Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/06/2009 Scarica PDF
L'anatocismo dopo la Delibera CICR del 9 febbraio 2000: fatta la pentola, il diavolo c'è cascato dentro
Roberto Marcelli, Consulente Finanziario1. Premessa
Come è noto, dopo le famose sentenze della Cassazione del '99, il legislatore è
intervenuto con il d.lgs. n. 342/99, modificando l'art. 120 del T.U.B. e
demandando al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio
(C.I.C.R) le modalità e i criteri per la produzione di interessi su interessi
sulle operazioni bancarie.
Il C.I.C.R., con Delibera del 9/2/00, ha rimesso alle parti, nei contratti di
conto corrente, la determinazione della periodicità degli interessi,
disponendo, però, la stessa periodicità sia per gli interessi a credito che per
quelli a debito.
Con la delibera in parola, si è reso possibile alle banche continuare ad
applicare l'anatocismo trimestrale, seppur condizionata ad una uniforme
periodicità degli interessi a debito e a credito.
All'art. 7 della citata Delibera C.I.C.R. viene dettata la disciplina per i
precedenti rapporti disponendo che:
"1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati
anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono
essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30/6/00 e i
relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio.
2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30/6/00, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30/12/00.
3. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela."
La generalità delle banche ha provveduto ad effettuare l'adeguamento della
periodicità trimestrale degli interessi a credito e a debito, per tutti i
rapporti di conto corrente in essere, curandone la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale e la comunicazione nell'estratto conto.
2. La sentenza 425/00 della Corte Costituzionale: i riflessi sulla Delibera
CICR 9/2/00
Mentre per i nuovi contratti l'art. 6 della delibera CICR 9.6.200 richiede che
le "clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno
effetto se non sono specificamente approvate per iscritto", per i
contratti in corso la norma transitoria dell'art. 7 prevede che l'adeguamento
debba essere esplicitamente approvato dalla clientela solo nel caso in cui le
nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni
precedentemente applicate.
Per i contratti stipulati precedentemente alla Delibera, all'assenza di
capitalizzazione, o alla capitalizzazione annuale, conseguenti alla nullità
della clausola anatocistica, si è venuta a sostituire una capitalizzazione
trimestrale, con un peggioramento delle condizioni. Il richiamo alle
"condizioni precedentemente applicate", riportato nell'art. 7 della
Delibera, non può essere riferito all'illegittima capitalizzazione trimestrale,
ma deve essere riportato alla nullità dell'anatocismo trimestrale, risultante
dalla normativa vigente precedentemente alla Delibera stessa. In tali
circostanze, in presenza di una modifica peggiorativa, sino al riscontro di
un'esplicita approvazione del cliente, si ritiene che perdurino gli effetti
della nullità.
Questa circostanza si unisce ad un'altra, ancor più rilevante ed
incontrovertibile, che pone le banche in una situazione di palese
illegittimità.
A seguito dell'intervento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato
l'illegittimità dell'art. 25, comma 3, del D. Lgs. 4 agosto '99 n. 342, è
venuto meno la possibilità per il CICR di sanare la nullità derivante dalla
pattuizione anatocistica preesistente.
Giova ricordare che, dopo le menzionate sentenze della Cassazione del '99, che
avevano sancito l'illegittimità dell'anatocismo trimestrale praticato dalle
banche, il Governo era intervenuto con l'art. 25 del D. Lgs. 342/991,
stabilendo una sanatoria delle clausole anatocistiche stipulate sino a quel
momento e l'adeguamento di una pari periodicità degli interessi a debito e a
credito. Più in particolare, con l'art. 25 in parola si è intervenuti sull'art.
120 del T.U.B.:
- modificando, con il comma 1, la rubrica;
- aggiungendo, con il comma 2, un secondo comma all'art. 120 che prevede
l'anatocismo nel rispetto della pari periodicità;
- prevedendo, con il comma 3, la disciplina transitoria e di sanatoria.
Successivamente all'entrata in vigore del provvedimento legislativo,
interveniva la Delibera CICR dell'8/2/00 che, nel prevedere l'uniforme
periodicità delle condizioni di conto, disciplinava all'art. 7, le clausole
anatocistiche contenute nei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore
della delibera stessa, prevedendone l'adeguamento alla nuova disciplina e
stabilendo per altro una specifica approvazione per iscritto della clientela
solo per la circostanza di modifiche comportanti un peggioramento delle
condizioni precedentemente applicate.
Con la sentenza della Corte Costituzionale, intervenuta il successivo 17
ottobre '00, è stata dichiarata l'illegittimità del 3 comma dell'art. 25 D.
