Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/05/2011 Scarica PDF
La sentenza della cassazione S.U. n. 24418/10: criteri applicativi
Roberto Marcelli, Consulente FinanziarioLa sentenza
della Cassazione S.U. n. 24418/10 risulta oltremodo circostanziata nelle
argomentazioni sviluppate, chiara nei principi giuridici esposti, complessa ma
ciò non di meno consequenziale nei criteri applicativi.
Da parte di taluni giuristi sono state tuttavia avanzate indicazioni per la
predisposizione delle perizie che appaiono affette da pregiudizi: i criteri di
calcolo proposti travisano il costrutto giuridico e lo spirito stesso della
menzionata sentenza.
Nel rinviare ad un precedente lavoro1 per un'estesa esposizione della
problematica, preme qui soffermarsi sulle criticità e contraddizioni insite nei
presupposti giuridici dei criteri prospettati. Una corretta valutazione di tali
aspetti assume un rilievo determinante nell'accertamento economico
dell'indebito ripetibile, relativo ai conti in essere prima del 2000.
L'impiego dell'art. 1194 c.c.
Nella maggiore complessità del ricalcolo, indotta dalla distinzione fra rimesse
solutorie e ripristinatorie, viene proposto un uso indifferenziato dell'art.
1194 c.c. e un acritico impiego del saldo riveniente dagli estratti conto per
discriminare le rimesse solutorie dalle rimesse ripristinatorie.
Si sostiene, per il primo aspetto, che "dopo aver verificato se e in che
misura il saldo giornaliero attesta l'esistenza di una posizione negativa extra
fido, per superamento dello stesso o per mancanza dello stesso, (si) provvederà
ad annotare i versamenti aventi carattere solutorio (che consistono in quella
parte della rimessa eccedente il fido o relativa ad un conto scoperto)
imputando tali versamenti a pagamento delle competenze annotate, a partire
dalle più remote, secondo quanto previsto dall'art. 1194 c.c." 2.
Nell'indicazione proposta, al realizzarsi del debordo dal fido, anche per la
sola registrazione degli interessi trimestrali, la successiva rimessa verrebbe
impiegata a ripianare tutti gli interessi pregressi senza alcuna distinzione
fra credito compreso nel fido e credito in extra fido, disattendendo la
reiterata giurisprudenza che impone la simultaneità delle condizioni di
liquidità ed esigibilità del credito e degli interessi.
Secondo il consolidato orientamento della Cassazione il criterio legale dettato
dall'art. 1194 c.c. - in particolare, "il pagamento fatto in conto di
capitale ed interessi deve essere imputato prima agli interessi" - risulta
applicabile solo in quanto entrambi i crediti, per capitale ed interessi, sono
contestualmente liquidi ed esigibili3.
Per gli interessi relativi all'apertura di credito il capitale diviene liquido
ed esigibile solo alla scadenza: un'inderogabile e incondizionata applicazione
del 2° comma dell'art. 1194 c.c. è suscettibile di ingenerare il pagamento di
interessi prima della scadenza dell'apertura di credito, realizzando di fatto,
in violazione dell'art. 1283 c.c., quell'anatocismo che la Cassazione ha
reiteratamente escluso dai rapporti di conto corrente.
In stretta aderenza ai principi richiamati dalle Sezioni Unite, nei rapporti
bancari affidati l'esigibilità e liquidità di capitale ed interessi ricorre
simultaneamente solo per il credito che deborda il fido e per gli interessi ad
esso relativi, mentre tale simultaneità, per il credito entro il fido ed i
relativi interessi, è differita all'estinzione del saldo di chiusura del
rapporto o dell'apertura di credito.
Pertanto, le rimesse con funzione di pagamento che intervengono oltre il fido
devono prioritariamente essere rivolte a saldare gli interessi relativi al
credito debordante il fido, poi a quest'ultimo e, per l'eventuale parte
residua, che non ha natura solutoria, vanno a ricostituire la disponibilità
entro il fido.
In tali circostanze, per altro, il pagamento degli interessi sul credito in
extra fido, calcolato in regime di capitalizzazione semplice, risulta
legittimo. Il divieto di anatocismo preclude ogni forma di capitalizzazione
degli interessi: questi non possono, salvo le circostanze previste dall'art.
