Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/04/2022 Scarica PDF
Finanziamento con ammortamento alla francese. La sentenza del Tribunale di Torino (E. Astuni, 18 febbraio 2022) ritiene priva di vizi la formulazione contrattuale: esame critico
Roberto Marcelli, Consulente Finanziario1. Premessa.
L’oggetto della pronuncia del Tribunale di Torino riguarda due prestiti personali, contratti nel 2019, per i quali viene contestato, tra l’altro, l’impiego del regime composto nella determinazione della rata costante di ammortamento, con l’effetto di pregiudicare la proporzionalità degli interessi rispetto al tempo, a seguito della lievitazione esponenziale della spettanza degli stessi, con la capitalizzazione ‘celata’ nella formula di calcolo. Nella circostanza si richiede di ‘accertare e dichiarare la nullità parziale di entrambe i mutui, ipotecario e chirografario, oggetto di causa per violazione degli artt. 1283, 1284, 1346, 1418, 1195 e 821 comma 3 c.c. e degli artt. 117 e 120 TUB e per difetto della forma scritta e la illegittimità dei piani di ammortamento, stante la omessa specificazione del regime di calcolo dell’interesse, l’applicazione surrettizia, illegittima, non pattuita della capitalizzazione composta e la mancanza di pattuizione sul tasso e sul prezzo.
Nella circostanza, il giudice, sulla base della documentazione prodotta, non ha accolto la richiesta CTU, rigettando tutte le domande dell’attrice.
La sentenza ha il pregio di offrire una serie di approfondite argomentazioni che – con apprezzabili integrazioni alle precedenti pronunce espresse sul tema dal medesimo Tribunale - affrontano puntualmente gli elementi di specifica criticità che, più recentemente, dottrina e giurisprudenza sono venuti gradualmente maturando sul tema.
Vengono qui di seguito riportati gli aspetti essenziali della pronuncia per esaminarne la fondatezza e consistenza, in rapporto alle perplessità e criticità da più parti sollevate sulla formazione dell’accordo espresso nella forma contrattuale ordinariamente adottata dagli intermediari per i finanziamenti con ammortamento a rata costante. [1]
2. Indeterminatezza delle condizioni contrattuali e del tasso d’interesse.
Con riferimento al piano di ammortamento alla francese o a rata costante, il giudice, dopo aver ritenuto ‘regolare’ la formula di determinazione della rata, espressa secondo la legge di capitalizzazione composta, perviene ad una prima conclusione:
Dato il capitale (C), il tasso di interesse
periodale (i) e il numero di periodi di ammortamento (n), l'importo della rata
costante (R) secondo il metodo francese è universalmente calcolato
secondo la formula: R = C
Poiché il tempo (“n”) è esponente e non fattore, nella determinazione della rata costante è implicito l’uso della legge di capitalizzazione composta per il calcolo della rata.
Nella specie, le condizioni economiche sono determinate in modo univoco, visto che entrambi i contratti contengono tutti gli elementi necessari a risolvere l’equazione che precede, ossia capitale iniziale (C), tasso di interessi nominale (i), numero di rate (n) e la soluzione dell’equazione, ossia la rata fissa (R) di € 200,82 sul contratto n. 21171043 e di € 500,14 sul contratto n. 20615353.[2]
Pertanto, la coerenza degli elementi contrattuali non consente alcun dubbio circa il fatto che la formula applicabile sia quella che precede, né consente di ricostruire o anche soltanto ipotizzare un piano di rimborso del finanziamento differente.
2.1 Una prima criticità emerge nell’affermazione ‘il metodo francese universalmente calcolato ........’.
La dizione ‘alla francese’ viene da lungo tempo impiegate come sinonimo di ‘a rata costante’; non è infrequente, infatti, riscontrare nei contratti l’impiego alternativo di questa seconda dizione, o la locuzione parimente dirimente ‘alla francese o a rata costante’: quale che siano le diverse specificazioni che di tale modello offre la scienza finanziaria, nei termini e modalità impiegati, al mutuatario perviene solo ed esclusivamente il concetto di rata costante. Ancor più generica e approssimata risulta la definizione riportata nelle Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia che identifica l’ammortamento alla francese con la rata che prevede la quota capitale crescente e la quota interessi decrescente.[3] In attuazione delle norme di legge, le disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia prevedono che: ‘ i termini tecnici più importanti e ricorrenti, le sigle e le abbreviazioni siano spiegate, con un linguaggio preciso e semplice, in un glossario o in una legenda egli intermediari, anche quando, sporadicamente, riportano la definizione si informano all’indicazione generica della Banca d’Italia, senza alcun altro dettaglio e precisazione.
Anche l’ABF ha avuto modo di rilevare l’uso promiscuo del termine ‘alla francese’, valutando: ‘Tale piano non risulta espressamente definito ‘alla francese’, né ciò invero potrebbe assumere decisa rilevanza, atteso che non pare esistere nella prassi un unico tipo di ammortamento ‘alla francese’ (come parrebbe ritenere la parte ricorrente)’. (ABF Milano, n.3569/15, preceduto dal Collegio di Coordinamento n. 6167/14).
L’ormai radicata sinonimia fra ammortamento ‘alla francese’ e ‘a rata costante’ risulta acquisita e confermata dalla giurisprudenza; nella risalente sentenza del Tribunale di Milano n. 5733/14, alla quale si sono uniformate successive decisioni giurisprudenziali, si ribadisce espressamente: ‘con il termine “piano di ammortamento alla francese” (ovvero “a rata costante”) dovrebbe intendersi unicamente il piano che preveda rate di rimborso costanti nel tempo, ipotesi all’evidenza consentita solo in caso di mutui a tasso fisso’. [4]
Pertanto, la dizione ammortamento ‘alla francese’, nel significato correntemente impiegato, nulla dice del regime finanziario che governa il piano di rientro, né tanto meno indica univocamente il criterio di imputazione adottato.[5] D’altra parte, l’alternativa fra capitalizzazione semplice e composta nei piani di ammortamento è presa in considerazione implicitamente anche nelle disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari della Banca d’Italia.[6]
L’adozione del regime composto, con modalità di calcolo degli interessi sul debito residuo costituisce, più semplicemente, un’onerosa ed inespressa condizione generale di contratto, usualmente adottata in tali finanziamenti, soggetta al disposto dell’art. 1341 c.c., patita dal mutuatario quale ‘presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio iuris ac necessitatis’ (Cass. n. 3096/99).[7]
Se la banca, nel predisporre il contratto, si limita a prevedere ‘ammortamento alla francese o a rata costante’, appare scontato che voglia identificare, in termini esaustivi, nella costanza della rata, la caratterizzazione del piano di ammortamento. L’operatore retail non è tenuto né potrebbe arguire dal testo del contratto che, oltre alla rata costante, tra le varianti possibili, si utilizzi il regime composto, nonché, per il criterio di imputazione delle rate, il calcolo degli interessi su tutto il debito residuo in essere a ciascuna scadenza: per giunta, con l’unica indicazione in contratto del valore della rata costante è indotto a ritenere che non vi siano alternative e sia univocamente determinato il piano di ammortamento secondo i principi di proporzionalità degli artt. 821 e 1284 c.c., informati al regime semplice.
La rilevante deroga alla proporzionalità degli interessi al capitale e al tempo, che induce un ricarico degli interessi non più su una funzione lineare ma esponenziale – quand’anche fosse consentita dall’ordinamento - nelle pregnanti omissioni informative che si riscontrano nell’enunciato del contratto, può ben configurare una significativa e sostanziale ‘sorpresa’ del debitore, come vizio negoziale ex art. 1195 c.c.[8]
Il testo di questa norma, osserva A.A. Dolmetta[9] – già per sé stesso univoco e chiaramente applicativo del canone di buona fede ex art. 1375 c.c. – risulta incentrato sui seguenti profili di fondo: l’imputazione è una di quelle materie dove occorre tenere in conto particolare i ruoli (competenza, professionalità, cultura, …) delle parti; se il rapporto è dispari, il creditore non può “sorprendere” il debitore, nel senso puntuale che lo stesso deve conformarsi all’”imputazione che il debitore aveva interesse di fare” sul piano oggettivo.[10]Non appare propriamente preordinato ad evitare la ‘sorpresa’ ex art. 1195 c.c. far semplicemente riferimento all’ammortamento alla francese, o limitarsi a dire ‘a quote capitale crescenti’ ed omettere di esplicitare compiutamente i termini del regime finanziario e del criterio di imputazione adottato. [11]
Nella stessa genericità dei richiami tecnici, riportati nei finanziamenti a rimborso graduale, viene ad evidenza anche la norma dell’art. 117, 6° comma che vieta la clausola di “rinvio agli usi”. Osserva al riguardo A.A. Dolmetta come tale clausola vada interpretata, ‘leggendo gli usi non solo per quello che sono, ma pure per quello che figurativamente oggi esprimono’: un conto è ammettere il rinvio a indici esterni e oggettivi (che, in quanto tale, non è punto in discussione); un altro è ammettere rinvii a indici opachi perché non facilmente raggiungibili (o leggibili) dal cliente.[12]Un uso, pur radicato nel tempo – che investe, oltre all’ammortamento a rata costante, buona parte dei finanziamenti a rimborso graduale – non può assumere una qualche pregnanza normativa e/o di legittimità negoziale.[13]
2.2 Una seconda criticità si ravvisa nell’applicazione dell’art. 1194 c.c.
Con riferimento ai criteri di imputazione delle rate corrisposte alle distinte scadenze, il Giudice riporta: ‘Per quanto rileva ai fini del presente giudizio, entrambi i contratti prevedono, nella parte delle “Informazioni europee di base”, oltre al numero di rate mensili e al loro ammontare costante, che “trova applicazione l’art. 1194 c.c.. Il cliente pagherà gli interessi e/o le spese nel seguente ordine: - l’importo di ciascuna rata comprenderà una quota di interessi di ammortamento decrescente secondo un piano di ammortamento alla francese;
Argomentando che: ‘Il metodo di ammortamento, corrente nella pratica e usato anche nei contratti di mutuo all’odierno esame, calcola la quota degli interessi di ammortamento, a ogni scadenza, sul capitale “iniziale” (i.e. all’inizio di ciascun periodo) ancora in godimento al mutuatario e in base al tasso di interesse di periodo’. Se netrae la conclusione: ‘Poiché “trova applicazione l’art. 1194 c.c.”, come si legge nelle “informazioni”, ciò vuol dire che la quota capitale è determinata, a ogni scadenza, per differenza tra la rata costante e gli interessi liquidati nel periodo. Nell’invarianza della rata, alla decrescita della quota di interessi non può che corrispondere la crescita della quota capitale. Questo piano di ammortamento comporta la scadenza e il pagamento degli interessi anticipatamente rispetto al termine finale dell’operazione e comunque al rimborso del capitale che li ha generati. Questa caratteristica è di piana evidenza, ove si consideri che l’interesse matura di rata in rata sull’intero capitale “iniziale” e che soltanto una frazione di quel capitale viene a scadenza insieme con gli interessi maturati, di modo che deve dirsi che il debito residuo “finale” (i.e. al termine di ciascun periodo) ha prodotto interessi, che scadono e sono disponibili per il pagamento, senza a sua volta scadere ed essere disponibile per il rimborso’.[14]
Nei finanziamenti a rimborso graduale, non è affatto scontato che ad ogni scadenza debbano essere corrisposti gli interessi maturati sull’intero debito residuo, scaduto e da scadere. E’ questa una prassi bancaria frequentemente adottata che non ha tuttavia alcun riconoscimento giuridico. Anche nel rispetto del principio che ‘il pagamento fatto in conto capitale e conto interessi deve essere imputato prima agli interessi’ (art. 1194, 2° comma c.c.) possono darsi modalità diverse, tutte consentite e finanziariamente corrette, di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi.
