Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/03/2017 Scarica PDF
La commissione di massimo scoperto. Con l'endorsement della Cassazione civ. n. 12965/16 e n. 22270/16, il presidio all'usura viene ridotto ad una 'farsa'
Roberto Marcelli, Consulente FinanziarioLa CMS storicamente ha assunto una dimensione assai modesta – il noto ‘ottavino’ (1/8 = 0,125%) - e un’applicazione poco diffusa, circoscritta per lo più ai crediti di più elevata dimensione, quando, prima dell’impiego dei canali telematici, la pronta disponibilità concreta dei biglietti nei caveaux delle banche costituiva un effettivo costo sia per la materiale gestione che per gli obblighi di riserva disposti dall’Istituto Centrale[2]. Nel sistema attuale l’onere di reperire liquidità, in ogni momento su una singola linea di credito, ha un’incidenza assai esigua: le disponibilità di cassa dell’intermediario sono gestite sulla base di previsioni riferite all’intero aggregato della clientela, compensando le posizioni a debito con le posizioni a credito e reperendo o reimpiegando il saldo risultante[3].
La dottrina, riporta la sentenza della Cassazione 12965/16, si è posta alla ricerca di una causa giustificatrice della CMS, ritenendo che ‘tale commissione, alternativamente, andasse a remunerare il maggior rischio della banca di recupero del credito derivante dall’incremento dell’esposizione debitoria del cliente nel periodo o il costo sostenuto dalla banca per far fronte a richieste di denaro improvvise e ulteriori rispetto alla media di utilizzazione del finanziamento’.
Si travisa la dottrina: la causa giustificatrice indicata dalla sentenza richiama i termini e la definizione impiegati dalla Banca d’Italia, alla ricerca di una giustificazione all’impropria metodologia di riferimento al credito utilizzato, in luogo del credito accordato, uniformemente adottata dalla generalità degli intermediari bancari. Non vi è chi non trovi vacua, pretestuosa e posticcia tale definizione[4]. La dottrina ha sempre assegnato alla commissione la semplice e più elementare funzione di corrispettivo dell’obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente una determinata somma, per un determinato tempo[5].
La prassi bancaria si è allontanata dallo ‘schema originario ’ nell’indifferenza della Banca d’Italia che già nelle prime ‘Istruzioni’ del ’96 ne ha ‘ratificato’ l’anomalo sistema di calcolo prevedendo espressamente: ’Il calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto va effettuata, per ogni singola posizione, rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata’.[6]
Le modalità di impiego di tale commissione hanno reso l’onere difficilmente quantificabile al momento pattizio[7], in buona parte aleatorio, non definito, né determinato nelle modalità di calcolo, sostanzialmente privo di ragione giustificatrice espressa nell’ambito del sinallagma contrattuale: applicato sistematicamente sul picco dello scoperto del periodo, a prescindere dalla durata, non appare improprio definirlo un ‘balzello’[8]. A tale forma di commissione, nelle modalità di impiego adottate dalla generalità degli intermediari, frequentemente non é stata riconosciuta dalla giurisprudenza ordinaria alcuna veste di legalità; non può travisarsi il nome con il contenuto: con la legge n. 2/09 la legittimità é stata riconosciuta ad una diversa funzione, in un ristretto ambito e una determinata modalità di calcolo della CMS.
La sentenza in rassegna richiama come, in precedenza, la Suprema Corte (Cass. Civ. n. 11772/02) ne aveva rilevato l’uso improprio: “o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi – come potrebbe inferirsi anche dall’esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato – che solitamente è trimestrale – e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi - ed è il caso di specie - o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia dell’1/10/96 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve essere computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge n. 108/96 ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del conto.”.
Già con questa sentenza del ’02 la Cassazione, seppur non direttamente espressa, palesava una valutazione di inclusione nella verifica dell’usura della CMS qualora conteggiata, come nella ordinaria prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, ancorché dovesse essere alla stessa attribuita una funzione di remunerazione per la disponibilità del credito, da computarsi quindi alla chiusura definitiva del conto. Successivamente nel ’06, in termini espliciti veniva ribadita per la CMS la definizione già fornita dalla dottrina: “la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma.” (Cass. Civ. 18/01/06 n. 870)[9].
Dalle indicate sentenze, come recentemente sottolineato dal Tribunale di Pistoia, ‘sembra potersi desumere che il Supremo Collegio abbia ritenuto che l’indicazione operativa proveniente dalla Banca d’Italia possa essere avallata solo nella misura in cui alle CMS si annetta una funzione autonoma, diversa da quella tipica degli interessi: quella, appunto, di corrispettivo per la tenuta a disposizione del correntista dell’importo del fido concesso. Ne consegue che solo detta specifica causa può legittimare una separata rilevazione delle percentuali medie delle CMS e la mancata inclusione delle stesse nel calcolo del TEG, come appunto indicato nelle istruzioni diramate dalla Banca d’Italia nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari e pedissequamente recepito dai Decreti Ministeriali tempo per tempo emessi prima della promulgazione della legge n.2/2009 e, nello specifico, dai D.M. applicabili ai rapporti in esame (prodotti dalla parte attrice). Non v’è viceversa ragione sistematica per riservare alle CMS un trattamento diverso da quello spettante agli interessi passivi quanto al vaglio di usurarietà, laddove le stesse figurino in concreto applicate sull’importo massimo dell’esposizione di conto evidenziata nel trimestre, sia pure contenuta nei limiti del fido accordato, ovvero sull’esposizione eccedente l’ammontare dell’affidamento accordato o anche sulla massima esposizione di un conto non assistito da alcun affidamento (cd. conto scoperto). (…) Del resto, tanto l’inciso finale "sotto qualsiasi forma”, contenuto nel primo comma dell’art. 644 c.p., quanto l’inciso "a qualunque titolo” contenuto nell’art. 1, primo comma del D.L. 394/2000, convertito con la legge n.24/2001, vale a definitivamente chiarire che la ratio legis della disciplina vigente in materia di usura è proprio quella di considerare usurari anche gli interessi corrispettivi dissimulati ovvero convenuti in appositi patti aggiunti, diretti ad aggirare il divieto posto dalla medesima disciplina imperativa. Solo nel caso in cui, viceversa, le CMS risultassero convenute ed applicate con la funzione remunerativa di cui sopra e dunque, non in aggiunta agli interessi passivi per il correntista pattuiti per l’affidamento, ma al solo fine di compensare la banca della messa a disposizione del fido rimasto inutilizzato e limitatamente al periodo di detta mancata utilizzazione, sarebbe astrattamente legittimo non includere le commissioni nel calcolo del TEG ai fini del vaglio di usurarietà.’ (Trib. Pistoia, N.M.C. Curci, 20/10/16).