1283 c.c., trasformarsi in capitale, ma non sussiste alcun impedimento a
convenire la liquidazione periodica degli stessi4. Con la liquidazione degli
interessi, conseguente alla rimessa solutoria, non si configura alcuna
capitalizzazione.
Con la menzionata sentenza delle Sezioni Unite si viene a modificare e
ridimensionare la precedente posizione giurisprudenziale che, nel rimettere
perentoriamente all'estinzione del saldo di chiusura del conto il decorso della
prescrizione decennale, non lasciava alcuno spazio a deroghe ed eccezioni.
Pur riconoscendo formalmente l'unicità del rapporto di conto, la sentenza non
disconosce completamente l'autonomia delle singole operazioni di prelievo e
versamento. Operando un distinguo fra i due rapporti - conto corrente e
apertura di credito5 - circoscrive implicitamente solo a quest'ultima il rinvio
del termine di prescrizione del pagamento degli interessi all'estinzione del
saldo di chiusura. Per l'operatività che esula dall'apertura di credito, alle rimesse
viene riconosciuta una natura di pagamento, con riflessi di pregnante rilievo
nell'applicazione dell'art. 1194 c.c. e, conseguentemente, nella stessa natura
anatocistica degli interessi.
Qualificando come pagamento degli interessi l'addebito in conto, si
configurerebbe un effettivo passaggio a capitale degli stessi.
Nella tabella a sinistra viene riportata la registrazione ordinariamente
impiegata dalla banca, dove gli interessi si capitalizzano al momento
dell'addebito determinando anatocismo, a destra viene riportata l'applicazione
dell'art. 1194 c.c., con il quale con la rimessa si viene a saldare gli
interessi senza operare alcuna capitalizzazione.
Riconducendo il pagamento degli interessi non al momento della registrazione a
debito degli stessi, bensì alla successiva rimessa solutoria, non si configura
più alcun anatocismo: con la rimessa solutoria, gli interessi relativi
all'extra fido risultano regolarmente pagati e, di riflesso, non ripetibili
perché legittimi.
Questa, si ritiene, costituisca l'innovativa modifica non espressa
nell'enunciato, ma sostanzialmente implicite nella sentenza in esame. La
sentenza da un lato esclude dalla prescrizione gli addebiti degli interessi in
quanto non costituenti pagamenti, dall'altro introduce, a contrariis, uno
spazio giuridico, seppur definito e circoscritto (extra fido), nel quale
l'anatocismo finanziario diviene legale6.
In tal modo si vengono a ridimensionare le precedenti pronunce della
Cassazione, che avevano ravvisato proprio in tale forma di costrutto
logico-contabile la fattispecie degli interessi anatocistici vietati dall'art.
1283 c.c., considerata dalla Cassazione stessa "norma imperativa, che
presidia l?interesse pubblico ad impedire una forma, subdola, ma non
socialmente meno dannosa delle altre, di usura" (Cfr. Cass. 3479/71 e n.
1724/77)7.
Un'applicazione dell'art. 1194 c.c. indifferentemente a tutti gli interessi,
semplici e anatocistici, relativi al fido e all'extra fido, appare stravolgere
l'intento e lo spirito dell'art. 1194 c.c., prima ancora dei menzionati
principi posti reiteratamente dalla Cassazione. Le Sezioni Unite hanno di fatto
introdotto una deroga, circoscritta e limitata, nella distinta configurazione
del rapporto di apertura di credito e conto corrente.
Il riferimento al termine del rapporto, esteso nelle precedenti sentenze della
Cassazione all'intero coacervo dei rapporti negoziali che confluiscono nel
rapporto di conto corrente bancario, con la sentenza in esame viene ad essere
circoscritto alla sola apertura di credito, ponendo così un baluardo a presidio
dell'anatocismo, la cui "perversione' si configura appunto nella
trasformazione di interessi in capitale prima che quest'ultimo venga a
scadenza, determinando una lievitazione geometrica del debito.
Viene in tal modo coniugato, con maggiore equilibrio, un contemperamento tra lo
spirito perseguito dall'art. 1194 c.c. e quello dell'art. 1283 c.c.. Un'attenta
distinzione della diversa natura delle due forme di credito, entro il fido ed
oltre il fido, rispondenti a due distinti rapporti negoziali, nonché il
puntuale rispetto, per capitale e interessi, del criterio di simultaneità
stabilito dalla menzionata sentenza della Cassazione del '03, appaiono, per
altro, coerenti con la seconda parte della sentenza delle Sezioni Unite, che fa
discendere dalla nullità della previsione negoziale degli interessi trimestrali
l'esclusione di ogni forma alternativa di capitalizzazione e il rinvio alla
chiusura del pagamento degli stessi.
