Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/04/2012 Scarica PDF
Respinto il tentativo di condonare alle banche gli illegittimi addebiti
Roberto Marcelli, Consulente FinanziarioL'intervento
del legislatore
Con la legge n. 10/11, di conversione del D.L. 225/10 (provvedimento mille
proroghe), si é previsto all'art. 2, comma 61: 'In ordine alle operazioni
bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta
nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in
conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non
si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto legge'.
La formulazione del comma, pervasa da profili di incostituzionalità, aveva
sollevato sin dall'inizio perplessità e dubbi1. Con la norma in parola,
riconoscendo una completa autonomia ai diritti di credito e debito nascenti
dalle annotazione in conto, si veniva a svuotare il principio unitario del
rapporto giuridico di conto corrente, reiteratamente ribadito da dottrina e
giurisprudenza, trascurando ogni nozione di versamento, pagamento e
adempimento. Né si poteva comprendere il riferimento all'aspetto
interpretativo, in evidente contrasto con la pronuncia di due mesi prima della
Cassazione S.U. 24418/10, che aveva definitivamente posto termine ad ogni
possibile opzione ermeneutica. Una legge interpretativa, se non si vuole
esondare i limiti stabiliti dalla Corte costituzionale (Cfr. Corte Cost.
209/10), presuppone l'esistenza di incertezze sul campo di applicazione della
norma di riferimento o contrasti giurisprudenziali, aspetti che non ricorrevano
nella circostanza.2
Di fatto il provvedimento legislativo perseguiva l'obiettivo di alleviare i
pesanti oneri che il sistema bancario subisce dalle azioni di ripetizione
dell'indebito, numerose e diffuse in tutti i Tribunali, volte a recuperare i
copiosi importi, che divengono particolarmente ragguardevoli per rapporti di
conto la cui nullità si estende a ritroso nel tempo, ampliandosi frequentemente
dall'anatocismo allo stesso contratto di conto e/o alle condizioni praticate.
Per una lunga schiera di correntisti, ai quali, senza alcun accordo pattizio,
sono state imposte condizioni di conto 'uso piazza, variate 'ad libitum' dalle
banche, in regime di anatocismo, nel corso del tempo, si è prima mirato a
legittimare - a partire dal 2000 - l'anatocismo stesso, attraverso la semplice
informazione sulla G.U. e nell'estratto conto. Poi, con un altro passaggio
legislativo - questa volta al 61° comma di un 'minestrone normativo' - si
mirava a salvaguardare l'anatocismo praticato precedentemente al 2000,
sovvertendo, in via interpretativa, principi del nostro ordinamento che, per
lungo tempo, hanno presieduto la nullità, la ripetibilità dell'indebito e la
prescrizione.
Mentre da un lato, per la ripetizione delle somme illecitamente addebitate nel
corso del rapporto bancario, occorre di regola attendere la chiusura del
rapporto stesso, con l''interpretazione' introdotta dal menzionato comma, si
voleva precludere la ripetizione dell'indebito per le annotazioni cadute in
prescrizione, ancor prima che intervenissero le rimesse di pagamento. Per di
più, considerata la dizione letterale: ' In ogni caso non si fa luogo alla
restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto legge', per i conti chiusi sarebbe
risultata preclusa ogni azione di ripetizione.
Emergeva eclatante la discrasia che palesava, nella cronologia normativa, il
pervicace tentativo di non riconoscere i diritti conseguenti alla nullità
dell'anatocismo, sino ad arrivare a discriminanti distinzioni informate al
principio 'chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto'3.
La pronuncia della Corte Costituzionale
A poco più di un anno di distanza la Corte Costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29
dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio
2011, n. 10.
La Corte ha stabilito: "La norma che deriva dalla legge di interpretazione
autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si
limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa
contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario
(ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del
2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire
«situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un
dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di
«ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del
legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del
diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente
interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha
individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi,
attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri
fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della
norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del
principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre
ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di
diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto
delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n.
209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto).
