino a quando i
riflessi economici delle vertenze giudiziarie e dei danni di immagine non
sopravanzano i benefici economici che gli intermediari traggono dalle
aggressive strategie di comportamento nel collocamento di prodotti derivati.
I margini acquisiti all'attivo con l'operatività in derivati, hanno compensato
in ampia misura i rischi legali e reputazionali in cui sono incorsi taluni
intermediari bancari.
Le sanzioni, comminate nell'agosto del '07 dalla Consob ad un primario Gruppo
bancario operante nei derivati, seppur di importo assoluto apprezzabile,
costituiscono una quota assai modesta dei benefici acquisiti al bilancio dello
stesso attraverso le campagne di collocamento effettuate presso imprese ed Enti
locali.
Sorge evidente il conflitto fra obiettivi di efficienza aziendale e obiettivi
di interesse pubblico, con rilevanti margini di pregiudizio per la tutela del
risparmio e per lo sviluppo economico, relegati ad un ruolo ancillare, rimesso
in prima istanza esclusivamente all'etica dei comportamenti.
Se alla Banca d'Italia il T.U.F., D. Lgs n.58/98 attribuisce compiti attinenti
il contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale degli intermediari,
alla Consob vengono assegnati pregnanti competenze in materia di trasparenza e
correttezza dei comportamenti degli stessi. Nelle successive integrazioni al
TUF, che si sono succedute negli ultimi anni, alla Consob risultano attribuiti,
con l'art. 187 octies, poteri di intervento assai incisivi, sul piano
"istruttorio" e "correttivo".
Tuttavia anche la Consob, nonostante le puntuali analisi, denunce e
raccomandazioni rappresentate per tempo nelle varie sedi, non ha espresso
tempestivi interventi atti ad evitare che ad un'ampia platea di imprese ed Enti
locali, con l'accorgimento dell'autocertificazione di "operatore
qualificato", venisse preclusa la griglia di presidi posti dal T.U.F. a
tutela del contraente debole.
L'impiego distorto dell'autocertificazione di operatore qualificato è
sintomatico di una cultura ancora radicata e diffusa che abusa del ruolo
speciale, riservato all'operatore bancario, a danno di valori
costituzionalmente protetti: l'esigenza e l'interesse del cliente, sia esso
risparmiatore od operatore economico, risultano pesantemente condizionati
dall'interesse particolare dell'intermediario.
La patologia di comportamenti emersa nel fenomeno dei derivati, con la sua
ampia diffusione e dimensione, ha ulteriormente palesato ambiti di presidio e
tutela nei quali gli Organi di Vigilanza sono apparsi operativamente poco
coordinati e scarsamente incidenti nel prevenire, correggere e rimuovere
tempestivamente comportamenti che hanno dispiegato un ampio pregiudizio alla
tutela dell'investitore e dell'operatore economico.
Carenze e lacune non sono sfuggite al legislatore. Il D. Lgs 164/07 ha
integrato e qualificato gli obiettivi della Vigilanza previsti dall'art. 5 del
TUF8, esplicitando nuovi aspetti che, di concerto, coinvolgono maggiormente gli
Organi di Vigilanza nella specifica tutela del risparmiatore.
Le modifiche del T.U.F. sono state accompagnate, nelle dichiarazioni del
Governatore Draghi, da una rivisitazione interpretativa dell'art. 5 del T.U.B.
che presta una maggiore attenzione e centralità al fruitore dei servizi
bancari: il menzionato articolo, pone tra le finalità della Vigilanza - accanto
alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità
complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario -
l'osservanza delle disposizioni in materia creditizia.
Significativa ed apprezzabile è la presa di posizione del Governatore, ancorché
si manifesti tardivamente e, sopra tutto, evidenzi margini di intervento,
consentiti dall'art. 5 del T.U.B., che si è omesso di esperire con
determinazione in precedenza.