Le parti stabiliscono l’ammontare del finanziamento, la rata e il tasso corrispondente alla rispettiva spettanza degli interessi; distintamente convengono le modalità, in particolare i tempi, nei quali detta spettanza debba essere corrisposta. Nel rispetto del principio che ‘il pagamento fatto in conto capitale e conto interessi deve essere imputato prima agli interessi’ (art. 1194, 2° comma c.c.) possono darsi modalità diverse, tutte consentite e finanziariamente corrette, di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi.[15] In difetto di una diversa e legittima convenzione, l’operatività del criterio di imputazione legale dell’art. 1194 c.c. viene dalla giurisprudenza circoscritta alla contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità ed esigibilità, sia del capitale che degli interessi (Cass. n. 10941/16, 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009), che si ravvisano, nelle rate, per la quota capitale in scadenza, non per il debito residuo. Il pagamento degli interessi maturati contestualmente al rimborso del capitale di riferimento e la contestuale ricorrenza del rapporto proporzionale della spettanza al capitale finanziato si riscontrano sistematicamente nel regime semplice, mentre nel regime composto i due aspetti non ricorrono mai insieme.
Anche recentemente la Suprema Corte (Pres. De Chiara, Rel. Fidanza, n. 9141 del 19 maggio 2020), seppur nell’ambito di un rapporto di conto corrente, ha reiterato il principio accessorium sequitur principale: ‘Non vi è dubbio che il debito di interessi, quale accessorio, debba seguire il regime del debito principale, salvo una diversa pattuizione tra le parti che dovrebbe, tuttavia, specificare una modalità di calcolo degli interessi (intrafido) idonea a scongiurare in radice il meccanismo dell’anatocismo’.
In dottrina, osserva B. Inzitari: ‘... è evidente che, come del resto stabilito dallo stesso art. 1499 cod. civ. la maturazione di tali interessi debba avvenire dal momento in cui è maturato il presupposto del loro sorgere e cioè vale a dire dal momento della consegna del bene fruttifero, mentre il momento dell’esigibilità non può che essere diverso e legato alla scadenza del debito principale, vale a dire al momento in cui diviene esigibile il credito relativo al prezzo’. (B. Inzitari, Obbligazioni pecuniarie, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 2011, 329).
2.3 Una terza criticità si ravvisa nell’affermazione: ‘le condizioni economiche sono determinate in modo univoco’.
Abbandonata la definizione ortodossa di ammortamento alla francese, ormai assimilata in via esaustiva all’ammortamento a rata costante, viene meno quel rapporto di univocità che, con l’accordo fra le parti - esclusivamente circoscritto a importo del finanziamento, tasso e periodicità delle rate - rende il piano di ammortamento una mera conseguenza matematica: questo aspetto viene frequentemente travisato. [16]
Poiché la matematica finanziaria contempla, per l’ammortamento a rata costante, l’impiego alternativo del regime semplice e di quello composto, la mancata indicazione in contratto del regime impiegato verrebbe a costituire, in prima istanza, un elemento di indeterminatezza, che non può certo essere surrogato dal riferimento a ‘metodi universalmente praticati’.
Nel piano di ammortamento, come menzionato, può essere adottato il regime semplice o quello composto ove consentito dall’ordinamento; con il regime composto, il criterio di imputazione delle rate è oggetto di un’ulteriore scelta fra le variegate alternative che i vincoli del piano consentono. Gli intermediari, di regola, adottano il criterio di imputare nella rata in scadenza tutti gli interessi maturati, relativi al capitale in essere. Ma questa non è l’unica alternativa che la scienza finanziaria offre per i piani a rata costante: è solo un uso o consuetudine negoziale, legittimamente praticata nel mercato finanziario, trasposta ed ‘imposta’ nei contratti impiegati dagli intermediari bancari nel mercato del credito; tale consuetudine ha quasi fatto perdere le tracce dei piani di ammortamento sviluppati in capitalizzazione semplice: nei più recenti manuali di tecnica finanziaria al più vengono accennati, senza essere trattati.
Se si adotta il regime di capitalizzazione semplice, quale che sia la tipologia di piano adottato, il vincolo del piano conduce ad un’unica scelta di imputazione delle rate. Con tale regime, fissato importo, TAN e scadenze, risulta univocamente determinato sia il piano di rimborso definito dall’importo della rata [...], sia lo specifico piano di ammortamento, definito ulteriormente nella composizione della rata stessa [...]. Poiché l’elemento qualificante il regime di capitalizzazione semplice è la contestuale scadenza ed esigibilità di capitale ed interessi, il calcolo di questi ultimi, in ciascuna scadenza, non può che essere riferito al capitale giunto a scadenza con la rata stessa.[17]
Al contrario, con l’impiego della capitalizzazione composta, si perviene, solo ed esclusivamente, ad un’univoca determinazione del piano di rimborso, definito dalla rata costante; una volta fissata quest’ultima nel valore maggiorato dal regime composto, il piano di ammortamento, con le distinte imputazioni della rata a capitale ed interesse, soddisfacenti le condizioni di chiusura del piano, può essere scelto fra una variegata casistica.
Poiché la dizione ‘alla francese’ non può che essere intesa, esclusivamente ed esaustivamente, come sinonimo di ‘a rata costante’, se il contratto non precisa il regime nel quale viene impiegato il TAN e il criterio di imputazione degli interessi nella rata, oltre ad aspetti attinenti al rispetto degli artt. 1283, 1284 c.c. e 120 TUB, insorgono pregnanti criticità che coinvolgono trasparenza, determinatezza e consenso.
Nella circostanza, l’impiego della capitalizzazione composta, che sostanzialmente deroga dal principio richiamato dall’art. 821 c.c., nell’assetto negoziale diffusamente impiegato nelle operazioni di finanziamento a rientro graduale, rimane, di fatto, ignoto al mutuatario. Il piano di ammortamento è predisposto dall’intermediario e il mutuatario rimane completamente ignaro, oltre che della scelta del regime composto, anche della condizione di calcolo sottostante il criterio di imputazione della rata; anche quando vengono esplicitati i valori numerici riportati in allegato, l’operatore retail rimane privato del consenso sui criteri di determinazione degli stessi, per giunta lasciato nella presunzione che detti valori discendanounivocamente dall’enunciato contrattuale. [18] Anche le disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia, tra le informazioni da inserire nei contratti, prevedono ‘il tasso debitore e le condizioni che ne disciplinano l’applicazione, .....’. Tra queste ultime non sembra si possa ‘tacere’ il regime di capitalizzazione composta, né tanto meno il criterio di calcolo degli interessi, senza i quali non è possibile conseguire un’univoca determinazione del prezzo e delle imputazioni a rimborso dell’obbligazione principale e quindi un consapevole consenso dell’impegno assunto. Nella circostanza, l’indeterminatezza non investe i valori delle imputazioni, bensì investe i criteri della loro determinazione. Stabilisce la Cassazione: ‘il requisito di determinabilità richiede “che siano semplicemente identificati i criteri oggettivi in base ai quali fissare l’esatto contenuto delle obbligazioni dedotte, facendo ricorso, ad esempio, a calcoli di tipo matematico” ...’ è estranea al canone legale la maggiore o minore difficoltà di tali calcoli in rapporto alla possibilità della parte debitrice di verificarli utilizzando l’ordinaria diligenza’ (Cass. 25205 del 27/11/2014).
Come ribadito dalla Suprema Corte in più occasioni: ‘ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito di determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 c.c. è che il tasso di interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o discrezionalità in capo all’istituto mutuante, anche quando individuato per relationem: in quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto’. (Cass. del 25 /6/2019, n.16907). Nell’ammortamento a rata costante si riscontrano due valori per la rata e la spettanza degli interessi inclusi, corrispondenti rispettivamente al regime semplice e a quello composto, ma solo il tasso del regime semplice, e quindi il rispettivo valore della rata, rimane coerente con il prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. riportato in contratto; la maggiorazione degli interessi che si consegue nel regime composto è esclusivamente riconducibile all’algoritmo di calcolo che ricomprende la capitalizzazione.
2.4 Una quarta criticità si ravvisa nel rispetto degli artt. 1283 c.c. e 120 TUB.
La sentenza in parola riconduce la lamentata progressione esponenziale degli interessi ad un fraintendimento della fattispecie e della ratio legis del divieto dell’art. 1283 c.c., anche per il tramite della frode alla legge ex art. 1344 c.c.
Il giudice ritiene che ‘Nel fraseggio dell’art. 1283 c.c. la produzione di nuovi interessi (c.d. secondari, anatocistici) trova la propria fonte nell’inadempimento all’obbligo di pagare gli interessi c.d. primari alla scadenza prevista (“interessi scaduti”) e rappresenta l’oggetto di una nuova autonoma obbligazione: nuovo debito per interessi che la legge, in generale, vieta di assumere’. Viene, tuttavia, riconosciuta ‘la più ampia applicazione giurisprudenziale del divieto di anatocismo nell’ultimo ventennio’, allargando nel c/c bancario, ‘il significato di “interessi scaduti”, al di là della pura e semplice “esigibilità”, intendendo “scaduto” l’interesse che ha esaurito il periodo di maturazione. Che ‘si intenda “l’interesse scaduto” ai fini dell’art. 1283 c.c. come “esigibile” oppure come interesse che ha esaurito il periodo di maturazione, si calcoli l’interesse sul capitale residuo o sulla quota capitale che viene a scadenza, comunque il tempo di maturazione e di esigibilità della quota interessi coincidono (…) Non si da quindi, nel piano di ammortamento redatto con metodo francese, il caso di interessi corrispettivi “scaduti” e nondimeno produttivi di interessi ulteriori …’. ‘La capitalizzazione composta prevista nella formula di calcolo del sistema francese, al fine di calcolare la rata costante che consente la chiusura finanziaria dell’operazione, secondo i dati del problema (capitale, tasso periodale, periodi), appare quindi estranea al campo dell’art. 1283 c.c.’