La CMS – non contemplata ne’ definita in alcuna norma, ne’ tanto meno precisata nel sinallagma contrattuale – costituiva un costo diverso dalla commissione di affidamento, sostanzialmente indefinito nella causa e indeterminato nella modalità di calcolo, connesso al credito utilizzato, non al credito disponibile; non vi era alcun elemento che potesse ricondurre la CMS, cosi’ come normalmente praticata dagli intermediari bancari, al servizio del fido, che non risultava neanche richiamato nel nomen e la cui presenza era indipendente dall’applicazione della CMS stessa: infatti, quest’ultima nella prassi risultava estesa a tutto il credito utilizzato, sia in presenza che in assenza di fido, sia entro fido che extra fido. Più propriamente la Cassazione n. 870/06 ha definito la Commissione di affidamento, onere distinto dalla CMS che trovava una sua specifica regolamentazione solo a partire dalla legge n. 2/09: tanto è vero che, prima della sua definitiva soppressione, talune banche avevano previsto la Commissione di affidamento e, distintamente, la nuova CMS.
La Banca d’Italia si era in buona parte discostata dalla tradizionale formulazione indicata dalla Cassazione, offrendone una definizione opaca, protesa a salvaguardare la CMS ancorata all’utilizzato. Anche nelle Istruzioni del febbraio ’06, ignorando quanto appena espresso dalla menzionata Cassazione Civ. n. 870 del 18/1/06, aveva continuato ad assegnare alle CMS una diversa funzione (già introdotta con le Istruzioni del ’01), non corrispondente alla Commissione di affidamento: ‘La commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali. Tale commissione nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento’.
D’altra parte, se un fido accordato e non utilizzato non comportava alcuna CMS, che invece veniva applicata allo scoperto, a prescindere dalla concessione del fido, in assenza, per giunta, di una definizione causale, sarebbe rimasto alquanto ‘forzata’, se non proprio inconferente, una sua giustificazione quale remunerazione per la messa a disposizione dei fondi.
Se, anziché convalidare e ratificare passivamente il sistema di calcolo commisurato al massimo scoperto, ponendo la CMS a latere nella rilevazione, la Banca d’Italia avesse previsto la sua esclusione dal TEGM solo nella circostanza che fosse stata ragguagliata esclusivamente ai fido concesso, avrebbe indotto negli intermediari comportamenti più coerenti con il dettato della Cassazione, ridimensionando le spinte opportunistiche alla lievitazione e diffusione del canale di elusione offerto, invece, dalle Istruzioni, in parallelo con il dettato dell’art. 3 dei D.M. del MEF.
Al contrario, per poter in qualche modo giustificare e connettere la commissione al credito utilizzato, anche in assenza di un formale affidamento, la stessa – con una vaga e accomodata espressione – veniva dalla Banca d’Italia ancorata alla rapida espansione dello scoperto: cioè a dire che la commissione non remunererebbe più la concessione del fido, bensì la rapidità con la quale viene utilizzato[10]. Oltre all’ancestrale riferimento al ‘debito per oltre un determinato numero di giorni ’ - che risultava, al contrario, da lungo tempo riferito, dal sistema bancario tutto, ad un giorno, anche di solo valuta - non risulta che la definizione fornita dalla Banca d’Italia ricorra nei manuali di tecnica bancaria, né era dato riscontrarla nei contratti bancari posti in essere prima e dopo il T.U.B. (D. Lgs. 385/93), né ricorre nelle successive disposizioni sulla trasparenza del CICR; nei contratti, sino all’introduzione della legge n. 2/09, ne veniva prevista l’applicazione, senza fornirne né una motivazione e definizione, né le modalità di calcolo. Le NUB menzionavano la CMS prevedendo semplicemente che veniva regolata dai ‘criteri concordati con il correntista o usualmente praticati dalle banche sulla piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto’: nei contratti veniva sistematicamente omessa ‘qualsiasi indicazione atta in qualche maniera a precisare, quanto meno, il significato da attribuire al termine (dando per scontata la sua esistenza come dato pregiuridico e la sua conoscenza da parte della clientela), nonché il particolarissimo metodo di calcolo ’ (A. Tanza, Anatocismo ed usura nel sistema bancario italiano, 2007, Rubettino)[11].
Nella forzatura della definizione della CMS, operata dalla Banca d’Italia, si disvela lo spirito con il quale sono state predisposte le Istruzioni: “L’atteggiamento manifestato appare conforme alla tradizionale propensione della Banca d’Italia a trovare elementi di giustificazione ed eventualmente di razionalizzazione delle prassi – troppo spesso unilateralmente applicate dagli istituti di credito – piuttosto che a contrastare pratiche contrattuali talora dissonanti con la disciplina dei contratti bancari. E per la verità è singolare che la Banca d’Italia nell’affrontare in modo diretto la questione della CMS, non prenda posizione, nemmeno di sfuggita, sul primo problema che la legge n. 108/96 (alla quale costantemente si richiama alla lettera) pone quale profilo prioritario, e cioè che questa commissione di massimo scoperto costituisce, in realtà, una remunerazione del credito concesso al cliente della banca.”. (P. Dagna, Profili civilistici dell’usura, pag. 403, CEDAM, 2008).
Contemplata esclusivamente per le aperture di credito, con l’introduzione delle soglie d’usura e la sua esclusione dal calcolo del TEG, le banche hanno rapidamente colto l’opportunità ravvisata nelle ‘Istruzioni’ e nella copertura espressa dall’art. 3 dei D.M. del MEF[12], per aumentare a dismisura l’aliquota ed estendere la diffusione di tale commissione dall’apertura di credito ad altre tipologie di credito, eludendo in tal modo la limitazione imposta dall’art. 644 c.p. La circostanza è risultata oltremodo incidente, considerato che l’apertura di credito, tipica del sistema italiano, è divenuta un credito tra i più onerosi per l’impresa ed assorbe il 30% dei finanziamenti erogati dal sistema bancario, contro il 10% degli altri paesi[13].
All’inizio, nelle Istruzioni per la rilevazione delle soglie d’usura del ‘96, la Banca d’Italia, costatandone un impiego non ordinario e associato a circostanze di patologia (scoperti privi di fido, extra fido), non ha presumibilmente ritenuto che la CMS assumesse una natura ordinaria e ricorrente nelle aperture di credito: del resto, non è una naturalia negotii, ma deve essere appositamente convenuta con una formale clausola contrattuale. Nell’escluderla dal TEG, la Banca d’Italia ha ritenuto tuttavia di curarne una rilevazione a parte, non prevista dalla norma: risultando la CMS applicata al credito utilizzato, non poteva che essere relegata entro il margine di spread dal TEGM, consentito dalla legge[14].