5. L'opera della Magistratura e gli interventi del legislatore
In attesa che il nuovo quadro di riferimento venga a dispiegare compiutamente
interventi preventivi e comunque tempestivi, la tutela dell'investitore
continua ad essere rimessa sostanzialmente all'Autorità giudiziaria.
Nel corso dell'ultimo decennio la cura e l'attenzione mostrata dalla
giurisprudenza all'equilibrio e correttezza dei rapporti fra banca e cliente si
è apprezzabilmente accresciuta.
Nonostante i numerosi interventi delle Supreme Corti, che sotto i più variegati
aspetti hanno portato chiarezza e trasparenza nella corretta applicazione del
Testo Unico Bancario, permangono diffusi comportamenti di scarso rispetto delle
norme che presiedono i rapporti fra operatori bancari e clientela, famiglie,
imprenditori e società.
Nei meandri specialistici della materia e nell'articolata normativa che,
accanto a principi generali sanciti da leggi e Direttive comunitarie, affianca
poderosi regolamenti applicativi, l'intervento dell'autorità giudiziaria
risulta difficoltoso, incerto e comunque tardivo, quando ormai il danno si è
consumato nella generalità dei clienti, con scarsi effetti di repressione di
comportamenti illegittimi, risultando, per altro, i risvolti economici delle
sentenze di entità modesta in rapporto alla dimensione del fenomeno: risulta
talora più incidente l'entità del danno di immagine, sempre che questa si distingua
e non si accomuni e disperda all'intero sistema bancario.
Come in altre recenti vicende che hanno interessato i rapporti fra Banca e
clientela, l'impiego distorto delle prerogative speciali riservate
all'intermediario bancario non ha riguardato casi singoli e sporadici, bensì ha
assunto - come nel caso dei derivati - le connotazioni generali di una
"mattanza".
Provvedimenti più recenti - sospinti dai rilevanti danni arrecati ad un'ampia
schiera di risparmiatori (Obbligazioni Argentina, Parmalat, Cirio, per citare i
più rilevanti) - hanno perseguito l'obiettivo di colmare talune lacune
normative ed introdurre elementi di maggiore trasparenza nei rapporti con i
risparmiatori.
La sostanziale riottosità degli operatori bancari ad adeguarsi al mutato
orientamento giurisprudenziale ha rapidamente indotto un'apprezzabile
lievitazione delle vertenze, anche su temi e interpretazioni ormai consolidati,
acclarati e uniformemente condivisi dalla Magistratura.
Si assiste ad una pervicace resistenza, da parte dell'operatore bancario, ad
addivenire a soluzioni stragiudiziali anche su questioni sufficientemente
sedimentate dalla giurisprudenza di Cassazione, costringendo risparmiatori ed
operatori economici ad adire le vie legali, anche per diritti palesemente
riconosciuti dall'ordinamento.
Nel corso del giudizio vengono poi posti in essere strumenti di resistenza e
ostruzionismo impropri: dalle pretestuose eccezioni sollevate a seguito delle
numerose operazioni di fusione ed incorporazione, alle resistenze frapposte alla
produzione di documentazione, sino all'impugnazione di decisioni dall'esito
negativo scontato, al solo scopo di dilazionare nel tempo il definitivo
riconoscimento di taluni diritti.
Appare calcolata e predeterminata l'economia di costi che all'intermediario
riviene dalla quota parte dei soggetti che desistono e rinunciano a percorrere
il lungo ed oneroso iter giudiziario per vedere riconosciuti i propri diritti.
E' assente un corretto bilanciamento che accompagni ad assetti normativi
privilegiati - posti a presidio e tutela della delicata funzione di allocazione
del risparmio - uno stretto controllo del rispetto, sostanziale prima che
formale, dello spirito e dei principi che ispirano la disciplina di governo
dell'attività di intermediazione creditizia e finanziaria.