Lgs. 342/99 e conseguentemente è venuto meno il presupposto legittimante l'art.
7 della Delibera CICR 9/2/00, finalizzato a disciplinare i rapporti in essere
al momento dell'entrata in vigore della Delibera stessa. Né il 2 comma
dell'art. 25 conferisce al CICR il potere di prevedere disposizioni di
adeguamento, con effetti validanti la sorte delle condizioni contrattuali
stipulate anteriormente.
Di riflesso, per i rapporti precedenti, si rende necessario che le nuove
clausole di capitalizzazione siano oggetto di approvazione scritta del cliente,
risultando illegittimo l'adeguamento in via generale pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale e comunicato per iscritto alla clientela. Per effetto della
menzionata pronuncia della Corte Costituzionale, le clausole anatocistiche
restano disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle
leggi nel tempo, dalla normativa anteriormente in vigore. Al riguardo la
Cassazione a Sezioni Unite (n. 21095/04) ha avuto modo di precisare: "in
tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto
corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della corte
costituzionale n. 425/00, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per
violazione dell'art. 76, Cost., l'art. 25, comma terzo, D. Lgs. n. 342/99, il
quale aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della
dilibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole
anotocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi
che regolano la successioni delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla
normativa anteriormente in vigore e, quindi sono da considerare nulle in quanto
stipulate in violazione dell'art. 1283, cod. civ."2. Nella stessa sentenza
la Cassazione ha definitivamente sancito la illegittimità delle clausole di
capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti degli istituti
bancari, anche se contratte prima del nuovo orientamento giurisprudenziale
espresso nelle menzionate sentenze della Cassazione del '99.
Dai richiamati interventi consegue che, per i contratti in essere alla data di
entrata in vigore della Delibera CICR 9/2/00, senza un'approvazione scritta del
cliente, la modifica introdotta dalla banca, come indicato nell'art. 7 della
Delibera, risulta priva di valore: diversamente si verrebbe a sanare, senza
alcun intervento patrizio, la nullità della clausola anatocistica.
Di nuovo la Cassazione (Cass. n. 4093 del 25/2/05, Cass. n. 25016 del 30/11/07)
ha recentemente ribadito che in tema di capitalizzazione trimestrale degli
interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425/00, che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76 della Costituzione,
l'art. 25, comma 3, d.lg. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la
validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della Delibera CICR di cui
al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in
precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione
delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in
vigore, e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione
dell'art. 1283 c.c..
3. Il recupero anatocistico si viene ad estendere oltre il 2000
La generalità delle banche, all'indomani della Delibera CICR, per i rapporti di
conto in essere, ha effettuato la parificazione trimestrale del conteggio degli
interessi a debito e a credito, limitandosi a curare la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale e la comunicazione sugli estratti conto.
L'asincronia, che spesso accompagna l'evoluzione normativa, giurisprudenziale -
di merito e legittimità - e prassi operativa, evidenzia scollamenti di rilievo
che il più delle volte si riflettono a danno del cliente bancario, ma che
talvolta si ritorcono sugli stessi intermediari che tali scollamenti hanno
ignorato.
Si può ragionevolmente ritenere che la ripresa anatocistica degli interessi
potrà essere estesa anche al decennio in corso ed interessa una parte cospicua
dei rapporti di conto.
Il decreto legislativo del '99, nel tentativo di sanare il comportamento
pregresso degli intermediari bancari, è incorso in un'incongruenza giuridica, i
cui riflessi economici vengono, seppur tardivamente, manifestandosi nelle aule
dei Tribunali. Le argomentazioni addotte nelle prime sentenze prodotte dai
Tribunali risultano solide, circostanziate e non lasciano spazi a obiezioni di
sorta: una dettagliata rassegna può risultare di utilità.