Con la rilevazione a latere, tuttavia, si è offerto il fianco a comportamenti di chiara impronta opportunistica, impropriamente favoriti dall’art. 3 dei decreti di pubblicazione delle soglie, che prevedeva una pari esclusione dalla verifica dell’art. 644 c.p., esorbitando l’ambito delegato dalla legge e ponendosi in contrasto con la stessa. Di riflesso – nel silenzio dell’AGCM, che all’epoca non disponeva dei poteri successivamente attribuiti alla stessa dalla legge 248/06, e nella ‘copertura’ esplicitamente offerta dalla Banca d’Italia - gli stessi principi che guidano il mercato dominato dai price-makers – sottratto agli effetti moderatori della concorrenza - hanno rapidamente reso ricorrente, ordinaria e crescente una rendita di posizione, la CMS, inizialmente di modesta e sporadica applicazione. Pur risultando palese la discrasia con il presidio all’usura, l’operatore bancario ha valutato congruamente protettiva, sia la copertura prestata dall’art. 3 dei decreti del MEF – arbitrariamente estesa dai ‘criteri di calcolo’ ai criteri di inclusione – sia, successivamente al ’05, la Circolare della Banca d’Italia 2/12/05[15].
Lo spread dal tasso medio di mercato rilevato dalla Banca d’Italia – ancor più nel valore ampliato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito nella legge 106/11 (quasi quattro punti percentuali più ampio dell’analogo spread francese) – nello spirito della legge, è volto a coprire i maggior costi rispetto all’ordinario e le eventuali componenti di patologia del rapporto creditizio. L’intermediario bancario, con il tasso minimo praticato copre i costi di raccolta, la struttura e l’organizzazione, con il differenziale fra il valore minimo del tasso fisiologico e il margine superiore della soglia d’usura può compiutamente ammortizzare maggiori oneri, sofferenze e dubbi esiti del credito accordato.
Il confronto con il tasso soglia si risolve di fatto nel controllare se i costi aggiunti, siano essi maggior interessi od altri oneri, rispetto all’ordinario e fisiologico tasso di mercato, sono compresi o meno nello spread (50% / 25% + 4 punti) stabilito dalla norma. Ciò implica che i costi - che nella rilevazione non vengono ricompresi nel valore medio, in quanto riferiti alla patologia del credito o comunque non ritenuti fisiologici e ordinari – devono rientrare entro i limiti del menzionato spread[16]. La CMS inizialmente, esclusa dal calcolo del TEG, non era ritenuta un ordinario e fisiologico onere del credito; risultando, nei casi in cui veniva applicata, riferita al credito erogato in luogo di quello affidato, andava necessariamente ricompresa nel costo dello specifico credito sottoposto a verifica, da mantenere entro lo spread dal valore medio previsto dalla norma. Quando poi, a seguito dell’apertura all’elusione che le stesse Istruzioni sembravano consentire, è stata dagli intermediari estesa a buona parte delle operazioni e a categorie di credito prima estranee alla sua applicazione, la CMS ha assunto il carattere di ricorrente ordinarietà e, paradossalmente, per ciò stesso, da ricomprendere anche nella rilevazione statistica del TEGM: in questa chiave di lettura si può ricostruire come le Istruzioni della Banca d’Italia siano divenute rapidamente quella ‘prassi amministrativa difforme’, censurata successivamente dalla Suprema Corte.
E’ del tutto infondata e pretestuosa la motivazione che riconduce l’esclusione della CMS dalla rilevazione statistica del TEGM alla diversa natura dell’aliquota e della modalità di calcolo della CMS, distinte da quelle dell’interesse, che ne ostacolerebbero l’aggregazione[17]. Nel calcolo del TEG intervengono gli importi addebitati, non le aliquote: poteva agevolmente essere ricompresa tra gli oneri, come è stato fatto successivamente nelle Istruzioni del ’09; in altra storica rilevazione statistica, relativa ai tassi attivi e passivi praticati dalle banche, la Banca d’Italia già da lungo tempo rileva – in termini finanziariamente corretti, in un unico rapporto (TAEG) - il costo completo del credito, comprensivo della CMS[18].
Si è altresì argomentato (cfr. Banca d’Italia Circolare 2/12/05) che la scelta di rilevare a parte la CMS è coerente con la circostanza che l'entità della CMS dipende dalle modalità di utilizzo del credito da parte del cliente, limitandosi l'intermediario unicamente a predeterminarne la misura percentuale[19]. Diversamente, si è sostenuto che la consumazione del reato dipenderebbe in ultima analisi dal comportamento della parte offesa e non dal soggetto agente che, peraltro, non avrebbe alcuna possibilità giuridica di impedire o limitare quel comportamento[20]. Come dire che l’illecita cattura del coniglio selvatico dipenderebbe non dalla trappola appostata, ma dal percorso seguito dal coniglio, limitandosi il cacciatore unicamente a posare in terra la trappola. Non vi è chi non scorga nelle argomentazioni prospettate elementi pretestuosi, di scarsa consistenza; la norma sanziona la semplice offerta di condizioni d’usura: per altro, i sistemi informatici degli intermediari sono attrezzati con programmi di ‘cimatura’, già diffusamente impiegati per prevenire eventuali accidentali debordi dalle soglie[21].
Della lievitazione e diffusione della CMS la Banca d’Italia si è resa artefice, ratificandone nelle Istruzioni l’anomala modalità di calcolo, escludendola dalla rilevazione e disponendone una specifica segnalazione, non prevista né consentita dalla legge. Se fosse stata inizialmente ricompresa nella rilevazione e censita per tutti i rapporti, la CMS non avrebbe avuto la diffusione riscontrata negli anni successivi, né avrebbe potuto assumere la dimensione e l’incidenza riscontrate nei rapporti di conto, nel corso degli anni 2000.
Considerata l’expertice e professionalità delle quali è dotata la Banca d’Italia, si può, a buona ragione, presumere la piena consapevolezza dell’ambiguità della scelta adottata per la CMS e delle diatribe che avrebbe sollevato sul piano dottrinario e giurisprudenziale. In una più generale processo di liberalizzazione del mercato del credito, vien da pensare che, ad un rigoroso presidio ai tassi, senza ‘vie di fuga’ per gli intermediari, si è preferita una scelta che, seppur foriera di conflittualità, tuttavia, nell’incertezza e confusione, avrebbe apprezzabilmente procrastinato nel tempo il rigore del presidio all’usura, sollevando nel contempo gli intermediari da ogni rischio penale, offrendo un insormontabile destro al principio ‘in dubbio pro reo’.
