Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 26/09/2013 Scarica PDF
La soglia d'usura ha raggiunto un livello pari a 100 volte l'euribor: il presidio di legge è un argine o una copertura?
Roberto Marcelli, Consulente FinanziarioSommario: 1. Premessa; 2. L’usura ‘fotografata’ dalla Cassazione e l’usura gestita dalla Banca d’Italia; 2.1 La matematica della Banca d’Italia; 2.2 L’asimmetria nell’incidenza sul TEG di Interessi ed Oneri; 2.3 L’annualizzazione nelle nuove ‘Istruzioni’ e la successiva edulcorazione delle FAQ; 2.4 La nuova categoria ‘Scoperto senza affidamento’ introdotta dalle ‘Istruzioni’ a partire dal 2010; 3. Costo della raccolta e servizio del credito: un rapporto di 1 a 100; 4. Gli interessi di mora e le soglie d’usura; 5. I chiarimenti della Banca d’Italia del 3 luglio 2013.
1. Premessa
Nonostante i chiari e reiterati pronunciamenti della Cassazione, gli intermediari bancari continuano a fare esclusivo riferimento alle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, prestando scarsa considerazione ed attenzione a taluni aspetti di opacità di queste ultime, la cui lettura, più che ispirarsi alla sovraordinata norma di legge e ai principi interpretativi dettati dalla Cassazione, viene spesso preordinata a ‘coprire’ comportamenti opportunistici.
Da parte degli intermediari si continua ad anteporre la norma amministrativa a quella primaria. D’altra parte anche la Banca d’Italia, protesa a un egemone controllo e governo del mercato del credito, non sembra prestare considerazione alcuna alle pronunce di definizione dei dettami legislativi offerte dall’Autorità giudiziaria: come dice il prof. A.A. Dolmetta, parlare della norma senza far cenno alla giurisprudenza è come tagliare la mela in due e buttarne via una parte.
Una celata frizione si trascina da lungo tempo, in materia di soglie d’usura. L’Istituto Centrale, sin dai lavori parlamentari di preparazione alla l. 108/96, ha reiteratamente espresso, in Commissioni parlamentari e consessi pubblici, la propria opinione contraria ad ogni limitazione amministrativa al costo del credito che, anziché contenere, favorisce il fenomeno dell’usura criminale[1]. D’altro canto la Banca d’Italia è chiamata a rilevare i parametri medi di mercato di individuazione delle soglie e a presidiare il rispetto delle norme da parte del sistema bancario. Sia nell’una che nell’altra funzione le scelte e decisioni assunte, in oltre quindici anni, palesano una mascherata resistenza all’applicazione di una norma non condivisa, attraverso ‘Istruzioni’ e chiarimenti che vengono depotenziando il presidio di legge.
La Cassazione, nei linguaggi suoi propri, aveva già mandato chiari segnali premonitori, sia delimitando l’ambito operativo dell’organo amministrativo previsto dalla legge 108/96[2], sia definendo i contorni giuridici delle Commissioni di Massimo Scoperto[3], un comodo cuscinetto posto dalla Banca d’Italia al di fuori della rilevazione dei tassi soglia.
I segnali sono rimasti inascoltati e le parti istituzionali permangono discoste. Da un lato la Banca d’Italia, protesa nella sua funzione istituzionale volta a garantire il governo del credito, e per ciò stesso attenta alle esigenze degli attori ad essa sottoposti, dall’altra la Cassazione nella sua funzione di cassa di risonanza delle istanze sociali che, sormontando il vaglio dei primi giudizi, approdano con richieste di un più maturo livello di giustizia. In tanti anni è mancato un dialogo e un confronto fra le due istituzioni, che esprimesse una sintesi nei superiori interessi dell’organizzazione sociale.
La contrapposizione è emersa, in termini eclatanti, nelle recenti sentenze della Suprema Corte Penale (II Sez. Pen. n. 12028/10, II Sez. Pen. n. 28743/10, II Sez. Pen. n. 46669/11), con le quali è stato esplicitamente censurato il comportamento della Banca d’Italia, per non aver operato in maniera compiuta all’approntamento del presidio disposto dalla legge 108/96. La circostanza non ha precedenti e costituisce un fermo richiamo al rispetto dei distinti ruoli istituzionali e ambiti di competenza.
Una significativa correzione delle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia in materia di usura era già intervenuta, prima delle menzionate sentenze, all’indomani della legge n. 2/09. Tuttavia apprezzabili criticità permangono anche con le nuove ‘Istruzioni’ e presagiscono un conflitto che al momento non vede soluzione.
Con la concentrazione e privatizzazione dell’operatore bancario, avviata nei primi anni ’90, si sono radicalmente modificate le logiche di conduzione della politica aziendale degli intermediari: le finalità di interesse pubblico – tutela del risparmio e corretta allocazione del credito – risultano ormai condizionate da spinte opportunistiche di bilancio che incontrano un debole presidio nell’Organo di Vigilanza.
In particolare, nei comportamenti in materia d’usura, sul piano civile assume spesso rilievo discriminante il rapporto costi/benefici dove, per il primo termine del rapporto, il rilievo economico è assai modesto (spese di causa, sanzioni Banca d’Italia, danno di immagine) in rapporto ai benefici che si possono conseguire su un’ampia platea di clienti. Occorre non trascurare la rilevante prerogativa di cui gode l’intermediario bancario: la legge viene talora interpretata in chiave opportunistica e direttamente applicata, ponendo mano nei conti della clientela; l’addebito di interessi, oneri e spese determina l’immediato trasferimento patrimoniale dal cliente all’intermediario e, qualora illecito, sarà il cliente a dover avviare un’endemica vertenza per la ripetizione dell’indebito.
Sul piano penale, buona fede e favor rei hanno sino ad oggi di fatto arenato i procedimenti di accertamento d’usura. Le ‘difformi’ Istruzioni della Banca d’Italia hanno per lungo tempo prestato una ‘copertura’ all’operato degli intermediari bancari consentendo, nel rispetto della forma, di disattendere l’art. 644 c.p. [4].
Nella nota sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria (n. 10971/10), riesaminata dalla Cassazione Pen. n. 46669/11, non si sono ravvisate le condizioni del reato penale, mancando la consapevole volontà di praticare usura: gli sporadici e modesti debordi accertati dal consulente tecnico – secondo le Istruzioni della Banca d’Italia – sono stati attribuiti a negligenza[5]. Non si è disposto alcun accertamento sulla diffusione dell’illecito riscontrato, trascurando la circostanza che i tre istituti bancari coinvolti nel procedimento presentavano sportelli diffusi in tutto il territorio nazionale. I debordi in parola, ancorché singolarmente modesti, se estesi alla totalità della clientela assumono a livello aggregato una dimensione significativa: con rapporti di conto distribuiti su una platea di milioni di clienti, anche in un illegittimo onere di pochi euro si può ravvisare una volontà preordinata al perseguimento di un illecito incremento dei profitti di bilancio.
Senza un coordinamento del disposto amministrativo, un pervasivo controllo dell’Autorità di Vigilanza e un adeguato presidio sanzionatorio, i principi di trasparenza e le sollecitazioni a comportamenti di etica sociale appaiono acqua fresca in un terreno incolto. Finché non si creano i presupposti per una piena concorrenza che possa esplicare significativi effetti di calmierazione dei prezzi – e questo è lungi dal riscontrarsi soprattutto nei rapporti di credito in conto corrente – la posizione di riserva di legge favorisce comportamenti che, cogliendo i tempi prolassati di intervento della giurisprudenza di legittimità, reagiscono opportunisticamente agli interventi normativi sino a cogliere le opacità che rendono inapplicabile il presidio penale.
Le stesse regole di mercato inducono spinte al profitto che esasperano i comportamenti ‘aggressivi’ sino al limite di legge ed oltre: con l’indesiderato riflesso di sospingere ai margini del mercato proprio quegli intermediari più cauti e prudenti che cogliendo la discrasia fra norma di legge e disposizione amministrativa vengono adottando comportamenti a rispetto dell’una e dell’altra.
E’ naturale e consequenziale che l’imprenditore bancario adotti strategie di mercato che massimizzino i profitti, nell’ambito delle regole definite dalle norme e dalle indicazione della Banca d’Italia: la patologica proliferazione di commissioni, oneri e spese, a cui si è assistito negli ultimi quindici anni, è tutta riconducibile alla discrasia insita nella norma amministrativa che ha prevalso sulla norma di legge. Motivi opportunistici di bilancio hanno suggerito agli operatori bancari di privilegiare le indicazioni della Banca d’Italia, confidando nella generale moratoria che le recenti sentenze della Cassazione penale hanno dovuto riconoscere per il periodo precedente il 2010.
Dopo le ineludibili pronunce della Cassazione e le modifiche legislative che, seppur nel rispetto delle esigenze imprenditoriali dell’operatore bancario, hanno definito con maggiore rigore i termini del rapporto di credito, il sistema bancario viene ora a trovarsi maggiormente impegnato e compresso fra obiettivi di bilancio, vincoli amministrativi, rischi legali e reputazionali. I rischi penali di usura, apprezzabilmente lievitati negli ultimi tempi, vengono destando serie preoccupazioni nella compagine di vertice delle strutture bancarie, che la recente Cassazione n. 46669/11 ha individuato come presidio primario, al quale non è consentita alcuna negligenza, omissione organizzativa o carenza professionale[6].
Una forma di soccorso non trascurabile continua ad essere prestata nei rimedi e temperamenti offerti dagli aggiornamenti e chiarimenti alle ‘Istruzioni’ provenienti dalla Banca d’Italia. Dopo gli interventi di censura della Cassazione Penale ai criteri di inclusione degli oneri, sostanzialmente corretti nelle nuove ‘Istruzioni’, le criticità di applicazione della normativa sull’usura si accentrano sulla classificazione del credito e la corretta misurazione del costo.
2. L’usura ‘fotografata’ dalla Cassazione e l’usura gestita dalla Banca d’Italia
L’usura nella realtà moderna assume fattezze assai complesse, con risvolti peculiari, propri all’ambito e alle circostanze nelle quali si realizza. Non vi è dubbio che l’usura criminale presenti aspetti che si discostano profondamente dall’usura bancaria, se non altro per le connotazioni di ‘violenza’ sia fisica che psicologica che la caratterizza. La legge 108/96, seppur concepita come presidio generale all’usura, è calata propriamente sulla realtà bancaria, elemento di congiunzione istituzionale fra i centri di formazione del risparmio e di impiego delle risorse finanziarie[7].
La remunerazione del denaro assume, di regola, valori crescenti con il rischio dell’impiego a cui lo stesso é rivolto: l’intermediario interponendosi fra risparmiatore ed imprenditore si fa carico del rischio e della selezione delle imprese meritevoli di finanziamento. Risultando le risorse finanziarie limitate, queste vengono allocate privilegiando le iniziative più affidabili, suscettibili di conseguire risultati economici in grado di coprire compiutamente i fattori della produzione, ivi compresa la remunerazione del capitale impiegato[8].
L’interesse percepito dall’intermediario, oltre ai costi del servizio, deve remunerare adeguatamente il risparmio raccolto e coprire i rischi assunti, così che i costi dei finanziamenti con esito negativo vengono di fatto spalmati proporzionalmente sui finanziamenti aventi un esito positivo. La moderazione del costo è pertanto riposta in una corretta allocazione del credito, in grado di discriminare efficientemente le iniziative economiche e massimizzare il rapporto rischio/rendimento. Si tende a privilegiare gli impieghi a minor rischio per i quali un minor interesse è sufficiente a coprire e stabilizzare i costi del servizio prestato.
La legge pone un limite alla remunerazione del denaro, sia per indirizzare l’allocazione delle risorse finanziarie verso impieghi meno rischiosi e più stabili, sia per evitare che il costo del denaro venga a comprimere eccessivamente la remunerazione degli altri fattori produttivi.
Ponendo un limite alla remunerazione del denaro si sono implicitamente escluse dal merito di credito quelle iniziative il cui rischio, vuoi per la natura dell’impresa, vuoi per la precarietà dei fattori produttivi che intervengono, risulta eccessivo. L’intermediario potrà allocare le risorse raccolte selezionando le iniziative che gli consentono, entro il limite di remunerazione fissato dalla legge, di coprire adeguatamente costi, rischi e servizio prestato: lo spread sul tasso medio di mercato fissato dalle legge 108/96 rappresenta l’arco di maggior rischio assumibile rispetto ad un ordinario impiego della medesima categoria di credito.
La rilevanza attribuita al limite fissato dalla legge ha richiesto uno specifico presidio penale. Un equivoco di fondo ha tuttavia accompagnato, sin dall’origine, l’applicazione della legge 108/96, pregiudicandone apprezzabilmente la determinatezza e tassatività.
Nel rispetto della riserva di legge in materia penale, il compito assegnato all’organo amministrativo viene esplicitamente circoscritto alla mera rilevazione del tasso medio del mercato del credito. Poiché si riscontrano sul mercato valori assai differenziati in funzione della tipologia del credito, la rilevazione viene stabilita con riferimento a ciascuna categoria di credito, secondo una classificazione fissata annualmente dal MEF, Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia.
Già questo aspetto introduce un’apprezzabile discrezionalità, ancorché la legge ne fissi i criteri applicativi. Ulteriori margini discrezionali sono stati ricavati negli spazi più propriamente tecnici che la legge non definisce in quanto di comune impiego in materia finanziaria.
Ne sono derivate, nella fase applicativa della legge, forzature logico-concettuali e peculiari classificazioni del credito che, travisando lo spirito della legge, introducono ampi spazi di flessibilità entro i quali risulta esercitata dall’organo amministrativo una vera e propria gestione dei limiti d’usura.
Per altro, finalità di certezza nella verifica del rispetto delle soglie d’usura, oltre che di accostamento logico di confronto, hanno indotto il MEF a prevedere all’art. 3, comma 2: “Le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia.”.
Il termine ‘criteri di calcolo’ è stato inteso nella sua accezione più ampia, dalla stretta formula di calcolo del TEG ai criteri di inclusione previsti nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia.
Proprio questo disposto ministeriale ha rimesso alla Banca d’Italia ampi spazi discrezionali, offrendo al tempo stesso, una protezione all’operatore bancario dall’eventualità di incorrere nella sanzione penale. Sin dall’inizio, l’esclusione delle CMS e di altre spese che accompagnano l’erogazione del credito, oltre all’inedita formula di calcolo del TEG, si sono posti in contraddizione con il chiaro tenore dell’art. 644 c.p.. La salvaguardia frapposta dal menzionato art. 3, comma 2, ha creato quell’incertezza applicativa, impedendo giudizi informati a chiari principi di tassatività e sufficiente determinatezza della fattispecie penale. Si è in tal modo venuto divaricando il piano civile da quello penale dell’usura: la fonte sovraordinata del disposto dell’art. 644 c.p., che individua l’elemento oggettivo dell’usura, è risultata privata dell’elemento soggettivo di consapevolezza e volontà, al quale si riconnette la sanzione penale.
Attraverso il riferimento indotto dall’art. 3, comma 2, del decreto ministeriale, le valutazioni tecniche e scelte interpretative adottate dalla Banca d’Italia per la rilevazione del TEGM, sopravanzano il compito di ‘fotografare’, venendosi impropriamente a fondere con i criteri di verifica dell’usura. Attraverso la veste tecnica le scelte operate dalla Banca d’Italia si trovano a interagire significativamente con l’applicazione della norma penale. Si sono venuti in tal modo a costituire apprezzabili margini di discrezionalità presso la Banca d’Italia, sottratti ad ogni forma di specifica regolamentazione della norma sovraordinata.
La tassatività della norma primaria si trasla nella norma secondaria e, se quest’ultima viene a confliggere con la prima, risulta pregiudicata la certezza della norma e vanificato il presidio penale. Quando i periti di parte e d’ufficio pervengono, sulla base di ricostruzioni tecnicamente corrette, a risultati divergenti che rispecchiano le potenziali discrasie fra norma primaria e norma amministrativa, il giudice potrà vagliare le scelte operate ed accertare la condotta illecita ma, il più delle volte, non potrà ritenere integrato il reato, per carenza dell’elemento soggettivo.
Come è noto, l’introduzione delle soglie d’usura a partire dal ’97 ha indotto un esasperato innalzamento ed impiego delle CMS, non ricomprese nella determinazione del TEGM, ed una proliferazione delle spese connesse al credito per la loro edulcorata incidenza nel calcolo del TEG[9]. I recenti interventi legislativi e le nuove ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, con l’inclusione nel TEGM delle prime (poi soppresse dal D.L. 6/12/11 conv. legge 22/12/11, n. 214) e la limitazione posta alle seconde, hanno rimosso questa specifica lacuna che per lungo tempo ha impedito un pieno dispiego del presidio penale.