In un primo intervento del 2007 il Tribunale di Venezia si argomenta che
risultando nulla la capitalizzazione trimestrale degli interessi, ne discende
l'esclusione di qualsiasi capitalizzazione. Di riflesso, nel momento il cui la
banca, senza concludere alcun nuovo contratto, interviene unilateralmente sulle
originarie previsioni negoziali, al fine di sanare l'originaria
capitalizzazione trimestrale, introduce una variazione di tasso di interesse
sfavorevole al cliente che risulta illegittima ( Tribunale di Venezia, Sentenza
22.1.2007, M. A. Maiolino): "Va ad abundantiam rilevato come alcun effetto
sanante sulla clausola de qua possa venire dal d.lgs. n. 342 del 1999, che
aveva stabilito la validità delle pregresse clausole relative alla produzione
di interessi con capitalizzazione trimestrale ma che è stata in parte qua
fulminata con una pronuncia di illegittimità costituzionale (Corte Cost. n. 425
del 17.10.2000): cosicché non può che rimanere assoggettata anche la clausola
oggi in esame alla disciplina previgente, dalla quale, per tutte le ragioni
esposte, non può che discendere la sanzione della nullità. Le
tesi esposte, peraltro, valgono a giustificare la riconosciuta nullità alla
previsione di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi
esclusivamente nei limiti in cui analoga modalità di conteggio non sia prevista
a favore del correntista per quanto riguarda gli interessi creditori. L'art. 25
del d.lgs. n. 342 del 1999, modificando l'art. 120 del TU bancario, ha invero
demandato al CICR la fissazione delle modalità di produzione degli interessi
nei rapporti di conto corrente, raccomandando solo che fosse garantita la
medesima periodicità nel conteggio sia per gli interessi debitori che per
quelli creditori. Il CICR a sua volta ha emesso una delibera (9.2.2000,
efficace dal 22.4.2000: doc. n. 10 opposta), stabilendo la periodicità
trimestrale per entrambi i tipi di interessi: effettivamente agli estratti
conto depositati in causa emerge che ad un certo punto dei rapporti Antonveneta
applicò la capitalizzazione trimestrale sia per gli interessi debitori che per
quelli creditori. Si pone pero il problema di verificare la legittimità di
detta previsione e può dirsi sin d'ora che ad avviso del Tribunale detta
(unilaterale) modifica contrattuale risulta nulla.
Invero, tenuto conto che per le ragioni esposte la capitalizzazione trimestrale
degli interessi debitori fino alla citata modifica legislativa doveva ritenersi
in radice nulla, con esclusione pertanto di qualsiasi capitalizzazione degli
interessi (sul punto si dirà meglio in seguito), va da sé che, nel momento in
cui la banca, senza concludere un nuovo contratto, ma intervenendo
unilateralmente sulle originarie previsioni negoziali, modifica la periodicità
di capitalizzazione dei frutti creditori al fine (nella sua intenzione) di
"sanare" e salvare l'originaria clausola relativa alla
capitalizzazione trimestrale degli interessi, che altrimenti - come detto -
sarebbe nulla, introduce una variazione del tasso di interesse sfavorevole al
cliente: ebbene, detta condotta, non risultando alcuna previsione per iscritto
rilasciata in tal senso dal cliente medesimo, non è legittima e la relativa
nuova clausola risulta nulla ai sensi dell'art. 117 del TUB."
Più diretto e lapidario l'intervento del 2007 del Tribunale di Torino: il 2°
comma dell'art. 120 del TUB non conferisce al CICR la facoltà di sanare
condizioni contrattuali stipulate precedentemente, impiegando per di più
modalità procedimentali unilaterali (Tribunale di Torino, Sentenza n. 6204 del
5/10/07, G. Rizzi): ".... L'art. 7 della Delibera CICR 9/2/00 trae
legittimità dal 3° comma dell'art. 25 d.leg. 4 agosto '99 n. 342 (che
aggiungeva un 3° comma all'art. 120 del TUB) che statuiva come 'Le clausole
relative alla produzione degli interessi sugli interessi maturati, contenute
nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della
delibera di cui al 2° comma, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo
di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che
stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell'adeguamento ....'. Tale 3° comma
dell'art. 120 del TUB però, è stato dichiarato in toto incostituzionale dalla
sentenza della Corte costituzionale 17 ottobre 2000, n. 425 e, come detto, era
proprio tale 3° comma che istituiva la facoltà di adeguamento, per il periodo
successivo all'entrata in vigore della delibera, delle clausole stesse ai
principi stabiliti per i contratti di nuova stipulazione. Ora, le modalità di
detto adeguamento sono proprio quelle fissate dall'art. 7 della delibera CICR
il quale, in quanto atto regolamentare di attuazione di una norma divenuta
successivamente inefficace in quanto dichiarata incostituzionale, diviene
(illegittimo e) inefficace anch'esso in via derivata ed automatica e dev'essere
disapplicato dal giudice di merito. Né la legittimità dell'art. 7 della
suddetta delibera CICR può trovare, ora, la sua fonte nel 2° comma dell'art.