E' carente altresì un presidio sanzionatorio, commisurato alla rilevanza e
pregnanza dell'interesse pubblico coinvolto. Se, ad esempio, all'intermediario,
colto in pratica di usura in un rapporto di conto, viene riconosciuto comunque
l'interesse corrispondente al tasso soglia, o al più al tasso legale - come
frequentemente si riscontra nei giudizi civili - si rinuncia a quei correttivi
che, riconducendo ad equilibrio il trade-off costi benefici, risultano estremi
ma efficaci. In altre circostanze, per infrazioni di minor rilievo, si arriva a
sanzioni pari a ben 50 volte il valore dell'omesso adempimento, inducendo,
seppur forzatamente, comportamenti virtuosi.
La Magistratura si è venuta confrontando con le numerose problematiche sia
creditizie che finanziarie, pervenendo gradualmente a maturare indirizzi
giurisprudenziali più consoni con i mutamenti intervenuti sia nei rapporti
regolati dal Testo Unico Bancario, sia nei servizi finanziari, regolati dal
Testo Unico della Finanza.
In particolare, per le Commissioni di Massimo Scoperto, più volte sono
intervenute la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale, per temperare e
censurare impieghi difformi dallo spirito della norma, sopperendo e integrando
carenze legislative e di controllo.
La menzionata discrasia fra il servizio prestato e la metodologia di calcolo
della Commissione non è passata inosservata alla Suprema Corte di Cassazione la
quale già nel 2002 (n.11772/02) ha puntualmente precisato: "o tale
commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi - come
potrebbe inferirsi anche dall'esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una
misura percentuale dell'esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle
somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato - che solitamente è
trimestrale - e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come
per gli interessi (...), o ha una funzione remunerativa dell'obbligo della
banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un
determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, come sembra
preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d'Italia
dell'1/10/96 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso soglia, in cui è
stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve essere
computata ai fini della rilevazione dell'interesse globale di cui alla legge n.
108/96 ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del
conto".
Più recentemente la Cassazione (n. 870/06) è nuovamente intervenuta sulle CMS,
precisando la funzione di "remunerazione accordata alla banca per la messa
a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente
dall'effettivo prelevamento della somma".
La congiunzione logica dei due interventi della Cassazione ha sollevato ampie
perplessità sulla legittimità della metodologia di calcolo impiegata dalle
banche per le CMS. La circostanza che sia calcolata sull'importo utilizzato
anziché sul credito a disposizione fa assumere alla stessa caratteristiche
proprie agli interessi: a motivi di nullità della causa si affiancano inoltre
motivi di nullità per indeterminatezza dell'oggetto, non risultando previste,
né in contratto né in una norma, le modalità di determinazione della
Commissione. Non sono mancate significative pronunce delle Corti di merito. Il
Tribunale di Milano, con la sentenza del 4/9/02, aveva già rilevato
l'illegittimità della clausola delle CMS nel c/c sostenendo che "il
supposto rapporto obbligatorio o patto contrattuale deve ritenersi nullo per
totale mancanza di una causa giustificatrice poiché la remunerazione della
utilizzazione della somma messa a disposizione dalla banca consiste negli
interessi corrispettivi e tali interessi dovranno essere calcolati, nella
misura a titolo convenuto, sulla somma concretamente utilizzata e per tutto il
periodo di tempo in cui la somma è stata utilizzata"9.
Gli effetti di iniquità e vessazione delle CMS, seppur edulcorati, permangono e
risultano, di fatto, legittimati dal recente disposto legislativo (art. 2 bis,
legge n. 2/09). Analogamente a quanto intervenuto nel '00 con l'anatocismo
trimestrale, mentre la Magistratura veniva gradualmente disconoscendo le CMS
per nullità di causa e indeterminatezza del sistema di calcolo, è intervenuto
il legislatore sancendone liceità e modalità di calcolo.