Saldo contabile e saldo legale
Strettamente connesso risulta poi l'accertamento del saldo entro il fido o
extra fido, che non può essere riferito tout court alle annotazioni effettuate
dalla banca in conto.
Si sostiene al riguardo: "(...) se il versamento non dovesse, per così
dire "trovare' sul conto la somma addebitata a titolo di interesse o altra
competenza perché preventivamente eliminata, come se ne potrebbe accertare la
natura indebita e stabilire se per esso versamento è intervenuta la
prescrizione? Proprio l'impianto argomentativo della Cassazione impone di
considerare che ogni versamento sull'extra fido, per essere ripetibile in
quanto solutorio deve per l'appunto impattare l'annotazione di addebiti
illegittimi, mentre operando ex ante la eliminazione dal conto delle poste
negative asseritamente non dovute si esclude che in concreto questo possa avvenire.".
La questione appare pregiudizialmente mal posta: il versamento trova la somma
addebitata a titolo di interesse e altre competenze, ma tale posta è distinta e
diversa dal credito concesso. E' opportuno preliminarmente rilevare che la
sentenza delle Sezioni Unite stabilisce che le rimesse "intanto (...)
potranno essere considerate alla stregua di pagamenti, tali da poter formare
oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo
scopo e l?effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca".
Qualifica poi come rimesse solutorie i versamenti "eseguiti su un conto in
passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire 'scoperto') cui non
accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti
siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti
dell'accreditamento".
La natura solutoria della rimessa è individuata dalla ricorrenza qualificante
l'effetto, oltre che lo scopo, di determinare uno spostamento patrimoniale a
favore della banca: solo la presenza di un credito liquido ed esigibile
attribuisce alla rimessa la funzione di pagamento. La sentenza in esame, nel
fissare i principi di diritto non può che riferirsi alla fisiologia del
rapporto e, nel distinguere il credito concesso a scadenza dal credito in extra
fido, ravvisa solo in quest'ultimo le condizioni di immediata liquidità ed
esigibilità che rendono la rimessa in extra fido un pagamento: consequenziale
risulta la sorte degli interessi riferiti all'una e all'altra forma di credito.
Lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca si
determinano solo per l'ammontare massimo corrispondente all'effettivo credito
in extra fido (o per l'ammontare del passivo in assenza del fido), comprensivo
degli interessi ad esso relativi: solo tali poste sono infatti liquide ed
esigibili.
La rimessa solutoria è strettamente connessa e condizionata nella misura
dall'entità del debito liquido ed esigibile. Per una rimessa che ecceda la
misura dell'extra fido, solo la quota ad esso corrispondente costituisce una
rimessa solutoria8. Per un fido di 100, se la banca ha anticipato credito per
110 e interviene una rimessa di 50, tale rimessa risulterà solutoria
limitatamente all'importo dell'extra fido (10) e degli interessi maturati sullo
stesso.
La circostanza che la banca abbia capitalizzato alla fine di ciascun trimestre
tutti gli interessi maturati, gonfiando il saldo e mandandolo in extra fido,
non modifica la natura del saldo legale, dal quale ricavare la funzione
solutoria o ripristinatoria della rimessa. La giurisprudenza sulla revocatoria,
richiamata dalle Sezioni Unite 24418/10, prevede: 'i versamenti in conto
corrente bancario hanno natura di pagamento e sono, quindi, revocabili a norma
dell'art. 67, 2° comma, l. fall. soltanto nell'ipotesi di conto 'scoperto'
(quando cioè la banca abbia anticipato somme oltre i limiti di fido)' (...).
(Cass. I Sez, n. 5413/82). Appare diversa la circostanza del conto che passa in
extra fido con l'addebito degli interessi. Lo stesso principio ha fatto
escludere, nelle revocatorie bancarie, la scelta del riferimento al saldo per
valuta.