120 del TUB che si limita a statuire come 'Il CICR stabilisce modalità e
criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati .... prevedendo
in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei
confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi
sia debitori sia creditori'. Tale 2° comma si limita a conferire al CICR
l'autorità per stabilire modalità e criteri per la produzione dell'anatocismo
bancario, non gli conferisce certo la facoltà di emanare norme transitorie, con
effetti validanti, la sorte delle condizioni contrattuali stipulate
anteriormente, nonché di prevedere disposizioni di adeguamento e tempi delle
medesime, tanto meno intervenendo con efficacia sanante condizionata unicamente
a modalità procedimentali unilaterali. Come già detto, inoltre, l'art. 161, 6°
comma, TUB esclude che ai contratti già conclusi possa essere applicata la
normativa in questione (e il 2° comma dell'art. 120 del TUB, al contrario di
quanto faceva il 3° comma, non prevede affatto tale ipotesi di applicazione)
cosicché l'art. 7 della Delibera CICR (in quanto il comitato interministeriale
trae i suoi poteri dall'art. 120 del TUB) è anche in contrasto con l'art. 161,
6° comma medesimo, giacché regola una fattispecie negoziale conclusa
precedentemente tanto all'entrata in vigore della normativa bancaria che della
norma di cui all'art. 120, 2° comma, del TUB, introdotto dal d. leg. 342/99
(che delle deliberazioni CICR previste dallo stesso art. 120, 2° comma del
TUB)". ( Trib. Torino, 5/10/07, G. Rizzi).
Anche il Tribunale di Benevento si schiera chiaramente sull'inefficacia dell'art.
7 della Delibera CICR in parola (Tribunale di Benevento, Sentenza n. 252 del
18.02.08): " La produzione degli interessi sugli interessi è divenuta
legittima in materia bancaria con la delibera CICR 9/2/2000, per cui le
clausole anatocistiche preventive contenute nei contratti di conto corrente
(art. 2) e nei mutui (art.3) stipulati dal 22/4/2000 in poi, data di entrata in
vigore di detta legge, sono valide ed efficaci purchè: a) siano espressamente
indicati la periodicità di capitalizzazione degli interessi ed il tasso di
interesse applicato, anche sotto forma di TAE - tasso annuo effettivo che tenga
conto dell'anatocismo b) nel singolo conto corrente sia stabilita la stessa
periodicità del conteggio degli interessi creditori e debitori; c) siano specificamente
approvate per iscritto dal cliente, segnalando che sulla specificità
dell'approvazione vale quanto elaborato dalla giurisprudenza per le clausole
vessatorie di cui all'art. 1341 comma 2 c.c.
Le clausole di capitalizzazione degli interessi contenute nei contratti bancari
stipulati prima del 22/4/2000, qualunque sia la periodicità, sono invece sempre
nulle per violazione di norma imperativa ( art. 1418 comma 1 c.c. ). Va
ricordato che le disposizioni transitorie di cui all'art. 7 della delibera CICR
9/2/2000 non possono trovare alcuna applicazione, in quanto in seguito alla
sentenza 425/2000 della Corte Costituzionale è venuto meno l'art. 25 comma 3
del D.Lgs. 342/1999 che era il fondamento legittimante l'art. 7 , per cui esso,
quale atto di normazione secondaria attuativo di una norma non più esistente
perché dichiarata incostituzionale, ha perso ogni validità ed
efficacia"(Cfr. anche precedente sentenza del 6/8/07).
Diversamente, nel '08 il Tribunale di Padova osserva che le variazioni delle
condizioni contrattuali, previste nell'art. 7 della Delibera, presuppongono pur
sempre una valida pattuizione sottostante. Su una clausola nulla non può
operare alcun meccanismo di variazione, tanto meno semplificato, ad iniziativa
di una sola parte (Tribunale di Padova, Sentenza 27/4/08, D. Bruni): " In
particolare la Banca sostiene che aveva facoltà di recepire unilateralmente il
disposto normativo modificato a mezzo pubblicazione in G.U. di un comunicato
perché l'art. 7 della citata delibera interministeriale ha previsto formalità
diverse per l'adeguamento delle condizioni contrattuali dei rapporti allora in
corso stabilendo che, qualora tali nuove condizioni non comportino un
peggioramento della posizione del cliente rispetto alla banca, la comunicazione
al pubblico delle nuove condizioni possa avvenire mediante semplice
pubblicazione sulla G.U. entro il predetto termine del 30/6/00, purché venga
fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione
utile e comunque entro il 31/12/00 e disponendo in caso contrario la necessità
dell'approvazione per iscritto della clientela.