Permanendo il disposto dell’art. 3, comma 2 dei decreti ministeriali, altre ed in parte nuove anomalie vengono pregiudicando l’applicazione dell’art. 644 c.p.. Il collegamento alla complessa articolazione delle Istruzioni di rilevazione del TEGM della Banca d’Italia pone significativi problemi di coerenza con la norma sovraordinata, riflettendo scelte informate ad un’accentuata discrezionalità che appaiono discostarsi da criteri oggettivi e creano discrasie di apprezzabile rilievo se applicati pedissequamente alla verifica del rispetto delle soglie d’usura.
Per altro le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia sono risultate successivamente interpretate, integrate e modificate dalle FAQ (Risposte ai quesiti in materia di rilevazione del TEGM, 1 febbraio ’10 e, in particolare, 1 dicembre 2010), rendendo mutevole, complessa e variegata la sfera applicativa del rispetto delle soglie, con un’inevitabile pregiudizio al principio di determinatezza e tassatività della norma.
Le ‘Istruzioni’, e le FAQ della Banca d’Italia, nonostante il menzionato richiamo dell’art. 3, comma 2 dei decreti ministeriali, rimangono comunque sottordinate al disposto di legge, al quale sostanzialmente devono essere informati i comportamenti bancari. Questo aspetto viene esplicitamente ribadito dalla Cassazione n. 46669/11: “Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito.”.
Con questa chiara e dirimente enunciazione, la Cassazione ha posto un rigido baluardo all’art. 644 c.p., presidiando la norma da letture di parte che in passato ne hanno minato una corretta applicazione.
Non appare più sufficiente il formale rispetto delle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia per escludere, in ogni caso, rilevanza e pregnanza soggettiva del reato d’usura; soprattutto nelle concrete circostanze nelle quali anche solo dubbi e perplessità determinano, in termini logici, l’accettazione del rischio d’usura[10].
2.1 La matematica della Banca d’Italia
Sin dall’ introduzione della legge 108/96, si temeva che la rigidità delle soglie potesse precludere eccessivamente l’accesso al credito, con limitazioni discriminanti in particolare per quei settori più fragili e quei territori più sfavoriti logisticamente.
Non potendo temperare la rigidità del limite posto dalla norma, l’intervento della Banca d’Italia si è appuntato, oltre che sui criteri di inclusione degli oneri, sulla misurazione di detto limite, piegando la matematica finanziaria entro un algoritmo inedito (TEG) che restituisce un valore del costo del credito inferiore al tasso ordinariamente utilizzato nel mercato (TAEG).
I criteri di inclusione di commissioni, oneri e spese e la correzione alla tradizionale formula inversa del tasso di interesse sono apparsi inizialmente di scarso rilievo pratico, risultando le CMS e le spese di modesta entità.
La formula ideata dalla Banca d’Italia è del tutto sconosciuta alla matematica finanziaria. Con tale formula si realizza un improprio allentamento del vincolo disposto dall’art. 644 c.p., introducendo una discriminazione fra interessi da un lato e commissioni, oneri e spese dall’altro: ai primi si applica rigidamente il disposto normativo, riferendoli al credito erogato, mentre ai secondi si applica un diverso e più edulcorato vincolo, riferendoli al credito accordato o, al più, al massimo credito concesso nel trimestre, replicando per questa via la stessa distorsione di calcolo delle CMS, soppresse dal legislatore.
I menzionati criteri di inclusione e l’algoritmo di calcolo proposto, estesi dalla rilevazione del TEGM alla verifica del rispetto delle soglie, hanno liberato spazi di flessibilità, consentendo all’intermediario di modificare discrezionalmente il costo del credito, lasciando invariato il valore del TEG rilevato con l’inusuale metro di misura concepito dalla Banca d’Italia.
Volendo praticare, in termini matematici corretti, un’applicazione letterale dell’art. 644 c.p., occorrerebbe far esclusivo riferimento all’usuale formula finanziaria (TAEG) indicata nei manuali di tecnica bancaria, in Direttive comunitarie e in disposizioni legislative, ottenuta rapportando l’intero aggregato di interessi, commissioni e spese al credito medio concesso nel trimestre.[11].
Il TAEG, come tasso annuo onnicomprensivo, si attaglia perfettamente al concetto di interesse allargato espresso dall’art. 644 c.p., che non opera alcuna distinzione fra interesse in senso stretto e commissioni, oneri e spese.
Tuttavia tale formula di calcolo, nella rilevazione statistica di un valore medio di mercato, curata ex post, presenta difficoltà applicative in presenza di costi fissi che vengono esatti a prescindere dall’importo del credito utilizzato o in presenza di costi variabili (CMS) commisurati non all’utilizzo nel tempo, ma puntualmente sull’importo massimo utilizzato. Per un utilizzo esiguo o nullo del credito, la presenza di un costo fisso conduce a valori del TAEG marcatamente elevati, tendenzialmente illimitati; analogamente per un costo puntato sul massimo utilizzo, come è stato per lungo tempo per la CMS.
Nelle Istruzioni per la rilevazione delle soglie d’usura, la Banca d’Italia, per evitare le anomalie sopra menzionate, che avrebbero potuto rendere inconsistente e scarsamente significativo il valore del TEGM, ha adottato la menzionata formula di calcolo che introduce una correzione al tasso effettivo: gli interessi rimangono commisurati al credito, mentre gli oneri e spese vengono commisurati non al credito utilizzato, bensì al fido accordato o, in assenza di fido, al massimo scoperto.
Per di più, nelle ‘Istruzioni’ in vigore dal ’97 a tutto il ’09, per commissioni, oneri e spese era omessa nella formula di calcolo l’annualizzazione, così che gli interessi venivano riferiti all’anno, mentre le commissioni, gli oneri e le spese erano riferite al trimestre.
La rilevante asimmetria fra interessi in senso stretto e le altre voci di costo ha assecondato e favorito la rapida proliferazione di queste ultime, esasperando la discrasia fra le ‘Istruzioni’ e il dettato dell’art. 644 c.p.. Quest’ultimo, allargando il concetto di interesse a commissioni, oneri e spese, riferisce l’intero aggregato dei costi sopportati al tempo e all’importo del credito erogato, senza alcuna distinzione né deroga, salvo le imposte e tasse.
Le preordinate anomalie hanno retto per oltre tredici anni, sino alla censura della Cassazione Penale, il cui giudizio si è appuntato sui criteri di inclusione di commissioni, oneri e spese, in particolare delle CMS, ma i principi ribaditi dalle pronunce coinvolgono più in generale tutti gli aspetti che intervengono nella verifica dell’usura.
Con i recenti provvedimenti legislativi è stata soppressa l’iniqua CMS ed è stato posto fine ad un impiego ‘sconsiderato’ di oneri e spese, riconducendo ad un’unica voce, commisurata ai costi, le spese di istruttoria e di affidamento che accompagnano la concessione del fido e dello scoperto.
Onde evitare che tali oneri, nell’evenienza di anomale sproporzioni con il credito erogato, conducano il TEG praticato oltre la soglia, gli operatori bancari si sono dotati di algoritmi di ‘cimatura’ di commissioni e spese che automaticamente riportano entro il tasso soglia gli importi addebitati.
La formula della Banca d’Italia, con l’inclusione nel TEG di tali spese fisse, è divenuta anacronistica, essendo venuta meno la motivazione della sua inedita formulazione. Le commissioni di istruttoria e affidamento – afferenti il servizio preliminare di messa a disposizione dei fondi, distinto dal credito utilizzato – sono ormai regolate da specifiche norme e potrebbero anche essere escluse dalla verifica dell’usura, mentre le altre spese potrebbero ben rientrare, senza distinzione alcuna, nella tradizionale formula degli interessi.
La Banca d’Italia, nelle nuove ‘Istruzioni’ divenute operative dal ’10, ha ritenuto di conservare la menzionata formula rettificata. Ha tuttavia ricompreso più compiutamente nel calcolo tutte le spese attinenti il credito, correggendo l’anomalia delle commissioni, oneri e spese, prima considerati solo su base trimestrale. In particolare:
i) sono state ricomprese nel calcolo del TEG sia le CMS sia ogni altra voce di spesa collegata al credito, ivi comprese quelle preliminari all’erogazione, la commissione di affidamento e di istruttoria veloce. Inoltre, onde evitare facili elusioni, il criterio di inclusione è stato spostato dagli interessi, oneri e spese percepiti dalla banca al totale dei costi, a qualunque titolo, subiti dal cliente nell’accesso al credito, ricomprendendo anche gli oneri e spese riferiti a servizi prestati da terzi (assicurazioni, mediatori, periti, ecc.)[12];
ii) in ottemperanza al disposto legislativo 108/96 che prevede la rilevazione del tasso effettivo riferito all’anno, si è prevista l’annualizzazione, oltre che degli interessi, anche degli oneri, intendendo rimuovere la palese incongruenza delle precedente formula di calcolo che, mentre rilevava l’interesse su base annua, rilevava gli oneri e spese riferiti al trimestre[13].
In un’espressione concettualmente più accessibile, il TEG impiegato dalla Banca d’Italia per la rilevazione statistica del tasso medio di mercato è dato da:
Con le modifiche operate, il TEG impiegato per la determinazione del tasso medio di mercato (TEGM) è stato accostato al TEG riveniente dall’art. 644 c.p. ma significativi aspetti di opacità continuano a prestare il fianco a comportamenti degenerativi dell’attività creditizia.
2.2 L’asimmetria nell’incidenza sul TEG di Interessi ed Oneri
Come osservato, la formula rettificata del TEG adottata dalla Banca d’Italia per la rilevazione del tasso medio di mercato è la risultante della somma di due frazioni: una corrispondente al TEG Interessi, correttamente annualizzati e rapportati al credito medio del trimestre, l’altra corrispondente al TEG Oneri, rapportati al fido o al credito massimo utilizzato, che precedentemente non era annualizzato, mentre con le ultime ‘Istruzioni’ ‘dovrebbe’ essere annualizzato: vedremo più avanti che anche nei criteri di annualizzazione si celano significativi margini di edulcorazione.
Un esempio aiuta a comprendere le incongruenze della formula del TEG e le ragioni per le quali le banche, nel corso dei tredici anni precedenti il provvedimento n. 2/09, hanno potuto introdurre una serie indefinita di commissioni, spese ed oneri, aumentando impropriamente il costo del credito senza debordare i limiti d’usura.
E’ ormai frequente incontrare un estratto conto nel quale gli oneri addebitati sono prossimi agli interessi: si è assistito talora ad addebiti di commissioni che sopravanzavano gli stessi interessi; ora le CMS sono state abolite ma le nuove commissioni conservano un’incidenza comunque apprezzabile.
Nell’esempio riportato, con € 1.000 di interessi e € 800 di oneri, il costo del credito, secondo l’usuale formula finanziaria (TAEG), si ragguaglia al 19,91%. E’ incontrovertibile che questo sia l’effettivo costo del credito, al quale fa riferimento l’art. 644 c.p..
Vi è piena simmetria fra interessi ed oneri, nel senso che il rapporto fra i rispettivi TAEG corrisponde al rapporto fra i rispettivi importi. Com’è implicito nella formulazione dell’art. 644 c.p., è indifferente la natura dell’addebito: uno stesso importo se addebitato a titolo di interessi o a titolo di oneri non induce alcuna modifica nel TAEG complessivo.
Al contrario, con le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia in vigore fino al ‘09, ancorché gli oneri (€ 800) siano prossimi agli interessi (€ 1.000), il relativo TEG si commisura all’1,49%, pari a meno di 1/7 del TEG interessi (11,06%).
E’ evidente l’abnorme divario: mentre il TEG relativo agli interessi rimane invariato all’11,6%, come nel TAEG, il TEG relativo agli oneri si riduce dall’8,85% del TAEG all’1,49% del TEG.
Questa palese asimmetria è riconducibile alla circostanza che gli oneri sono riferiti al credito massimo o fido accordato, non al credito medio; inoltre non sono calcolati su base annuale per cui hanno un peso ridotto ad un quarto (base trimestrale). Il TEG complessivo si ragguaglia al 12,55%, pari a 2/3 del costo effettivo del credito (TAEG 19,91%).
L’asimmetria nell’inedita formula di calcolo delle ‘Istruzioni’ fra l’incidenza degli interessi e quella degli oneri è stata prontamente colta dagli intermediari bancari che, oltre ad ampliare ed estendere ad altre categorie di credito l’applicazione delle CMS, completamente escluse dal TEG, hanno accresciuto gli oneri e spese, sfruttando altresì gli incerti confini che separano il servizio del credito dagli altri servizi prestati in conto, il cui costo è anch’esso escluso dal calcolo del TEG[14].
Questi sono stati i criteri che, per oltre tredici anni, hanno presieduto la materia dell’usura, sotto l’egida delle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia.
I criteri di inclusione, come l’inedita formula di calcolo, più che rispondere ad un’oggettiva metodologia di individuazione del tasso medio di mercato (TEGM), sono risultati orientati a precostituire margini di flessibilità, dei quali ha ampiamente abusato l’operatore bancario.
Come per l’esclusione delle CMS, non si ravvisa alcuna ragionevole motivazione finanziaria per l’omessa annualizzazione nella formula del TEG. La motivazione va individuata altrove, in quanto accennato in premessa: nel timore di coartare eccessivamente, con vincoli amministrativi, la funzione creditizia, si sono adottati criteri ‘laschi’ di rilevazione del TEG, condizionando – attraverso il forzato inserimento dell’art. 3, comma 2, dei decreti ministeriali – la verifica dell’usura prevista dall’art. 644 c.p. a tali criteri attraverso uno stereotipo di omogeneità, non previsto né necessitato da pretestuosi collegamenti logici e finanziari.
Con le nuove ‘Istruzioni’ la discrasia non è stata rimossa, ma solo ridotta: con la prevista annualizzazione degli oneri (x 4), quando correttamente operata, il relativo TEG Oneri passa al 5,95%, ma rimane sempre riferito al credito massimo, anziché a quello medio. Il TEG complessivo si ragguaglia al 17,01%, comunque inferiore al costo del credito (TAEG 19,91%).
Come accennato, la necessità di rendere consistente e significativo il valore del TEGM ha indotto la Banca d’Italia a non rimuovere la rettifica all’ordinaria formula del tasso effettivo, mantenendo la doppia frazione di calcolo. Il riferimento al credito erogato, previsto dall’art. 644 c.p., si applica solo agli interessi, mentre per commissioni, oneri e spese il riferimento è sostituito con il credito accordato o con il credito massimo del trimestre. Con il riflesso che l’incidenza sul TEG di commissioni, oneri e spese rimane, di norma, inferiore a quella degli interessi, inducendo una sottostima dell’effettivo costo del credito.
E’ palese che, ancorché il TEGM risulti sottostimato e induca quindi una soglia d’usura più stringente, se lo stesso algoritmo è impiegato anche per la verifica dell’usura, si creano gradi di libertà nel traslare il costo del credito sulle spese, che hanno un’incidenza inferiore nel TEG complessivo.
L’asimmetria fra le due frazioni che compongono il TEG costituisce un elemento di criticità che ricorre per lo più nelle circostanze nelle quali il credito utilizzato si discosta sensibilmente dal credito accordato o dal massimo credito del trimestre e gli interessi risultano proporzionalmente esigui rispetto alle spese fisse. Nell’esempio sopra riportato il divario fra le due poste di credito, quella massima e quella media, induce una significativa riduzione dell’incidenza degli oneri sul TEG totale.
Certamente anche il TEGM risulta sottostimato, non cogliendo compiutamente l’incidenza di commissioni, oneri e spese e fornendo, di riflesso, un’informazione statistica distorta del costo medio del credito. Tuttavia l’asimmetria del diverso rilievo degli interessi e degli oneri, consente un impiego ‘addomesticato’ dei criteri di verifica dell’usura: negli ultimi quindici anni, l’intermediario bancario, traslando il costo del credito dagli interessi alle commissioni, oneri e spese, ha potuto conseguire un significativo incremento dei ricavi, lasciando invariato il TEG comunicato alla Banca d’Italia.
L’algoritmo impiegato dalla Banca d’Italia, giudicato funzionale alla rilevazione del tasso medio di mercato, presta il fianco a pregnanti distorsioni se impiegato acriticamente per la verifica del rispetto delle soglie d’usura.
Le posizioni e gli interventi adottati dalla Banca d’Italia non sembrano aver corretto l’anomalia. Il TEG di rilevazione continua a risultare falsato dalla asimmetria nella formula di calcolo, fra interessi rapportati al credito medio e oneri rapportati al credito massimo: l’effettivo tasso di credito (TAEG) risulta spesso marcatamente più alto. I criteri di annualizzazione degli oneri nel TEG, in particolare delle commissioni di istruttoria veloce, come modificati dalle FAQ, disattendono elementari principi finanziari che pur sembrava volersi rispettare nella formulazione delle nuove “Istruzioni” della Banca d’Italia [15].