Con riferimento all'individuazione delle rimesse solutorie e ripristinatorie,
la Cassazione 22/3/94 n. 2744 ha avuto modo di precisare: 'In linea
concettuale, quindi, può dedursi che anche il saldo per valuta non dia la
soglia di disponibilità del conto, utilizzabile al fine della revocabilità
delle rimesse. Nella revocatoria delle rimesse in conto, infatti, occorre
accertare se il correntista abbia utilizzato l'intera provvista disponibile sul
conto (comunque creata, con mezzi propri o con l'utilizzo dell'apertura di
credito concessagli dalla banca) e a questo fine, il ricorso in via esclusiva
ad un dato convenzionale, qual è la valuta delle diverse operazioni attive e
passive (e per di più convenzionalmente disposto ad un fine diverso da quello
della individuazione della disponibilità, qual è la determinazione del tipico
compenso, per la banca, dell'operazione finanziaria), può determinare effetti
fuorvianti.". E ancora Cassazione 11/9/98 n. 9018: 'Al fine di verificare,
inoltre, se i versamenti in conto corrente bancario abbiano natura solutoria e
siano, conseguentemente, assoggettabili a revocatoria fallimentare se eseguiti
in periodo sospetto, la loro funzione di ripianamento di somme prelevate oltre
i limiti del fido concesso ben può essere individuata con accertamento 'ex
post', rilevatore della concreta incidenza sul debito del cliente verso la
banca (...).'.
D'altra parte, in dottrina e in giurisprudenza si è sempre sottolineata la
distinzione fra gli atti giuridici da cui insorgono diritti di credito e debito
e le operazioni contabili curate dalla banca, unica titolare del diritto di
scritturazione9.
Esaurito il pagamento del capitale di credito effettivamente concesso in extra
fido, e dei relativi interessi maturati, l'illegittima presenza nel saldo degli
interessi relativi al fido si traduce in un'indebita limitazione della facoltà
di maggior indebitamento, ma non modifica la natura della rimessa, né la misura
della quota con funzione solutoria.
Ancorché la rimessa risulti di regola neutrale, nel senso che non viene
indicata l'imputazione né dal cliente né tanto meno dalla banca10, in forza del
saldo scritturato dalla banca, si vorrebbe rivolgerla a ripianare, prima ancora
del capitale in extra fido, tutti gli interessi, senza alcuna distinzione fra
fido ed extra fido, con un'impropria estensione dell'applicazione dell'art.
1194 c.c. Così che la rimessa deriverebbe la veste di pagamento dalla presunta
natura liquida ed esigibile di un credito gonfiato in extra fido dalla
capitalizzazione degli interessi, per venir poi utilizzata prioritariamente al
pagamento degli interessi illecitamente scritturati dalla banca in conto.
Doppia è la discrasia in cui si incorre, travisando, prima ancora della
sentenza delle Sezioni Unite, principi di diritto consolidati.
Si ritiene invece che solo per il credito effettivamente erogato in extrafido
ricorra la simultanea liquidità ed esigibilità, di capitale ed interessi. Si può
al più valutare se ritenere compresi nel pagamento l'effetto anatocistico degli
interessi e l'eventuale parte di interesse ultralegale non convenuti, computati
sull'extra fido e addebitati, che, in quanto illegittimi, diverrebbero
irripetibili decorsi i dieci anni dal pagamento.
Al contrario, per gli interessi sul credito entro il fido, che liquidi ed
esigibili non sono, a meno di specifiche imputazioni che di norma non
ricorrono, non si può configurare alcuna attribuzione agli stessi di rimesse di
pagamento.
D'altra parte le Sezioni Unite hanno fissato criteri generali che presiedono
l'individuazione dei pagamenti, senza nulla stabilire sulla natura di
illegittimità e ripetibilità degli stessi: " (...) in tanto questi ultimi
potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare
oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo
scopo e l?effetto (...)".
La commistione, in conto, del capitale di credito posto a disposizione e
utilizzato dal correntista con gli interessi maturati ma non ancora divenuti
capitale e con gli illegittimi interessi anatocistici induce l'assimilazione in
un unico saldo di poste aventi natura giuridica diversa. Tale commistione
riflette la sovrapposizione e confusione di operazioni che attengono ai diversi
rapporti negoziali caratterizzanti il conto corrente e l'apertura di credito.