L’anatocismo consentito dall’art. 1283 c.c. è la reazione alla mancata esecuzione della prestazione dovuta: in questo senso si discosta concettualmente dalla mera produzione degli interessi corrispettivi, acquisendo una funzione, al tempo stesso, risarcitoria e sanzionatoria, atta ad indurre nel debitore un comportamento virtuoso nell’adempimento dell’impegno assunto. Secondo i principi generali dettati dall’ordinamento giuridico, gli interessi derivano dal capitale con il decorso del tempo ma per gli stessi non è prevista alcuna produzione di interessi ‘secondari’: l’art. 1283 c.c. ne consente la produzione solo nel caso di inadempimento alla scadenza, se dovuti per almeno sei mesi, attraverso una successiva convenzione o domanda giudiziaria. [19]
Il divieto di anatocismo non attiene al quantum ma alla modalità nella quale viene declinato il prezzo ex art. 1284 c.c., nel calcolo dell’obbligazione accessoria nella sua unitarietà, previsto in contratto; la metrica prevista dall’ordinamento, richiamata dagli artt. 821 e 1284 c.c., induce una sostanziale distinzione della velocità di produzione degli interessi, fissata dal tasso in ragione d’anno, dalla modalità di calcolo nel pagamento degli stessi: nel regime di capitalizzazione degli interessi questi due aspetti vengono, invece, fusi nell’algoritmo di impiego del tasso, fornendo una misura del tasso che non necessariamente esprime l’effettivo corrispettivo degli interessi, nel rapporto proporzionale ex art. 1284 c.c. dell’obbligazione accessoria a quella principale.[20]
Come ribadito anche recentemente dalla Cassazione n. 24011/2021: ‘ove non ricorrano le particolari condizioni legittimanti previste dall’art. 1283 c.c. (Cass. S.U. n. 21095/2004), la capitalizzazione, fondandosi su un uso negoziale, anziché normativo (il solo che ammette la deroga dell’art. 1283 c.c.), deve ritenersi vietata per violazione di una norma cogente, dettata a tutela di un interesse pubblico’. In precedenza, la Cassazione n. 9653/01 aveva precisato come il debito per interessi ‘pur concretandosi nel pagamento di una somma di denaro, non si configura però come una obbligazione pecuniaria qualsiasi, ma presenta connotati specifici, sia per il carattere di accessorietà rispetto all’obbligazione relativa al capitale, sia per la funzione (genericamente remuneratoria) che gli interessi rivestono, sia per la disciplina prevista dalla legge proprio in relazione agli interessi scaduti’. Pur postulandone l’autonomia (che però non può portare a considerare irrilevante il momento genetico), ‘essa non è idonea a trasformare la causa (funzione) dell’obbligazione medesima fino a rendere il debito per gli interessi scaduti una obbligazione pecuniaria come tutte le altre.
Il divieto di pattuizione dell’art. 1283 c.c. si ritiene sia esteso ad ogni tipologia di interessi su interessi, a prescindere che siano scaduti ed esigibili o solo contabilmente scaduti: il requisito di interessi scaduti, esigibili e dovuti per almeno sei mesi costituisce la sola condizione, sine qua non, di producibilità degli interessi su interessi: ‘L’unica pattuizione ammessa dall’art. 1283 c.c. è quella che le parti possano porre in essere in data posteriore alla scadenza degli interessi e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. Questa costatazione porta ad una prima conclusione; in base all’art. 1283 c.c. l’anatocismo è ammesso nei limiti indicati positivamente nella stessa norma (interessi dovuti per almeno sei mesi, nonché domanda giudiziale ovvero convenzione posteriore alla loro scadenza)’.Prosegue la Cassazione: ‘Richiedendo che l'apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l'accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per potere accedere al credito. (...) le conseguenze economiche sono diverse a secondo che sulla somma capitale si applichino gli interessi semplici o quelli composti. È stato, infatti, osservato che, una somma di denaro concessa a mutuo al tasso annuo del cinque per cento si raddoppia in venti anni, mentre con la capitalizzazione degli interessi la stessa somma si raddoppia in circa quattordici anni’. (Cass. Civ. 2593/03).[21]
Risulterebbe alquanto paradossale, contrario allo spirito della norma, ritenere la produzione di interessi su interessi - esplicitamente regolata nei casi contemplati dall’art. 1283 c.c. per gli interessi scaduti ed insoluti - liberamente praticabile per gli interessi semplicemente maturati. L’anatocismo viene propriamente individuato tout court nella ‘produzione di interessi su interessi’, non nella ‘produzione di interessi su interessi scaduti ed esigibili’: gli interessi secondari assumono una natura distinta dagli interessi semplici o primari, ovvero dagli interessi previsti quale corrispettivo della disponibilità di capitale. Gli interessi semplici, maturati e solo contabilmente scaduti, conservano la natura di interesse che, in quanto distinta dal capitale, preclude l’ulteriore produzione di interessi sino al momento della convenuta esigibilità. [22]
La sentenza di Torino riconosce il significato allargato di ‘“interessi scaduti”, al di là della pura e semplice “esigibilità”, intendendo “scaduto” – e quindi improduttivo di nuovi interessi ex art. 1283 c.c. - l’interesse che ha esaurito il periodo di maturazione. Tuttavia non ravvisa alcuna violazione dell’art. 1283 c.c., nelle due forme tradizionali di imputazione della debenza alle distinte scadenze che caratterizzano l’ammortamento alla francese, in quanto in entrambe le imputazioni vi è coincidenza fra scadenza e pagamento degli interessi: ‘si calcoli l’interesse sul capitale residuo o sulla quota capitale che viene a scadenza, comunque il tempo di maturazione e di esigibilità della quota interessi coincidono… non si da quindi il caso di interessi “scaduti” e nondimeno produttivi di interessi ulteriori …’. ‘La capitalizzazione composta prevista nella formula di calcolo del sistema francese, al fine di calcolare la rata costante che consente la chiusura finanziaria dell’operazione, secondo i dati del problema (capitale, tasso periodale, periodi), appare quindi estranea al campo dell’art. 1283 c.c.’
La sentenza riscontra negli ammortamenti alla francese una pari coincidenza dei tempi di maturazione e di esigibilità, quale che sia il criterio di imputazione della debenza, deducendo ‘la quota capitale determinata, ad ogni scadenza, per differenza tra la rata costante e gli interessi liquidati nel periodo’. Nelle due tradizionali modalità di imputazione degli interessi – riferiti in forma semplice sul debito residuo e in forma composta sulla quota capitale in scadenza – esigibilità e tempi di maturazione coincidono. Tuttavia, nella seconda alternativa, l’esigibilità è riferita all’interesse composto calcolato sulla quota capitale in scadenza: ancorché sia palese la presenza di interessi su interessi, si ritiene irrilevante la modalità di calcolo, in quanto nella circostanza la scadenza del calcolo stesso viene a coincidere con l’esigibilità. E’ evidente il paradosso: con lo stesso principio, risulterebbe legittimo, per un finanziamento a 10 anni al 10% a rimborso unico alla scadenza, pretendere il corrispettivo del regime composto pari a € 1.594, in luogo di € 1.000 corrispondente al tasso semplice. [23]
Frequentemente il mutuatario viene lasciato ignaro dei criteri di imputazione della debenza alle distinte scadenze, mentre l’assenso viene raccolto sul finanziamento e sul prezzo espresso dall’art. 1284 c.c. che qualificano i termini dell’accordo. Di riflesso, non ci si avvede che l’importo complessivo della debenza regolata nel piano dei pagamenti, è stabilito a monte, nella propedeutica, antecedente pattuizione della spettanza ricompresa, in violazione dell’art. 1283 c.c., nella determinazione in regime composto, della rata indicata in contratto.[24]
Nella formula di determinazione della rata [R = C
Nella sentenza, disconoscendo la ‘regola generale di divieto avente ad oggetto una determinata tecnica di matematica finanziaria, consistente appunto nella legge di capitalizzazione composta’, si arriva a ‘sdoganare’ l’impiego in pattuizione del tasso composto, circoscrivendo l’attenzione all’algoritmo di calcolo della debenza, ritenendo la capitalizzazione composta di determinazione della spettanza inclusa nella rata, estranea al campo dell’art. 1283 c.c. in quanto ‘la capitalizzazione composta è solo un metodo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto … è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione’.