Altre volte il legislatore è intervenuto a correggere e modificare assetti
contrattuali e posizioni giurisprudenziali. Tuttavia tali interventi, nel
confronto e tensione fra opposte esigenze, hanno determinato talora confusioni
e spunti di conflittualità ulteriore: il ripristino dell'anatocismo
trimestrale, ad opera del D. Lgs. n. 342/99 e della successiva Dilibera CICR
9/2/00, nonché l'articolata struttura di determinazione delle soglie d'usura,
introdotte con la legge 108/96 e l'intervento integrativo operato dalla legge
n. 24/01, come anche il menzionato intervento operato sulle C.M.S. con il
recente art. 2 bis della legge n. 2/09, non sembrano aver apportato elementi di
riequilibrio.
Interventi legislativi, come il D. Lgs. n. 342/99, esprimono il maldestro
tentativo di sanare pregressi comportamenti illegittimi, perpetrando, per il
tramite di atti di normazione secondaria, regimi di vessazione che, pur non
avendo superato il vaglio della Corte Costituzionale, continuano - a quasi un
decennio di distanza - ad esplicare i loro effetti.
E' singolare che con la stessa prontezza con la quale, dopo il D. Lgs. 342/99,
è stata emanata la Delibera CICR 9/2/00 per bonificare il comportamento delle
banche sull'applicazione degli interessi trimestrali, non si sia intervenuti,
dopo la Sentenza n. 425/00 della Corte Costituzionale, a rettificare la stessa
Delibera CICR, abrogando o modificando l'art. 7, reso illegittimo dal venir
meno della norma delegante.
La specificità, complessità e articolazione della normativa bancaria,
sottoposta ad un continuo rapporto di forza fra sistema bancario e organo
legislativo, ha spesso consentito alle banche sostanziali disapplicazioni della
disciplina, incontrando nella giurisprudenza solo negli ultimi anni una
migliore sensibilità e specializzazione, insufficiente tuttavia a contrastare e
censurare tempestivamente ed efficientemente reiterati comportamenti
illegittimi.
La richiamata disposizione abrogativa della Corte costituzionale è risultata
disattesa, così come sono risultate disattese le numerose sentenze della Corte
di Cassazione in tema di anatocismo e Commissioni di Massimo Scoperto, così
come disattesa rimane la formale applicazione dell'art. 644 c.p. in tema
d'usura, in presenza di contrastanti indicazioni della Banca d'Italia.
La Magistratura è chiamata a gestire - in un quadro giuridico complesso e
talvolta contraddittorio - vertenze che non costituiscono casi sporadici e
circoscritti, ma, al contrario, risultano estesi in tutto il territorio con una
frequenza ed intensità, che denuncia, nella stessa dimensione del fenomeno,
comportamenti speciosi, improntati a scarso rispetto delle norme di legge, non
adeguatamente monitorati e censurati dalle Autorità di controllo.
6. Sintesi e conclusioni
L'esperienza dell'ultimo decennio ha mostrato una sospinta tensione da parte
delle banche a cogliere margini di concorrenza e benefici economici utilizzando
oltremisura, all'occorrenza, gradi di elusione che regolamenti o istruzioni
applicative consentono, impegnando e congestionando apprezzabilmente l'opera
della Magistratura, in una calcolata strategia di trade-off costi/benefici,
fondata sul marginale ricorso alle onerose e tortuose vie delle aule di
Giustizia.
I tribunali sono, da lungo tempo, ricolmi di vertenze, avanzate da operatori
economici e privati cittadini, che richiedono, nei rapporti bancari, un
puntuale rispetto dei principi normativi, bancari e finanziari: il fenomeno
risulta generalizzato a tutto il territorio, diffuso in un'ampia schiera di
soggetti.
Troppo spesso i comportamenti dell'operatore bancario occupano ed impegnano la
Magistratura, chiamata - non per singoli accadimenti ma per circostanze
generalizzate - a surrogare e colmare carenze istituzionali.