Ciò che configura la circostanza di un pagamento o, alternativamente, di un
ripristino della provvista, non può essere affidato tout court al saldo risultante
dalle appostazioni contabili curate dalla banca (ancorché ordinate secondo la
data disponibile), inficiate da una capitalizzazione di interessi affetta da
una nullità che - diversamente dalla ripetibilità - è imprescrittibile. Per
contro non si possono escludere dal saldo gli interessi sull'extra fido che
risultano via via coperti da rimesse solutorie.11
Tenendo separata la linea capitale dalla linea interessi, rimane più agevole la
rielaborazione: dopo aver riordinato l'estratto conto per data disponibile,
occorre scindere il saldo del conto in saldo capitale (comprensivo degli
interessi a credito12) e saldo degli interessi a debito e delle competenze.
Per l'individuazione delle rimesse solutorie, in un processo iterativo, il
saldo capitale andrà volta per volta rettificato con gli interessi
legittimamente pagati nel periodo, ricalcolati sul credito in extra fido e
"passati' a capitale13 all'atto della rimessa solutoria (con la produzione
successiva di interessi legittimi). Reinserendo in conto solo gli interessi
legittimamente coperti da rimesse di pagamento, il saldo a debito rettificato
che si ottiene consente di accertare la corretta natura passiva o di scoperto.
Gli interessi che risultano invece non pagati, risultando appostazioni che non
possono essere capitalizzate in conto, vanno separati dal capitale rettificato,
ricalcolandoli sullo stesso, in regime di capitalizzazione semplice, e
riportandoli alla chiusura del conto o in scomputo delle prime rimesse
successive alla revoca/scadenza del fido.
Sul piano operativo pertanto, secondo i principi dettati dalle Sezioni Unite n.
24418/10, al CTU andrà precisato:
Per l'individuazione degli interessi ed altri oneri oggetto di rimesse
solutorie nel corso del rapporto, nonché degli interessi ed oneri da
considerare, invece, al termine del rapporto o della scadenza/revoca
dell'affidamento, si dovrà procedere a:
1) ordinare l'estratto conto determinando per ciascuna operazione la data
disponibile, secondo gli usuali criteri previsti per la revocatoria delle
rimesse bancarie;
2) individuare il saldo capitale del conto, enucleando a parte gli interessi a
debito e le altre competenze addebitate dalla banca;
3) ricostruire il saldo capitale rettificato. Si modificherà, volta per volta,
in un processo iterativo, il saldo capitale per tener conto delle rimesse che
assumono la veste di pagamento, nella misura massima del credito in extra fido
e dei relativi interessi e competenze divenute esigibili. Tali rimesse verranno
prioritariamente rivolte a ripianare gli interessi e competenze relative al
credito in extra fido, prima di essere rivolte a quest'ultimo. Se le rimesse
risultano intervenute in data antecedente il decennio di prescrizione, il
pagamento deve ricomprendere anche gli interessi anatocistici calcolati dalla
banca sull'extrafido; al contrario, se intervenute successivamente vanno
riferite esclusivamente ai legittimi interessi e competenze ricalcolati
sull'extrafido stesso;
4) gli interessi ricalcolati sul capitale entro il fido, unitamente ai residui
interessi sull'extra fido, mantenuti separati dal capitale rettificato,
verranno riportati - in regime di capitalizzazione semplice - alla chiusura del
conto o in scomputo delle prime rimesse successive alla revoca/scadenza
dell'affidamento;
5) (qualora si ritenga applicabile la Delibera CICR 9/2/00), previo
accertamento delle condizioni di adeguamento previste all'art. 7, gli interessi
maturati a partire dal III trimestre '00 verranno calcolati nei termini e
modalità convenuti.
Non trascurabile è la circostanza che, anche per i conti posti a cavallo della
Delibera CICR 9/2/00, gli interessi semplici maturati precedentemente alla
Delibera, vanno posti in pagamento al termine del rapporto o in scomputo delle
prime rimesse successive alla revoca/scadenza dell'affidamento. Privo di
fondamento risulterebbe l'addebito di tali interessi al 30/6/00, con la
conseguente produzione di interessi capitalizzati trimestralmente. L'intervento
legislativo 342/99 e la successiva Delibera CICR 9/2/00 lasciano immutati gli effetti
già prodotti dalle clausole stipulate, secondo i principi che regolano la
successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriori. Come
precisato dalla sentenza in esame, tali effetti sono rinviati al pagamento del
saldo finale, alla chiusura del conto e/o dell'apertura di credito.