E’ fuori di dubbio che l’impiego della capitalizzazione composta nella determinazione della rata conduce ad una maggiorazione della spettanza inclusa, né sembra si possa, in un ammortamento di durata definita, qualificare il divieto di anatocismo nel pericolo di crescita senza limiti del debito per interessi, né tanto meno si può ritenere che l’effettivo tasso ex art. 1284 c.c. possa essere dedotto per relationem dal corrispondente tasso impiegato nel regime composto come sembra lasciar presumere l’argomentazione, alquanto opaca e contradditoria addotta in sentenza. Si riporta, infatti, in sentenza: ‘un capitale di 1.000 euro, al tasso del 10% con scadenza biennale, genera 200 euro di interessi in capitalizzazione semplice e 210 in capitalizzazione composta, dovendosi tener conto in quest’ultimo caso degli interessi maturati alla scadenza del primo anno’; per giungere alla considerazione: ‘Utilizzando, invece, due tassi finanziariamente equivalenti, nell’esempio dato il 10% composto e il10,50% semplice (sul biennio), si constata che il regime composto non genera un maggior onerefinanziario rispetto al regime semplice (in entrambi i casi, 210 euro) e quindi l’art. 1283 c.c. è evocato a sproposito per colpire un’operazione finanziaria, in regime composto, perfettamente equivalente all’altra pienamente lecita, in regime semplice. La questione, se sia più oneroso a parità di elementi il regime semplice o quello composto, si rivela quindi mal posta, al limite dell’illogicità, così come appare illogico chiedersi se, dato un percorso definito A-B, si percorra più strada, usando come unità di misura il miglio terrestre oppure il chilometro’;[26] giungendo infine a porre la questione in una prospettiva in parte condivisibile, ma non esaustiva, senza tuttavia trarne le dovute evidenze: ‘La questione non è, quindi, se sia più oneroso il regime semplice o quello composto, ma se il tassod’interesse sia rappresentato in modo corretto, secondo la legge sulla trasparenza bancaria’
Nel rispetto del menzionato tasso rappresentato in modo corretto in contratto, con la spettanza degli interessi commisurata a 210, se l’assenso nella pattuizione è raccolto sul 10%, a prescindere dalle modalità di pagamento si configura anatocismo; se, invece, è raccolto sul 10,50% il tasso è correttamente rappresentativo del rapporto proporzionale dell’art.1284 c.c. Rimane sostanzialmente ininfluente che la debenza nel pagamento venga calcolata al 10% in regime composto o al 10,50% in regime semplice. L’aspetto di rilievo, per l’operatore che accede al credito, è il rapporto dell’importo corrisposto a titolo di interessi, in ragione d’anno [210/(1.000 x 2 anni)], espresso nella metrica proporzionale dell’art. 1284 c.c. riportato in contratto. Più del rilievo che il tempo di maturazione e di esigibilità della quota interessi coincidano, risulta dirimente che la metrica convenzionale di espressione contrattuale del tasso ex art. 1284 c.c. venga uniformemente, e universalmente per l’intero mercato del credito, espressa nella semplice modalità proporzionale: rapporto, in ragione annuale, di obbligazione accessoria su obbligazione principale.[27]
Il tasso composto non è altro che una diversa metrica di espressione del costo del finanziamento che fonde in un’unica aliquota il costo effettivo e il costo figurativo espresso dai tempi di pagamento, impiegato esclusivamente nel mercato finanziario. Nel settore del credito, il criterio proporzionale, espresso dall’art. 1284 c.c., esprime, invece, il costo monetario effettivamente corrisposto, tenuto distinto e separato dai tempi di pagamento contemplati in contratto. Nella dinamica contro-intuitiva, racchiusa nell’utilizzo del TAN in regime composto, si realizza un concreto impedimento alla conoscenza e consapevolezza della dimensione del prezzo espresso dagli interessi posti a carico dell’operatore retail, con sostanziale pregiudizio per l’equilibrio economico-finanziario dell’impegno assunto.[28]
Così come per la lunghezza occorre esprimerne il valore in una predeterminata unità convenzionale di misura (chilometro o miglio), per esprimere l’equivalenza fra il denaro a pronti e quello a termine, si pattuisce la velocità costante di produzione degli interessi convenzionalmente espressa dal tasso che, per i finanziamenti ordinari, è prescritto dall’art. 1284 c.c. nella misura proporzionale, ordinariamente espressa dal regime semplice. L’art. 1283 c.c. attiene propriamente all’algoritmo di impiego del tasso corrispettivo ex art. 1284 c.c., corrispondente alla spettanza degli interessi convenuta in contratto, indipendentemente dai tempi di pagamento (purché si tratti di interessi venuti ad esistere), dall’algoritmo e finanche dal parametro impiegato nella corrispondente debenza di pagamento. La criticità dell’anatocismo nei finanziamenti si risolve in un mero problema di trasparenza pattizia. Per un finanziamento decennale di € 1.000 con rimborso in unica soluzione di capitale ed interessi, prevedere un TAN del 10% in regime composto o un TAN del 15,94% in regime semplice conduce al medesimo risultato economico (€ 2.540), ma solo quest’ultimo costituisce l’effettivo prezzo ex art. 1284 c.c., espressione economica del costo in ragione d’anno al quale va incontro il mutuatario.[29] Già nel ’92 A. Nigro riconduceva l’anatocismo all’interno della tematica della trasparenza.[30]
Nella pattuizione contrattuale si riporta, d’ordinario, il parametro finanziario dato dal TAN (Tasso Annuo Nominale) il quale, tuttavia, sul piano giuridico, assolve propriamente la funzione di tasso convenzionale ex art. 1284 c.c. I due valori di regola coincidono, ma concettualmente non sono propriamente sovrapponibili. La norma prescrive l’indicazione in contratto del prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c., non del TAN, che riveste, invece, la funzione di parametro matematico dipendente, il cui impiego deve necessariamente esprimere l’importo dell’obbligazione accessoria, corrispondente, nella proporzione al capitale, al tasso ex art. 1284 c.c. Il TAN nell’uso matematico, può essere declinato vuoi in regime semplice, vuoi in regime composto, con esiti economici distinti.[31]Quando interviene la capitalizzazione periodica degli interessi, il TAN viene a perdere la funzione di tasso convenzionale, in quanto, l’algoritmo impiegato viene a ricomprendere interessi secondari e, quindi, al TAN corrisponde una spettanza degli interessi maggiore di quella definita nella metrica proporzionale del tasso convenzionale ex art. 1284 c.c.[32]
Appare alquanto assodato che la produzione di interessi su interessi – a qualunque titolo e in qualunque modalità o algoritmo sia espresso - rientri nel divieto posto dalla norma, come altrettanto assodato risulta che le norme richiamate (artt. 821, 1283, 1284 c.c. e art. 117, 120 TUB) regolano la pattuizione, propriamente nel tasso convenuto con il quale gli interessi si generano in rapporto al capitale, a prescindere dalle modalità con quali gli stessi vengono corrisposti.[33]E’ evidente lo stretto rapporto funzionale che lega l’art. 1283 c.c., integrato dall’art. 120 TUB, all’art. 1284 c.c.: ponendo il divieto di pattuire la produzione di interessi su interessi maturati, si esclude ogni forma di convenzione che, nel valore della spettanza complessivamente pattuita, possa indurre deviazioni che esondino la proporzionalità del tasso ex art. 1284 c.c. riportato in contratto.
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Trib. Torino, 18 febbraio 2022. Giudice Astuni.
Devono logicamente escludersi dal calcolo del TAEG, in quanto estranei al programma di regolare esecuzione, gli interessi di mora e altre penali previste come conseguenza dell’inadempimento. L’erogazione di finanziamenti a condizioni del tutto analoghe a favore di soggetti con un merito creditizio omogeneo a quello del debitore assicurato, anche in assenza di polizza assicurativa, può considerarsi un chiaro indice in favore nella natura facoltativa della polizza assicurativa, che ne esclude l’inclusione nel calcolo del TAEG.
Per la mora, utilizzando il tasso soglia ‘rettificato’, non si considera l’interesse di mora nel coacervo dei ‘costi inerenti all’erogazione del credito’, né sul piano dellla fattispecie, poiché il confront si svolge tra il solo tasso semplice di mora e il tasso soglia rettificato, né sul piano degli effetti giuridici, poiché l’eventuale superamento del limite di legge comporta la nullità del solo tasso di mora, fermo “il Prezzo del denaro”, e l’applicazione, in sua vece, del tasso corrispettivo.
Nell’ammortamento alla francese la determinazione del valore della rata é universalmente calcolata secondo la legge di capitalizzazione composta. Le condizioni economiche sono determinate in modo univoco, visto che il contratto riporta capitale iniziale, tasso di interesse nominale, numero rate e l’importo della rata fissa. Il metodo di ammortamento, corrente nella pratica, calcola la quota degli interessi di ammortamento, ad ogni scadenza, sul capitale all’inizio di ciascun periodo. Poiché ‘trova applicazione lart. 1194 c.c.’ ciò vuol dire che la quota capitale é determinate, ad ogni scadenza, per differenza tra la rata costante e gli interessi liquidati nel periodo. Ai contratto non é allegata la c.d. tabella di ammortamento: l’assenza di questa tabella non implica indeterminatezza del contratto.
Si riconosce il significato allargato di “interessi scaduti”, al di là della pura e semplice “esigibilità”, intendendo “scaduto” – e quindi improduttivo di nuovi interessi ex art. 1283 c.c. - l’interesse che ha esaurito il periodo di maturazione. Tuttavia non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 1283 c.c., nelle due forme tradizionali di imputazione della debenza alle distinte scadenze che caratterizzano l’ammortamento alla francese, in quanto in entrambe le imputazioni vi è coincidenza fra scadenza e pagamento degli interessi: ‘si calcoli l’interesse sul capitale residuo o sulla quota capitale che viene a scadenza, comunque il tempo di maturazione e di esigibilità della quota interessi coincidono … non si da quindi il caso di interessi “scaduti” e nondimeno produttivi di interessi ulteriori …’. ‘La capitalizzazione composta prevista nella formula di calcolo del sistema francese, al fine di calcolare la rata costante che consente la chiusura finanziaria dell’operazione, secondo i dati del problema (capitale, tasso periodale, periodi), appare quindi estranea al campo dell’art. 1283 c.c.’
- segue il testo integrale della decisione
[1] Per una trattazione del tema: Colombo C., Gli interessi nei contratti bancari, in E. Capobianco (a cura di), Contratti bancari, Milano, 2021, p. 631 ss.; De Luca N., Interessi composti, preammortamento e costi occulti. Note sul mutuo alla francese e all’italiana, in Banca borsa e titoli di credito, 2019, 3, I, p. 371; ID., Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro. Di sicuro c’è qualcosa che non va, in Banca borsa e titoli di credito, 2021, 2, II, p. 233 ss.; Farina V., Interessi, finanziamento e piano di ammortamento alla francese: un rapporto problematico, in Contratti, 2019, 4, I, p. 445; Cacciafesta F., L’ammortamento francese: leggende dure a morire. Marzo 2022, in ilcaso.it; ID., L'ammortamento francese "in interesse composto": un normale ammortamento progressivo, in ilcaso.it, 2021; ID., Un commento tecnico-matematico su una sentenza (Bari 1890/2020) in tema di ammortamento francese, in Giurimetrica, N. 1, 2021; ID., Ammortamento francese e bullet: simul stabunt, simul cadent, gennaio 2021, in assoctu.it; ID., Una proposta per superare il dialogo tra sordi in corso sull'ammortamento francese, con alcune osservazioni sul Taeg e sul Tan, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2019, 3, II, p. 373; ID., A proposito dell’articolo “Sull’anatocismo nell’ammortamento francese”, in Banche e Banchieri, 2015, 528 ss.; ID., Le leggi finanziarie dell’interesse semplice e composto, e l’ammortamento dei prestiti, in assoctu.it, 2018; ID., In che senso l'ammortamento alla francese (e non solo esso) dia luogo ad anatocismo, in notizie di Politeia, XXXI, 120, 2015, p. 24; Marcelli R., Finanziamenti con piano di ammortamento. Apparenza e verità, in assoctu.it, febbraio 2022; ID., Finanziamenti con ammortamento graduale: italiano e francese. Nella conformazione dell’oggetto del contratto si consuma la criticità posta sul crinale fra trasparenza e violazione degli artt. 1284 e 1283 c.c., in ilcaso.it, 2021; ID., L’ammortamento alla francese nei prestiti a larga diffusione: l’opacità delle rate infrannuali, in Contratti, 2021, 4; ID., L’ammortamento a rata costante (alla francese). Il roll over del finanziamento e anatocismo, in Contratti, 2020, 3; ID., R. Marcelli, A.G. Pastore, A. Valente, L’ammortamento a rata costante (alla francese). I plurimi risvolti di criticità, in Minerva Bancaria, n. 3, 2021; ID., ID., TAN, TAE, TAEG nei finanziamenti a rimborso in unica soluzione e nei finanziamenti a rimborso graduale, Banca Borsa e Tit. di Cred. 2019, n. 6; P. Fersini, G. Olivieri, Sull’anatocismo nell’ammortamento alla francese, in Banche & Banchieri, 2015, n. 2; Quintarelli A., Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento “alla francese” a rata fissa, in Tempo Finanziario, 2019, 3, pp. 49 ss.; ID., Ancora sul mutuo con ammortamento francese a rata costante e sull’anatocismo: le regole del diritto e della matematica finanziaria. In ilcaso.it, 2021; Magni, Le regole sull’anatocismo, in Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, a cura di V. Cuffaro, Bologna, 2005, 137 ss.; Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una storia infinita?, in Diritto delle Banche e del Mercato finanziario, 2001, 269 ss.