Comportamenti opportunistici che tendono a conseguire benefici economici, travisando lo spirito della norma espresso dall’art. 644 c.p., ancorché risultino nella forma coerenti con le ‘Istruzioni’ e/o con le successive FAQ di chiarimento espresse dalla Banca d’Italia, non esimono l’intermediario dal reato d’usura. A questi comportamenti appare collegarsi il menzionato passaggio della Cassazione n. 46669/11 dove si riporta “Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari …”. Nella circostanza prospettata, è illegittimo il comportamento dell’intermediario che, utilizzando il fianco offerto da ‘circolari o direttive’ più o meno coerenti con l’art. 644 c.p., modifica in modo ‘acconcio’ l’assetto delle condizioni praticate, per rientrare formalmente nei parametri stabiliti dalle ‘Istruzioni’ e dalle ‘interpretazioni’ offerte dalle FAQ e disattendere sostanzialmente il portato normativo dell’art. 644 c.p.[16].
2.3 L’annualizzazione nelle nuove ‘Istruzioni’ e la successiva edulcorazione delle FAQ
Come menzionato, l’annualizzazione degli oneri, dopo la formale introduzione nelle nuove ‘Istruzioni’, è stata sostanzialmente ridimensionata dalle FAQ intervenute successivamente.
Nella legge 108/96 è esplicito il riferimento al computo del tasso d’interesse effettivo espresso su base annuale. Di regola il tasso effettivo è sempre calcolato in ragione d’anno[17].
Il passaggio dalla base trimestrale di addebito alla base annuale di calcolo si presenta concettualmente semplice: per un credito di € 100 il pagamento di una remunerazione costante trimestrale di € 4 corrisponde al 4% trimestrale e al 16% annuale[18]. Con una soglia al 17% l’operazione non presenterebbe usura.
Diversamente si presenta la situazione se la remunerazione, anziché costante fosse variabile, ad esempio € 7 il I trimestre, € 3 il secondo trimestre, € 4 il III trimestre e € 2 il IV trimestre. La somma finale risulterebbe sempre € 16, complessivamente nell’anno si è corrisposto il 16% del credito, ma nei distinti trimestri finanziariamente si è corrisposto il 28% il I trimestre, il 12% il II trimestre, il 16% il III trimestre e l’ 8% il IV trimestre. Non vi é dubbio che la legge si riferisca alla rilevazione dell’esborso trimestrale ancorché il tasso sia calcolato su base annua: conseguentemente il I trimestre cade in usura. In altri termini non risulterebbe consentita alcuna forma di compensazione tra un trimestre e l’altro. Coerentemente con questo principio, il limite massimo della commissione di affidamento, per l’istruttoria fido che gli intermediari curano di regola annualmente, è fissato dal D.L. 78/09, conv. legge 102/09, nello 0,50% trimestrale, non nel 2% annuale: gli oneri annuali non possono essere esatti interamente all’inizio dell’anno di riferimento e computati nel TEG pro quota trimestralmente.
Nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, per gli oneri riportati nella seconda frazione del TEG, che possono variare apprezzabilmente fra un trimestre e l’altro, si prevedono deroghe al principio sopra riportato.
Nelle ‘Istruzioni’ per l’annualizzazione degli oneri ci si discosta dall’ordinario criterio impiegato per gli interessi, per i quali si calcola l’equivalente esborso annuale (senza capitalizzazione). Nel riportare l’esborso trimestrale degli oneri al tasso annuale, le ‘Istruzioni’ introducono la distinzione fra oneri ricorrenti ed oneri occasionali. Per i primi si prevede la riconduzione all’anno, calcolando gli addebiti intervenuti nell’ultimo anno o, nel caso di nuovi rapporti o di variazioni contrattuali, la loro stima (vengono moltiplicati per quattro, ad esempio); per i secondi, connessi a circostanze occasionali, destinate a non ripetersi, non si effettua alcuna annualizzazione. Le ‘Istruzioni’ recitano: “gli oneri su base annua sono calcolati includendo tutte le spese sostenute nei dodici mesi precedenti la fine del trimestre di rilevazione, a meno che queste siano connesse con eventi di tipo occasionale, destinati a non ripetersi. Nel caso di nuovi rapporti o di variazione delle condizioni … gli oneri annuali dovranno essere stimati sulla base delle condizioni contrattuali applicate.”
Le deroghe ai principi finanziari riferiti al costo trimestrale sono due: i) per gli oneri ricorrenti, il criterio di annualizzazione considera gli oneri degli ultimi quattro trimestri, realizzando in tal modo la compensazione fra importi più alti e importi più bassi; ii) gli oneri occasionali non vengono annualizzati: se la presunzione giustificativa fosse che tali oneri siano riferibili a servizi che si estendono a più trimestri, si poteva evitare tale deroga, inducendo le banche ad un addebito pro quota trimestrale, come si è previsto per legge con le commissioni di affidato o quanto meno la loro partecipazione ad ogni trimestre al quale è esteso il servizio. Se poi l’onere occasionale è semplicemente riferito ad un unico trimestre, non si comprende – secondo gli ordinari canoni finanziari – perché non debba essere annualizzato.
Tali criteri, ritenuti, nella discrezionalità professionale della Banca d’Italia, coerenti per una corretta rilevazione statistica del tasso medio di mercato (TEGM), destano serie perplessità sul piano tecnico. Impiegati anche nella verifica della soglia d’usura, determinano un conflitto, secondo gli ordinari canoni finanziari, con il principio normativo di riferimento alla base annua. La discrasia diviene ancor più significativa quando oneri ricorrenti vengono trattati per occasionali, e di riflesso non vengono annualizzati.
Avendo il D.L. 185/08, conv. legge n. 2/09, previsto per gli affidamenti una commissione trimestrale onnicomprensiva di tutto, ricompresa ed annualizzata nel calcolo del TEG, il problema si pone soprattutto per le commissioni sugli sconfini e scoperti privi di fido (CIV), applicate secondo criteri tra i più ‘disparati’ sino all’1/10/12 e poi anch’esse regolamentate dall’art. 117 bis del TUB, inserito dal D.L. 6/12/11 conv. legge 22/12/11, n. 214[19]. Non è la prima volta che si confida nel pieno liberismo e solo dopo aver subito, ‘preda dei regolati’, le conseguenze di comportamenti informati ad un sospinto opportunismo, si interviene a rimediare con ‘paletti’ normativi e regolamenti[20].
Mentre la commissione di affidamento ricorre trimestralmente e quindi nell’algoritmo di calcolo previsto dalle ‘Istruzioni’ viene annualizzata, la commissione di scoperto, seguendo i peculiari criteri stabiliti dalla Banca d’Italia, pone un problema di annualizzazione in quanto può risultare associata ad eventi sia occasionali che ricorrenti. La soluzione potrebbe agevolmente essere trovata sul piano operativo. Se la CIV si ripete nell’arco dell’anno non può che essere annualizzata, o con l’ordinario criterio finanziario (x 4), o con l’edulcorato criterio introdotto dalla Banca d’Italia. Il concetto di scoperto ‘ricorrente’ va inteso rispetto al trimestre, che costituisce la base temporale di rilevazione, e il ripetersi di scoperti in due trimestri dell’ultimo anno fa venir meno la condizione di ‘occasionale’ che consentirebbe, secondo le ‘Istruzioni’, di evitare l’annualizzazione: ciò risulta corrispondente finanziariamente ad una stima di eventi di scoperto, per l’anno a venire, pari alla ricorrenza dell’anno appena trascorso.
Lo scoperto dovrebbe fisiologicamente risultare occasionale, ma, se il fido concesso è inferiore alle necessità dettate dal capitale circolante e la banca – ancorché abbia valutato, nella sua discrezionalità, l’ammontare di fido ritenuto coerente con il merito di credito del cliente – si mostri flessibile e tollerante nella concessione degli scoperti, non è infrequente il ripetersi e/o il protrarsi di situazioni di scoperto: la ricorrenza è posta in buona misura nella discrezionalità della banca. Il fenomeno è ampiamente diffuso e risalente nel tempo: in sede civile numerose pronunce, anche di legittimità, si sono occupate del fido di fatto protratto talora per anni[21].
Pertanto, la ricorrenza dello scoperto, e di riflesso l’applicazione della relativa commissione, è strettamente connessa alla politica di maggiore o minore cautela posta nella concessione dei fidi e nella misura della rigidità con la quale l’intermediario persegue il rispetto del fido accordato.
Nonostante il chiaro asserto riportato nelle ‘Istruzioni’, le FAQ, in termini alquanto confusi e distorsivi, hanno offerto la sponda ad una lettura opportunistica, preordinata a rinnegare l’annualizzazione introdotta dalle ‘Istruzioni’.
Con le FAQ il concetto di ‘evento occasionale’ non ripetibile delle ‘Istruzioni’ viene rimosso e sostituito con il concetto di ’evento non continuativo’, così che se l’onere addebitato, ancorché ricorrente in tutti i trimestri, è riferibile a scoperti non continuativi, va considerato solo nell’ultimo addebito, con esclusione quindi degli altri addebiti allo stesso titolo effettuati nell’anno. Una successione di sconfinamenti frazionati nel corso dell’anno, che hanno generato costi ripetitivi, ma riferiti ad uno sconfinamento non continuativo concorrerebbero solo per l’ultimo sconfinamento. Anche le spese ripetute nei trimestri, relative ad uno sconfinamento continuativo, se interrotto anche brevemente, prima del trimestre di rilevazione, egualmente non concorrerebbero nel calcolo del TEG.
Una simile lettura delle ‘Istruzioni’ – disposta per altro con decorrenza, per la verifica dell’usura, dal 1 aprile ’11 – risulta ‘bislacca’, prima ancora che priva di fondamento logico-finanziario: rimuovendo in buona parte l’annualizzazione, ha riflessi economici di dimensioni significative[22].
Dopo le chiare ed ineludibili pronunce della Cassazione, la confusione, e soprattutto l’irragionevolezza delle contraddittorie indicazioni date agli operatori bancari per la rilevazione del tasso medio di mercato (TEGM), non può essere traslate, sic et simpliciter, alla verifica dell’usura, che risponde esclusivamente ai principi dettati dall’art. 644 c.p.: i rischi del reato rimangono qualora ‘gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d’Italia’. Per altro, risulterebbe discriminante per quella parte dell’universo bancario che, in termini finanziari corretti e trasparenti, ha privilegiato una strategia aziendale più attenta ai tassi che ad un onere generalizzato ed indifferenziato di penalizzazione, di scarsa correlazione con il merito di credito. Tale aspetto assume un particolare rilievo per il periodo dal ’09 al ’12 nel quale la commissione per lo scoperto era rimessa alla ‘stravagante’ discrezionalità degli intermediari[23]: con la regolamentazione delle commissioni (CIV) il fenomeno risulta più contenuto ma presenta comunque risvolti economici non trascurabili.
La modifica introdotta dalle FAQ dovrebbe sollevare, in sede di verifica del rispetto della soglia, quanto meno un più che lecito dubbio sulla coerenza con il dettato normativo[24].
Il depotenziamento del presidio di legge non sembra aver termine.
Con le ‘Istruzioni’ in essere sino a tutto il ’09, il varco normativo all’elusione dell’art. 644 c.p. è stato realizzato con le CMS e l’asimmetria delle due frazioni componenti il TEG.
Dal ’10 un significativo varco viene offerto dalle FAQ che hanno ridimensionato l’annualizzazione introdotta dalle nuove ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia.
Quando ancora si deve porre rimedio ed argine alle distorsioni operative indotte dalle ricorrenti smagliature delle norme amministrative, altre aperture, di maggior rilievo, si vengono profilando con la nuova categoria ‘Scoperto senza affidamento’.
2.4 La nuova categoria ‘Scoperto senza affidamento’ introdotta dalle ‘Istruzioni’ a partire dal 2010
La Banca d’Italia ha introdotto, a partire dal 1° gennaio ‘10, la categoria ‘Scoperto senza affidamento’ che fisiologicamente dovrebbe ricomprendere forme di credito di breve momento e di importo modesto, rispondenti ad esigenze occasionali ed impreviste: una modesta categoria di credito, di scarsa dimensione economica.
La nuova categoria ha presentato, sin dalla sua introduzione, tassi che si collocano ai valori massimi delle 25 categorie censite, contendendo il primato alle carte revolving e divenendo in poco tempo una significativa fonte di profitto.
Prima del ’10 gli scoperti senza affidamento erano ricompresi nelle aperture di credito con una soglia, nella fascia di importo più basso, del 17% circa: con le modifiche ai criteri di rilevazione del TEG e lo scorporo in due distinte categorie, la soglia degli ‘Scoperti senza affidamento’ è balzata sino al 29,9%: l’incremento del 70% dà la misura delle commissioni, oneri e spese che venivano ‘edulcorati’ nella formula di calcolo delle precedenti ‘Istruzioni’. L’intervento della Banca d’Italia ha indotto, nella fascia di importo minore, un incremento sistematico del tasso superiore allo spread (50%) di scostamento consentito dalla norma.
Nei trimestri successivi i tassi degli affidamenti si sono assestati su livelli non molto discosti dai livelli del ’09. I tassi degli ‘Scoperti senza affidamento’, dopo un brusca flessione[25], hanno mantenuto, rispetto ai tassi sugli affidamenti, un marcato divario, nell’ordine del 30%.
Il fenomeno non sembra rimasto nei limiti di marginalità. Le statistiche sono al riguardo carenti: l’informazione rimane al momento ristretta negli ambiti riservati delle politiche aziendali degli intermediari e in quelli relativi alla rilevazione del TEGM e non risulta disponibile.
La Banca d’Italia, nella Relazione sull’analisi d’impatto della Delibera CICR di attuazione dell’art. 117 bis, ha auspicato l’allargamento della categoria riservata agli ‘Scoperti senza affidamento’ alla componente extra-fido dal credito affidato[26]. Con questa modifica alla classificazione del credito si verrà ad ampliare apprezzabilmente la menzionata categoria degli ‘Scoperti senza affidamento’, dando la stura a comportamenti opportunistici degli intermediari che, nelle loro valutazioni discrezionali, possono lesinare la concessione del fido e tollerare al contempo lo scoperto di conto, anche continuativo e di importo significativo. Rimarrà nella completa discrezionalità dell’intermediario stabilire se concedere o meno il fido, l’ammontare eventualmente accordato al tasso ordinario e gestire poi l’extra-fido e lo scoperto con i più ampi margini di flessibilità e entro i limiti di soglia, maggiorati di un terzo, previsti dalla nuova categoria[27]. Già da tempo i nuovi contratti di conto corrente riportano, accanto al tasso previsto per il fido, il tasso concordato per l’eventuale extra-fido, oltre alle commissioni di istruttoria veloce introdotte con il D.L. 6/12/11 n. 201.
Con l’inclusione nella categoria ‘Scoperto senza fido’ del credito in extra-fido si verrà a tracimare sostanzialmente ogni ragionevole limite di usura, in una delle più diffuse forme di credito. Se dalle aperture di credito si scorpora la parte non affidata, questa presenterà un tasso medio più alto al quale verrà applicato il relativo spread: poiché la categoria di attribuzione del credito non è oggettivamente insita nella natura del credito stesso ma è riposta nella discrezionalità dell’intermediario, si vanifica significativamente il senso della soglia d’usura.
L’esperienza passata delle CMS, poste al di fuori del TEG, ha mostrato che la minima ‘smagliatura’ offerta dalle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, soprattutto nelle categorie più chiuse alla concorrenza, viene opportunisticamente colta per ampliare il costo del credito[28].
Non appare congruente con una corretta gestione del credito favorire erogazioni oltre i limiti del fido o in assenza di fido, che possono prorogarsi per lunghi periodi e/o per importi significativi a tassi marcatamente più elevati. Sia negli scoperti senza fido che nell’utilizzo del credito in extra-fido, per evitare anomalie e facili comportamenti opportunistici, si rende necessaria una regolamentazione più stretta, prima che il fenomeno assuma una dimensione più ampia di quella fisiologica[29].
Con l’introduzione della categoria ‘Scoperti senza affidamento’, la revoca del fido, se l’esposizione non viene prontamente estinta, viene frequentemente accompagnata, nella segnalazione alla Banca d’Italia, con il passaggio del credito dalla categoria ‘Aperture di credito’ alla nuova categoria, con la conseguente maggiorazione di un terzo della soglia d’usura.
Si nutrono serie perplessità che un credito scaduto e non saldato possa essere automaticamente collocato in una categoria con soglia d’usura più elevata, per le medesime riflessioni che si prospettano per il tasso di mora. Al manifestarsi della patologia e soprattutto a discrezionalità dell’intermediario, verrebbe effettuato un cambio di soglia. Non sembra sia questo lo spirito che informa la legge 108/96[30]. Con il medesimo principio si potrebbero prevedere categorie diverse, ad esempio, per scoperti oltre i 180 gg., per i crediti incagliati o in sofferenza.