Il valore riportato in calce alla tabella delle soglie, pubblicato trimestralmente, per giunta, non esprime l’aliquota media applicata ai rapporti bancari, bensì il valore medio della CMS sui rapporti che presentano tale onere: la differenza non è affatto trascurabile. Non avendo inizialmente un’applicazione generalizzata a tutte le aperture di credito, e risultando pressoché assente nelle Categorie dell’Anticipazione e del Factoring, se fosse stata rilevata la CMS nella media di tutti i rapporti, anziché l’iniziale valore spurio di 0,48%, si sarebbe ottenuto un valore ben inferiore e tale valore avrebbe, per giunta, sortito nel proseguo un più moderato effetto di emulazione.[22]
La speciosa distorsione del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d’Italia e l’esclusione dal calcolo del TEG, hanno indotto e favorito la crescita della CMS sino ad oltre l’1% trimestrale: mentre con l’introduzione dell’Euro i tassi scendevano, la CMS, come gli altri oneri e spese, lievitavano lasciando pressoché invariato il costo complessivo del credito. Non è pienamente rispondente al vero che con l’ingresso dell’Euro si è assistito ad una marcata flessione del costo del credito: quanto meno per il credito al consumo e alla piccola e media impresa – ventre ‘allargato’ del Paese dove si concentrano le esposizioni creditizie più deboli – le statistiche forniscono una visione distorta.
E’ così che lo storico ottavino, rimasto pressoché tale in Francia, che adotta un analogo presidio all’usura, in Italia si è diffuso ed amplificato, sino a decuplicarsi rispetto al valore storico e, nel breve volgere di pochi anni, è passato, nel distorto algoritmo di rilevazione impiegato dalla Banca d’Italia, dal valore soglia dello 0,615% del ‘98 all’1,260% del ‘05. E quando la CMS è stata sostituita con la commissione di affidamento è rimasto più agevole ottenere una sua formale legalizzazione sul livello del 2% annuo[23].
Solo a seguito dell’introduzione delle soglie d’usura, la CMS – nell’opaca e aleatoria modalità di applicazione - è divenuta un balzello di apprezzabile dimensione che, indifferentemente esteso, nell’assoluto predominio contrattuale, alla generalità dei rapporti di credito in conto corrente - aperture di credito e, sempre più spesso, ad anticipi fatture, anticipi s.b.f., factoring [24] – ha assunto un carattere di ordinarietà, che ne ha reso stridente la sua esclusione dal calcolo del TEGM, mentre la singolare modalità di calcolo, ne rendeva, sin dall’inizio, ‘pacifica’ la sua inclusione nella specifica verifica dell’usura[25].
Come menzionato, le Istruzioni della Banca d’Italia prevedevano, sin dal ’96, che fosse “calcolata la media aritmetica semplice della percentuale della commissione di massimo scoperto, da calcolare, con le modalità indicate al punto C5 (sul massimo scoperto), nei casi in cui essa è stata effettivamente applicata” [26]. La rilevazione della CMS non è prevista per tutte le operazioni per le quali viene rilevato l’interesse, ma viene circoscritta al sotto-aggregato di operazioni sulle quali è applicata. Ciò significa che, se su 1.000 rapporti 200 presentano una CMS dello 0,50%, l’incidenza media della CMS nella Categoria è dello 0,10%, ma per la Banca d’Italia è 0,50%, in quanto vengono esclusi i rapporti nei quali non viene applicata; in tal modo si perviene ad un valore 5 volte più elevata. L’anomala metodologia di calcolo emerge chiaramente nelle pieghe illustrative delle Istruzioni.
La media che risulta dalla rilevazione della Banca d’Italia non rappresenta, coerentemente con la funzione assegnata alla rilevazione statistica del TEGM, il costo del credito mediamente applicato, a titolo di CMS, alla categoria interessata, ma più semplicemente la media della CMS sui rapporti ai quali viene applicata: per giunta, con una media non ponderata con gli importi del credito, si inducono valori ancora più alti, in quanto, di regola, le esposizioni maggiori presentano condizioni più moderate, compresa l’aliquota di CMS.
Con questa anacronistica metodologia di rilevazione, l’aliquota media che si ottiene risulta marcatamente più alta dell’effettiva incidenza media sul credito compreso nelle Categorie interessate. Escludere dal computo della media le operazioni nelle quali la Commissione non viene addebitata, risulta matematicamente del tutto equivalente a ricomprendere anche dette operazioni con aliquota pari alla media stessa. Di conseguenza, rispetto all’intera Categoria, la media così rilevata risulta distorta, venendo a sovrastimare significativamente l’incidenza della CMS sul costo del credito. Per dirla con Trilussa: se su dieci soggetti, cinque mangiano un pollo e cinque non ne mangiano, per la statistica i soggetti censiti hanno mangiato mediamente mezzo pollo, per la Banca d’Italia hanno mangiato un pollo intero.
Questo aspetto, di non trascurabile rilievo, soprattutto per l’evidente contraddizione che induce nei principi concettuali che successivamente verranno adottati nella Circolare del 2/12/05, non è stato mai esplicitato, né motivato: la CMS soglia rilevata dalla Banca d’Italia dal 1996 al 2009 è definita su una media che non corrisponde al costo medio della Categoria.
Rimane a tutt’oggi preclusa ogni genere di informazione sulle serie temporali di dettaglio della rilevazione condotta dalla Banca d’Italia che consentirebbero di meglio circostanziare e misurare l’ampiezza dell’anomalia. L’organo amministrativo preposto all’applicazione della norma risponde del proprio operato attraverso una piena trasparenza, sia dei criteri oggettivi che informano le scelte tecniche che la legge gli assegna, sia dell’aggregato delle risultanze statistiche che riviene dalla rilevazione, sia, infine, dei controlli di conformità della rilevazione stessa ai criteri adottati. La rilevazione dei tassi ai fini della determinazione del TEGM – pregnante elemento di completamento della norma penale - non è oggetto di alcuna pubblicazione di dettaglio, non è presidiata da alcuna sanzione in caso di omessa o errata segnalazione, né risulta che il MEF, al quale la legge affida, in primis, il compito, si sia mai peritato di condurre accertamenti sull’attendibilità e correttezza dei dati segnalati; al contrario sembra ‘sentire’ ed accogliere pedissequamente le scelte ed indicazioni della Banca d’Italia, ancorché tracimino, in più aspetti, la delega assegnata dalla legge direttamente al MEF.