[2] Nella premessa, si precisa in sentenza, ‘Per quanto rileva ai fini del presente giudizio, entrambi i contratti prevedono, nella parte delle “Informazioni europee di base”, oltre al numero di rate mensili e al loro ammontare costante, che “trova applicazione l’art. 1194 c.c.. Il cliente pagherà gli interessi e/o le spese nel seguente ordine: - l’importo di ciascuna rata comprenderà una quota di interessi di ammortamento decrescente secondo un piano di ammortamento alla francese; [..] - l’importo di ciascuna rata, indipendentemente dalla modalità di pagamento prescelta, sarà maggiorato delle spese di incasso e di gestione pratica [..]”
[3] Disposizioni in materia di Trasparenza. Allegato 3 (Legenda):
- Piano di ammortamento “francese”. Il piano di ammortamento più diffuso in Italia. La rata prevede una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente. All’inizio si pagano soprattutto interessi; a mano a mano che il capitale viene restituito, l'ammontare degli interessi diminuisce e la quota di capitale aumenta.
- Rata costante. La somma tra quota capitale e quota interessi rimane uguale per tutta la durata del mutuo.
Sul piano tecnico è possibile costruire molteplici piani di ammortamento rispondenti a questa definizione, aventi la medesima rata costante, con interessi decrescenti e quote capitale crescenti.
[4] Ancorché si riscontri un uso promiscuo del termine alla francese, con tale ammortamento i padri storici della scienza finanziaria solevano individuare i piani nei quali ricorrono le tre condizioni: i) rata costante; ii) ammortamento graduale, in regime finanziario composto; iii) interessi della rata calcolati sul debito residuo. Diversamente, nell’uso corrente, adottato anche dai moderni accademici e dagli stessi operatori del credito, il termine ‘ammortamento alla francese’ viene associato, in via esaustiva, alla ‘rata costante’. E. Levi fa riferimento al vincolo di pagamento degli interessi maturati a ciascuna scadenza e ne sviluppa un impiego esclusivamente in capitalizzazione composta, altri fanno riferimento alla progressività di estinzione del capitale. ‘Il termine di metodo progressivo in senso stretto col quale è noto il metodo francese non risiede nel semplice fatto che esso prevede quote capitali tutte positive, perciò debiti residui strettamente decrescenti, bensì nel fatto che queste descrivono una ben precisa progressione geometrica’ (Bortot ed altri, Matematica finanziaria; Cfr. anche L. Santoboni, Lezioni di matematica finanziaria, Eredi Veschi, 1968, pag. 143; S. Vianelli, Matematica finanziaria, Calderini, 1968, pag. 125). I diversi, alternativi sviluppi dell’ammortamento alla francese, in regime semplice o composto, sono oggetto di trattazione nei più recenti lavori di A. Annibali e C. Baracchini, P. Fersini e G. Olivieri, F. Cacciafesta, C. Mari e G. Aretusi.
[5] Appaiono palesarsi significative carenze ed omissioni nell’ordinaria formulazione contrattuale, rimasta negli anni sostanzialmente immutata, nonostante le reiterate modifiche normative volte a presidiare la corretta informazione e la piena consapevolezza del cliente che accede a contratti che risultano di prassi predisposti dall’intermediario. Per trascuratezza e scarsa diligenza, nel reiterare ridotti standard di trasparenza, ormai vetusti e superati, si sono perse nel tempo le nozioni ortodosse di ammortamento alla francese e all’italiana, che rimangono inintelligibili ai più, risultando, come detto, di regola assimilate esclusivamente a ‘rata costante’ e ‘quota capitale costante’. Si può presumere che originariamente, prima che l’uso ricorrente ne facesse perdere la memoria anche agli addetti al credito e alla stessa Banca d’Italia, gli aspetti di capitalizzazione composta e interessi riferiti al debito residuo fossero ‘notoriamente’ collegati e congiunti all’ammortamento francese (e italiano), ma non si ravvisasse la necessità e l’obbligo di renderne edotto anche il prenditore di fondi.
[6] Nelle disposizioni in vigore sino al 30 settembre 2015, nell’Allegato 4B relativo al foglio informativo del mutuo offerto a consumatori, alla nota (5) si riporta: ‘Se nel piano di ammortamento si applica il regime di capitalizzazione composta degli interessi, la conversione del tasso di interesse annuali i1 nel corrispondente tasso di interesse infrannuale i2 (e viceversa) segue la seguente formula di equivalenza intertemporale i2=(1+i1)t1/t2-1’. Nelle successive disposizioni, nel prospetto informativo europeo standardizzato (PIES) si riporta ‘Se il contratto di credito prevede il rimborso differito degli interessi (ossia quando gli interessi non sono rimborsati interamente con le rate ma si cumulano all’importo totale del credito residuo) sono illustrate le conseguenze per il consumatore con riguardo al debito residuo’. E, per la Sezione 7. Tabella di ammortamento semplificativa, si riporta: ‘Questa sezione è compilata quando: i) il tasso di interesse è fisso per tutta la durata del contratto di credito o ii) il contratto prevede il rimborso differito degli interessi (gli interessi non sono integralmente rimborsati con le rate e sono, invece, aggiunti all’importo totale del credito residuo)’.
[7] L’impiego del regime composto nei contratti di adesione predisposti dagli intermediari costituisce un’evidente espressione dell’asimmetria contrattuale ed informativa, radicata nel tempo, ancor prima dell’introduzione delle norme di trasparenza, correttezza e buona fede. Nell’inconsapevole acquiescenza, impossibilità e dipendenza dell’operatore che accede al credito, è divenuta ormai una prassi reiterata nel tempo, tanto da apparire ordinaria e legittima.
[8] Il mutuatario non ha modo di avvedersi della metodica di calcolo adottata dall’intermediario, salvo poi, nel tempo o nel caso di estinzione anticipata, cogliere con sorpresa (ex art. 1195 c.c.) l’evidenza che i versamenti effettuati - risultando per lo più rivolti al pagamento degli interessi maturati, preordinatamente definiti in regime composto - lasciano in buona parte da ripianare il capitale finanziato.
[9] A.A. Dolmetta, Trasparenza nei prodotti bancari, Regole, Zanichelli 2013, pag. 180.
[10] ‘Di solito si ritiene che la conformazione delle rate secondo il metodo di ammortamento alla francese – per quota capitale e quota interesse – non dia luogo, in quanto tale, a fatti anatocistici (così Trib. Modena, 11 novembre 2014, in Il caso.it; ABF Napoli, 8 luglio 2014, n. 4429). Simile struttura sembra legarsi, piuttosto, a un peculiare meccanismo di imputazione delle somme che il debitore viene via via a versare. Va peraltro registrata anche l’opinione secondo cui comunque l’”imputazione dei pagamenti fatta prima agli interessi produce un effetto anatocistico perché in generale contraria alla legge dell’interesse semplice”. In ogni caso- nella non difficile ipotesi in cui il cliente rimanga “sorpreso” dei risultati pratici in cui il meccanismo in concreto risulta condurre – potrà trovare applicazione la struttura rimediale disposta dall’art. 1195 c.’. (A.A. Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole “da inadempimento), Rivista di Diritto Bancario, 2015).
[11]Nell’ammortamento alla francese (o a rata costante), nelle modalità nelle quali è espresso l’enunciato pattizio, risulta assai frequente riscontrare a posteriori lo stupore e sorpresa della clientela retail che, dopo aver pagato per più anni le rate del mutuo, realizza di aver pagato prevalentemente interessi e costata un debito residuo eccessivamente elevato; non ne comprende la motivazione, riconducibile ai maggiori esborsi rispetto al regime semplice.
[12] A.A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari, Regole, Zanichelli, 2013, pag. 101. Osserva ancora Dolmetta: ‘Il sistema vigente considera autonomamente la posizione del predisponente, a questi riconoscendo (…)– come pure regolando e contendo – il potere decisionale di determinare i contenuti delle “condizioni” specificatamente confermatrici dell’operazione economica, poi serialmente tradotta nei contratti con gli aderenti. (...) a riguardo delle singole condizioni, di principio l’ordinamento sposta il tiro della sua attenzione dal profilo della volontà dell’aderente a quello della conoscenza, più o meno qualificata (e v., ancora, i commi 1° e 2° dell’art. 1341).Ora, proprio il descritto dislivello decisionale (:sul piano delle specifiche clausole residuando quello solo del predisponente) risulta inconciliabile con la sussistenza di un uso, che appunto esprime l’esito effettuale (:la regola come formata e come ancora sussistente) di una combinazione di posizioni giuridiche pariteticamente (formalmente, se non altro) del mercato. A differenza della legge, l’uso non rappresenta un’imposizione ex uno latere’. (A.A. Dolmetta, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della “certezza del diritto”, IusExplorer 22/1/18).