Anche in questa circostanza le ‘Istruzioni’, alle quali vengono accompagnate anche le FAQ, appaiono confuse e incongruenti, e gli intermediari ne vengono cogliendo il lato opportunistico[31].
La legge prevede la classificazione delle operazioni per categorie omogenee, ‘tenuto conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie’. La distinzione del rischio va riferita alla natura oggettiva della tipologia di credito, non all’elemento soggettivo del cliente. Creando, nella stessa tipologia di credito, soglie diversificate d’usura in funzione del rischio del cliente si introduce un elemento soggettivo di discrezionalità che vanifica gli obiettivi della legge[32]: teoricamente, scalettando il rischio si perverrebbe facilmente a valori della soglia indefinitamente crescenti, che svilirebbero la funzione dello spread dal tasso medio di mercato disposto dalla legge.
Più si segmenta il mercato del credito in distinte categorie più omogenee, più si riduce la variabilità all’interno della categoria e meno stringente risulta, per ciascuna categoria, lo spread posto pari al 25% più 4 punti percentuali. Da un punto di vista tecnico un allargamento del numero delle categorie risulta, in qualche misura, equivalente ad un ampliamento dello spread.
La legge 108/96 ha previsto una diversificazione del tasso soglia: un tasso soglia unico per l’intero universo del credito avrebbe richiesto uno spread sul tasso medio ben superiore al 25% più 4 punti, inducendo un limite assai lasco per talune forme di credito e assai rigido per altre.
L’esempio nel grafico sopra riportato mostra come, considerando tutto l’universo del credito in un’unica categoria, il TEGM risulterebbe pari al 10% e quindi lo spread al 6,5% (TEGM x 25% + 4%). Il limite risulterebbe troppo lasco per i crediti del 1° tipo (con TEGM pari all’8%), troppo stretto per i crediti del 3° tipo (con TEGM al 12%).
La previsione iniziale di 15 categorie omogenee, ciascuna con un proprio tasso soglia di riferimento, nel ridurre la dispersione intorno alla media, ha consentito di comprendere entro l’originario spread del 50% un’apprezzabile componente di patologia delle operazioni della categoria.
Non sono disponibili dati relativi alla forma ed ampiezza della dispersione intorno alla media dei tassi in ciascuna categoria considerata nell’indagine curata dalla Banca d’Italia; certamente aver elevato la distribuzione delle categorie e classi, dalle originarie 15 alle attuali 25, ha significativamente accresciuto il livello di omogeneità delle operazioni all’interno di ciascuna categoria: la dispersione dei tassi risulta oltremodo contenuta all’interno di ciascuna categoria e il rispetto della soglia apprezzabilmente più agevole.
Introdurre all’interno di una medesima tipologia di credito un’ulteriore distinzione, oltre che per l’importo, anche per classi di rischio, è del tutto equivalente ad un ampliamento dello spread per quella forma di credito. Se per le aperture di credito si prevede la partizione nelle classi di rischio A e B, ipotizzando un tasso medio originario della categoria pari al 6% al quale corrisponde un tasso medio del 4% per la partizione A e un tasso medio dell’8% per la partizione B, la soglia d’usura passerebbe dall’11,50% (6% + ¼ di 6% + 4 punti) al 14% (8% + ¼ di 8% + 4 punti), potendo l’intermediario bancario, nella sua discrezionalità, spostare agevolmente il credito dalla partizione A alla B.
E’ quello che si è fatto con lo scorporo, dalla categoria delle aperture di credito, di quelle prive di fido e quello che si prevede di introdurre con lo scorporo del credito extra-fido dal credito affidato. Con questi interventi la Banca d’Italia esercita un ruolo attivo nel diritto, un compito ‘creativo’ che le risulterebbe precluso. Avrebbe più senso e ragionevole sintonia con il principio di legge separare le aperture di credito garantite da quelle non garantite, per l’elemento oggettivo della garanzia che modifica la natura e il rischio del credito, oltre che l’onere a carico del cliente.
La distinzione introdotta e quella che si vorrebbe introdurre all’interno delle aperture in conto corrente creano una distorsione nello stesso mercato del credito, con il prevedibile esito di agevolare spinte opportunistiche degli intermediari, volte da un lato a condizionare maggiormente la concessione del fido alla presenza di garanzie e dall’altro ad espandere gli extra-fido e gli scoperti privi di fido.
Ancorché la Cassazione ritenga che ”non v’è dubbio che la legge abbia determinato con grande chiarezza il percorso che l’autorità amministrativa deve compiere per ‘fotografare’ l’andamento dei tassi finanziari” (Cassazione Pen. n. 12028/10), si assiste ad un interventismo reiterato che fa della ‘fotografia’ un simulacro.
D’altra parte la classificazione nelle categorie è prevista dalla legge annualmente con decreto ministeriale, dovendo la rilevazione statistica dei tassi medi di mercato rispecchiare d’appresso l’evoluzione del mercato del credito. La scelta del metodo di calcolo del tasso effettivo, dei criteri di raccolta dei dati statistici, dei criteri di individuazione delle categorie omogenee, sono spazi che lasciano eccessivi margini ‘in bianco’ della norma penale, se vengono intesi in senso creativo: la discrezionalità amministrativa trova limiti e contenimento nell’oggettività dei criteri. Con il disposto dell’art. 3 comma 2 dei decreti ministeriali, si vorrebbe trasporre questi margini ‘accomodati’ dalla rilevazione statistica del TEGM alla verifica del rispetto della soglia d’usura.
Le indicazioni, spesso parziali e di favore, prospettate dalla Banca d’Italia, appaiono più dirette alla verifica dell’usura che alla rilevazione statistica: sembrano perpetrarsi quegli spazi di scarsa trasparenza e di conflitto con la norma che hanno consentito in passato l’ampio ricorso al favor rei, in presenza di significative lesioni al rispetto della legge. Se non si rescinde definitivamente il legame fra criteri di rilevazione del tasso medio (TEGM) e criteri di verifica del rispetto della soglia, permarranno ampie zone di criticità dove la rilevazione del TEGM non fotografa l’effettivo tasso di mercato e, in parallelo, comportamenti equivoci degli intermediari, dietro la formale copertura dell’art. 3, comma 2 dei decreti ministeriali, reitereranno problemi di determinatezza e tassatività della norma.
La Cassazione, anche recentemente, ha ribadito che la riserva di legge è rispettata, risultando affidato alla Banca d’Italia e al MEF solo il compito di fotografare i tassi di mercato[33]. La carenza non è nella legge, è nella norma amministrativa.
Gli interventi della Banca d’Italia appaiono andare ben oltre ‘l’atto meramente ricognitivo, destinato a ‘fotografare’ l’andamento dei tassi finanziari distinti per classi omogenee di operazioni, secondo parametri di certezza ed obiettività’.
Oltre tutto sul piano contrattuale, introducendo una seconda categoria per il credito in conto corrente e risultando rimessa all’intermediario la discrezionalità di porre il medesimo credito nell’una o nell’altra categoria, con un divario delle soglie di circa un terzo, si rafforza la dominanza della banca sul cliente.
3. Costo della raccolta e servizio del credito: un rapporto di 1 a 100
Nell’ortofrutta, come in altri comparti produttivi, si denunciano spesso gli eccessivi passaggi che fanno lievitare significativamente il prezzo finale del prodotto. Nel settore del credito i passaggi sono minimi, quando non è uno solo, ma dal produttore (risparmiatore) all’utilizzatore (impresa) il prezzo manifesta una lievitazione astrusa, sintomo di una patologia che pervade tutto il sistema: una sorta di fiscalità parallela che accompagna ogni transazione creditizia e finanziaria e sembra, all’apparenza, ormai digerita e metabolizzata nell’ordinaria cultura sociale. Risultante di scelte strategiche della Banca d’Italia, che, per lungo tempo, ha ostacolato l’accesso nel territorio nazionale all’operatore estero, privilegiando la stabilità dell’operatore bancario, relegando alla ‘disclosure’ la tutela di risparmiatori e prenditori di credito, rimettendo al legislatore interventi e regolamenti che potessero sviluppare la concorrenza e, per questa via, favorire un virtuoso processo di calmierazione del mercato del credito.
Le indicazioni ‘difformi’ della Banca d’Italia in materia d’usura, recentemente circostanziate dalla Cassazione Penale, rispecchiano un più generale uso ‘difforme’ dei poteri di Vigilanza, dove l’efficienza e stabilità del sistema bancario è fine a se stessa, la competitività è rivolta oltre confine, le norme creditizie risultano ad esse sotto-ordinate e i risvolti finali sullo sviluppo economico più subiti che agiti in una preordinata strategia di Paese.
Con l’ampliamento del numero di categorie e classi di credito, dalle 15 iniziali alle attuali 25 e l’allargamento dello spread da 0,50% a 0,25% + 4 punti, disposto dal provvedimento legislativo 106/11, si è data una pronta ed ampia risposta alle esigenze dell’intermediario bancario. Ciò nonostante ulteriori margini di ampliamento vengono surrettiziamente creati nei criteri di verifica delle soglie d’usura.
Se è pur vero che escludendo (CMS) o riducendo il rilievo degli oneri, nella rilevazione del TEGM e nella verifica, si abbassa sia il limite che le risultanze della verifica stessa, è altrettanto vero che l’algoritmo presta il fianco ad una libera discrezionalità di ampliare a dismisura l’onere escluso (CMS) o l’onere dal rilievo ridotto. Esattamente quello che si è verificato con la moltiplicazione delle CMS e la proliferazione di commissioni, oneri e spese.
Con l’inedito algoritmo di calcolo della Banca d’Italia, il TEGM rilevato risulta inferiore all’effettivo costo del credito. Il medesimo algoritmo di calcolo, impiegato anche per la verifica dell’usura, ha favorito forme surrogatorie di remunerazione del credito ottenute, per altro, con modalità poco trasparenti e di difficile apprezzamento nelle valutazioni di investimento ex ante dell’imprenditore.
La Banca d’Italia riporta nel Bollettino statistico una più corretta rilevazione dei tassi praticati dalle banche, riferita al TAEG, l’effettivo costo del credito, ma tale rilevazione esclude le esposizioni inferiori a € 30.000, il ventre ‘molle’ e ‘allargato’ del Paese dove si concentra numericamente una parte rilevante di esposizioni creditizie più deboli.
Tali statistiche evidenziano un chiaro rapporto inverso fra importo e tasso: l’estrapolazione verso i finanziamenti di importo minore non appare coerente con i tassi del TEGM.
Pur nella diversa metodologia di rilevazione, dal trend segnato dalle classi di importo delle operazioni a revoca (rilevazione tassi attivi), sembrerebbe emergere che l’effettivo costo del credito risulti superiore al tasso segnalato dal TEGM.
L’introduzione dell’ultima categoria, relativa agli scoperti privi di fido, ha determinato per questi ultimi un innalzamento d’emblée di un terzo della soglia d’usura: con la prevista inclusione nella medesima categoria del credito extra-fido, il costo di una parte non trascurabile del credito alle imprese verrà riposto nella più ampia discrezionalità dell’intermediario bancario, senza che siano state create adeguate condizioni di concorrenza che possano in qualche modo temperare la dominanza e dipendenza nei rapporti negoziali sottostanti.
Con il costo del credito che può ascendere a valori effettivi del 22,8% non si favorisce lo sviluppo economico, al più si disloca credito altrimenti utilizzabile più proficuamente; se poi il credito è incagliato in carenze di liquidità si innesca una lievitazione anatocistica che può facilmente sospingere l’impresa verso il default[34].
Il divario odierno (II trim. ’13) fra il tasso Euribor (0,23% per i tre mesi - 0,54% per i sei mesi) ed il tasso soglia d’usura per gli scoperti di conto (23,85% sino a € 1.500 - 23,06% oltre € 1.500), misurato con gli ‘addomesticati’ criteri illustrati in precedenza, segnala una distanza di oltre cento volte, che va ben al di là del margine necessario all’intermediario bancario per una gestione efficiente del credito. Nel timore di pregiudicare il libero mercato, si è trascurato di tutelare la funzione pubblicistica assegnata all’operatore bancario.
Con un’inflazione sotto il 2% ed un tasso monetario prossimo ai minimi storici, il costo del credito è rimasto ai livelli precedenti l’introduzione dell’Euro: la remunerazione del risparmio si è ridotta a valori esigui con scarsi benefici per le imprese alle quali, attraverso l’intermediazione bancaria, tale risparmio affluisce. Sia il risparmiatore che il prenditore di fondi rimangono ‘strozzati’ da una forbice dei tassi segnatamente allargata, dai risvolti patologici: in tali circostanze il costo del credito presenta per l’impresa un sovraccarico economico, alla stregua di quello energetico e fiscale.
Risulta viziato lo stesso processo decisionale che presiede l’erogazione del finanziamento quando l’attenzione dell’intermediario si viene rivolgendo più alle garanzie che al ritorno atteso dell’investimento.
In un sistema italiano eccessivamente banco-centrico e un tessuto industriale parcellizzato e sottocapitalizzato, assai più incidente risulta il trade-off fra costo del credito e sviluppo economico: quand’anche l’accesso al credito non sia impedito da vincoli, condizioni e vischiosità organizzative, una maggiorazione del costo oltre il tasso ordinario di mercato esclude una porzione più incidente di impieghi imprenditoriali; se nel breve l’ampia forbice dei tassi rafforza la stabilità dell’intermediario, in prospettiva ne pregiudica lo stesso sviluppo, per gli effetti di ritorno che nel tempo si riflettono nell’aggregato delle imprese.
Fino al 2009 il tasso Euribor e il tasso soglia presentavano, seppur in un ampio e costante divario, un’apprezzabile correlazione positiva (+0,83); a partire dalla fine del 2009 si è assistito ad un’inversione della direzione (-0,35) corrispondente ad un apprezzabile ampliamento del divario fra i due tassi monetari. Lo scorporo, in una distinta categoria, degli scoperti privi di fido non ha sortito l’auspicato temperamento del costo del credito affidato: da un’unica categoria se ne sono ricavate due con l’unico effetto di liberare incrementi del tasso negli scoperti privi di fido.
La pratica di tassi che, nella sottostima del TEG, possono ragguagliarsi sino a 100 volte l’Euribor non riflette una sana gestione del credito, né favoriscono una corretta allocazione i comportamenti degli intermediari che vengono preordinati a cogliere le pieghe elusive offerte dalle ‘Istruzioni’ e dalle annesse FAQ.
L’intermediario è preposto dall’ordinamento giuridico alla canalizzazione del risparmio verso la produzione: le risorse finanziarie sono un bene limitato e prezioso, non vi dovrebbero essere disponibilità per un rischio corrispondente a tassi marcatamente elevati. Tuttavia spesso non è il rischio che eleva il tasso. L’imprenditore lo subisce per semplice carenza di liquidità e il costo del credito, sino a valori effettivi superiori al 23,8%, non è che il ‘giogo’ risultante da comportamenti il più delle volte dissociati: il fido non viene concesso (ampliato) ma, ciò nonostante, il credito viene erogato[35].
Il rapporto fra tasso e rischio incontra un limite superiore oltre il quale, di regola, l’intermediario rifiuta il finanziamento in quanto la rischiosità rende improbabile il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale: solo nell’usura si procede comunque al finanziamento in quanto è irrilevante il buon esito dell’iniziativa, risultando l’obiettivo quello di appropriarsi dei beni dell’usurato.
Di regola investimenti meritevoli di credito non riescono a spesare un tasso così elevato: se applicato a carenze di liquidità, rivenienti da un fido che potrebbe risultare preordinatamente limitato, lo stesso costo del credito finisce per pregiudicare l’iniziativa finanziata. Se il margine economico dell’iniziativa non riesce, nei tempi e nelle dimensioni, a produrre la liquidità necessaria a coprire gli interessi, viene ad essere innescato un irreversibile aumento del passivo e una persistente erosione delle risorse sottratte agli impieghi produttivi, che finisce per pregiudicare l’integrità del patrimonio.
Il credito in conto è una tipica fonte di finanziamento del sistema italiano, tra le più onerose: costituisce il 27% dei finanziamenti erogati dal sistema bancario, contro il 10% circa degli altri paesi europei.
E’ un’anomalia tutta italiana la circostanza che si finanzi spesso con credito a revoca ben oltre il capitale circolante[36].
Già ora la distinzione di soglia fra credito affidato e non affidato ha portato ad una lievitazione del credito non affidato; la prospettata estensione della categoria al credito in extra-fido è suscettibile di amplificare il fenomeno dello scoperto, con le ineludibili ripercussioni economiche.