La rilevazione del valore del TEGM sull’intero aggregato delle operazioni delle Categorie e la rilevazione, a parte, della CMS media, limitatamente al sotto-aggregato delle operazioni che presentano l’addebito della CMS stessa, rende del tutto incoerente, dal punto di vista logico e tecnico, l’algoritmo di calcolo proposto con la Circolare del 2/12/05[27]. La CMS media individuata dalla Banca d’Italia, a differenza del TEGM, non costituisce affatto il costo mediamente applicato al credito della Categoria interessata: come detto, l’effettivo costo incidente nei crediti della Categoria, risulta, soprattutto negli anni iniziali, marcatamente più basso. Se gli interessi e la CMS non hanno la stessa base di riferimento (credito medio/accordato), né il medesimo aggregato di operazioni (tutte le operazioni della Categoria/solo quelle con CMS), risulta tecnicamente priva di senso la forma di compensazione fra debordo della prima e margine dei secondi, prevista nella Circolare[28]; poiché le operazioni per le quali il costo della CMS è nullo sono escluse dal computo della relativa media ma, al contrario, sono comprese nel computo del TEG, l’algoritmo impiegato dalla Banca d’Italia conduce inevitabilmente ad un’impropria sopravvalutazione dell’incidenza della CMS media, che si riflette parallelamente in un minor margine da compensare con i minor interessi.
Occorre altresì rilevare che la determinazione della CMS media è una mera creazione della Banca d’Italia, non prevista dalla norma. D’altra parte, appare evidente che se si frazionasse il costo del credito nelle distinte componenti (interessi propriamente detti, CMS, mora, assicurazione, ecc..) e per ciascuna di esse si calcolasse la media nelle modalità utilizzate dalla Banca d’Italia, ne risulterebbe una somma delle medie marcatamente più elevata del complessivo costo medio.
Ancor più rilevante è la contraddizione che ne risulta con il disposto di legge: l’usura viene a dipendere dalla natura dell’addebito. Infatti, con l’algoritmo proposto nella Circolare del 2/12/05, la presenza o meno dell’usura non viene a dipendere esclusivamente dall’ammontare del corrispettivo richiesto per il credito erogato, ma anche dalla natura del titolo – se interessi o CMS – dell’addebito operato: uno stesso importo riconosciuto per il credito erogato, se addebitato a titolo di interesse può risultare usurario e, al contrario, risultare regolare (entro la soglia), se addebitato in parte come interessi e in parte come CMS: la denominazione dell’addebito determinerebbe la presenza o meno dell’usura! Per il rispetto dell’art. 644 c.p. assume rilievo il costo complessivo, il nomen juris delle distinte componenti è espressamente tenuto per irrilevante, la presenza dell’usura non può essere determinata dalla natura dell’addebito: diversamente si creerebbe un agevole varco all’elusione[29].
Un esempio può essere di ausilio. Seper la Categoria “apertura di credito in c/c” la soglia d’usura del tasso di interesse è pari al 10%, l’applicazione di un tasso di interesse all'11%, senza alcuna CMS, risulta usurario, mentre l’applicazione di un tasso di interesse del 10% e di una CMS trimestrale dell’1% non risulterebbe usuraria – secondo le indicazioni fornite nella Circolare della Banca d’Italia – se la CMS media rilevata nel trimestre fosse dello 0,75% (soglia 0,75%*1,5=1,125%). Si osserva che, in questa seconda circostanza, l’effettivo costo del credito (TAEG), definito nei termini dell’art. 644, 4° comma, in ragione d’anno, risulterebbe marcatamente più elevato (ben maggiore del 14,00%), risultando, come menzionato, la Commissione calcolata su base trimestrale e non annuale, altresì sullo scoperto massimo e non medio[30].
Appare difficile ritenere che l’organo tecnico, nella sua qualificata professionalità, non abbia avuto evidenza e consapevolezza di tali palesi contraddizioni. Nelle distinte finalità assegnate dall’Ordinamento agli Organi di Vigilanza (Banca d’Italia, AGCM e Consob), è possibile rinvenire le diverse, ultronee e confliggenti motivazioni che hanno ispirato le autonome e, sino ad oggi, insindacate scelte, adottate dalla Banca d’Italia a esclusivo beneficio della stabilità dell’intermediario.
Non è tutto: altre, rilevanti distorsioni hanno inficiato, a partire dal ’06, la modalità di rilevazione della CMS.
Nella tensione rivolta all’esclusiva protezione dell’intermediario, la CMS – giunta ormai ad un’apprezzabile dimensione e diffusione – subisce nei termini e modalità di rilevazione del valore medio, una modifica che tocca il paradosso con le Istruzioni del febbraio ’06. Al paragrafo C5, relativo alla ‘Metodologia di calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto’, si riporta: ‘In occasione di passaggi a debito di conti non affidati la commissione non è oggetto di rilevazione purché gli intermediari diano espressa ed adeguata pubblicità della sua entità nell’avviso e nei fogli informativi redatti ai sensi delle istruzioni di vigilanza, che prevedono l’obbligo di pubblicizzare “ogni altro onere o condizione di natura economica, comunque denominati, gravanti sulla clientela”. In ogni caso, l’onere addebitato alla clientela può essere escluso solo se applicato in misura non superiore a quello della commissione generalmente prevista per i conti affidati’.[31]
La modifica del ‘06 viene a distorcere ulteriormente la rilevazione statistica della CMS media, operando sui conti scoperti privi di affidamento che venivano assumendo una dimensione ragguardevole, tanto da giustificare, successivamente, la previsione di un’apposita Categoria. Non si comprendono, né sono esplicitati, i principi ispiratori di tale ‘balzano’ criterio di segnalazione, che introduce una palese discriminazione, per altro facoltativa, inducendo una sopravvalutazione della commissione, attraverso quella che risulta essere una vera e propria manipolazione statistica dei dati[32].
Se si ‘può’ escludere dalla segnalazioni la CMS pari o inferiori a quella ‘generalmente prevista per i conti affidati’, e quindi ricomprendere nella segnalazione solo quella superiore, si perviene ad una media ‘artefatta’, che, lungi dal ‘fotografare’, risponde ad una preordinata sopravvalutazione della CSM.
In una rilevazione, priva di sanzioni e dai controlli indefiniti, queste condizioni di esclusione, che intervengono a partire dal febbraio 2006, sembrano intenzionalmente preordinate a liberare ulteriori gradi di operatività alla Circolare emanata tre mesi prima (2/12/05). Si palesa un quadro dell’operato della Banca d’Italia in totale dissonanza con il compito assegnato dalla legge 108/96 al MEF e ancor più in piena contraddizione con i principi funzionali che presiedono l’Ordinamento giuridico.