La Vigilanza, preposta alla tutela di interessi pubblici, costituzionalmente
protetti - tutela del risparmio e corretta allocazione del credito - ha
privilegiato sino ad oggi obiettivi generali di patrimonializzazione e
stabilità degli intermediari, rallentando le spinte alla concorrenza. Nel
trade-off stabilità/concorrenza si è privilegiato il primo obiettivo, nella
misura in cui il secondo assottiglia i margini di bilancio inducendo elementi
di fragilità degli intermediari: è mancata una specifica tutela del cliente
bancario; le norme sulla trasparenza sono risultate, nel quadro normativo
generale, carenti ed insufficienti a presidiare la tutela del risparmio e ad
assicurare una corretta allocazione delle risorse finanziarie disponibili.
Nell'ultimo ventennio il disegno strategico di condurre il sistema bancario
alle logiche di mercato ha certamente indotto notevoli elementi di efficienza
produttiva, ma ha significativamente minato quel rapporto fiduciario che, in
precedenza, per lungo tempo aveva presieduto il contratto
banchiere-imprenditore e banchiere-risparmiatore.
Nel passaggio dalla concezione pubblicistica dell'attività bancaria alla
concezione privatistica, sono stati acquisiti apprezzabili margini di
efficienza economica e di confronto con operatori internazionali, ma si sono
sacrificati ed immolati a tali obiettivi aspetti di rilievo che hanno
seriamente pregiudicato gli stessi interessi pubblici protetti. La peculiare
funzione di collegamento fra risparmio e sviluppo, giustifica la speciale
disciplina posta a protezione e tutela dell'attività bancaria, ma, nel
contempo, rende più aberranti comportamenti che ostacolano e travisano la
stessa funzione a cui è preposto l'intermediario.
L'attività bancaria e finanziaria coinvolge interessi pubblici che trascendono
gli obiettivi di profitto dell'impresa bancaria: la tutela del risparmio, nella
carta costituzionale, è strettamente accostata alla sua corretta allocazione
attraverso forme di selezione delle imprese più produttive e meritevoli del
credito, nell'obiettivo generale di favorire lo sviluppo, l'occupazione e il
progresso del Paese.
Forme estreme di mercato esasperano le logiche di profitto e vengono di fatto a
confliggere con i superiori interessi pubblici. La stessa tradizionale funzione
di intermediazione viene seriamente pregiudicata da alternative finanziarie
che, attraverso effetti leva, accrescono le potenzialità di profitto, con
rischi aziendali e sistemici che frequentemente - come si è visto nell'ultimo
anno - si scaricano, in ultima istanza, sul corpo sociale.
Accanto a leggi e normative generali, più che di una dettagliata disciplina
del'attività, si avverte l'esigenza di principi e valori che devono essere
acquisiti nella cultura bancaria, verso una superiore consapevolezza che
percepisca e colga le sinergie, anche economiche, che possono derivare da
formule imprenditoriali attente ai benefici estesi alla più ampia compagine
degli stakeholder, in primis risparmiatori ed operatori economici.
Lo scorso anno, dalle pagine del Sole 24 Ore, il dott. Giovanni Bazoli - un
attento quanto critico osservatore del modello di sviluppo italiano -
contrapponeva al modello americano di attività bancaria - incalzato da una
logica di mercato competitiva e quasi spietata, che addita come
"imperativo categorico" il continuo incremento dei profitti e del
valore per gli azionisti - un diverso modello, più consono alla tradizione
europea, nel quale l'intermediario bancario, pur perseguendo gli obiettivi
dell'efficienza e della redditività, è consapevole della responsabilità sociale
che grava sull'impresa bancaria.
Gli avvenimenti dell'ultimo anno, i fatti e le circostanze illustrate,
impongono una riflessione sulle scelte operate all'inizio degli anni novanta:
si impongono temperamenti, un riequilibrio delle parti contrattuali, sempre
permanendo in un contesto di libertà d'impresa, non certamente coartata ma
attentamente "vigilata".
In prospettiva, più che intrusivi interventi di regolamentazione, si impone
un'emancipazione dell'intermediario bancario verso forme di compliance che
pervadano ed informino le scelte aziendali, in una responsabile consapevolezza
della funzione pubblica assolta.