Per altro con la formalizzazione dell’istruttoria di affidamento e la specifica commissione prevista anche per gli scoperti si vengono a definire e chiarire i rapporti giuridici. L’intermediario, che ha percepito una specifica commissione per l’istruttoria veloce del credito in extra-fido o scoperto, è stretto fra due opposte limitazioni alle quali, nella dovuta professionalità, gli compete prestare attenzione.
Da un lato, nell’eventualità di una criticità che si protrae nel tempo, coperta da credito non affidato, la maggiorazione del tasso sino ad un terzo fa insorgere costi che possono pregiudicare l’impresa e i terzi creditori: si può delineare in tali circostanze l’esercizio abusivo del credito. L’expertise, la capacità professionale e l’informazione di cui dispone l’intermediario gli consentono di valutare, al momento dell’erogazione e nelle successive prorogatio del credito, se questo sia funzionale all’impresa e se l’imprenditore possa sostenere l’impegno assunto, sia nel costo corrente dagli interessi, sia nel rimborso del finanziamento ricevuto. L’utilizzo del credito, anche se allarga le potenzialità dell’impresa, non è necessariamente fonte di crescita e stabilità; senza un corretto business plan nel quale trovino equilibrio e copertura il costo degli interessi e il rimborso del capitale, il patrimonio sociale può andare incontro ad una continua erosione: in tali circostanze l’erogazione del credito, tanto più se concessa a tassi particolarmente esosi, può solo favorire la decozione[37].
La valutazione dell’intermediario, che concede un credito ad oltre il 23,8%, deve essere necessariamente assistita da un solido convincimento che l’imprenditore possa conseguire, dall’impiego nella produzione del finanziamento ricevuto, un lauto ritorno, almeno pari al 23,8%. L’operazione di finanziamento non è un servizio comune: all’erogazione del credito corrisponde una prestazione altamente professionale, svolta in un ambito di attività riservata, curata attraverso una qualificata istruttoria sul merito di credito, misurato sulle capacità imprenditoriali, sulle condizioni patrimoniali e potenzialità reddituali. I rischi di un abusivo esercizio del credito non possono essere trascurati.
Dall’altro lato, in assenza di un apprezzabile rischio di insolvenza, il costo del credito che si discosti dall’ordinario può configurare una violazione dell’usura concreta. Per la categoria ‘scoperti senza affidamento’, con una così marcata penalizzazione del costo, il rispetto della soglia non esime l’intermediario dal rischio di incorrere nell’usura prevista dal 3° comma dell’art. 644 c.p.: “Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.”.
Le condizioni del 3° comma dell’art. 644 c.p. ricorrono in presenza dei due elementi caratterizzanti la fattispecie: la ‘sproporzione’ tra interessi e prestazione e la situazione di ‘difficoltà economica o finanziaria’ del soggetto passivo.
La sproporzione è palesemente riferibile al costo del servizio prestato, mentre l’espressione ‘difficoltà economica e finanziaria’ individua una circostanza che abbraccia fattispecie ben più ampie del più ristrettivo ‘stato di bisogno’ (precedente formulazione).
In dottrina, nello spirito della nuova versione dell’art 644 c.p., si sottolinea l’opportunità di un approccio oggettivo ai concetti: la “difficoltà finanziaria” è riconducibile ad una carenza di liquidità, mentre la ‘difficoltà economica” è riconducibile ad uno squilibrio più ampio, che coinvolge l’attività economica complessiva. L’espressione ‘concrete modalità del fatto’ sembra invece riferibile a circostanze particolari od aspetti negoziali che, discostandosi da quelli ordinari, potrebbero costituire sintomi segnaletici di un finanziamento usurario. A parte casi di modesti e momentanei sconfini, per scoperti più rilevanti e duraturi la carenza di liquidità comporta lo scoperto e l’addebito di commissioni ed interessi esosi che, nell’impossibilità di una pronta copertura, accrescono la carenza di liquidità in una spirale che si autoalimenta trimestralmente, in un’accelerazione senza sosta[38]. Le modalità di accesso al credito possono assumere una veste particolare: il cliente non risulta affidato, o affidato per un importo inferiore all’effettivo credito erogato, e ciò nonostante si mantiene in essere uno scoperto prolungato, a tassi che si discostano dall’ordinario: in assenza di rientro frequentemente la chiusura del conto viene procrastinata nel tempo, lasciando lievitare gli interessi, ricondotti al limite estremo della categoria.
Lo scoperto di un rapporto privo di fido o il debordo oltre il fido, per un importo non trascurabile e protratto nel tempo, implica in sé, quanto meno, una criticità di liquidità che pone l’operatore economico in uno stato di dipendenza necessitata, priva di alternative. L’ulteriore margine di un terzo che, nella ‘smagliatura’ delle ‘Istruzioni’, si libera con lo scoperto viene a ricreare una forma celata di mora: capitalizzandosi trimestralmente, in una spirale anatocistica, si autoalimenta in una forma impropria di usura. In tali circostanze, venendo meno quell’elemento di reciprocità che giustifica la deroga prevista dalla Delibera CICR 9/2/00 per i rapporti di conto corrente, si potrebbe ravvisare in tale costrutto logico-contabile anche la fattispecie degli interessi anatocistici vietati dal dettato dell’art. 1283 c.c., considerato dalla Cassazione stessa “norma imperativa, che presidia l’interesse pubblico ad impedire una forma, subdola, ma non socialmente meno dannosa delle altre, di usura” (Cfr. Cass. 3479/71 e n. 1724/77)[39].
In una corretta gestione, uno scoperto di conto, che si protrae oltre il limite di occasionalità e temporaneità, dovrebbe indurre la banca, ove ricorrono le condizioni, a formalizzare un affidamento a scadenza o a revoca o, alternativamente, imporre un rapido rientro, chiudendo il rapporto ed applicando, senza alcuna capitalizzazione, le condizioni ordinariamente previste nella circostanza.
4. Gli interessi di mora e le soglie d’usura
E’ ormai da lungo tempo assodato che anche gli interessi di mora, ancorché non concorrano a determinare il TEGM, sono soggetti al rispetto delle soglie d’usura[40]. Per essi si è creata una situazione simile a quella delle CMS prima del ‘10, escluse dal TEG e menzionate a parte nei decreti ministeriali.
Nell’ambito dell’individuazione delle soglie d’usura, il tasso di mora non viene rilevato trimestralmente, né può costituire una categoria a sé, distinta dalle altre che caratterizzano il quadro del credito: la legge consente la distinzione in categorie per le operazioni di credito, non per la natura degli interessi. Tuttavia da un decennio i decreti ministeriali, nella medesima opacità che ha contraddistinto l’evidenza a latere delle CMS, continuano a menzionare un’indagine campionaria, curata dalla Banca d’Italia nel 2001/02, che aveva accertato un tasso collocato 2,1 punti al di sopra del tasso medio rilevato per il complesso del campione esaminato[41].
Il richiamo alla rilevazione campionaria, sin dalla prima comparsa nel decreto ministeriale del marzo ’03, ad oltre sei anni dalla legge, ha determinato una certa confusione e scetticismo, apparendo come un rimedio alla discrasia insorta fra la norma di legge, che assume una portata assoluta, indifferente alla natura dell’interesse percetto, e le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, che dovendo perseguire la rilevazione statistica di un dato fisiologico di mercato, escludono espressamente la mora, ma sono nel contempo gravate dall’art. 3 comma 2 dei decreti ministeriali di pubblicazione del TEGM, che dispongono che gli intermediari, al fine di verificare il rispetto del limite d’usura, “si attengono ai criteri di calcolo delle ‘istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia”.
Con il menzionato disposto ministeriale – per nulla ricompreso nei margini delegati dalla legge 108/96, che assegna al MEF, sentita la Banca d’Italia, esclusivamente il compito di rilevare il tasso medio di mercato – si continua, con caparbietà, a voler riportare i criteri e il tasso da impiegare per il rispetto dell’art. 644 c.p. ai criteri e al tasso appositamente ideati dalla Banca d’Italia per la rilevazione del tasso medio di mercato (TEGM): risultando le finalità diverse seppur accostate, si viene a perpetrare l’ambigua incongruenza nella quale si è incorsi con la CMS, esclusa nella rilevazione del TEGM e ricompresa nella verifica del rispetto della soglia d’usura.
Nei principi stabiliti dalla Suprema Corte (II Sez. Pen. n. 12028/10, II Sez. Pen. n. 28743/10, II Sez. Pen. n. 46669/11), sia per i criteri di aggregazione sia per i criteri di inclusione, il TEG indicato dalla Banca d’Italia per la rilevazione statistica del tasso medio di mercato costituisce un punto di riferimento solo nella misura in cui risulti coerente e congruente con il dettato dell’art. 644 c.p..
La ‘copertura’ del menzionato decreto ministeriale è stata rimossa dalla Cassazione Pen. n. 46669/11 che ha ridimensionato il disposto ministeriale in un alveo propriamente subordinato alla norma di legge; la pronuncia della Cassazione è perentoria, ponendo un solido presidio alla tassatività della norma: “Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione …”.
Si può ritenere che, con le precisazioni in tema di responsabilità e professionalità dell’operatore bancario fornite dalla Cassazione, in presenza dell’elemento oggettivo non rimangano spazi di copertura delle indicazioni della Banca d’Italia che possano far escludere l’elemento soggettivo.
Per la mora – come per altre fattispecie che vengono escluse dalla rilevazione del TEGM, quali crediti in sofferenza, revocati, ecc. (cfr. paragrafo B2 delle ‘Istruzioni) – il disposto dell’art. 3, comma 2 dei menzionati decreti ministeriali si pone in palese contraddizione con il dettato dell’art. 644 c.p.. Analoga contraddizione viene emergendo per il criterio di annualizzazione, previsto nella formula di calcolo, con le edulcoranti modifiche apportate dalle FAQ, che celano in tal modo un ruolo attivo nel diritto.
La Banca d’Italia con le sue indicazioni, che talvolta esondano l’ambito proprio alla rilevazione del tasso medio di mercato, appare contraddire le pronunce della Suprema Corte, contribuendo a creare zone grigie che minano la determinatezza e tassatività della norma.
Quali che siano le ‘Istruzioni’ e le modifiche apportate dalle FAQ, la trasposizione delle indicazioni della Banca d’Italia, dalla rilevazione del tasso medio di mercato alla verifica del rispetto delle soglie d’usura, rimane subordinata al disposto della legge 108/96. Con questa incontrovertibile evidenza si scontrano quei comportamenti opportunistici degli intermediari, che ricercano ‘copertura’ nelle ambiguità insite nella norma amministrativa.
Il singolare riferimento nei decreti ministeriali alla rilevazione campionaria dei tassi di mora del 2002 crea il destro per un diverso trattamento degli stessi rispetto ai tassi corrispettivi.
Non si vede come possa prevedersi una specifica soglia per gli interessi di mora senza porsi in contrasto con il dettato normativo che dispone la soglia per il tasso di interesse, a qualunque titolo convenuto, sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio: come detto, la diversificazione del tasso soglia, prevista dalla legge per le differenti categorie, è riferita alla natura del credito, non dell’interesse. D’altra parte, lo spread dal tasso medio di mercato rilevato dalla Banca d’Italia – ancor più nel valore ampliato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito nella legge 106/11 – nello spirito della legge, è volto a coprire le componenti di patologia del rapporto creditizio. L’intermediario bancario, con il tasso medio copre i costi di raccolta, struttura ed organizzazione, con il differenziale fra il valore medio del tasso fisiologico e il margine superiore della soglia d’usura può compiutamente ammortizzare sofferenze e dubbi esiti del credito accordato.
Oltretutto, nelle aperture di credito gli interessi di mora decorrono con la revoca del fido. Ma con l’introduzione della categoria dello scoperto privo di fido, nella scarsa trasparenza delle ‘Istruzioni’, gli intermediari collocano i fidi revocati nella nuova categoria, creando così surrettiziamente un’impropria copertura alla maggiorazione della mora, altrimenti preclusa dal disposto normativo.
Creare, con il generico riferimento ad una rilevazione campionaria, un’ulteriore spread di penalizzazione entro una diversa e ancor più elevata soglia – ancor prima di ravvisare la ricorrenza dell’usura concreta[42] – appare, per il vero, stravolgere la logica della rilevazione del valore medio di mercato, quale elemento ordinario e fisiologico, al quale le stesse ‘Istruzioni’ fanno riferimento.
Con la legge 108/96 si è inteso individuare un limite d’usura al tasso sul credito, limitando i rischi e i costi delle relative patologie entro lo spread previsto, misurato sul costo ordinario del credito fisiologico. Non si è inteso porre un diverso limite d’usura al passaggio del credito dallo stato fisiologico a quello patologico: se si inseguono i diversi rischi e le relative patologie con differenti soglie d’usura si innesca un’ascesa che vanifica lo spirito stesso della legge.
5. I chiarimenti della Banca d’Italia del 3 luglio 2013
La mora costituisce una penalizzazione a presidio di comportamenti volti al rispetto delle condizioni contrattuali: se il tasso praticato è già prossimo alla soglia, non residuano spazi consentiti per introdurre una penalizzazione. D’altra parte è nello spirito della legge presidiare da eccessivi costi situazioni di difficoltà economico-finanziaria.
L’ABI, all’epoca dell’indagine sui tassi mora richiamata dal decreto ministeriale, sulla base di ‘prime autorevoli interpretazioni della dottrina’[43], aveva indirizzato le banche associate ad adottare, per la mora, un sofisticato criterio, successivamente mutuato dalla Banca d’Italia per la CMS con la Circolare del 2/12/05: soglia per la mora pari al 2,1% maggiorata del 50%, cioè 3,15 punti sopra il tasso praticato, sempre che il debordo non sia compreso nel margine fra il tasso soglia e il tasso corrispettivo.
L’indicazione dell’ABI non risulta essere stata seguita dalla banche più prudenti, che hanno valutato con attenzione le pronunce nel frattempo espresse dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale[44].
Una posizione diversa ha assunto recentemente la Banca d’Italia che, intervenendo, in maniera inusuale, con un chiarimento del 3/07/13, è parsa contrapporsi alla Sentenza ultima della Superiore Corte n. 350/13 in tema di mora[45]. Nel chiarimento si puntualizza:
i) i tassi soglia non sono fissati dalla Banca d’Italia ma determinati da un automatismo stabilito dalla legge, a partire dai tassi medi di mercato rilevati trimestralmente dalla Banca d’Italia e pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;
ii) la verifica dell’usurarietà dei tassi applicati ai singoli contratti e le conseguenti valutazioni, sotto l’aspetto civile e penale, sono rimesse all’Autorità giudiziaria;
iii) la Banca d’Italia, attraverso le ‘Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura’ e i connessi chiarimenti pubblicati sul sito, fornisce agli intermediari i criteri tecnici da seguire per segnalare in modo corretto e omogeneo i TEG applicati, utilizzati per l’individuazione delle soglie trimestrali. I Decreti ministeriali che aggiornano i tassi soglia dispongono che gli intermediari verifichino l’usurarietà dei tassi applicati sui singoli contratti sulla base degli stessi criteri tecnici;
iv) le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia sono costantemente aggiornate per tener conto dell’evoluzione della normativa in tema di contratti bancari e dell’innovazione finanziaria. Tali Istruzioni possono costituire una metodologia di riferimento per la valutazione dei casi concreti condotta dalla magistratura ma non ne vincolano le decisioni.
Nell’ambito di tali precisazioni di contorno la Banca d’Italia assume una propria posizione in merito agli interessi di mora:
‘In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui ‘la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali’. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.’
L’Istituto Centrale appare voler ricondurre ad un automatismo di legge quella gestione dei tassi d’usura esercitata attraverso le categorie di credito, le FAQ e, non da ultimo, questa nuova comunicazione a chiarimento. Trascura per altro che, così come il rispetto delle soglie d’usura prima di essere sottoposto al vaglio dell’Autorità giudiziaria deve essere correttamente monitorato dall’Autorità di Vigilanza, l’applicazione della norma va coniugata con i principi espressi dalla Suprema Corte; dopo le circostanziate pronunce espresse in questi ultimi anni, non sembra che residuino spazi di ignoranza che possano salvaguardare l’intermediario bancario dai riflessi penali.
Si prospetta altresì un’imprescindibile esigenza di omogeneità di confronto, non prevista in alcun punto dalla legge e che rigidamente intesa non ha alcuna giustificazione tecnica, non potendosi sovrapporre le finalità di rilevazione del TEGM con le finalità dell’art. 644 c.p.. Né la rilevazione campionaria del ‘02 sugli interessi di mora può essere intesa come un’integrazione per ricondurre i criteri tecnici di verifica a quelli di rilevazione statistica, trascurando che i primi, quelli di verifica, ubbidiscono ai principi fissati dall’art. 644 c.p. e spetta eventualmente ai secondi omogenizzarsi ai primi: il viceversa configurerebbe un ulteriore aspetto di gestione dell’usura che la riserva di legge non consente.