Ciò posto, si deve osservare che la norma censurata, con la sua efficacia
retroattiva, lede in primo luogo il canone generale della ragionevolezza delle
norme (art. 3 Cost.).
Invero, essa è intervenuta sull'art. 2935 cod. civ. in assenza di una
situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di
decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie
regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della
giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in
detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed
aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel
pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine.".
La Corte ha altresì precisato: " (...) la ripetizione dell'indebito
oggettivo postula un pagamento (art. 2033 cod. civ.) che, avuto riguardo alle
modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, spesso si rende
configurabile soltanto all'atto della chiusura del conto (Corte di cassazione,
sezioni unite, sentenza n. 24418 del 2010, citata).
Ne deriva che ancorare con norma retroattiva la decorrenza del termine di
prescrizione all'annotazione in conto significa individuarla in un momento
diverso da quello in cui il diritto può essere fatto valere, secondo la
previsione dell'art. 2935 cod. civ.
Pertanto, la norma censurata, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica
rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 cod. civ., ad esso
nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza
alcuna ragionevole giustificazione.
Anzi, l'efficacia retroattiva della deroga rende asimmetrico il rapporto
contrattuale di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di
prescrizione, finisce per ridurre irragionevolmente l'arco temporale
disponibile per l'esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in
particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel
contesto giuridico anteriore all'entrata in vigore della norma denunziata,
abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente
addebitate.".
La Corte Costituzionale è intervenuta così a rimuovere una 'farsa'4 che i
giudici di merito, ancor prima della pronuncia avevano ampiamente disatteso.
L'accertamento della nullità è imprescrittibile, la clausola illecita viene
meno ex tunc, con tutte le successive annotazioni. Il decorso del termine di
prescrizione del diritto alla ripetizione può avere luogo solo quando
interviene un atto giuridico definibile come pagamento e prima di quel momento
non è configurabile alcun diritto di ripetizione: ogni singola posta di
interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un
incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui
ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento.
L'imprescrittibilità della nullità pone il sistema bancario in un rischio
legale dai limiti indefiniti5: l'apprezzabile costo che ne deriva può trovare
un confacente temperamento solo in soluzioni conciliative che non coartino i
diritti alla ripetizione dell'indebito.
Per le numerose vertenze già avviate presso i Tribunali, il termine
prescrizionale non può essere rilevato d'ufficio, ma ex art. 2928 c.c. va
richiesto dalla parte interessata attraverso l'eccezione, entro il termine di
cui all'art. 166 c.p.c., specificando l'elemento costitutivo, cioè il momento
iniziale dell'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio. Senza
un'esatta indicazione delle rimesse solutorie, l'eccezione appare passibile di
rigetto: "In tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della
relativa eccezione è l'inerzia del titolare del diritto fatto valere in
giudizio, prolungatasi per il tempo previsto dalla legge, il che implica che la
parte ha solo l'onere di allegare il menzionato elemento costitutivo e di
manifestare la volontà di voler profittare di quell'effetto, ma non anche
quello di indicare direttamente o indirettamente le norme applicabili al caso
di specie; tuttavia, in caso di pluralità di crediti azionati, è necessario che
l'elemento costitutivo sia specificato, dovendo il convenuto precisare il
momento iniziale dell'inerzia in relazione a ciascuno di essi. (In applicazione
di tale principio, la S.C. ha ritenuto inammissibile un motivo di ricorso
relativo al mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione, rilevando che
il motivo di appello sul punto mancava della necessaria specificità). (cfr.
Cassazione n. 4668/04, in Rep. Foro it. 2004)6.
1) Il Tribunale di Benevento aveva immediatamente sollevato, con ordinanza del
10 marzo '11, la questione di legittimità alla Corte Costituzionale, rilevando,
tra l'altro: a) violazione dei limiti generali di efficacia retroattiva delle
leggi; b) introduzione di ingiustificate disparità di trattamento; c)
violazione del principio della tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei
soggetti per l'effetto nomofilattico delle pronunce della Corte di Cassazione;
d) violazione della coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico; e)
l'invasione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Già il precedente 3 marzo '11 la Corte d'Appello di Ancona, con riferimento
all'intervento del legislatore delle 'mille proroghe' aveva osservato che
l''annotazione' non abilita, di per sé sola, alla ripetizione dell'indebito e
che il disposto legislativo ha indubbia portata innovativa, al di là della
dichiarata natura meramente interpretativa.