La rilevazione della CMS e la successiva Circolare della Banca d’Italia del 2 dicembre ’05 sono affette da macroscopiche e preordinate contraddizioni e distorsioni, che risultano rivolte ad esprimere una marcata sopravvalutazione del valore medio e, di riflesso, del margine di ‘legalizzazione’ della CMS prestato dalla Circolare stessa.
Se le Istruzioni della Banca d’Italia non avessero prestato il fianco, attraverso l’evidenza a latere, alla sistematica elusione della soglia d’usura, la CMS – contingentata entro la soglia - sarebbe rimasta nei modesti limiti di applicazione precedenti il ‘96: con l’equivoca evidenza ‘a latere’ della CMS - rilevata per giunta con il deviante riferimento medio ai rapporti ai quali veniva applicata e, a partire dal ’06, con la menzionata manipolazione statistica di rilevazione - si è offerto un facile e comodo cuscinetto, opportunamente e tempestivamente allargato, dove dislocare - senza sostanziali limiti, nei contratti di adesione, modificabili in ogni momento per il tramite dello jus variandi - costi relativi al credito, in deroga alle soglie d’usura. La marcata asimmetria contrattuale e l’endemica carenza di concorrenza hanno contribuito ad aggravare i costi posti a carico dell’utente, pregiudicando, oltre all’accesso al credito, l’efficienza stessa del mercato.
Ben si comprende l’opacità e scarsa trasparenza nelle quali vengono mantenute le statistiche di rilevazione e la ritrosia a renderle pubbliche[33]. E’ stupefacente come una strumentalizzazione tecnica di tale rilievo e dimensione sia stata posta in essere dallo stesso Regolatore e Controllore del credito, passando inosservata per così lungo tempo alla stessa AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), preposta a tutela del mercato e del suo corretto ed efficiente funzionamento. Per altro tale Autorità è la sola, a parte l’Autorità giudiziaria, ad avere accesso alle statistiche delle rilevazioni, che consentirebbe di accertare le preordinate criticità sopra illustrate[34].
Sul tema dell’usura, dalle circostanze descritte e dalla formulazione delle norme amministrative di applicazione della legge, si trae una sostanziale opacità e confusione che appare preordinata a creare un margine di dubbio idoneo ad escludere, in primis, la sanzione penale. Con il riflesso che, alimentando una disparità di opinioni in dottrina e nei giudizi civili, ne risulta logorato l’atteggiamento di ‘ossequiosa’ cautela e rispetto, rivolte dalla giurisprudenza all’operato della Banca d’Italia ma, nell’ampio arco di tempo impiegato dalla Suprema Corte per dirimere i punti controversi, si consegue la finalità ultima di procrastinare la compiuta applicazione della norma e preservare ai bilanci bancari apprezzabili riflessi economici di dubbia liceità.
In soccorso della Banca d’Italia e degli intermediari intervengono ora le anodine sentenze della Cassazione nn. 12965/16 e 22270/16 con le quali si vorrebbe assegnare a inattendibili rilevazioni e ‘deviati’ criteri di confronto un valore dirimente, discriminante la presenza stessa dell’usura, anteponendo un apodittico principio di omogeneità al principio di onnicomprensività dell’art. 644 c.p. e traslando, in tal modo, la riserva, determinazione e tassatività della norma penale nelle ‘orientate’ e mutevoli Istruzioni della Banca d’Italia.
Viene denegato dalle sentenze ogni alternativo criterio di inclusione, formula matematica o metodologia, che non risulti simmetricamente applicabile al TEGM e alla verifica del concreto TEG contrattuale. L’apprezzamento dell’incidenza della CMS nella verifica dell’usura, viene dalla Cassazione, con un’arcana contorsione ermeneutica, ricondotta alla CMS soglia censita dalla Banca d’Italia; si perviene, per giunta, a valutare l’eventuale esubero come ‘un costo che, nella singola vicenda di finanziamento, abbia tuttavia operato non come CMS bensì come remunerazione sostanzialmente coincidente con l’interesse’, aderendo di tutto punto alla Circolare del 2/12/05, senza tuttavia mai menzionarla e senza, per altro, precisare se detta lettura vada applicata anche al periodo precedente la diffusione della Circolare stessa.
Appare più che evidente che, se, da un lato, con scelte discrezionali, informate ad una marcata opacità e soggettività, si ‘sfilaccia’ in 25 tassi il rigore dell’art. 644 c.p., si orienta, con disinvolti criteri, la composizione delle Categorie di credito, si ‘acconciano’ ad usum Delphini le rilevazioni statistiche, si indirizzano i criteri di inclusione e la stessa formula di misurazione del rendimento verso un assetto lasco ed elusivo del presidio penale e, dall’altro lato, si antepone il principio di omogeneità e simmetria delle Istruzioni ai principi di onnicomprensività, rigorosa misurazione e inderogabilità, disposti dall’art. 644 c.p., si sottrae determinatezza e tassatività alla norma penale, per condizionare i presidi d’usura a finalità discoste e diverse da quelle contemplate nella norma penale.
Sia per il cliente che per la banca, più che il TEG ‘concepito’ dalla Banca d’Italia o la CMS-soglia, o la Mora-soglia, assume un rilievo assorbente il rendimento effettivo annuo (TAEG), onnicomprensivo di ogni onere annesso, compresa la CMS. Tale rendimento costituisce specularmente per l’uno il costo, per l’altra il ricavo del credito erogato. Ogni artifizio ermeneutico o petizioni di principio volti a dissipare, attraverso le articolate Istruzioni della Banca d’Italia, tale principio finanziario, ridurrebbe il presidio d’usura ad una ‘farsa’.
Il riferimento specifico indicato dalla legge non è alla rilevazione statistica, né alle dieci edizioni delle Istruzioni della Banca d’Italia, che si sono succedute nel tempo, né tanto meno alle FAQ e Circolari: non è consentito alcun ‘spezzatino’, il tasso è unico ed onnicomprensivo, riferito dalla legge esclusivamente al valore del TEGM pubblicato dal MEF.
[1] Tratto dal testo: R. Marcelli, ‘USURA BANCARIA AD UN VENTENNIO DALLA LEGGE. La Cassazione Civile, con due omologhe sentenze (nn. 12965/16 e 22270/16), lava i panni sporchi della Banca d’Italia, che alimentano l’endemica carenza di concorrenza e la rendita di posizione del sistema bancario, con un maggior costo del credito per almeno il 2% del PIL, rispetto alla media dei paesi comunitari’. 2017, in www.assoctu.it.