[13] ‘Ora, se si considera che alla base del divieto del rinvio agli usi di piazza per la determinazione degli interessi (v. art. 117, comma 6, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385) vi è l’interesse a tutelare la consapevolezza del cliente circa l’effettivo contenuto del contratto che sta per sottoscrivere e se si ritiene questo interesse, nell’attuale sistema, di fondamentale importanza (quindi di portata generale), non vi dovrebbero essere ostacoli teorici per ritenere che l’art. 117, comma 6, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.) contenga in sé un divieto generale per qualsiasi forma di relatio. E ciò proprio perché detto meccanismo, consentendo solo una valutazione ex post e non ex ante del contenuto contrattuale, si pone in contrasto insanabile con l’esigenza di certezza/consapevolezza che la forma è chiamata a svolgere in un sistema ispirato al principio di trasparenza. Un segnale da cui poter desumere che l’art. 117, comma 6, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.) è una norma materiale è dato dall’art. 118, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), cosí come modificato dall’art. 10 della legge n. 218 del 2006. Tale ultima norma, infatti, prevede espressamente che «nei contratti di durata può essere convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto qualora sussista un giustificato motivo nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1341, secondo comma, del codice civile». Tuttavia dette modifiche devono essere preventivamente comunicate al cliente «in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente» e che queste si intendono accettate se il cliente non recede entro sessanta giorni. Orbene, la circostanza che l’art. 118, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.) richiede espressamente che le modifiche unilaterali del tasso d’interesse devono essere preventivamente comunicate al cliente e che le stesse si intendono accettate solo se il cliente non recede entro sessanta giorni è indice del fatto che l’ordinamento reputa illecito non solo il rinvio agli usi per la determinazione degli interessi ultralegali, ma anche il rinvio a qualsivoglia fonte esterna al contratto che impedisca, in concreto, al cliente di avere contezza ex ante degli obblighi a cui deve far fronte. In conclusione, se si ammette che l’esigenza fondamentale del sistema attuale è quella di garantire la certezza/consapevolezza del contenuto contrattuale, sia al momento della stipula sia durante l’esecuzione del contratto, e si dà il giusto peso alle novità introdotte dall’art. 118, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), non pare vi siano ostacoli nel ritenere che l’art. 117, comma 6, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 contenga in sé un divieto generale a qualsivoglia forma di relatio. Allo stato, dunque, seppure il rinvio ad una legge, a differenza che agli usi, è atto a rendere certa la determinabilità dell’oggetto del contratto e quindi la determinabilità degli interessi, comunque esso priva la parte del rapporto, che subisce la modifica, di conoscere preventivamente in che cosa detta modifica si sostanzia’. (M. Verdi, Funzione della forma prescritta dall’art. 1284, 3° comma, c.c. e principio di trasparenza, Giur. It., 2007, 11, 2621).
[14] Ai contratti non è allegata la c.d. tabella di ammortamento, contenente il prospetto di ripartizione tra capitale e interessi di ciascun rimborso periodico. Al contempo, l’assenza di questa tabella non implica indeterminatezza del contratto e non impedisce al cliente di richiedere alla banca copia della tabella stessa, come documento contrattuale, secondo lo stabile indirizzo dell’Arbitro bancario finanziario (cfr. tra molte ABF Milano 3.5.2013 n. 2433). Cfr. anche Corte di Giustizia UE 9.11.2016, causa C42/15, Home Credit Slovakia, secondo cui “l’art. 10, par. 2, lett. h) e i), Dir. 2008/48 dev’essere interpretato nel senso che il contratto di credito a tempo determinato, che prevede l’ammortamento del capitale mediante versamenti consecutivi di rate, non deve precisare, sotto forma di tabella di ammortamento, quale parte di ogni rata sarà destinata al rimborso di tale capitale. Siffatte disposizioni, in combinato disposto con l’art. 22, par. 1, della direttiva in parola, ostano a che uno Stato membro preveda un obbligo del genere nella sua normativa nazionale”
[15] Con l’impiego della capitalizzazione composta, per lo sviluppo del piano di ammortamento, nel rispetto del menzionato art. 1194, 2° comma c.c., può essere scelto un criterio di imputazione degli interessi fra una variegata casistica, praticamente infinita sul piano matematico: l’imputazione può essere riferita alla quota capitale in scadenza o al debito residuo o secondo criteri intermedi o alternativi, purché soddisfacenti i vincoli di chiusura del piano.
[16] Risultano inesatte e fuorvianti le premesse addotte da M. Silvestri, G. Tedesco (‘Mutuo a tasso fisso e rimborso graduale secondo il sistema francese con rate costanti’, in Giur. Merito 2009, 82). Riportano gli autori: ‘In primo luogo vanno ricordati i principi fondamentali che regolano la costruzione dei piani di ammortamento, cioè: 1) Ciascuna rata costante è costituita da una quota interessi e da una quota capitale, ... 2) La somma delle quote capitale contenute nelle rate deve ammontare all’importo originario del prestito. 3) Con il pagamento della rata vanno riconosciuti tutti gli interessi maturati nel periodo cui la rata si riferisce. 4) In ciascuna rata la quota capitale è la differenza fra il totale della rata e la quota interessi del periodo’. Premessa questa definizione dell’ammortamento a rata costante, che non trova rispondenza nell’impiego usuale dei termini contrattuali, si perviene a considerare un’univoca metodologia di costruzione del piano, pervenendo in tal modo ad una conclusione riduttiva e difforme dalle risultanze che discendono dalla matematica finanziaria, sostenendo di conseguenza: ‘A un attento esame, una volta raggiunto l’accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito di rate costanti, neanche la misura della rata costituisce oggetto di una violazione in senso tecnico, perché la rata discende matematicamente da quegli elementi contrattuali: il rimborso di quel prestito, accordato a quel determinato tasso, rimborsabile con quel determinato numero di rate costanti può avvenire solo mediante il pagamento di rate costanti di quel determinato importo’. Tale conclusione rispecchia l’impropria definizione di ammortamento da cui è partita, pervenendo altresì, all’erroneo concetto che nella circostanza dell’ammortamento alla francese ricorre l’impiego del regime semplice. La conclusione viene ripresa e gli autori espressamente richiamati in una recente decisione dell’ABF di Milano (N. 24693 del 22/11/18). Il piano di ammortamento a rata costante, nella modalità usualmente impiegata dagli intermediari, si fonda sulla legge del regime composto, con sostanziali riflessi matematici che interessano sia l’imputazione al capitale che agli interessi: questo aspetto rimane sancito in ogni testo di matematica finanziaria, dal Bonferroni al De Finetti, dall’Insolera al Levi, per arrivare ai più moderni, Varoli, Trovato, Morriconi, Fersini ed Olivieri.
[17] La matematica finanziaria prospetta, nell’impiego del regime semplice, due soluzioni, che conducono a distinti valori della rata, in funzione dell’equivalenza prospettiva o retrospettiva. Tuttavia, nei termini giuridici che ordinariamente qualificano l’operazione di credito, rimane univocamente espresso il rapporto di equivalenza finanziaria basato sul criterio retrospettivo, informato al principio dell’art. 1194 c.c. nel quale, salvo diversa pattuizione, gli interessi divengono liquidi ed esigibili in uno con il capitale in scadenza. In ogni operazione finanziaria le parti convengono lo scambio di una somma ‘a pronti’, C al tempo t0, con una somma ‘a termine’, M = C + I al tempo tn. Come rileva il Varoli (Matematica finanziaria, Patron 1979, pag. 17): ‘nelle valutazioni delle operazioni che si svolgono in regime di capitalizzazione semplice il principio di equivalenza finanziaria deve essere applicato prendendo come tempo di valutazione la scadenza dell’operazione, scadenza stabilita quando è sorta l’operazione’. Coerentemente, nei finanziamenti con ammortamento graduale il rapporto di equivalenza è stabilito fra il capitale erogato al tempo t0, frazionato nei distinti rimborsi che intervengono ai tempi t1, t2, … con i relativi interessi divenuti liquidi ed esigibili, nel rapporto di proporzionalità degli artt. 821 e 1284 c.c., pari a Ck x (1 + 10% x k): tale equivalenza – rispondente propriamente al criterio di attualizzazione in regime semplice della rata costante convenuta – rimane implicita nel rapporto giuridico sotteso al credito e corrisponde matematicamente alla valutazione retrospettiva. Il metodo prospettivo - che riconduce i rimborsi periodici e il capitale iniziale in equivalenza finanziaria al termine del periodo – non trova alcun riscontro nel rapporto giuridico che qualifica le operazioni di credito e, in particolare, i finanziamenti con ammortamento progressivo: in tale criterio la spettanza che esita dal valore della rata pattuita non corrisponde propriamente agli interessi che giungono a maturazione nel corso del periodo, nella proporzionalità ex art. 1284 c.c. riferita al tempo dell’effettivo godimento del capitale sino al momento del rispettivo rimborso pro quota.
[18] Una parte integrante il contratto che impiega criteri e condizioni non previsti nell’enunciato, né espressi nell’allegato, rende inaccessibile, con l’ordinaria diligenza e conoscenza, la comprensione di tabelle numeriche esprimenti l’esito dei calcoli effettuati, contravvenendo alle elementari regole di trasparenza, correttezza e buona fede che presidiano il consapevole assenso del mutuatario. Che l’allegato non dispensi l’intermediario dal fornire i criteri di imputazione lo si evince anche dalla Direttiva sul credito al consumo che esclude addirittura la presenza in contratto del piano di ammortamento, mentre prevede l’indicazione puntuale delle condizioni (Cfr. Corte di Giustizia europea, sentenza ECLI: EU:2016:842). D’altra parte, note queste ultime, risulta ridondante l’allegato, mentre non è altrettanto vero il contrario.
‘Volendo pure prescindere dalla natura anatocistica del regime finanziario composto, appare di tutta evidenza, comunque, come il tasso di interesse non presenta i caratteri della determinatezza laddove si è ripetutamente sostenuto che “affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284, 3° comma, c.c. che è norma imperativa, deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse” (Cass. N. 12276/10); la norma richiamata richiede che il mutuatario deve essere posto in grado di conoscere il criterio di calcolo del costo del finanziamento sin dalla stipula del contratto’ (…) per scongiurare ogni effetto ‘sorpresa’, si imporrebbe comunque, nel testo del contratto, la precisazione del regime finanziario composto adottato nel piano di ammortamento, che conduce ad una lievitazione del monte interessi. (Trib. Campobasso, M. Dentale, n. 528/2020).
[19]Con riferimento al disposto dell’art. 1283 c.c. - se qualche residua perplessità dovesse insorgere ritenendo il divieto riferito esclusivamente agli interessi sugli interessi che, oltre ad essere scaduti, risultino altresì insoluti - con la nuova formulazione dell’art. 120 TUB, il divieto stesso risulta esplicitamente riferito agli interessi maturati (primari), con esclusione di ogni interesse ‘secondario’, senza qualsivoglia distinzione di scadenza o esigibilità; i contratti oggetto della sentenza sono stati posti in essere nel 2019, sotto l’egida della nuova formulazione, norma imperativa, per altro rilevabile d’ufficio.