Sintesi e conclusioni
Secondo il consolidato orientamento della Cassazione, da ultimo circostanziato
e definito dalle Sezioni Unite 24418/10, si ritiene che risulti in definitiva
privo di fondamento giuridico ogni criterio di calcolo riferito ad una
generalizzata ed indifferenziata applicazione dell'art. 1194 c.c., e/o che
fondi la distinzione delle rimesse solutorie da quelle ripristinatorie sul mero
saldo riportato nell'estratto conto prodotto dalla banca.
Per conti ultradecennali, che presentino significativi saldi in extra fido - in
presenza di un fido documentato e privo di soluzione di continuità - il
ricalcolo del saldo di conto conduce, secondo i criteri che discendono dalla
sentenza in esame, a recuperi non molto discosti da quelli conseguiti con la
procedura di ricalcolo seguita sino ad oggi: il pagamento anticipato degli
interessi relativi all'extra fido ha, di regola, un impatto assai limitato sul
saldo finale rettificato.
Nel grafico sopra riportato sono rappresentati il fido e il saldo risultante
dagli estratti conto della banca (in rosso), il saldo capitale depurato degli
interessi a debito e delle altre competenze (in blu) e, infine, il saldo
capitale rettificato (in verde), che rappresenta le effettive risultanze del
conto, secondo i criteri di calcolo dianzi esposti. Come si può rilevare, a
parte il periodo sino alla seconda metà del '93, le rimesse sul saldo capitale
rettificato si collocano entro il fido e gli interessi a debito vengono
conseguentemente posposti, in regime di capitalizzazione semplice, al termine
del rapporto (dicembre '05). Delle competenze addebitate dalla banca -
rappresentate dalla distanza fra il saldo banca (in rosso) e il saldo capitale
(in blu) - solo una parte limitata viene ricompreso nel saldo rettificato
(verde), per lo più al termine del rapporto.
Al contrario, i principi di calcolo proposti, fondati sulla generalizzata ed
indifferente applicazione dell'art. 1194 c.c., e sulla distinzione delle
rimesse solutorie e ripristinatorie riferita al mero saldo riportato
nell'estratto conto prodotto dalla banca, condurrebbero ad una serie continua
di rimesse solutorie, con un saldo ricalcolato al termine del rapporto assai
prossimo al saldo banca.
Delle competenze addebitate dalla banca - rappresentata dalla distanza fra il
saldo banca (in rosso) e il saldo capitale (in blu) - la parte prevalente viene
ricompresa nel saldo rettificato (verde): la differenza, al termine del
rapporto, risulta assai modesta (14.000 su un totale competenze di 230.000 nell'esempio rappresentato).
1) R. Marcelli, 2011, "Prescrizione ed anatocismo negli affidamenti
bancari. I principi giuridici stabiliti dalla sentenza della Cassazione S.U. 2
dicembre 2010 n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti', in: assoctu.it.
2) Cfr.: F. e G. Dell'Anna Misurale, "L'impostazione tecnica della
consulenza tecnica d'ufficio in materia di interessi bancari', doc. 241/2011,
ilcaso.it.
3) "La disposizione dell'art. 1194 c.c. secondo la quale il debitore non
può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese
senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il
capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano
simultaneamente liquidi ed esigibili" (Cass. civile, sez. I, 16 aprile
2003 n. 6022, Cfr. anche Cass. Civ. Sez. III, n. 10281/01; Cass. Civ. Sez. III,
n. 5707; Cass. Civ. Sez. Lav. n. 6228/94; Cass. Civ. Sez. III n. 11014/91;
Cass. Civ. Sez. III, n. 2352/88).
"... Ma non possono trovare applicazione nemmeno quelli legali quale
appunto quello contenuto nel secondo comma dell'art. 1194 c.c., in quanto come
già ritenuto da questa Corte (Cass. 26/10/60, n. 2911), la norma in esame
secondo cui il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi, debba essere
imputato prima agli interessi, presuppone pur sempre la simultanea esistenza
della liquidità ed esigibilità di un credito per capitale e di un credito per
spese e interessi per cui in mancanza di tale simultaneità l'art. 1194 non
trova alcuna possibilità di applicazione. Questa linea interpretativa seguita
dal giudice di merito non è smentita da Cass. 4/7/87, n. 5874 ed è confermata
da Cass. 26/7/86 n. 4798.". (Cass. Sez. I, 28/9/91, n.10149).