[2] Emerge una palese discrasia fra il concetto di Commissione di Massimo Scoperto, meglio denominata nella tecnica bancaria Commissione di affidamento, e il criterio operativo di calcolo adottato dagli intermediari bancari, che hanno commisurato tale commissione all’importo massimo del credito utilizzato nel trimestre. Concettualmente nei manuali bancari la CMS, ancorché il termine la riferisca al massimo scoperto, é connessa alla concessione del fido, che ha una valenza autonoma e distinta dall’erogazione del credito. Disporre di una linea di credito, anche se non utilizzata, presenta un proprio valore economico nella misura in cui consente al cliente una disponibilità che amplia i gradi di libertà nella gestione della propria liquidità. Un’apertura di credito si differenzia da un finanziamento erogato in un’unica soluzione. Con l’apertura di credito l’operatore economico gode dell’opzione di utilizzare, in tutto, in parte o per nulla, il credito concesso, scegliendo i tempi di utilizzo, di rimborso e riutilizzo, secondo le proprie esigenze di liquidità, rimettendo in tal modo alla banca l’onere di coprire tempestivamente le necessità di pronta liquidità del cliente. Il valore di tale opzione costituisce un elemento di costo distinto e separato dal prezzo del credito che si viene a sopportare nel caso di esercizio dell’opzione stessa. In tale accezione la CMS veniva connessa alla concessione del finanziamento e non all’erogazione e, se diversamente computata, si poteva anche giustificare la sua esclusione dal calcolo dell’usura, che viene dalla legge 108/96 riferita all’erogazione del credito. Tuttavia nella pratica invalsa nelle banche, sino al ’09, in contraddizione con il significato concettuale, una linea di credito concessa e non utilizzata non dava luogo ad alcuna Commissione, mentre, per una linea di credito utilizzata solo in parte, la Commissione non era riferita alla parte ancora disponibile, bensì a quella utilizzata. Avendo commisurato la CMS all’importo del credito utilizzato, la stessa ha assunto la caratteristica di un costo aggiunto agli interessi, mutuandone i caratteri, sin anche la capitalizzazione trimestrale e talora anche l’applicazione oltre la chiusura del conto. Venendo meno la relazione dell’importo addebitato con la causa originante, si veniva a perdere il logico e giustificato collegamento con il costo che l’intermediario sopporta per mantenere le risorse necessarie al servizio di pronta disponibilità.
[3] Nell’attuale fase del mercato, con tassi monetari negativi, una Commissione di affidamento ricorrentemente attestata sul valore massimo consentito dello 0,5% trimestrale - anche per aperture di credito a revoca, per le quali la disponibilità permane in una condizione di assoluta precarietà - non trova alcuna giustificazione nel costo del servizio prestato. La generalizzata diffusione di tale onere incontra una debolissima calmierazione nel mercato: questi rimane sostanzialmente dominato da price maker che, attraverso contratti di adesione, dettano, in piena arbitrarietà, le condizioni del credito.
[4] ‘scarso fondamento avevano le tesi che ravvisavano la funzione della commissione nel remunerare la banca per il maggior rischio nel recupero del credito, derivante dall’incremento dell’esposizione debitoria del cliente rispetto a quella media del periodo. In realtà, questo rischio è calcolato dalla banca al momento della concessione del prestito e per l’intero ammontare affidato, e, a prescindere dalla circostanza che esso venga in concreto coperto in tutto o in parte attraverso la costituzione di garanzie personali o reali, la sua remunerazione non può che restare assorbita negli interessi; mentre, negli scoperti di conti correnti non assistiti da fidi, o l’istituto impedisce il prelievo eccedente la disponibilità, o, se lo tollera, si accolla un rischio retribuito non diversamente attraverso la corresponsione degli interessi. Una lettura alternativa ravvisava nella commissione in parola la ricompensa per il costo che la banca deve sopportare per far fronte a richieste di denaro improvvise ed eccedenti la normale media di utilizzazione dell’affidamento: specie se di breve durata, i picchi di utilizzo sono remunerati in misura assai modesta dagli interessi, ma costringono l’istituto finanziatore, che eroga il prestito sulla base di un calcolo di ricorso “medio” alla somma messa a disposizione, da parte dei propri clienti, ad uno sforzo ulteriore e a costi aggiuntivi, che proprio la commissione di massimo scoperto sarebbe chiamata a premiare; in altre parole, questa pagherebbe l’onere derivante dalla non preventivabile (da parte dell’istituto, in quanto rimessa all’arbitrio esclusivo della controparte) elasticità dell’impiego del fido. In realtà, anche questo rischio è immanente alla stessa concessione del credito per l’intero ammontare per cui esso è concesso e non dovrebbe poter dunque giustificare la richiesta di una controprestazione autonoma a favore della banca; diversamente, verrebbe a delinearsi un sinallagma contrattuale all’interno del quale il cliente, pur avendo avuto accesso ad una linea di credito di una data entità, ne potrebbe liberamente far uso solo in parte (entro la soglia di “medio” utilizzo), mentre ogni impiego ulteriore, pur contenuto entro i limiti del capitale affidato, rappresenterebbe un’operazione eccedente, e tale da generare un diverso compenso a favore dell’istituto. Tutto ciò senza considerare che, in questa prospettiva, la commissione di massimo scoperto non dovrebbe trovare spazio quando il saldo negativo si mantenesse al di sotto di detta soglia, mentre essa ha (aveva) applicazione sotto questo profilo assolutamente incondizionata. In realtà, la ricostruzione in esame conduce diritta al vero cuore della questione. La sola utilità economica non assorbita dal concreto godimento del denaro, riscontrabile in un rapporto di finanziamento in conto corrente, è rappresentata dalla costante disponibilità della somma, anche quando non utilizzata, entro il limite dell’affidamento concesso. L’impegno della banca a tenere in ogni momento a disposizione detta somma, per tutta la durata per cui è pattuito il prestito, non trova alcuna remunerazione negli interessi (che corrono proporzionalmente all’entità effettivamente prelevata e per il solo tempo dell’utilizzo) e costituisce, esso sì, un non irrilevante vantaggio per il cliente, satisfattorio di un interesse del tutto autonomo e indipendente dalla misura del concreto ricorso al denaro affidato. (M. Cian, Il costo del credito bancario alla luce dell’art. 2-bis l. 2/2009 e della l. 102/2009: commissione di massimo scoperto, commissione di affidamento, usura. In assoctu.it).
[5] Cfr., per tutti, Molle, I contratti bancari in Tratt. Dir. Civ. Com., Milano 1981.