L'assunto è erroneo perché la variazione in melius o in peius presuppone pur
sempre una valida pattuizione sottostante laddove la ricognizione negativa ad
opera della Corte Cassazione, cioè la statuizione di inesistenza di un uso
normativo bancario idoneo a derogare all'art. 1283 c.c., comporta
inevitabilmente la nullità della relativa clausola normalmente contenuta al
punto 7 delle condizioni generali predisposte. E' evidente che rispetto ad una
clausola nulla non può operare alcun meccanismo di variazione, tanto meno
semplificato, ad iniziativa di una sola delle parti. La banca confonde tra ius
variandi di una pattuizione valida, come quella in punto interessi, e la sua
nullità come quella per mancanza della forma scritta per interessi
convenzionali. Talvolta il legislatore interviene in via sostitutiva come con
l'art. 117 TUB ove il tasso minimo/massimo dei BOT sostituisce il tasso
mancante: più in generale opera il meccanismo di sostituzione automatico ex
art. 1339 c.c. Tuttavia l'integrazione ope legis postula sia la nullità della
clausola da sostituire sia l'imperatività di quella sostitutiva mentre l'art.
120, secondo comma, ha mera natura dispositiva come si evince dalla lettera
stessa della norma: il legislatore consente che l'anatocismo sia pattuito tra
le parti, ma non lo assicura di necessità alla banca. Pertanto neppure l'art.
1339 consente l'inserzione automatica dell'art. 120, secondo comma TUB nei
contratti stipulati prima del 21 aprile 2000.
In definitiva la banca interpreta la Delibera CICR in contrasto con i principi
generali la cui deroga può ammettersi solo in presenza di una chiara, puntuale
direttiva del legislatore delegante; essa manca nel caso di specie: nessuna
norma della legge delega autorizza in claris siffatta deviazione.".
Più recentemente, nel febbraio dell'anno in corso, il Tribunale di Mondovì
affronta in termini circostanziati e completi la questione, puntualizzando
l'aspetto di peggioramento che consegue con l'introduzione dei requisiti
disposti dal CICR, ma sollevando e approfondendo il ben più radicale problema
della carenza della delega legislativa a disciplinare l'adeguamento delle
precedenti clausole contrattuali; delega contenuta nel comma 3° dell'art. 25
del decreto legislativo 342/99, caduto sotto la scure della Corte
Costituzionale (Tribunale di Mondovì, Sentenza 10/2/09, Demarchi):
"Approfittando della delega per il riordino del T.U. Bancario (D. Lgs.
n.385/93), il Governo ha emanato una norma "salvagente" (l'art. 25
D.Lgs. n. 342/99), che ha inserito all'art. 120 T.U.B. il comma 2° (che
attribuisce al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione
di interessi sugli interessi) e il comma 3° (che faceva salve le vecchie
clausole anatocistiche). Tale ultima disposizione, però, è caduta sotto la
scure della Corte Costituzionale, che ne ha dichiarato l'illegittimità con
sentenza n. 425/2000, per eccesso di delega. Ne consegue che la
capitalizzazione degli interessi, in base alla citata delibera del CICR, può
ritenersi consentita solo per i contratti stipulati a far data dal 22.4.2000,
secondo quanto concretamente pattuito dalle parti (sempre che, comunque, vi sia
la stessa periodicità di capitalizzazione per gli interessi debitori e
creditori); per i contratti già in essere è prevista la possibilità di
adeguamento contrattuale, ma senza effetti retroattivi [...] Posto che prima
della delibera del CICR le clausole che prevedevano la capitalizzazione degli
interessi erano nulle, per quanto detto in precedenza, è evidente che ogni
successiva previsione anatocistica (pure introdotta in modo conforme alle
disposizioni del CICR) sia da considerarsi nuova, e non semplice adeguamento di
una clausola precedente. Considerato, poi, che il correntista era costantemente
a debito, la previsione di una capitalizzazione trimestrale era da considerarsi
sicuramente peggiorativa (anche se bilaterale), in quanto producente effetti
negativi (aumento dell'esposizione debitoria complessiva). Rispetto alla
situazione precedente, in cui il correntista non era tenuto a corrispondere
alcun interesse sugli interessi (per nullità accertata della relativa
pattuizione contrattuale), l'introduzione di una clausola di capitalizzazione
(sebbene rispondente ai requisiti previsti dal CICR) doveva, dunque,
considerarsi peggiorativa; pertanto, le nuove clausole dovevano essere
approvate espressamente dal cliente, cosa che nel caso in esame non avvenne
[...] a ben vedere, la validità delle nuove clausole di anatocismo deve essere
esclusa per un problema a monte, concernente la fonte normativa del potere di