"E, infatti, se con il versamento sul conto, che non sia stato chiuso, il
cliente ripristina la provvista, ovvero estingue o riduce la sua esposizione, a
seconda che esso risulti passivo o scoperto - al di là degli scopi personali
che si prefigge, inespressi o non condivisi, perché non concordati con
l'accipiens - quella rimessa assume una qualificazione oggettiva e l'effetto
estintivo della obbligazione è raggiunto ipso iure, in relazione alla natura di
mero atto che ha l'adempimento, così risultante dall'accredito in suo favore,
che, per essere stato effettuato su conto non assistito da adeguata linea di
credito, non ha altra funzione che quella di soddisfare la pretesa della banca.
Tale accredito costituisce pertanto un atto dovuto, obiettivamente idoneo nei
confronti del creditore a realizzare la prestazione, al di là della esistenza
dell'anima e della causa solvendi, trovando il pagamento la propria ragione
giuridica nella preesistenza del debito, che sia certo, liquido ed esigibile,
la quale non può mutare ex post, per via di una operazione simmetrica di segno
contrario, che segua alla rimessa, dovendosi prescindere dall'unilaterale
intento che il solvens abbia avuto nell'eseguire la precedente, per la
inutilità di ogni indagine sulla sua volontà, in quanto il collegamento della
prestazione alla obbligazione risulta dalla corrispondenza di ciò che è
eseguito con ciò che è dovuto e, in ogni caso, dalla unicità del rapporto,
quello di conto corrente, da cui emerge la esposizione debitoria e sul quale
viene fatta affluire la rimessa, in funzione oggettiva di esecuzione
dell'adempimento." (Cass. Civ. Sez. I, 29/12/04, n. 24084).
4) "Devesi osservare che la regolamentazione pattizia del rapporto di
conto corrente bancario, fino al mutato orientamento giurisprudenziale in
materia di capitalizzazione trimestrale, contemplava all'art. 7 co. 2 n.u.b. la
previsione della contabilizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
correntista: "i conti che risultino, anche saltuariamente, debitori
vengono chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente ... applicando
agli interessi dovuti dal correntista e alle competenze di chiusura valuta data
di regolamento del conto...". Ora, se è vero che la clausola summenzionata
deve ritenersi affetta da nullità, per come sopra evidenziato, avuto riguardo,
tra l'altro, alla parte in cui prevede il c.d. anatocismo bancario per
violazione dell'art. 1283 c.c., vero è anche che la detta clausola nelle sue
due articolazioni segnalate (commi 2 e 3) mantiene una sua rilevanza giuridica
ai fini della ricostruzione della comune volontà negoziale delle parti, con
particolare riferimento alla debenza degli interessi dovuti dal correntista
sulle somme messegli a disposizione dalla banca. Non può infatti seriamente
dubitarsi del fatto che gli interessi in questione risultino dovuti, alla stregua
della pattuizione citata, a cadenza trimestrale, in forza della chiusura
contabile del conto prevista per l'appunto alla fine di ogni trimestre. Il
fatto, poi, che la clausola in esame non possa ritenersi operante ai fini della
capitalizzazione trimestrale non toglie che essa valga ad individuare la
debenza degli interessi alla fine di ogni trimestre.
Non appare configurabile nel sistema alcuna norma che precluda alle parti di
prevedere una scadenza trimestrale della obbligazione da interessi per la messa
a disposizione di somme di denaro da parte dell'istituto bancario."
(Tribunale di Catania, Giudice Fichera, 5-6 agosto 2010).
5) Il conto corrente bancario o di corrispondenza si configura principalmente
nella prestazione da parte della banca di un servizio di cassa e di gestione
del denaro, riconducibile allo schema del mandato senza rappresentanza.