2) Il riferimento si chiarisce invece con la soluzione, in chiave
interpretativa, che aveva suggerito la Corte Costituzionale nella sentenza n.
425/00 con la quale aveva ravvisato l'illegittimità costituzionale del 3° comma
dell'art. 25 del D. Lgs 392/99 (legge salva banche). Nella circostanza la Corte
Costituzionale aveva osservato: Non si tratta, evidentemente, di una norma
interpretativa - che pure era stata suggerita nel corso dei lavori parlamentari
(seduta del 17 giugno 1999 della sesta Commissione: pag. 35 del relativo
verbale) - perché la disposizione, così come strutturata, non si riferisce e
non si salda a norme precedenti intervenendo sul significato normativo di
queste, dunque lasciandone intatto il dato testuale ed imponendo una delle
possibili opzioni ermeneutiche già ricomprese nell'ambito semantico della legge
interpretata. Al contrario, con efficacia innovativa e (in parte anche)
retroattiva, essa rende "valide ed efficaci", sino alla data di
entrata in vigore della deliberazione del C.I.C.R., tutte indistintamente le
clausole anatocistiche previste nei contratti bancari già prima della legge
delegata o comunque stipulate anteriormente all'entrata in vigore della
suddetta deliberazione.
Caduto sotto la censura della Corte Costituzionale il tentativo del '99 di
sanare i precorsi rapporti di conto corrente, si è nuovamente tornati sulla
questione, raccogliendo tuttavia nella circostanza l'indicazione fornita.
3) Con il rischio di pregiudicare lo stesso diritto delle banche ad ottenere la
restituzione di somme date ai correntisti in regime di aperture di credito in
conto, se annotate prima dei dieci anni dalla richiesta del rientro o della
chiusura del conto.
4) La legge riportava il titolo:'Proroga dei termini previsti da disposizioni
legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle
imprese e alle famiglie'.
5) Una stima della dimensione economica delle ripetizioni, che tiene conto
della Sentenza in esame, è riportato in: R. Marcelli, La dimensione del
fenomeno dell'anatocismo e degli interessi ultralegali nei rapporti bancari.
2011, in http://www.assoctu.it.
6) "È onere della banca eccepire l'intervenuta prescrizione precisando il
momento iniziale dell'inerzia del correntista in relazione a ciascun versamento
extrafido, mentre è compito del giudice accertare quale sia il tipo e la durata
della prescrizione stessa e se essa sia decorsa, ma non si potrà sostituire
alla difesa della banca specificandone l'elemento costitutivo e demandando
detta individuazione al CTU. (...) La generica proposizione dell'eccezione di
prescrizione da parte dell'interessato non autorizza il giudice ad individuare
d'ufficio il tipo concretamente applicabile, atteso che, da un canto, la
prescrizione non è rilevabile d'ufficio, dall'altro, il suo carattere
dispositivo comporta, per la parte che la propone, l'onere di tipizzarla (cfr.
Cass. 1993/4130), sicché, in mancanza delle specifiche indicazioni di fatto
necessarie per rendere comprensibile ed individuabile l'eccezione, l'eccezione
medesima non può che essere dichiarata inammissibile (cfr. Cass. 1999/3798; v.
anche Cass. 2005/6519; Cass. 1999/850; Cass. S.U. 1989/1607, in cui si rileva
che l'eccezione di prescrizione, oltre a non essere rilevabile d'ufficio, deve
essere dedotta, a pena di inammissibilità, in modo specifico e tipizzato, non
potendo il giudice applicare un tipo di prescrizione diverso da quello
richiesto, ciò comportando la violazione sia del principio dispositivo
dell'eccezione di prescrizione, sia del principio di corrispondenza fra il
chiesto e il pronunciato) (A. Tanza - http://www.studiotanza.it).
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