Tanto varrebbe, semplificando l’articolato e vincolato costrutto di supporto, tenere separati i due criteri, funzionali a obiettivi accostati ma non sovrapponibili, rinunciando ad una rigida omogeneità che non è nella natura delle diverse finalità perseguite; l’intermediario può sempre ricorrere, all’occorrenza, a meccanismi automatici di cimatura per il rispetto della norma.
Non vi è chi non possa notare un’apprezzabile discrasia fra quanto riportato nel chiarimento e quanto stabilito dalla norma di legge e dalle pronunce in materia espresse dalla Cassazione[46]. Appare assai stridente la posizione assunta in materia di tassi di mora, per i debiti riflessi di emulazione indotti nei comportamenti bancari[47]; i risvolti assumono una connotazione politica.
Poiché la previsione legislativa non ha ritenuto di contemplare una specifica soglia per i tassi di mora, considerandoli alla stregua dei tassi corrispettivi e compensativi, la Banca d’Italia, avvalendosi di una rilevazione parziale e vetusta, nell’esercizio del suoi controlli di Vigilanza, adotta un criterio analogo alla CMS soglia della Circolare del 2/12/05, privo di ogni sostegno normativo, giurisprudenziale e dottrinale[48].
Con il chiarimento prospettato, si crea un varco interpretativo che, ad una lettura poco accorta, potrebbe far ritenere leso il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale, con la riproposizione dello iato fra l’elemento oggettivo e soggettivo d’usura.
Dopo anni di fermo sostegno alla trasparenza, la Banca d’Italia ha da ultimo realizzato che questa non è un sufficiente, esaustivo ed efficiente presidio alla correttezza dei comportamenti degli intermediari, ma non si intravvedono significative azioni e rimedi integrativi: si scorgono, al contrario, atteggiamenti di tutela, in odore di connivenza, che non paiono propri all’Organo di Vigilanza. In tali circostanze insorgono pregiudizi che, ad esempio, non fanno ritenere compiutamente trasparenti commissioni di istruttoria veloce la cui aderenza ai costi è affidata a procedure interne soggette esclusivamente al controllo dell’Organo di Vigilanza[49].
Senza trascurare, per altro, il richiamo del chiarimento alla circostanza che le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia vengono costantemente aggiornate per tener conto dell’evoluzione del mercato creditizio; sono all’uopo richiamati, accanto alle ‘Istruzioni’, ‘i connessi chiarimenti pubblicati sul sito’ i quali hanno assunto la singolare funzione di modifica interpretativa delle ‘Istruzioni (cfr. nota 15). Con buona pace della riserva di legge, se tali ‘Istruzioni’ e i connessi chiarimenti – a norma dell’art. 3, comma 2 dei Decreti Ministeriali – oltre che per la rilevazione del TEGM devono anche essere impiegati per la verifica del limite d’usura.
Ancorché il Testo Unico Bancario, D.L. 385/93 attribuisca all’art. 5 alla Banca d’Italia poteri di vigilanza, ‘avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia.’, in presenza di commissioni di scoperto di ammontare superiore agli interessi, si è ritenuto che ‘Con specifico riferimento ai costi applicati dalle banche su affidamenti e scoperti di conto, l’intervento della Banca ha potuto ottenere minori risultati concreti perché la materia non rientra tra le sue competenze: a fronte di strutture commissionali di dubbia legittimità, ma comunque pubblicizzate, la Banca non può avviare procedure sanzionatorie. (Audizione 6° Commissione del Senato del dott. A. Enria della Banca d’Italia, 17/03/10). Per i tassi di mora, invece, come menzionato nel chiarimento, si precisa: ‘In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.’
Balza agli occhi la disparità fra l’astensione in spazi che appaiono propri all’Autorità di Vigilanza e l’intervento in spazi di competenza che invece gli sono preclusi.
Le finalità delle Autorità di Vigilanza sono state ulteriormente allargate e precisate dall’art. 127, come modificato dai D. Lgs n. 141/10, n. 218/10 e n. 169/12, il quale prevede che “Le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’articolo 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela.”.
Recentemente il Direttore Generale della Banca d’Italia ha avuto modo di precisare[50]: “Attraverso emendamenti recenti, approvati nel 2010, il Testo unico ha anche recepito in modo compiuto le crescenti istanze di tutela della clientela delle banche. L’art. 127 stabilisce ad esempio che la Banca d’Italia deve aver “riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’articolo 5 (sana e prudente gestione), alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela”; l’art. 128-ter dà alla Banca d’Italia penetranti poteri inibitori in caso di irregolarità nei rapporti con la clientela. (…) La regolazione e la supervisione esercitate dalla Banca d’Italia hanno seguito l’evoluzione di questa sensibilità, innalzando l’attenzione alla tutela della clientela delle aziende bancarie e finanziarie, dedicando via via più risorse a questo aspetto, ritenuto anch’esso parte integrante della vigilanza. (…) Se la fiducia del pubblico nei confronti della correttezza dei comportamenti dell’industria finanziaria è incrinata, come a volte è accaduto in questi anni, è messa a repentaglio la sana e prudente gestione di singoli intermediari, è minacciata la stabilità dell’intero sistema finanziario. L’azione di vigilanza prudenziale e la tutela dei clienti si rafforzano l’un l’altra.”
Le considerazioni ed osservazioni in precedenza illustrate non sembrano evidenziare, in materia di usura, quella sensibilità e attenzione alla tutela della clientela bancaria, che pur la Banca d’Italia ha negli ultimi anni prestato in tema di trasparenza e correttezza dei rapporti contrattuali.
Ancor prima dell’operatore bancario, la stessa Banca d’Italia deve recuperare quel rapporto di ‘fiducia istituzionale’ che, da Einaudi e Menichella sino a Carli e Baffi, ha accompagnato il proprio operato. A partire dagli anni novanta un cambiamento epocale ha interessato i rapporti fra banca e impresa: il rapido deterioramento dell’immagine reputazionale dell’intermediario ha toccato anche l’Istituto Centrale i cui interventi non appaiono talvolta distanti e distinti dall’Associazione di categoria.
Il nostro ordinamento affida la funzione nomofilattica alla Corte di Cassazione, senza deroghe, esclusioni e deleghe. Un più attento rispetto dell’Organo giudiziario ed un continuo dialogo e confronto con lo stesso potrebbero dispiegare una proficua sinergia fra i due Organi istituzionali e condurre ad interventi della Banca d’Italia più conformi al dettato normativo, più equilibrati nel mediare le esigenze delle parti che intervengono nel mercato del credito, incidendo e arginando comportamenti degenerativi dell’attività creditizia che esprimono null’altro che forme legalizzate d’usura.
APPENDICE
Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura.
1. La legge n. 108/1996 ha introdotto un limite ai tassi effettivi sulle operazioni di finanziamento, il cui superamento determina un caso di usura. I tassi soglia non sono fissati dalla Banca d’Italia ma determinati da un automatismo stabilito dalla legge, a partire dai tassi medi di mercato rilevati trimestralmente dalla Banca d’Italia e pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dal 14 maggio 2011 il limite è pari al tasso medio segnalato dagli intermediari aumentato di 1/4, cui si aggiungono quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali. In precedenza la soglia era pari al tasso medio aumentato del 50 per cento.
2. La verifica dell’usurarietà dei tassi applicati a singoli contratti e le conseguenti valutazioni, sotto l’aspetto civile e penale, sono rimesse all’Autorità giudiziaria.
La Banca d’Italia:
- emana le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali (TEG) medi, che tengono conto delle caratteristiche tecniche delle diverse operazioni di finanziamento;
- effettua la rilevazione trimestrale, verificando, in tale sede, che gli intermediari rispettino il limite delle soglie di usura; poiché la rilevazione raccoglie dati aggregati per intermediario, categoria e classe di importo, le verifiche trimestrali riguardano dati medi, non riferiti alle singole operazioni;
- nell’ambito dei controlli effettuati presso gli intermediari dagli ispettori di vigilanza, verifica la funzionalità delle procedure di calcolo del TEG e di segnalazione trimestrale, sulla base delle regole previste nelle Istruzioni. Eventuali disfunzioni procedurali sono comunicate agli organi aziendali, cui vengono richiesti i necessari interventi correttivi. L’attuazione di tali interventi determina la restituzione delle somme eventualmente indebitamente percepite; gravi carenze organizzative e procedurali sono sanzionate sulla base delle norme del Testo Unico Bancario;
- nel corso delle verifiche di trasparenza, controlla che le tabelle con i tassi soglia siano correttamente esposte e pienamente accessibili alla clientela;
- esamina gli esposti, secondo le linee guida indicate sul sito internet(1), fermo restando che non può pronunciasi nel merito delle controversie, anche quando riguardino i tassi applicati;
- provvede a segnalare all’Autorità Giudiziaria gli aspetti di possibile rilevanza penale riscontrati nell’esercizio dell’attività di vigilanza.
3. La rilevazione svolta dalla Banca d'Italia sui tassi effettivi globali medi distingue due tipologie di crediti:
- per i finanziamenti a utilizzo flessibile sono rilevati i TEG praticati nel trimestre per tutti i conti in essere anche se si tratta di contratti stipulati in precedenza. Le forme tecniche che ricadono in questa fattispecie sono le aperture di credito in conto corrente, gli anticipi su crediti e sconto di portafoglio commerciale, il factoring e il credito revolving. I TEG applicati per tali operazioni sono sensibili alle variazioni di mercato, fermo restando quanto disposto dalla legge in materia di variazioni contrattuali unilaterali. La Banca d'Italia ha dato indicazione agli intermediari di condurre una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti in ciascun periodo per tutti i finanziamenti di tale tipo in corso;
- per i finanziamenti con un piano di ammortamento predefinito (credito personale, credito finalizzato, leasing, mutui, prestiti contro cessione del quinto e della pensione, altri finanziamenti) viene rilevato il TEG relativo ai nuovi contratti stipulati nel trimestre. Per questa tipologia di crediti la verifica sul rispetto delle soglie è compiuta solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura degli interessi è stabilita.
4. I TEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.
Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente.
L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.
Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora.
L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”.
In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo (cfr. paragrafo 1).
5. La legge n. 108/96 fissa un criterio oggettivo ma molto generale per la valutazione della liceità
dei tassi applicati. La Banca d’Italia, attraverso le “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della Legge sull’usura” e i connessi chiarimenti pubblicati sul sito, fornisce agli intermediari i criteri tecnici da seguire per segnalare in modo corretto e omogeneo i TEG applicati, utilizzati per l’individuazione delle soglie trimestrali. I Decreti ministeriali che aggiornano i tassi soglia dispongono che gli intermediari verifichino l’usurarietà dei tassi applicati sui singoli contratti sulla base degli stessi criteri tecnici. Le Istruzioni della Banca d’Italia sono costantemente aggiornate per tenere conto dell’evoluzione della normativa in tema di contratti bancari e dell’innovazione finanziaria.
Tali Istruzioni possono costituire una metodologia di riferimento per la valutazione dei casi concreti condotta dalla magistratura ma non ne vincolano le decisioni.
Considerazioni analoghe valgono per le decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), assunte secondo diritto e in piena autonomia rispetto alla Banca d'Italia.
Roma, 3 luglio 2013
[1] Cfr. A. Fazio, Intervento presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, 7 ottobre 1994; G. Carosio, Prevenzione dell’usura ed evoluzione dei mercati creditizi, Senato della Repubblica, 2° Commissione permanente Giustizia, 23 marzo 2007.
Anche autorevoli esperti si sono frequentemente espressi criticamente nei riguardi del provvedimento per i suoi riflessi sul libero esercizio del mercato, potendo determinare effetti distorsivi e impedire l’accesso al credito da parte delle fasce marginali che risultano così più esposte all’usura criminale. Si sostiene per contro che, in assenza di una piena trasparenza ed efficienza concorrenziale del mercato in grado di temperare e calmierare le condizioni del credito, si assisterebbe ad un’estesa applicazione di condizioni di credito ‘abusive’, non coerenti con i costi di raccolta, allocazione e gestione del credito, soprattutto nei riguardi delle categorie di percettori più deboli (consumatori, artigiani e piccoli imprenditori): apprezzabilmente più marcati risulterebbero i riflessi in termini economici, oltre che umani e sociali.
[2] “Ebbene, basta poco per avvedersi di come il delitto di usura, quale definito a seguito dell’intervento novellistico operato dalla legge n. 108/96, non riservi affatto – come pretenderebbe il ricorrente – compiti ‘creativi’ alla pubblica amministrazione, affidando a questa margini di discrezionalità che invaderebbero direttamente l’area penale riservata alla legge ordinaria. Come già ampiamente sottolineato anche dai giudici di merito, infatti, il legislatore si è fatto carico di introdurre e delineare una rigida ‘griglia’ di previsioni e di principi, affidando alla formazione secondaria null’altro che un compito di ‘registrazione’ ed elaborazione tecnica di risultanze, al di fuori di qualsiasi margine di discrezionalità.” (Cassazione penale, Sez. II, 18/3/03, n. 20148).
[3] “(…) o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi – come potrebbe inferirsi anche dall’esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato – che solitamente è trimestrale – e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi - ed è il caso di specie – o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia dell’1/10/96 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve essere computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge n. 108/96 ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del conto.”. (Cassazione civ. Sez. III, n. 11772 del 6/8/02). Successivamente la Cassazione ha ulteriormente definito le C.M.S. come “la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma.” (Cass. 18/01/06 n. 870).
[4] “Nonostante l’assoluta chiarezza dispositiva di dette norme (art. 644 c.p.), sono occorsi ben tredici anni di decisioni di merito e di legittimità e una nuova indicazione espressa del legislatore, per indurre la ricalcitrante Banca d’Italia a pubblicare in data 12/8/09 le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, nelle quali per la prima volta, differentemente dalle precedenti Istruzioni, la commissione di massimo scoperto (C.M.S.) viene inclusa nel calcolo del TEGM. (…) Questa condotta equivoca e ingiustificata della Banca d’Italia e del Ministero del Tesoro, poi divenuto MEF, ha rappresentato per anni una palese violazione dell’art. 644 comma 4 c.p. e dell’art. 2 comma 1 della legge 108/96, leggi di rango primario, che non potevano essere derogate da atti amministrativi contenenti normativa di rango subordinato alla legge. Ha inoltre dato la stura a interpretazioni elusive del contenuto dispositivo del comma 3 dell’art. 644 c.p., oltre a giustificare in molti casi l’insussistenza del delitto di usura bancaria per mancanza dell’elemento psicologico del reato.”. (Flavio Cusani, La relazione Banca cliente, Direkta, 2011).
[5] Nella sentenza della Corte d’Appello si fa riferimento all’episodicità e alla minima entità degli esuberi, quali indici che depongono per l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato. L’affermazione, almeno per uno dei tre Istituti di credito, appare in contraddizione con le risultanze della perizia curata dal CTU, che ha riscontrato, su 48 trimestri, esaminati in più conti, 11 trimestri che presentavano un TEG superiore alla soglia d’usura, ancor prima di considerare la CMS, e 15 trimestri di esubero considerando anche le CMS con l’applicazione della Circolare della Banca d’Italia 2/12/05.
[6] Se la diffusa e continua disattenzione del portato letterale dell’art. 644 c.p., nella confusione normativa che ha accompagnato il fenomeno sino al 2010, ha reso necessaria, per i comportamenti passati, una forma di sanatoria penale, appare inevitabile dopo le puntuali e circostanziate precisazioni fornite dalla Suprema Corte un atteggiamento di maggior rigore per i comportamenti che nel proseguo possano disattendere i limiti posti al costo del credito.
Un rischio particolare insorge nelle azioni legali delle banche, volte al recupero del credito risultante dal saldo finale del conto, promosse successivamente alle menzionate sentenze, tenendo presente che il reato d’usura si consuma, oltre che nel ‘farsi promettere’, anche nel ‘farsi dare’. Per gli interessi usurari addebitati in conto negli anni precedenti, qualora non coperti da rimesse di pagamento intervenute prima del 2010 e quindi ancora ricompresi nel saldo, il decreto ingiuntivo, l’azione esecutiva o l’insinuazione fallimentare possono configurare un inescusabile reato d’usura, privo delle giustificazioni che, per gli anni pregressi, ne hanno delimitato gli effetti al campo civile. Con la consapevolezza acquisita dalle citate sentenze della Cassazione, anche un’ordinaria azione legale può, in talune circostanze, integrare il reato di estorsione.