adeguamento [...] Demandando ad un atto di normazione secondaria (la delibera
CICR) il potere di incidere sulla disciplina dell'anatocismo, il decreto legislativo342/99
assumeva la natura di norma sub-delegante e conferiva al regolamento una forza
pari alla legge ordinaria; solo così era possibile che una fonte regolamentare
potesse derogare alla normativa codicistica dell'anatocismo, che, altrimenti,
quale fonte sovraordinata, avrebbe prevalso. Ma ciò significa anche che la
delibera CICR può derogare alla legge (in questo caso al codice civile) solo
nei limiti in cui sia emanata in conformità ed in esecuzione di una valida
norma con forza primaria. A questo punto si deve richiamare il doppio contenuto
dell'art. 25 o, se vogliamo, la doppia delega: da un lato l'art. 25 (al comma
due, divenuto il nuovo secondo comma dell'art. 120 del T.U. bancario) conferiva
alla delibera un potere sostanziale di disciplina di modalità e criteri per la
produzione di interessi, che non poteva avere efficacia retroattiva, ai sensi
dell'art. 11 preleggi; dall'altro, l'art. 25 (al comma tre) sanciva la validità
delle vecchie clausole anatocistiche e disponeva che esse potessero mantenere
efficacia anche per il futuro, ma a condizione che venissero adeguate alle
nuove disposizioni. Il CICR era delegato a stabilire modalità e tempi
dell'adeguamento. Mentre la delega "sostanziale", per il riordino
della disciplina dell'anatocismo (comma due dell'art. 25) ha mantenuto vigenza,
la delega per l'adeguamento delle vecchie clausole, contenuta nel comma tre
dell'art. 25, è stata travolta dalla dichiarazione di incostituzionalità; ne
consegue il venir meno di ogni potere, per la delibera CICR, di disciplinare
l'ultrattività delle norme anatocistiche e dunque l'impossibilità di introdurre
modalità e tempi per l'adeguamento previsto nella norma dichiarata
incostituzionale [...] L'art 7 della delibera CICR, nella parte in cui
disciplina l'adeguamento unilaterale delle clausole anatocistiche, è
divenuta"orfana" della norma sub-delegante, ossia dell'art. 25, comma
terzo, del decreto legislativo 342/99; si deve, allora, stabilire se la
delibera del CICR sia incostituzionale per eccesso di delega ex art. 76 Cost.,
ovvero se sia semplicemente una norma regolamentare priva della forza
necessaria per derogare alla fonte superiore di natura legislativa. Sé è vero
che la delibera afferma nelle sue premesse di essere adottata proprio in
funzione di esecuzione della delega contenuta nel d.lgs.342/99 e dunque si
presenta come atto normativo delegato, è, però, dubbio che l'art. 76 Cost.
possa essere invocato nel caso di specie, dato che esso si riferisce
all'esercizio della funzione legislativa, cioè all'emanazione delle leggi, e
non alla produzione dei regolamenti, che sono atti tipici della funzione
esecutiva. L'art. 76 Cost., cioè, sembra produrre l'illegittimità
costituzionale di quegli atti governativi, aventi valore di legge (decreti
legislativi), che si pongono in contrasto o che fuoriescono dalla delega
attribuita dal Parlamento; non disciplina, invece, il diverso caso del
regolamento che, pur attuativo, in via indiretta, di una legge delega, si ponga
in contrasto con questa o con il decreto delegato (o vada oltre le loro
previsioni). La ragione di questo diverso trattamento tra il decreto
legislativo (che ha natura di fonte primaria) e il regolamento (che è fonte
subordinata alla legge) risiede nel fatto che nel primo caso il Governo
esercita eccezionalmente una funzione riservata ad altro potere dello Stato
(con la quale può derogare ad altre leggi), mentre nel secondo caso il potere
esecutivo esercita una funzione propria, quella regolamentare, che non ha la
forza di derogare alle norme di fonte primaria. In conclusione, dunque, è forse
più corretto ritenere che la delibera CICR sia una fonte secondaria che non può
derogare alla legge e pertanto, in caso di contrasto con essa, cede il passo e
deve essere disapplicata. Dunque, se è possibile per le banche, dopo il 2000,
rinegoziare con i vecchi clienti le clausole che prevedono l'anatocismo (purchè
siano rese conformi alle regole stabilite dal TU bancario e dalla delibera
CICR), non è invece possibile una modifica unilaterale.Va ulteriormente notato,
poi, che in questo caso non di adeguamento potrebbe parlarsi, essendo le
vecchie clausole radicalmente nulle, bensì di vera e propria modifica delle
condizioni contrattuali, con l'inserimento di nuove pattuizioni; modifica
unilaterale che, in deroga alle norme del codice, la delibera CICR non poteva
certo autorizzare" ( Cfr. anche Trib. Orvieto, n. 166 del 30/7/05, G.