L'apertura di credito si qualifica come il contratto con il quale la banca si
obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo
di tempo o a tempo indeterminato, che il cliente può utilizzare in tutto o in
parte secondo le proprie necessità, ripristinando con versamenti il credito
disponibile e riconoscendo alla banca gli interessi, commisurati al tasso e
all'ammontare del credito effettivamente utilizzato nel periodo. L'apertura di
credito costituisce un contratto distinto dal contratto di conto corrente di
corrispondenza, ha una vita autonoma, con separati momenti di apertura e
chiusura. Per l'apertura di credito non si impiega, di norma, un'autonoma
registrazione contabile, bensì essa viene inserita nel conto corrente,
determinando di fatto una disponibilità ulteriore che si unisce a quella creata
dal correntista mantenendo tuttavia la distinzione. In sede di pignoramento o
di sequestro da parte dei creditori del cliente, il debito della banca oggetto
di procedura è quello risultante a credito del cliente, senza tener conto della
disponibilità creata con l'apertura di credito (Cass. 2915/92).
6) Risultando tipica del conto corrente l'alternanza e frequenza di poste a
debito e a credito, qualora ricorra un saldo in extra fido (o conto non
affidato) l'annotazione degli interessi a debito troverebbe un pronto pagamento
alla prima rimessa a credito: la circostanza, come mostrato nella tabella, non
darebbe luogo ad una formale capitalizzazione, vietata dall'art. 1283 c.c.,
ancorché nella sostanza economica si realizzerebbe una fattispecie del tutto
analoga all'anatocismo.
7) "Tale tesi inficia in radice l'operatività, nella fattispecie in esame,
dell'art. 1283 c.c., giacché si risolve nel sostenere che, per estinguere gli
interessi passivi, che maturano giorno per giorno, verrebbero utilizzate le
poste attive del conto corrente (o le aperture di credito concesse dalla banca
al cliente). Se così fosse però, ovviamente alcun anatocismo maturerebbe (il
debito da interessi verrebbe, infatti, immediatamente estinto) il che
contraddice specificamente quanto statuito dalle Sezioni Unite che, come detto,
hanno individuato nel contenuto delle clausole contrattuali "de
quibus" proprio la fattispecie degli interessi anatocistici stabiliti in
violazione della norma di cui all'art.1283 c.c." (Trib. Torino, 5 ottobre
2007, in Foro It., 2008, 2, I, pagg. 646 ss.).
8) Facendo riferimento alle revocatorie bancarie, la Cassazione precisa:
"nel contratto di apertura di credito regolata in conto corrente, le
singole rimesse effettuate sul conto dell'imprenditore poi fallito, nel periodo
sospetto di cui all'art. 67, comma 2, L.F., quando il conto sia scoperto, sono
revocabili per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite
del fido, atteso che lo scoperto costituisce per la banca un credito esigibile
e che la rimessa, non creando nuova disponibilità per il cliente, ha carattere
solutorio'. (Cass. Civ. 17 dicembre '94, n. 10869).
9) E' opportuno altresì ricordare che: 'la legittimità della capitalizzazione
trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario va esclusa (...)
in quanto difettano i presupposti per riconoscere (...) la convinzione dei
clienti circa la doverosità giuridica di tale prassi'. (Cass. S.U. 4 novembre
2005, n. 21095).
10) Solo nelle 'operazioni bilanciate' si può configurare l'imputazione ad uno
specifico pagamento.
11) La Cassazione Civ., Sez. I, n. 10692 del 1/10/07, seppur per altre
finalità, ha avuto modo di affermare: "Una volta esclusa la validità della
clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la
produzione degli estratti a partire dall'apertura del conto corrente consente,
attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell'avere con l'applicazione
del tasso legale, di determinare il credito della banca, sempreché la stessa
non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla
capitalizzazione degli interessi non dovuti. Allo stesso risultato,
evidentemente, non si può pervenire con la prova del saldo, comprensivo di
capitali ed interessi, al momento della chiusura del conto. Infatti, tale saldo
non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell'ultimo periodo di
contabilizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali
alla capitalizzazione degli interessi, ma a sua volta discende da una base di
computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi"
(ripresa anche dalla recente Cassazione n. 23974/10).
12) Gli interessi a credito non vanno confusi con quelli a debito:
l'annotazione in conto è legittima e la capitalizzazione è contestuale.
13) In realtà, anche se il risultano è identico, non si configura un vero e
proprio passaggio a capitale: risultando la rimessa rivolta al pagamento di
detti interessi, il capitale di credito prestato dalla banca non si riduce
dell'importo corrispondente.
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