[7] Gli interessi collettivi ad un corretto funzionamento del mercato del credito, che nella visione del legislatore sembrano accostare e travalicare quelli del singolo, ampliano la prospettiva nella quale si colloca il testo dell’art. 644 c.p. riformulato dalla legge 108/96. Il credito, sia esso rivolto agli investimenti che rivolto al consumo, costituisce il volano dello sviluppo economico: la regolarità del mercato e la calmierazione dei tassi praticati alla generalità della clientela trovano fondamento e legittimità nell’art. 41 della Costituzione, ponendo un presidio agli indebiti riflessi che possono derivare da scelte degli intermediari eccessivamente protese al conseguimento di profitti economici. “Una scelta legislativa dunque dalla quale traspare l’evidente intento di delineare la disciplina dell’usura in chiave tendenzialmente oggettiva, caratterizzando la fattispecie come una violazione del rapporto di adeguatezza delle prestazioni, secondo parametri predefiniti ed obiettivi che necessariamente non possono non tener conto delle leggi di mercato e del variabile andamento dei tassi che da esse conseguono. Attraverso l’abbandono del tradizionale requisito per così dire soggettivistico dell’abuso, e la sua sostituzione con il rilievo del tutto prevalente che nella struttura delle fattispecie finisce per assumere il requisito – tutto economico – della sproporzione tra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario, la prospettiva della tutela sembra dunque essersi spostata dalla salvaguardia degli interessi patrimoniali del singolo e, se si vuole, dalla protezione della personalità del soggetto passivo, verso connotazioni di marcata plurioffensività, giacché accanto alla protezione del singolo, vengono senz’altro in gioco anche – e forse soprattutto – gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito ed alla regolare gestione dei mercati finanziari. (…) dovendo l’iniziativa economica, in base allo stesso precetto costituzionale, non soltanto non porsi in contrasto con l’utilità sociale, ma addirittura ‘essere indirizzata e coordinata ai fini sociali’: il che evidentemente evoca – quale ulteriore parametro di riferimento che viene senz’altro in discorso, alla luce delle segnalate innovazioni che l’art. 644 c.p. presenta sul piano del relativo oggetto giuridico – anche la protezione offerta all’esercizio del credito dall’art. 47 della Carta fondamentale.” (Cassazione penale, Sez. II 18/3/03, n. 20148).
[8] ‘Sul piano della teoria economica, la correlazione tra rischio e rendimento non ha un andamento sempre crescente. Oltre un certo livello, nessun aumento di tasso può compensare l’aumento del rischio, anzi l’onerosità del tasso aggrava il rischio in una spirale perversa. La curva di offerta dei prestiti – che raffigura la quantità di credito offerta dagli intermediari in funzione del prezzo a cui il finanziamento viene erogato – diviene a quel punto anelastica, insensibile al tasso.’. (G. Berionne, Consiglio Superiore della Magistratura, incontro di studio sul tema: ‘Usura e disciplina penale del credito’, Frascati 1997).
[9] Un’indagine della Commissione Europea del 2006 ed un’analoga indagine condotta l’anno successivo dall’Autorità Antitrust avevano segnalato la palese distorsione del fenomeno.
[10] Alquanto dissonante appare il reiterato riferimento della Banca d’Italia all’art. 3, comma 2 dei decreti ministeriali, da ultimo richiamato nella recente stringata comunicazione del 29 maggio 2013: “Per far sì che i tassi effettivamente applicati risultino contenuti entro i limiti previsti dalla legge, i decreti ministeriali con i quali vengono trimestralmente pubblicati i tassi soglia stabiliscono che gli intermediari debbano far riferimento ai medesimi criteri previsti dalle ‘Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura’ emanate dalla Banca d’Italia”.
[11] E’ questo l’algoritmo fatto proprio dal Gup di Ascoli Piceno nella sentenza esaminata dalla Cassazione Pen. n. 12028/10.
[12] Sino al ’09 era agevole eludere la norma spostando su terzi una parte dei costi: sino al I trimestre ’10 si poteva anche delocalizzare su finanziarie la stessa erogazione del credito, beneficiando delle soglie d’usura più elevate previste per questi soggetti.
[13] Gli interessi riportati nella prima frazione del TEG venivano correttamente riportati all’anno, mentre gli oneri riportati nella seconda frazione venivano riferiti al trimestre, con un’incidenza ridotta ad ¼.
[14] Il dott. Luca Criscuolo, CTU nel procedimento penale di Palmi, oggetto di esame della sentenza della Cassazione n. 46669/11, riporta come una primaria banca interessata dal procedimento stesso, avesse pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ai sensi della normativa sulla trasparenza delle condizioni contrattuali, un avviso ‘nel quale si comunicava alla clientela la ridenominazione e la sostituzione di alcuni oneri, specificando tra l’altro che le spese qualificate ‘diritti di chiusura’ sono denominate ‘spese tenuta conto’, ciò al fine di non considerare le spese di chiusura, essendo gli oneri per tenuta conto esclusi dal calcolo del tasso’.
[15]In maniera alquanto impropria e singolare, con le FAQ del 1° dicembre ’10 si è modificato, con decorrenza dal trimestre di rilevazione ottobre-dicembre 2010, il criterio di annualizzazione previsto dalle ‘Istruzioni’. La modifica, rimuovendo in larga parte l’annualizzazione, ha risvolti economici apprezzabili, risulta priva di fondamento logico-finanziario e si pone in contrasto con il dettato dell’art. 644 c.p. che, ancorché interessi, oneri e spese siano calcolati trimestralmente, pone il riferimento al ‘tasso effettivo annuo’. Sorge il ragionevole dubbio che la modifica sia stata curata dagli uffici competenti senza un sufficiente vaglio dei riflessi giuridici ed economici.
[16] “L’attività bancaria nel suo complesso, quale comprensiva dell’esercizio del credito e della raccolta del risparmio (si veda in particolare il D.L.vo n. 385/93) risulta disciplinata in modo tale da configurare non solo una delle tante forme di esercizio di impresa, già di per sé sottoposto a particolari forme di controllo, ma soprattutto, proprio in quanto riservata in via esclusiva agli istituti di credito ed in conformità al dato (spesso trascurato) della tutela costituzionale del risparmio di cui all’art. 47 Cost. predisposta a favore della collettività, un ‘servizio’ per il pubblico con tipiche forme di autorizzazione, di vigilanza e di ‘trasparenza’; ne deriva che i profili di responsabilità nell’espletamento di tale attività vanno individuati e, ove sussistenti, sanzionati in conformità all’elevato grado di professionalità richiesto.” (Cassazione, Sez. I Civile, 23/2/00 n. 2058).
[17] Si tralascia una prima smagliatura delle ‘Istruzioni’ rispetto alla norma di legge: la legge fa riferimento non al tasso annuo, ma al ‘tasso effettivo annuo’ con risvolti finanziari che, presumibilmente per semplicità di rilevazione, vengono trascurati nelle ‘Istruzioni’. Un esempio può essere di aiuto. Se l’ammontare di interessi, commissioni e spese imputati al trimestre ammonta a € 10 e lo scoperto medio di conto, nel trimestre, è pari a € 400, il tasso annuo, su base trimestrale è pari al 10% (10/400 x 365/92): questo è il tasso annuo, il cui pagamento però è distribuito in quattro momenti dell’anno, in ciascuno dei quali si viene a pagare il 2,5%. Poiché sugli € 10, che vanno ad incrementare alla fine del trimestre il credito, maturano ulteriori interessi nei successivi trimestri dell’anno, il tasso effettivo che si viene a corrispondere, in ragione d’anno, è pari al 10,38% [ = (1 + 2,5%)^4 - 1 ] del credito utilizzato nel trimestre. In altri termini risulta finanziariamente equivalente pagare il 10% con 4 pagamenti trimestrali del 2,5% o pagare, in unica soluzione, a fine anno il 10,38%. Il 10% è il tasso annuo, il 10,38% è il tasso effettivo annuo: a quest’ultimo si riferisce il disposto dell’art. 644 c.p..
[18] In un rigoroso calcolo finanziario si renderebbe necessario tener conto, oltre che della capitalizzazione infrannuale, dei giorni del trimestre.
[19] Cfr. Banca d’Italia, Risultati della rilevazione sulle commissioni applicate dalle banche su affidamenti e scoperti di conto (documento privo di data).
[20] “Un modello in cui gli operatori considerano lecita ogni mossa, in cui si crede ciecamente nella capacità del mercato di autoregolamentarsi, in cui divengono comuni gravi malversazioni, in cui i regolatori dei mercati sono deboli o prede dei regolati, in cui i compensi degli alti dirigenti d’impresa sono ai più eticamente intollerabili, non può essere un modello per la crescita del mondo”. (M. Draghi, Governatore della Banca d’Italia, a commento dell’Enciclica Caritas in veritate, l’Osservatore Romano, 9 luglio 2009).
[21] Si riscontra spesso da parte dell’intermediario una significativa vischiosità e ritrosia ad una formalizzazione del fido, sia per il più significativo contenuto degli obblighi assunti dalla banca sia per l’impegno del capitale di vigilanza; mentre una distinta e impregiudicata revocabilità unilaterale ed immediata del fido, congiuntamente allo jus variandi, ha tutelato maggiormente l’intermediario, sia dal rischio di inesigibilità del credito, sia dal rischio di ascesa dei tassi. Indicative al riguardo sono le considerazioni espresse da P. Ferro-Luzzi: “Il sistema bancario si è sempre mostrato molto riluttante alla determinazione precisa degli obblighi della banca e dei diritti del cliente in ordine alla ‘disponibilità’, sfumando più possibile il contenuto e la portata del diritto del cliente. Al proposito le vecchie N.B.U., vado a memoria ma non credo di sbagliare di molto, per quanto riguardava il recesso della banca dall’apertura di credito stabilivano: ‘La banca ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con una comunicazione verbale, dall’apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al cliente, con lettera raccomandata un preavviso non inferiore a 1 giorno’. La formula oggi è probabilmente diversa, e non è questa la sede per criticarla, mostra però all’evidenza la riluttanza a considerare la disponibilità come un ‘dovere di dare’ giuridicamente rilevante della banca. Conferma questa impressione la circostanza, vado ancora a memoria, che nei bilanci delle banche se viene registrata l’entità dell’utilizzato, l’entità dell’affidato, se appare, appare invece ‘sotto la linea’, come semplice impegno (c.d. ‘margine disponibile’); del resto l’‘affidato’, se non accompagnato da clausole di ‘irrevocabilità’, ben rare, non ha come tale un suo rilievo, un suo peso nella determinazione dell’impegno del patrimonio a fini di vigilanza. Si è in realtà in presenza di uno dei tanti, purtroppo frequenti, ‘disallineamenti’ tra operatività bancaria e disciplina giuridica; in effetti se è sicuro che il cliente non ha un ‘diritto di credito’ sull’affidato (come, con costante insuccesso, si è talora tentato di sostenere), è altrettanto vero che qualche profilo di ‘giuridicità’ la posizione del cliente affidato deve pur averlo; le banche tentano di sfumarlo al massimo (revocabilità in qualunque momento, anche nei contratti a tempo determinato, anche con comunicazione verbale e senza prevedere, diciamo, spiegazioni), ma, ripeto, che qualche profilo di rilevanza giuridica vi debba essere, e vi sia, lo dimostrano gli interventi, giurisprudenziali soprattutto, in punto di condizioni di liceità del recesso.” (Paolo Ferro-Luzzi, Ci risiamo. A proposito dell’usura e delle commissioni di massimo scoperto, Giur. Comm. 2006).
[22] Con le FAQ del 1° dicembre ’10, vengono consolidati i cambiamenti già introdotti nelle FAQ precedenti, chiarendo, per entrambi i casi di scoperto (senza fido e oltre il fido): “ad esempio, se nel trimestre di segnalazione si è registrato uno scoperto che ha avuto inizio nel trimestre precedente e che sia durato in totale quattro mesi, la segnalazione dovrà considerare gli interessi e gli oneri sostenuti nel trimestre di rilevazione, moltiplicandoli per quattro se si tratta di oneri mensili o per 120 se giornalieri e rapportandoli al saldo massimo di segno negativo registrato nel trimestre di rilevazione.”. Con la precisazione: ‘La presente indicazione si applica a partire dalla rilevazione relativa al trimestre ottobre-dicembre 2010 (quindi applicativa, per la verifica, dal 1 aprile ’11)”.
La confusione e l’irragionevolezza finanziaria del criterio prospettato sollevano ampie perplessità: oltre al palese refuso di associare agli oneri anche gli interessi, che vanno computati in ragione d’anno, con il chiarimento, dopo poco meno di un anno, si mira a modificare il dettato delle ‘Istruzioni’, sotto la veste di una ‘precisazione’ alla quale si attribuisce altresì una decorrenza. Nel senso che prima della rilevazione del trimestre ottobre-dicembre 2010, le ‘Istruzioni’ vanno interpretate per come sono scritte, mentre con la menzionata rilevazione, vanno interpretate come riportato nella precisazione. Appare un ossimoro: come può una FAQ, per la natura stessa che la costituisce, avere una valenza modificativa della norma che intende chiarire?
[23] Cfr. Banca d’Italia. Risultati della rilevazione sulle commissioni applicate dalla Banche su affidamenti e scoperti di conto (doc. privo di data).
[24] D’altra parte nelle stesse FAQ si richiama anche l’applicazione di un passaggio delle ‘Istruzioni’ dal quale buona parte delle banche, dimostrando una maggiore avvedutezza e cautela di quanto suggerito dalla Banca d’Itala, risulterebbe essersi discostata, per la palese contrarietà al dettato normativo. Il riferimento è al periodo transitorio, fra le precedenti e le nuove ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, nel passaggio dalle CMS alle commissioni sostitutive di affidamento e di scoperto; le ‘Istruzioni’ del ’09, in maniera arbitraria e alquanto incauta, riportano: “Si ritiene opportuno precisare che le nuove istruzioni prevedono che fino al 31.12.09 (periodo transitorio) restano pertanto esclusi dal calcolo del TEG per la verifica del limite di cui al punto precedente (ma vanno inclusi nel TEG per l’invio delle segnalazioni alla Banca d’Italia): a) la CMS e gli oneri applicati in sostituzione della stessa, come previsto dalla legge 2 del 2009; b) gli oneri applicati alla clientela per i passaggi a debito di conti non affidati, fino a concorrenza delle spese addebitate ai clienti per la liquidazione trimestrale dei conti affidati; c) gli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente (anche per il tramite dell’intermediario).
Tale opinione appare confliggere, oltre che con la ratio della legge usura (L. 108/1996), con l’art 2 bis della stessa legge 28/1/2009, n. 2, che prevede che ‘il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto’ e quindi le commissioni in parola non potevano che essere ricomprese nel calcolo del TEG.
[25] La menzionata flessione può essere presumibilmente riconducibile, in buona parte, al menzionato intervento modificativo dell’annualizzazione, intervenuto con le FAQ del 1 febbraio ’10 e consolidatosi con le FAQ del 1 dicembre ’10.
[26] “Come possibile soluzione si potrebbe prevedere lo scorporo della componente extra-fido e la classificazione della stessa nella categoria attualmente riservata agli ‘scoperti senza affidamento’, per le analogie che contraddistinguono le due tipologie di operazioni. Tale categoria presenta soglie strutturalmente più elevate (quelle attuali sono del 21,9% e del 21,5% per le due classi d’importo previste). Da un lato, tale innovazione consentirebbe agli intermediari di applicare tassi più elevati per le operazioni extra-fido, dall’altro, lo scorporo della componente extra-fido determinerebbe una riduzione delle soglie usura per la categoria ‘aperture di credito in conto corrente’. Si dovrà inoltre valutare se l’accorpamento di extra-fido e scoperto senza affidamento comporterà una riduzione dei tassi anche in quest’ultima categoria, nel caso in cui – come osservato in alcuni contratti – la prima tipologia sia caratterizzata da tassi meno penalizzanti.”.
[27] Verrebbe altresì meno la remora ad un’estensione e durata dell’extra fido costituita dalla circostanza che le ‘Istruzioni’ prevedono il rapporto degli oneri al fido accordato, per cui il debordo dal fido induce una limitazione maggiore nel TEG applicato.
[28] “Le banche potevano quindi neutralizzare la nuova normativa in tema di usura aumentando le commissioni di massimo scoperto, atteso che queste non venivano conteggiate per verificare il superamento dei tassi soglia. Gli istituti erano altresì avvantaggiati dalla generale discesa dei tassi di mercato negli anni successivi. Mentre i tassi di interesse scendevano, le commissioni di massimo scoperto aumentavano, divenendo così una componente sempre più rilevante dei ricavi derivati dall’attività di finanziamento”. (G. Canali, Giudice Tribunale Brescia, Il contenzioso con le banche e le società di leasing, 25 maggio 2012).
[29] Meri palliativi appaiono gli interventi di trasparenza previsti per il credito al consumo.