Baglioni; Trib. Pescara, n. 722 del 30/3/06, G. Falco; Trib. Torino n. 5480 del
4/7/05, G. Rapelli; Trib. Teramo n. 1071 dell'11/12/06, G. Marcheggiani)3.
4. Sintesi e conclusioni
Non sembra sussistano dubbi sulla circostanza che per i contratti di conto
corrente in essere all'entrata in vigore (20/4/00) della delibera CICR 9/2/00,
valga la disciplina precedente e quindi la nullità della clausola di
capitalizzazione trimestrale. Per tali contratti, con la pubblicazione sulla
G.U. e la comunicazione nell'estratto conto, previste dalla Delibera CICR, non
si realizzerebbe una modifica contrattuale ex art. 118 del TUB, bensì
un'impropria sanatoria di una clausola nulla, attraverso un atto unilaterale.
E' certamente singolare che, solo dopo molti anni dall'intervento della Corte
Costituzionale, i giudici abbiano cominciato a ravvisare nella Delibera CICR
carenze dispositive e, di riflesso, significativi aspetti di illegittimità nei
comportamenti delle banche.
E' altrettanto singolare che con la stessa prontezza con la quale, dopo il D.
Lgs. 342/99, è stata emanata la Delibera CICR 9/2/00 per bonificare il
comportamento delle banche sull'applicazione degli interessi trimestrali, non
si sia intervenuti, dopo la Sentenza n. 425/00 della Corte Costituzionale, a
rettificare la stessa Delibera CICR, abrogando l'art. 7, reso illegittimo dal
venir meno della norma delegante.
La generalità dei titolari di conto corrente hanno così continuato a subire,
anche dopo il 9/2/00, l'imposizione di condizioni vessatoria, decise
unilateralmente con la semplice comunicazione sulla G.U. e nell'estratto conto.
La specificità, complessità e articolazione della normativa bancaria, sottoposta
ad un continuo rapporto di forza fra sistema bancario e organo legislativo, ha
spesso consentito alle banche sostanziali disapplicazioni della disciplina,
incontrando nella giurisprudenza una scarsa specializzazione e sensibilità,
insufficiente a contrastare e censurare tempestivamente ed efficientemente
reiterati comportamenti illegittimi.
La richiamata disposizione abrogativa della Corte costituzionale è risultata
disattesa, così come sono risultate disattese le numerose sentenze della Corte
di Cassazione in tema di anatocismo e Commissioni di Massimo Scoperto, così
come disattesa rimane la formale applicazione dell'art. 644 c.p. in tema
d'usura, in presenza di contrastanti indicazioni della Banca d'Italia.
Di riflesso la Magistratura è chiamata a gestire - in un quadro giuridico
complesso e talvolta contraddittorio - vertenze che non costituiscono casi
sporadici e circoscritti, ma, al contrario, risultano estesi in tutto il
territorio con una frequenza ed intensità, che denuncia, nella stessa dimensione
del fenomeno, comportamenti speciosi, improntati a scarso rispetto delle norme
di legge, non adeguatamente monitorati e censurati dalle Autorità di controllo.
Gli interventi legislativi, come il D. Lgs. n. 342/99, esprimono il maldestro
tentativo di sanare pregressi comportamenti illegittimi, perpetrando, per il
tramite di atti di normazione secondaria, regimi di vessazione che, pur non
avendo superato il vaglio della Corte Costituzionale, continuano - a quasi un
decennio di distanza - ad esplicare i loro effetti.
Come per gli altri temi menzionati, quello che non consente la norma di legge,
viene comunque praticato, avvalendosi della speciale posizione contrattuale
nella quale, per la loro peculiare funzione pubblica, si vengono a trovare gli
intermediari bancari, entrando in un rapporto di contrapposizione con la
Magistratura, dove la guida ai comportamenti, più che a principi etici e di
rispetto dell'ordinamento, si informa al trade-off costi benefici.