1) Intervento di apertura al Convegno sul tema "Risparmiatori e Imprese:
criticità nei rapporti bancari", organizzato dallo Studio Marcelli, con il
patrocinio dell'Associazione Forense "Pietro de Ciccio" e del
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Salerno, presso il Tribunale di Salerno
il 3 luglio '09.
2) A fine 2008 i conti correnti in essere presso banche risultavano pari a
circa 25 mil.ni, oltre a 5 mil.ni di conti aperti presso Bancoposta.
3) Quando un numero rilevante di persone viene danneggiato da uno stesso fatto
illecito, l'azione collettiva - e il connesso istituto della conciliazione di
massa - consentono di gestire unitariamente il ricorso alla giustizia e la
ricerca di soluzioni negoziali, attraverso enti legittimati, con economia di
costi ed evitando la proliferazione di vertenze giudiziarie per uno stesso
oggetto.
4) La formula è già impiegata nell'Indicatore Sintetico di Costo (ISC)
previsto, per gli affidamenti in conto corrente, nel foglio informativo e nel
documento di sintesi. Nell'Allegato 5 al documento sulla trasparenza delle
operazioni e dei servizi bancari e finanziari, si riportano alcuni esempi di
calcolo dell'ISC che - seguendo la formula sopra menzionata - per un utilizzo
di circa 1.000 per un mese, esprimono un valore del 14% e del 16% annuo, ottenuti
semplicemente sommando rapporti del tutto disomogenei tra loro, basati su
importi addebitati al termine del trimestre rispettivamente per 109,3 e per 160,7 : tali percentuali non hanno
alcun senso e non esprimono alcun valore informativo sull'effettivo costo del
credito, che risulta invece apprezzabilmente più alto.
5) A tale aspetto si è già riferito il Garante della
Concorrenza e del Mercato, nella segnalazione al Parlamento e al Governo,
effettuata il 2/2/09 all'indomani della legge n. 2/09: "(....) la
trasparenza dal lato della domanda richiede un'attenta analisi di come le commissioni
applicate in presenza della mera disponibilità di somme di denaro e/o effettivo
uso di queste ultime, anche alla luce dei cambiamenti derivanti dall'articolo 2
bis del d.l. 185/2008, così come convertito dalla legge n. 2/2009, incidano
nella definizione degli effettivi costi a carico dei clienti in termini di
tassi effettivi applicati. Per altro verso, appare apprezzabile che l'articolo
2 bis del d.l. 185/2008 introduca una disciplina di raccordo, computando le
commissioni ivi disciplinate anche ai fini della determinazione dei tassi
usurari. L'incidenza della nuova disciplina sui costi effettivi sostenuti dalla
clientela e sulla definizione dei tassi usurari rende ancora più importante
l'introduzione di un chiaro ed unico indicatore sintetico che riunisca le
diverse voci di spesa a carico del cliente che vada in scoperto. Ciò al fine di
consentire alla clientela un'immediata e chiara percezione del prezzo
complessivo dei servizi bancari, necessaria per confrontare tra loro le diverse
offerte presenti sul mercato, nonché per rapportare il prezzo rispetto al
livello dei tassi individuati come usurari. Questo cruciale aspetto di
trasparenza non appare direttamente interessato dal nuovo testo
normativo".
6) Autori diversi hanno sollevato critiche e perplessità, ravvisando le
circostanze di una norma penale in bianco, in quanto il decreto ministeriale
che completa la legge non assume esclusivamente una valenza tecnica, ma ha
anche un carattere discrezionale. "Dalla cospicua giurisprudenza
costituzionale in materia di riserva di legge e norma penale in bianco, emerge
il principio in base al quale il totale rinvio al regolamento o all'atto
amministrativo da parte della legge penale, ai fini della individuazione degli
elementi essenziali del fatto tipico, determina una palese violazione del
principio costituzionale della riserva di legge in materia penale e tale
affermazione non investe solo i casi in cui il soggetto attivo sia determinato
per rinvio ad una fonte secondaria, ma anche le fattispecie, di gran lunga più
numerose, nelle quali è la condotta ad essere individuata per relationem con
rinvio ad una fonte regolamentare amministrativa " M. Fedele, Tasso soglia
ex l. 108/96 e interessi moratori, profili penali. Cfr. sul tema G. Viciconte,
Nuovi orientamenti della Corte Costituzionale sulla vecchia questione delle
norme "in bianco", in Rivista italiana di diritto e procedura penale,
1991; G. Sellaroli, Riflessi penali della giurisprudenza civile; F.