[20] ‘Il saggio di interesse costituisce, infatti, la misura della fecondità del denaro (predeterminata ex legge o stabilita dalla autonomia negoziale) ed è normalmente determinato con espressione numerica percentuale in funzione della durata della disponibilità e dell'ammontare della somma dovuta o del capitale (cfr. art. 1284 c.c., comma 1), ed opera, pertanto, su un piano distinto dalla disciplina giuridica della modalità di acquisto del diritto, fornendo il criterio di liquidazione monetaria dello stesso indipendentemente dal periodo - corrispondente od inferiore all'anno - da assumere a base del conteggio (nel caso in cui occorra determinare, sulla base di un saggio di interesse stabilito in ragione di anno, l'importo degli interessi per un periodo inferiore, bisogna dividere l'ammontare degli interessi annuali per il numero di giorni che compongono l'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare)’. (Cass. n. 20600/2011).
Giova non incorrere nella frequente confusione terminologica che si riscontra nell’uso promiscuo dei termini ‘tasso effettivo’ e ‘interessi effettivi’, il primo impiegato nel linguaggio matematico con riferimento al TAE (Tasso Annuo Effettivo) che ricomprende i costi connessi al tempo del pagamento, che possono risultare ‘figurativi’ o ‘concreti’, il secondo, impiegato nel linguaggio giuridico con riferimento agli interessi effettivamente corrisposti. Coerente con la logica dell’art. 1284 c.c., come detto, è il regime semplice, nel quale il tasso è sempre riferito all’effettiva dazione degli interessi, nella proporzionalità al tempo, riferita esclusivamente al capitale. ‘Il parametro i che caratterizza una particolare legge appartenente al regime finanziario semplice rappresenta non soltanto l’interesse del capitale unitario per una unità di tempo ma anche “l’interesse per ogni unità di capitale e per ogni unità di tempo” Ciò dipende, manifestamente dal fatto che nel regime considerato l’interesse è proporzionale, oltre che al capitale, anche al tempo’.(M. Trovato, Matematica per le applicazioni finanziarie, Etas Libri, 1975). ‘Se i è il tasso di interesse, l’interesse complessivo di un capitale C per un tempo t è: I = C*t*i. Si parla in tal caso di interesse semplice (…) l’interesse risulta proporzionale al tempo, anzi questa proprietà può assumersi come definizione dell’interesse semplice’ (E. Levi, Corso di Matematica finanziaria e attuariale, Giuffré 1964).
[21] Cfr. anche C. Colombo, L’anatocismo, Giuffré, 2007, pag. 79, dove sul punto si richiama altresì Cass. n. 3500/86, Cass. n. 3805/04; Cass. n. 17813/02; Cass. n. 11097/04 e in dottrina, A. Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una storia infinita?, in Diritto Bancario, 2001; D. Sinesio, Il recente dibattito sull’anatocismo nel conto corrente bancario: profili problematici, in Dir. E giur. 2000. La Cassazione 2072/13 aggiunge altresì: ‘Ne consegue l’illegittimità tanto delle pattuizioni, tanto dei comportamenti – ancorché non tradotti in patti – che si risolvano in una accettazione reciproca, ovvero in una unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale’.
[22] Riporta V. Pandolfini: ‘Gli interessi anantocistici o composti, sono definibili come gli interessi sugli interessi già maturati. Una delle forme più comuni attraverso le quali si realizza il fenomeno anatocistico è la c.d. capitalizzazione, ovvero l’assimilazione degli interessi maturati alle somme costituite in capitale, a sua volta fruttifero. (...) E’ pacifico in dottrina e in giurisprudenza che la convenzione di interessi anatocistici stipulata prima della scadenza degli interessi semplici è nulla per violazione della norma di cui all’art. 1283 c.c., la quale è norma imperativa posta a tutela di un interesse pubblico e, in quanto tale, inderogabile dalle parti (Cass. 29.11.1971, n. 3479, in Giust. Civ. 1972, I, 518; Cass. 25.2.2004, n. 3805, in Foro it., 2004, I, 1765; App. Napoli, 31.1.1981, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, 143). Come per l’anatocismo giudiziale, anche quello convenzionale si ritiene, secondo l’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, che il concetto di debenza non coincida né con la maturazione né con la contabilizzazione degli interessi, bensì con il verificarsi di tutte le circostanze al ricorrere delle quali l’ordinamento giuridico consente al creditore di esigerne il pagamento.(...) si ritiene che la convenzione con la quale il debitore si obbliga a corrispondere interessi sugli interessi già scaduti da un semestre possa essere stipulata solo dopo che gli interessi (semplici) siano scaduti. (Cass. 10.9.1990, n. 9246, in Corr. Giur., 1990, 1271)’. (V. Pandolfini, Gli interessi pecuniari, Wolters Kluwer, 2016, pagg. 154 e segg.).
[23] A differenza del mercato dei prodotti finanziari, non risultano nel mercato del credito operazioni in regime composto informate alla capitalizzazione degli interessi (finanziamenti Zero coupon); se, d’altra parte rimanessero esclusi dall’applicazione dell’art. 1283 c.c. gli interessi corrisposti ogni qual volta il tempo di maturazione e di esigibilità della quota interessi coincidono, l’art. 1284 c.c., riferito dalla norma alla maturazione degli interessi, potrebbe, per lo stesso tasso, e la medesima scadenza pluriannuale di capitale ed interessi, essere impiegato liberamente in regime semplice o composto, con esiti economici alquanti dissimili: nella circostanza, risulterebbe ‘scardinata’ l’univocità convenzionale dell’unità di misurazione e con essa risulterebbe radicalmente minata l’omogeneità dei prezzi e l’efficienza del mercato.
[24] Nella circostanza, la velocità costante di produzione degli interessi, espressa dal tasso ex art. 1284 c.c., nell’algoritmo espresso dal regime composto, viene commisurata proporzionalmente al montante via via maturato, ragguagliandosi, in rapporto al capitale, in ragione esponenziale. Osserva G. Capaldo: ‘Altro l’interesse semplice, ossia l’interesse proporzionale al tempo e al capitale, altro l’interesse anatocistico, ossia l’interesse che in luogo di essere pagato o riscosso, o meglio sarebbe dire, nell’attesa che venga pagato o riscosso, è aggiunto al capitale che lo ha prodotto, senza con ciò fondersi in quello. L’interesse anatocistico si differenzia dall’interesse semplice per il modo di essere computato e in ragione della regola che ne controlla la determinazione quantitativa. Si tratta, infatti, di interesse composto, perché una volta che il capitale ha prodotto interessi, questi ultimi vengono idealmente sommati al capitale, al fine di calcolare gli interessi del periodo successivo’ (G. Capaldo, L’anatocismo nei contratti e nelle operazioni bancarie’, CEDAM, 2010, pag. 56).
[25] La dinamica finanziaria che si realizza nel piano di ammortamento alla francese adottato dagli intermediari presenta una sottile concatenazione logica. Non è affatto immediato sul piano intuitivo che, spesando prontamente alla scadenza delle rate il monte interessi maggiorato dell’anatocismo, si induce matematicamente una parallela accelerazione del roll over dei rimborsi, con rallentamento nella gradualità di estinzione del capitale, dalla quale si originano ulteriori interessi esattamente corrispondenti a quelli secondari, pagati anticipatamente, contemplati nel regime composto di determinazione della rata, trasformati di tal guisa in interessi primari.
Con un esempio elementare, per un prestito di € 1.000 al tasso annuale composto espresso dal TAN del 10% per il periodo di 4 anni, è indubbio che, con il pagamento annuale degli interessi maturati, il tasso convenzionale ex art. 1284 c.c. rimane invariato al 10%; ma se gli interessi vengono, prima definiti nella pattuizione al tasso composto C x (1+10%)4, corrispondente ad un ammontare di € 464,1, e poi corrisposti uniformemente nei quattro anni, il tasso convenzionale nel valore proporzionale dettato dall’art. 1284 c.c., non è più il 10,0%, ma ascende all’11,6%. Questo, in termini assimilati, é quanto si consegue con l’impiego del regime composto nella determinazione del valore maggiorato della rata pattuita, poi distribuita, con l’imputazione degli interessi sul debito residuo. Con la peculiarità che nell’ammortamento alla francese il vincolo della rata costante consente di impiegare un TAN pari al tasso convenzionale ex art. 1284 c.c. che, con il roll over dei rimborsi, viene a riferire l’obbligazione accessoria maggiorata ad un’obbligazione principale parimenti maggiorata. Si conserva il medesimo rapporto, riferito tuttavia a valori maggiorati di entrambe le obbligazioni.
[26] ‘Volendo spingere oltre questo ragionamento, tutti converranno che è inutile confrontarenumeri “assoluti”, poiché 1 miglio terrestre per definizione non equivale a 1 chilometro (1 miglio = 1,6km), ma che, se il confronto viene fatto tra grandezze equivalenti (5 miglia = 8 chilometri), la stradapercorsaA-B èidentica’. Come si mostrerà nel proseguo, nell’ammortamento alla francese, oltre alla diversa metrica impiegata, attraverso il roll over dei rimborsi, lo stesso percorso da A a B viene allungato.
[27] Solo con l’obbligazione principale definita compiutamente nei suoi valori, iniziale e periodale – direttamente richiamati in contratto o indirettamente definiti dal criterio di rimborso – con l’impiego dell’imputazione degli interessi riferiti al debito residuo, così come per l’ammortamento all’italiana, si consegue la medesima spettanza del regime semplice (Cfr.: La problematicità dell’ammortamento alla francese, in assoctu.it, in via di approntamento).