E' assente un corretto bilanciamento che accompagni ad assetti normativi
privilegiati - posti a presidio e tutela della delicata funzione di allocazione
del risparmio - uno stretto controllo del rispetto, sostanziale prima che
formale, dello spirito e dei principi che ispirano la disciplina di governo
dell'attività riservata agli operatori bancari. E' carente altresì un presidio
sanzionatorio, commisurato alla rilevanza e pregnanza dell'interesse pubblico
coinvolto. Se, ad esempio, all'intermediario, colto in pratica di usura in un
rapporto di conto, viene riconosciuto comunque l'interesse corrispondente al
tasso soglia, o al più al tasso legale - come frequentemente si riscontra nei
giudizi civili - si rinuncia a quei correttivi che, riconducendo ad equilibrio
il trade-off costi benefici, risultano estremi ma efficaci. In altre
circostanze, per infrazioni di minor rilievo, si arriva a sanzioni pari a ben
50 volte il valore dell'omesso adempimento, inducendo, seppur forzatamente,
comportamenti virtuosi.
Nell'ultimo ventennio il disegno strategico di condurre il sistema bancario
alle logiche di mercato ha certamente indotto notevoli elementi di efficienza
produttiva, ma ha significativamente minato quel rapporto fiduciario che, in
precedenza, per lungo tempo aveva presieduto il contratto banca-cliente.
Più recentemente l'attenzione e sensibilità del Governatore della Banca
d'Italia non ha mancato di cogliere l'esigenza di orientare la cultura
aziendale delle banche ad un più rigoroso rispetto delle norme, ad una corretta
gestione dei conflitti di interesse e alla tutela del rapporto di fiducia con
il cliente.
L'art. 2 bis della legge n. 2/09 che disciplina le Commissioni di Massimo
Scoperto e le nuove Istruzioni per la rilevazione del Tasso Effettivo Globale
per la verifica dell'usura, non sembrano riflettere alcun nuovo corso che possa
incidere nei comportamenti degli intermediari bancari. Gli interventi
correttivi appaiono deboli, incerti, inadatti a dispiegare effetti concreti e
riscontrabili nei rapporti bancari e nei confronti giudiziari, nei quali è
purtroppo impegnata un'ampia schiera di clienti, risparmiatori e imprenditori.
Roma 22 maggio 2009
* Dott. R. Marcelli, Studio: Via Bergamo, 43 - 00198 Roma, Tel. 06.8841269, Fax
06.233221032, studiomarcelli@mclink.it
1) Art. 25 del D. Lgs. 342/99. Modalita' di calcolo degli interessi
1. La rubrica dell'articolo 120 t.u. e' sostituita dalla seguente:
"Decorrenza delle valute e modalita' di calcolo degli interessi".
2. Dopo il comma 1 dell'articolo 120 t.u. e' aggiunto il seguente:
"2. Il CICR stabilisce modalita' e criteri per la produzione di interessi
sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio
dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto
corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicita'
nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori".
3. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati,
contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore
della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e,
dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera,
che stabilira' altresi' le modalita' e i tempi dell'adeguamento. In difetto di
adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia puo' essere fatta
valere solo dal cliente.
2) Cfr. anche Cass. n. 1222 del 20/8/03.
3) La menzionata posizione è stata fatta propria dal giudice delle Esecuzioni
Immobiliari del Tribunale di Ancona, dott. Moretta, che ha predisposto una nota
informativa per i soggetti incaricati di redigere i piani di riparto nelle
procedure espropriative, nella quale si riporta:
"...Tuttavia, il comma terzo dell' art. 25 sopra citato -che, come si è
visto, fa salve le pattuizioni relative a contratti stipulati anteriormente
alla entrata in vigore della legge- è stato dichiarato illegittimo dalla Corte
Costituzionale con sentenza del 17 ottobre 2000 n. 425.
La Corte non è invece in alcun modo intervenuta sui primi commi dell'articolo,
la quale riguardava i contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della
legge.A seguito di tale pronuncia, dunque, si è realizzato un doppio regime:
uno concernente i contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore
della delibera del CICR; l'altro per i contratti stipulati successivamente.
Il primo gruppo di contratti, non potendo più considerarsi valida la norma che
sanava i precedenti rapporti, rimane soggetto alla disciplina previgente. Deve
anzi ritenersi che per tali contratti non sia possibile un adeguamento
automatico alle condizioni previste dal CICR neppure per il periodo successivo
alla entrata in vigore della citata delibera. Ciò perché l'inciso che tale
adeguamento prevedeva era contenuto nel comma integralmente abrogato dalla Corte
Costituzionale e dunque non più in vigore.
Gli altri contratti - e cioè quelli sorti dopo la entrata in vigore della
delibera del CICR, ossia dopo il 20 aprile 2000- sono invece soggetti alle
disposizioni della menzionata delibera. Sarà dunque possibile seguire le
indicazioni contenute nella delibera in questione, sopra riportata, per i
contratti sorti successivamente alla sua entrata in vigore.
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