Mucciarelli, Commento alla legge 108/96.
Sul tema è intervenuta nel 2003 la Cassazione che ha respinto l'eccezione di
illegittimità costituzionale dell'art. 644 c.p. per violazione dell'art. 3, 25
e 41 della Costituzione in quanto ha ritenuto che la legge 108/96 fissa
"limiti e criteri analitici e circoscritti al punto da rappresentare
vincoli sufficienti a restringere la discrezionalità della pubblica
amministrazione nell'ambito di una valutazione strettamente tecnica e, come
tale, da ritenersi idonea a concorrere, nel pieno rispetto del principio della
riserva di legge in materia penale, alla precisazione del contenuto della norma
incriminatrice.".
Tuttavia non sembra che le perplessità al riguardo siano state fugate dalla
sentenza: gli interventi a modifica dei criteri di calcolo sono risultati
frequenti e significativi.
7) "(...) giacché accanto alla protezione del singolo, vengono senz'altro
in gioco anche - e forse soprattutto - gli interessi collettivi al corretto
funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito e alla
regolare gestione dei mercati finanziari." (C. Cass. Sez. Pen.
n.20148/03).
8) D.Lgs. 164/07 Art.. 2. Modifiche alla parte II, titolo I, capo I, del TUF
1. L'articolo 5 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e' modificato
come segue: a) i commi 1, 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:
« 1. La vigilanza sulle attività disciplinate dalla presente parte ha per
obiettivi:
a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario;
b) la tutela degli investitori;
c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario;
d) la competitività del sistema finanziario;
e) l'osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.
2. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Banca d'Italia e'
competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità
patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari.
3. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Consob e'
competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei
comportamenti.
4. La Banca d'Italia e la Consob esercitano i poteri di vigilanza nei confronti
dei soggetti abilitati; ciascuna vigila sull'osservanza delle disposizioni
legislative e regolamentari secondo le competenze definite dai commi 2 e 3.»;
b) dopo il comma 5, sono inseriti i seguenti:
«5-bis. La Banca d'Italia e la Consob, al fine di coordinare l'esercizio delle
proprie funzioni di vigilanza e di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui
soggetti abilitati, stipulano un protocollo d'intesa, avente ad oggetto:
a) i compiti di ciascuna e le modalità del loro svolgimento, secondo il
criterio della prevalenza delle funzioni di cui ai commi 2 e 3;
b) lo scambio di informazioni, anche con riferimento alle irregolarità rilevate
e ai provvedimenti assunti nell'esercizio dell'attività di vigilanza.
5-ter. Il protocollo d'intesa di cui al comma 5-bis e' reso pubblico dalla
Banca d'Italia e dalla Consob con le modalità da esse stabilite ed e' allegato
al regolamento di cui all'articolo 6, comma 2-bis.».
9) Cfr.: in Banca, borsa 2003, con nota di Inzitari. Alla sentenza del
Tribunale di Milano hanno fatto seguito, negli anni successivi copiose altre
sentenze: si veda, ad esempio, Trib. Lecce, 11/2/05, Trib. Vibo Valentia, dott.
Pasquin 16/1/06, Trib. Livorno, Dott. Urgese, 6 marzo 2006 n. 259, Trib. Monza
11 giugno 2007, n. 1967, dott.ssa F. Saioni, Trib. Mantova 21 aprile 2007,
dott.ssa A. Venturini, Trib. Tortona 19 maggio 2008, dott. Mariani.
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