[28] Il regime finanziario composto costituisce la metrica di misurazione idonea ad un mercato efficiente e concorrenziale che renda indifferente finanziariamente il pagamento immediato degli interessi o il pagamento differito capitalizzato. Questo modello teorico incontra una soddisfacente rispondenza nel mercato finanziario, ricomprendente la generalità dei valori mobiliari, siano essi di natura obbligazionaria o di partecipazione. Il medesimo modello non può sic et simpliciter essere esteso al mercato del credito; non è funzionale a tale mercato in quanto risultano assenti i presupposti per un corretto funzionamento: l’asimmetria informativa e contrattuale, accompagnate dall’endemica carenza di concorrenza, tendono a creare diffuse rendite di posizione che, con una metrica di valutazione complessa, amplificherebbero squilibri e disfunzioni del mercato stesso. Nel contemperare esigenze diverse, il legislatore ha individuato per il mercato del credito una via mediana, introducendo un temperamento al principio generale del regime composto: ha consentito il pagamento anticipato degli interessi maturati, prima della scadenza del capitale, vietando, per contro, il fenomeno equipollente e complementare, della capitalizzazione degli interessi stessi. Con ciò si è voluto esclusivamente evitare che il prenditore del credito rimanesse ‘avvitato’ nella spirale ascendente della lievitazione esponenziale. Solo in questa seconda tipologia del regime composto (con capitalizzazione degli interessi) si ravvisano, infatti, concrete circostanze di rischio che il debitore venga gradualmente condotto al default e/o al sovraindebitamento. Questa scelta, tuttavia, crea una sostanziale distinzione fra matematica e diritto. Due fenomeni, perfettamente equipollenti sul piano matematico, trovano in campo giuridico una differenziazione: nella valutazione giuridica entrano ulteriori variabili, informate a valutazioni qualitative, che il matematico, nel modello teorico del libero mercato, trascura. Nella distinzione fra le due alternative del regime composto possono trovare soluzione le criticità che insorgono nell’analisi dei piani di ammortamento progressivo, dove non sempre il pagamento anticipato degli interessi maturati è posto in contrapposizione alla lievitazione esponenziale degli stessi.
[29] Nel regime semplice la produzione di interessi su interessi è esclusa, ma è altresì escluso che il pagamento degli interessi avvenga in un momento anticipato rispetto alla scadenza del capitale: é’ questa una qualità definitoria del regime semplice. L’ordinamento, con l’art. 1284 c.c. impone la velocità costante e proporzionale di produzione degli interessi rispetto al capitale ma, consentendo alle parti di convenire il pagamento degli interessi maturati, anticipato rispetto alla scadenza del capitale di riferimento, legittima il regime composto, nella modalità ‘leggera’ del pagamento periodico, che lascia invariata l’espressione monetaria della spettanza convenuta.
Costituiscono caratteri definitori del regime semplice l’uniforme proporzionalità degli interessi al capitale e al tempo di utilizzo, congiuntamente all’unitarietà della corresponsione degli stessi in uno con il rimborso del capitale alla scadenza. Nel regime composto tali caratteri ricorrono, su un piano alternativo, disgiuntamente: i) nel pagamento periodico degli interessi, anticipato rispetto alla scadenza del capitale di riferimento (tipo Bullet) si riscontra, di regola, il carattere proporzionale, ma viene meno l’unitarietà del pagamento degli interessi con il rimborso del capitale; ii) nella capitalizzazione degli interessi, alla scadenza del capitale (tipo Zero coupon), si riscontra l’unitarietà della corresponsione degli stessi con il rimborso del capitale, ma viene meno la proporzionalità a seguito della produzione secondaria degli interessi. Come accennato, l’ordinamento dispone, per l’espressione degli interessi convenuti nel credito, esclusivamente l’impiego del tasso informato alla metrica proporzionale, mentre non esige il rispetto del menzionato carattere di unitarietà, consentendo alle parti di convenire il pagamento degli interessi anche prima della scadenza del capitale, purché maturati. Nel prescrivere esclusivamente il carattere di proporzionalità, la metrica del tasso disposta dall’art. 1284 c.c. travalica il regime semplice, comprendendo anche il regime composto quando gli interessi conservano la natura primaria che lascia invariato l’importo proporzionale del regime semplice, ancorché corrisposto anticipatamente rispetto alla scadenza del capitale. E’ questo un aspetto sostanziale che frequentemente sfugge ai matematici i quali, assorbiti dall’egemonia della matematica finanziaria, assimilano tout court l’impiego del regime composto all’anatocismo.
[30] A. Nigro, ‘La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive’, in Dir. Banc., 1992, I, p. 421.
‘Ancorché il finanziamento Bullet e quello Zero coupon presentino, sotto l’aspetto propriamente finanziario, costi equivalenti, il primo risulta legittimato dall’ordinamento in quanto scompone il tasso composto, distintamente, nel rapporto proporzionale degli interessi al capitale, dettato dall’art. 1284 c.c. e, separatamente, nelle modalità di pagamento; il secondo, invece, nell’espressione sintetica del tasso composto, presenta, una celata maggiorazione del carico di interessi, rivolta a compensare finanziariamente la dilazione temporale del pagamento degli stessi’. (R. Marcelli, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsi, Banca Borsa e Tit. di Cred. 2021, n. 5).
[31] Emerge chiaramente che il vincolo di proporzionalità dettato dall’art. 1284 c.c., delimita l’applicazione del tasso quale parametro di calcolo (TAN) ad un ambito più ristretto di quello ricoperto nella matematica finanziaria. D’altra parte, il regime dell’interesse composto, come mostrato, non si pone in un rapporto di sinonimia con l’anatocismo, bensì è il Genus nel cui ambito si colloca l’anatocismo come Specie quando gli interessi vengono capitalizzati, in luogo di essere pagati anticipatamente. Si usa talvolta indicare il primo con ‘regime di capitalizzazione degli interessi (o esponenziale)’ e il secondo con ‘regime degli interessi anticipati’, per distinguerli dal ‘regime di capitalizzazione semplice’, nel quale, nei periodi intermedi prima della scadenza del capitale, non interviene né pagamento né capitalizzazione degli interessi maturati. L’anatocismo si identifica solo con la prima delle due anime che caratterizzano il regime composto.
‘... mentre in un regime di capitalizzazione semplice, il TAN può rappresentare una corretta misura del costo del finanziamento, esso perde questa sua caratteristica se declinato in regime di capitalizzazione composta: in questo secondo caso, per via della capitalizzazione, il TAN fornisce una misura sottodimensionata del prezzo costo dell’operazione’ (C. Romano, L’ammortamento a rata costante: anatocismo e trasparenza. Nuovi sviluppi della dottrina e della giurisprudenza, Convegno Assoctu 21 maggio 2021, in assoctu.it). Come detto, tasso convenzionale ex art. 1284 c.c. e TAN, ancorché espressi di regola nella medesima percentuale, rispondono a concetti distinti, l’uno giuridico, l’altro matematico: a causa dell’improprio utilizzo terminologico del TAN in luogo del tasso corrispettivo ex art. 1284 c.c., si riscontra frequentemente un uso promiscuo dei due tassi.
[32]Il dettato degli artt. 820, 821, 1283 e 1284 c.c., nonché dell’art. 120 TUB, interessa esclusivamente la velocità di produzione (maturazione) espressa nel rapporto proporzionale al capitale. Il tasso relativo alla ‘spettanza’ degli interessi ricompresa nel valore della rata calcolata in regime composto, capitalizza gli interessi, accelerandone la produzione. Per giunta, la capitalizzazione degli interessi implicita nella rata, nelle modalità ordinariamente adottate dagli intermediari, viene frequentemente applicata in ragione della periodicità della rata. L’esigibilità infrannuale della rata rimane distinta dal regime di capitalizzazione adottato, rispondendo a concetti distinti e separati. Nei piani di ammortamento, quando le rate sono disposte con cadenza infrannuale, si riscontra frequentemente l’adozione del tasso nominale proporzionale nella periodicità infrannuale pari a jm =i/m, in luogo del tasso equivalente jm = (1+i)1/m – 1. Con tale improprio espediente si introduce un’ulteriore maggiorazione, riportando la capitalizzazione dalla frequenza annuale alla frequenza infrannuale. Senza alcuno specifico assenso, quando è prevista la periodicità infrannuale delle rate, viene celata anche la capitalizzazione infrannuale, attraverso un’impropria formula di calcolo, contraria alle regole di matematica finanziaria, fatte proprie dalla Banca d’Italia ed esplicitamente espresse, sino al 2015, nell’allegato 4B delle norme di trasparenza. (Cfr. nota n. 5; cfr. anche E. Levi, Corso di Matematica finanziaria e attuariale, Giuffré 1964, pagg. 238 e segg.; R. Marcelli, L’ammortamento alla francese nei prestiti a larga diffusione: l’opacità delle rate infrannuali, in Contratti, 2021, 4;). Questo aspetto viene frequentemente confuso e/o trascurato nei lavori che si sono occupati del tema (cfr.: Silvestri e Tedesco, Sulla pretesa non coincidenza fra il tasso espresso in frazione d’anno e il tasso annuo nel rimborso rateale dei prestiti secondo il metodo “francese, in Giur. Merito, I, 2009, 82; Mantovi e Tagliavini, Anatocismo e capitalizzazione annuale degli interessi, in dirittobancario.it, giugno 2015).
Per altro, l’art. 6 della Delibera CICR 9 febbraio ’00, prima dei mutamenti introdotti dal legislatore all’art. 120 TUB, prevedeva che le clausole relative alla capitalizzazione infrannuale degli interessi non avessero effetto se non fossero specificatamente approvate. Ma prima ancora di essere specificatamente approvate, devono essere specificatamente riportate nel testo del contratto, attraverso modalità compiutamente acquisibili alla consapevolezza del prenditore.
[33] Ricordando l’ineludibile esigenza della corrispondenza biunivoca fra il tasso di interesse e l’ammontare degli interessi corrispondenti, non va trascurato quanto espresso da Scozzafava con riferimento al tasso ex art. 1284 c.c.: Nel linguaggio degli operatori giuridici e della legge, dunque, gli interessi individuano prima di tutto una tecnica di quantificazione di una prestazione e, poi, anche determinati frutti civili, creando così una tale confusione, che la problematica degli interessi è sempre stata una delle più intricate della scienza civilistica. La confusione è accresciuta dal fatto che le norme alcune volte richiamano il termine interessi, per individuare e dettare regole destinate ad incidere sul corrispettivo che il creditore ritrae dai contratti di credito (frutti civili), altre volte, invece, le norme, nel richiamare il termine interessi, individuano e dettano le regole destinate ad incidere su meccanismo di quantificazione di una prestazione. Orbene, in questa seconda categoria di norme va annoverato l’art. 1283 del codice civile, dal momento che in sua assenza ed in mancanza di un’apposita convenzione tra i privati, la modalità di quantificazione che viene individuata con il termine interessi, diventerebbe un meccanismo incontrollabile.’ (O.T. Scozzafava, L’anatocismo e la Cassazione: così è se vi pare, I contratti, N. 3/2005).
Come riporta V. Barba ‘L’interesse anatocistico si differenzia dall’interesse semplice per il modo di essere computato e in ragione della regola di matematica finanziaria che ne controlla la determinazione quantitativa’. (V. Barba. Interessi dovuti per effetto dell’inderogabile divieto di anatocismo, Obbligazioni e Contratti. 2009, pag. 539).
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