[30] Lo scoperto di conto non costituisce una ordinaria forma di credito. Se si accompagna ad una criticità nella situazione di liquidità, incorpora spesso una gradazione di patologia, non dissimile dal credito scaduto e non pagato.
[31] Le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia prevedono al riguardo una distinzione fra fidi revocati e fidi scaduti. I fidi revocati, ancorché non saldati, sono esclusi dalla rilevazione, mentre i fidi scaduti e non saldati continuano, anche nei trimestri successivi, ad essere segnalati nella medesima categoria, con riferimento all’ultimo fido accordato, sino all’estinzione e/o al giro a sofferenza. In entrambi i casi di estinzione del fido la verifica del rispetto della soglia dovrebbe essere effettuata con riferimento alla categoria del credito affidato e con l’ultimo fido accordato. Ma non risulta che le procedure informatiche delle banche siano organizzate in questo senso, né che la Banca d’Italia sia intervenuta con un chiarimento come fatto per gli interessi di mora.
[32] Cfr. anche A.A. Dolmetta . Alle soglie dell’usura: tra apertura, sconfinamento e ‘scoperti senza affidamento’, in ilcaso.it.
[33] “Proprio il rilievo che assume la procedura amministrativa per l’integrazione del reato ha fatto sorgere dei dubbi di costituzionalità della norma. Sul punto è intervenuta questa Sezione che ha statuito che: “In tema di usura è manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità del combinato disposto degli artt. 644, terzo comma cod. pen. e 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108 per contrasto con l’art. 25 Cost., sotto il profilo che le predette norme, nel rimettere la determinazione del “tasso soglia”, oltre il quale si configura uno degli elementi oggettivi del delitto di usura, ad organi amministrativi, determinerebbero una violazione del principio della riserva di legge in materia penale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20148 del 18/03/2003 Ud. Rv. 226037). Con tale pronunzia la Corte ha osservato che il principio della riserva di legge è rispettato in quanto la suddetta legge indica analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al Ministro del tesoro solo il limitato ruolo di “fotografare”, secondo rigorosi criteri tecnici, l’andamento dei tassi finanziari. Non v’è dubbio che la legge abbia determinato con grande chiarezza il percorso che l’autorità amministrativa deve compiere per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari. Questo percorso postula l’intervento della Banca d’Italia che nella sua qualità di Organo di vigilanza deve fornire le dovute istruzioni alle banche ed agli operatori finanziari autorizzati per la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi praticati dal sistema bancario e finanziario in relazione alle categorie omogenee di operazioni creditizie.
E tuttavia questo intervento tecnico per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari postula comunque delle scelte interpretative da parte dell’Organo di vigilanza tanto in merito alla classificazione delle operazioni omogenee rispetto alle quali effettuare la rilevazione dei tassi medi effettivamente praticati nel trimestre, quanto in merito all’individuazione “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese (…) collegate all’erogazione del credito”, che devono essere incluse nelle rilevazioni statistiche, quanto delle voci che devono essere escluse, in quanto imposte o tasse, ovvero oneri non collegati all’erogazione del credito. (Cassazione, 19/2/10, n.12028).
[34] “La concessione di finanziamenti a qualsiasi soggetto economico, se pure necessaria ed utile per lo svolgimento dell’attività, certo non può considerarsi vantaggiosa dal punto di vista strettamente finanziario, in quanto il valore rappresentato dall’importo finanziato è sempre neutralizzato, nel patrimonio della società, dal corrispondente debito nei confronti dell’istituto finanziatore, e deve anche essere maggiorato degli interessi relativi e delle ulteriori spese inerenti al servizio espletato. Conseguentemente, non solo la concessione di finanziamenti si presenta neutra nello stato patrimoniale delle società, ma ha addirittura un effetto negativo laddove si consideri la necessità di conteggiare a debito le somme relative agli interessi maturati nell’esercizio, come pure il corrispettivo spettante all’istituto di credito per il servizio espletato. Tale effetto negativo potrà certo essere controbilanciato dagli effetti positivi dell’impiego del finanziamento nell’impresa ma questo solo a condizione che tale impiego sia produttivo di ricavi operativi. Gli oneri connessi al finanziamento potranno, infatti, essere coperti solo ed in quanto i ricavi derivanti dall’utilizzazione produttiva del finanziamento siano più elevati. In questo caso l’impresa efficiente può effettivamente ben trarre utilità dal finanziamento. Questo si verifica quando l’impresa è in grado di elaborare e soprattutto di attuare un ragionevole piano industriale, che consenta di utilizzare il capitale proveniente da finanziamento per investimenti. Da ciò consegue che in tutti i casi in cui le condizioni economiche dell’impresa finanziata (in particolare le sue capacità produttive), siano tali da non consentire una efficiente utilizzazione della liquidità ottenuta con il finanziamento, il peso degli oneri del finanziamento (la cd. Leva finanziaria) eroderà in modo progressivo il patrimonio della società.” (B. Inzitari, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, 2007, in: ilcaso.it).
[35] Un sintomo di disfunzione è rappresentato dagli sconfinamenti sui fidi bancari, un fenomeno che si colloca su livelli particolarmente elevati in talune regioni meridionali. La prassi degli sconfinamenti può dipendere da carenze organizzative delle banche. Essa influisce pesantemente sul costo effettivo del denaro, per effetto delle maggiorazioni di tasso e delle commissioni di massimo scoperto. E’ indicativa di comportamenti non trasparenti: la banca accorda un fido inferiore a quello che serve al cliente, rendendosi peraltro disponibile a mantenerlo di fatto al di sopra dell’accordato; il cliente dal canto suo accetta questa impostazione, che lo pone in una situazione di debolezza nei rapporti quotidiani con la banca. (G. Berionne, Consiglio Superiore della Magistratura, incontro di studio sul tema: ‘Usura e disciplina penale del credito’, Frascati 1997).
[36] Pur con i debiti distinguo, impliciti nella natura e garanzia, delle diverse forme di credito, appare assai ampio il divario fra il tasso del credito in conto corrente e quello medio generale dei prestiti; quest’ultimo, secondo una recente indagine (maggio 2013) della Confartigianato è stato stimato pari al 4,85% per i prestiti sino a € 250.000, 84 punti base in più rispetto alla media europea e 148 punti in più rispetto alla Germania.
[37] “attraverso l’erogazione del credito, l’imprenditore dota la sua organizzazione produttiva di un capitale la cui acquisizione si giustifica perché esso viene a costituire uno strumento di produzione dell’impresa stessa. Ma questo significa che, al pari di tutti gli strumenti di produzione, anche il finanziamento ricevuto ha i suoi costi ed i suoi oneri: il costo degli interessi ed altre spese dovute quale corrispettivo alla banca e l’onere di dovere restituire l’intera somma ricevuta alla scadenza. L’imprenditore dovrà necessariamente realizzare un piano industriale che gli consenta di trare utili in una misura sufficiente almeno a coprire il costo degli interessi dovuti al finanziatore. Infatti, in mancanza di un equilibrio tra misura degli utili e misura degli interessi, l’intero patrimonio dell’impresa sarà progressivamente ed inesorabilmente pregiudicato, si verificherà un aumento irreversibile del passivo, come pure si verificherà una inevitabile erosione di risorse che verranno distolte da usi produttivi per far fronte al crescente debito degli interessi. Nella sua forma estrema tale pregiudizio si osserva nei finanziamenti usurai caratterizzati dal fatto che l’abnorme costo degli interessi è, per definizione, di molto superiore a qualsiasi possibile remunerazione e reimpiego che l’imprenditore può trarre dall’uso del denaro acquisito con il finanziamento. (…) Da quanto rappresentato emerge che il danno che può derivare dalla condotta della banca che abbia finanziato in modo irregolare l’impresa investe proprio la società ed iol suo patrimonio, il quale, per effetto degli ingiustificati finanziamenti concessi dalla banca stessa, verrà ad essere progressivamente eroso fino a diventare deficitario.” (B. Inzitari, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, 2007, in: ilcaso.it).
[38] “(…) Ne discende, in primo luogo, l’esigenza di definire i contenuti di tale stato di bisogno (…) la giurisprudenza ha riconosciuto con sempre maggiore ampiezza, passando da una interpretazione restrittiva, che lo limitava alle sole esigenze di carattere alimentare legate alla sopravvivenza del soggetto, ad una concezione più aderente alla realtà del costume e dei rapporti economici, che lo riconosce in ogni stato di difetto di liquidità che induca un soggetto ad accettare l’applicazione di interessi oggettivamente iniqui (…) le cause che determinano il ricorso al credito usurario si sostanziano in un difetto di liquidità, che può assumere diversa consistenza, ricorrendo, ad esempio, nell’esigenza di denaro liquido per far fronte ai pagamenti di routine, in contingenze negative di mercato, in momenti di crisi aziendale più consistenti, nella necessità di capitale per iniziative economiche reputate fondamentali, e così via.” (Audizione dei magistrati della procura circondariale presso la pretura di Roma alla Commissione Antimafia, in: www.liberliber.it/ biblioteca/i/italia/ verbali_antimafia_xi_legislatura/html/violante02/48_00.htm).
[39] Tale eventualità risulterebbe esclusa dal CICR che, nel provvedimento del 30/6/12, nel regolare gli affidamenti e gli scoperti ha previsto: “Rimane fermo quanto stabilito, ai sensi dell'articolo 120 del TUB e della delibera CICR del 9 febbraio 2000 recante "Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria e finanziaria".
[40] Con l’applicazione dell’art. 1815 c.c. a tutti gli interessi, sia corrispettivi che moratori, nel caso in cui il tasso di mora superi la soglia vigente all’epoca della pattuizione: “L’art. 1815, comma 2°, c.c. esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e a seguito della revisione legislativa operata dall’art. 4 della legge 7/3/96 n. 108 e dalla legge 28/2/01, n. 24 – di conversione del D.L. 29/12/00 n. 394 – esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all’esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie, connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della ‘soglia’ di cui all’art 2, IV comma, della stessa legge n. 108/96 (…). Diversamente da quanto dedotto nella motivazione della sentenza impugnata, la sanzione così stabilita dell’abbattimento del tasso di interesse applicabile si applica a qualunque somma fosse dovuta a titolo di interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, con la solo esclusione del caso in cui i rapporti contrattuali presupposti dall’applicazione degli interessi fossero già esauriti alla data dell’entrata in vigore della legge n. 108/96 (cfr. Cass. Civ., n. 5324/2003).”. (Corte d’Appello Venezia, Sez. III Civ., Presid. G. Silvestre, 18 febbraio ’13, n. 342).
[41] Art. 3, 4° comma: “I tassi effettivi globali medi di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L’indagine statistica condotta nel 2002 ai fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.”.
[42] “Per quel che concerne la tutela penale, la pattuizione strumentale di interessi moratori di importo elevato può rientrare nell’ambito della fattispecie di usura prevista dal 3° comma dell’art. 644 c.p. (la c.d. “usura residuale) che in questo caso potrebbe trovare applicazione molto più frequentemente di quanto si è ipotizzato all’atto della sua introduzione (…) l’interpretazione logica conduce a ritenere che la norma debba applicarsi anche ad ipotesi in cui il tasso fissato dai contraenti è superiore al limite di legge. Il caso degli interessi moratori pattuiti ad un tasso eccessivo ed altresì superiori ad un determinato tasso-soglia si attaglia perfettamente a questa eventualità, proprio perché si è visto come gli interessi moratori esulino tendenzialmente dal sistema delle rilevazioni trimestrali” (Giudice Fabrizio Vanorio della Procura della Repubblica di Palermo, Atti della relazione, I reati dell’usura: la struttura della fattispecie, le tecniche d’indagine ed i rapporti fra autorità inquirenti e le banche, tenuto al Seminario organizzato da ABI e Consiglio Superiore della Magistratura in Roma nei giorni 1-2 marzo 2005).
[43] Il riferimento è al parere della prof.ssa Severino di Benedetto che non ha incontrato alcun seguito in dottrina.
[44] “Non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall’art. 1224, 1° comma, del codice civile, nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale “gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge” (Cassazione n. 5286/00).
La Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi nei giudizi di legittimità costituzionale sollevati dalla legge n. 24/01 (Interpretazione autentica della legge 108/96), ha precisato, seppur in un obiter dictum, che: “ Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.” (Corte Cost. n. 29/02).
Anche l’art. 1, comma 1, D.L. 394/00, di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., riconduce alla nozione di interessi usurari a quelli convenuti ‘a qualsiasi titolo’, e la relazione governativa che accompagna il decreto fa esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, ‘sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio’.
[45] “La stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell’atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori” (Cass. 09.01.2013, N. 350; Cfr. anche Cass. 11/1/13, n. 602 e 603).
[46] “La sussistenza di una disparità di vedute tra la Cassazione e le Autorità di vigilanza non è certo una novità - né in sé, né tanto meno nel contesto normativo dell’usura - e sta, per così dire, nell’ordine delle cose che è connaturato al diritto vivente: in questa prospettiva, l’ultimo Comunicato della Banca d’Italia sembrerebbe potere anche suonare, forse, come una «sorta» di replica al più recente arresto del Supremo Collegio (350/13) (…) A me, per la verità, pare che a simile quesito possa darsi solo una risposta negativa. Nell’interpretare le leggi le Autorità amministrative – quand’anche di prestigio grande, com’è nel caso della Banca d’Italia – hanno per definizione un ruolo subalterno nei confronti dell’Autorità giudiziaria. Secondo i principi del sistema, inoltre, la funzione nomofilattica risulta affidata alla Corte di Cassazione. Senza riserve di materie: già per questo motivo, dunque, le rilevazioni trimestrali dell’usura devono mostrarsi specchio fedele degli orientamenti consolidati di quella. D’altro canto, nell’ambito della normativa sull’usura al Ministero dell’Economia e alla Banca d’Italia non risulta affidato nessun potere secondario di specificazione dei precetti primari di legge (secondo quanto capita talvolta nell’ambito della normativa di protezione del cliente; così, ad esempio, nel caso dell’art. 117, comma 2, TUB). Come puntualmente ha osservato proprio il Supremo Collegio, le rilevazioni trimestrali non hanno la funzione di produrre opinioni, bensì quella esclusiva di «fotografare» l’esistente. Di rilevare il fatto storico dei tassi applicati dall’operatività, così; come pure di dare fotocopia alle consolidate letture che del dato normativo esprima la Corte di Cassazione.” (A. A. Dolmetta, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3/7/13: usura ed interessi moratori, in ilcaso.it, 8 luglio 2013).
[47] Anche se è comunque evidente che il servizio di compliance , di cui oggi dispongono le imprese bancarie, non può non conoscere la sussistenza di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione e che di tanto lo stesso deve fare conto necessario e adeguato. Salvo altrimenti accettare senza riserve il «rischio legale» e il «rischio reputazionale» che derivano dall’ignorarlo (consapevolmente o meno). Talvolta si legge – in funzione di legittimazione di comportamenti bancari sulla linea della Vigilanza, seppur contrari agli indirizzi della giurisprudenza, e proprio in materia di usura – che le banche ‘debbono strutturare la propria attività in osservazione delle disposizioni emanate dalle autorità di vigilanza’ (…) E’ sicuro, d’altronde, che la Banca d’Italia non ha vietato alle imprese bancarie la possibilità di tenere comportamenti più prudenti di quelli dalla stessa indicati; né, del resto, lo potrebbe mai fare vista se non altro la regola della ‘sana e prudente gestione’. (A. A. Dolmetta, Op. cit.)
[48] Come già accaduto in altre circostanze – ancor più dopo le recenti statuizioni della Cassazione Penale – gli operatori bancari più prudenti si asterranno dall’accogliere le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia, se non altro considerando opportunamente che “… il ragionevole dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (cfr. in tal senso Sez. 6, Sentenza n. 6175 del 27/03/1995 Ud. (dep. 27/05/1005) Rv. 201518).” (Cassazione Pen. II Sez., n. 46669/11).
[49] Non si dispone altresì di evidenza alcuna dei controlli esperiti sulla rispondenza alle ‘Istruzioni’ dei dati forniti dagli intermediari ai fini della rilevazione del TEGM: la delicatezza e rilevanza di un limite che si fonda sulla correttezza stessa delle segnalazioni dei soggetti che lo subiscono, esigerebbe, da un lato la previsione di specifiche sanzioni nel caso di omissione o alterazione della segnalazione, dall’altro una maggiore trasparenza e monitoraggio, a garanzia dell’affidabilità del presidio posto dalla legge 108/96. Nel contempo l’assenza di statistiche sui dati desunti dalla lunga serie di rilevazioni ai fini della determinazione del TEGM impedisce una corretta valutazione della dimensione ed evoluzione delle poste che intervengono nel calcolo del TEG.
[50] Intervento al Convegno ‘Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri’. Banca d’Italia, 16/9/13.
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