[6] La previsione, nelle Istruzioni, della definizione di calcolo sopra riportata e l’evidenza a latere, al di fuori della soglia d’usura, ne ha fornito un formale riconoscimento, favorendone, senza limiti di soglia, un rapido aumento e un’estesa diffusione ad altre categorie di credito. L’evidenza di tale sviluppo potrebbe facilmente essere comprovata se, in rispetto di una dovuta trasparenza, fossero rese pubbliche le serie storiche dei valori che hanno concorso a determinare i TEGM e la CMS media trimestralmente rilevati dalla Banca d’Italia.
[7] In presenza di CMS, il costo del credito (TAEG) rimane di agevole determinazione a posteriori, mentre ex ante si pongono apprezzabili criticità di calcolo nella verifica del rispetto delle soglie d’usura.
[8] Con il criterio generalizzato di addebitare la CMS anche per un solo giorno di scoperto, l’effettivo costo del credito, poteva arrivare a valori assurdi, ben al di sopra della soglia d’usura disposta dal 4° comma dell’art. 644 c.p. La CMS, nella modalità di calcolo impiegata dalle banche, si pone in diretta contraddizione con il presidio d’usura, concependosi nel sinallagma contrattuale scenari di costi ben superiori ad ogni ragionevole limite all’usura.
L’incidenza della CMS sul costo effettivo del credito si amplificava significativamente, in funzione diretta con il divario fra utilizzo massimo e utilizzo medio e in funzione inversa con il numero di giorni per i quali permaneva tale divario. Il fenomeno risultava altresì accentuato dalle condizioni di “valuta”, che erano ordinariamente previste nelle norme che regolavano i rapporti di conto corrente. Risultavano frequenti i casi nei quali, anche per i diversi giorni valuta che la banca tratteneva nei versamenti di assegni, si determinavano scoperti di breve momento per i quali, aggiungendo, agli ordinari interessi, l’intera aliquota di Commissione, si determinava un tasso effettivo del credito concesso marcatamente superiore alle soglie consentite: spesso erano importi modesti, rapidamente estesi alla generalità dei conti. La distorsione poteva arrivare all’addebito della Commissione anche quando la banca finanziava momentanei scoperti di conto, impiegando le stesse disponibilità del cliente, in precedenza versate, già introitate, ma non ancora riconosciute come “valuta” nel conto del medesimo: in tali circostanze il credito era solo apparente. La contraddizione fra il servizio spesato con le CMS, le modalità di calcolo e il rispetto delle soglie d’usura risultava palese.
[9] Nella sentenza in commento si menziona un successivo e più recente arresto della Cassazione (n. 4518/14) nel quale, tuttavia, chiamata a giudicare su un indebito anatocismo, si è dato rilievo alla modalità applicativa, ritenendo che ‘la natura e la funzione della commissione non si discosta da quella degli interessi anatocistici, essendo entrambi destinati a remunerare la banca dei finanziamenti erogati’.
[10] ‘Orbene, la Banca d’Italia errava, poiché, invero, la “rapidità” dell’espansione nell’utilizzo delle somme accreditate al cliente non assume alcuna rilevanza nella determinazione della CMS: come è stato lucidamente sottolineato, il correntista ben potrebbe utilizzare ogni giorno ad es. 100 euro in più del giorno precedente – rendendo pertanto molto prevedibile la “curva” della sua richiesta di denaro bancario e per nulla “rapida” l’espansione – e, tuttavia, la commissione sarebbe dello stesso importo di quello del caso di utilizzo senza progressione dello stesso picco massimo.’ (G. Romano, ‘La nuova commissione di massimo scoperto e la remunerazione per la messa a disposizione di fondi nel decreto “anti-crisi”, Luiss 2010).
[11] La circostanza è riconducibile ad una diretta motivazione di opportunismo. Rimanendo indefinita la relazione dell’importo addebitato con la causa originante, si viene a sfumare il logico e giustificato collegamento con il costo che l’intermediario sopporta per mantenere le risorse necessarie al servizio di pronta disponibilità. La resistenza e ‘arroccamento’ del sistema bancario sull’anomalo sistema di calcolo delle CMS, oltre che nei cospicui ricavi, ha trovato motivo sul piano legale della revocabilità del fido. Un diretto collegamento della CMS all’entità del fido concesso, ne avrebbe comportato un’esplicita formalizzazione, un più significativo contenuto degli obblighi assunti dalla banca e conseguentemente un impegno del capitale di vigilanza; mentre una distinta e impregiudicata revocabilità unilaterale ed immediata del fido, congiuntamente allo jus variandi, ha tutelato maggiormente l’intermediario, sia dal rischio di inesigibilità del credito, sia dal rischio di ascesa dei tassi. “Il sistema bancario si è sempre mostrato molto riluttante alla determinazione precisa degli obblighi della banca e dei diritti del cliente in ordine alla ‘disponibilità’, sfumando più possibile il contenuto e la portata del diritto del cliente. Al proposito le vecchie N.B.U., vado a memoria ma non credo di sbagliare di molto, per quanto riguardava il recesso della banca dall’apertura di credito stabilivano: ‘La banca ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con una comunicazione verbale, dall’apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al cliente, con lettera raccomandata un preavviso non inferiore a 1 giorno’. La formula oggi è probabilmente diversa, e non è questa la sede per criticarla, mostra però all’evidenza la riluttanza a considerare la disponibilità come un ‘dovere di dare’ giuridicamente rilevante della banca. Conferma questa impressione la circostanza, vado ancora a memoria, che nei bilanci delle banche se viene registrata l’entità dell’utilizzato, l’entità dell’affidato, se appare, appare invece ‘sotto la linea’, come semplice impegno (c.d. ‘margine disponibile’); del resto l’‘affidato’, se non accompagnato da clausole di ‘irrevocabilità’, ben rare, non ha come tale un suo rilievo, un suo peso nella determinazione dell’impegno del patrimonio a fini di vigilanza. Si è in realtà in presenza di uno dei tanti, purtroppo frequenti, ‘disallineamenti’ tra operatività bancaria e disciplina giuridica; in effetti se è sicuro che il cliente non ha un ‘diritto di credito’ sull’affidato (come, con costante insuccesso, si è talora tentato di sostenere), è altrettanto vero che qualche profilo di ‘giuridicità’ la posizione del cliente affidato deve pur averlo; le banche tentano di sfumarlo al massimo (revocabilità in qualunque momento, anche nei contratti a tempo determinato, anche con comunicazione verbale e senza prevedere, diciamo, spiegazioni), ma, ripeto, che qualche profilo di rilevanza giuridica vi debba essere, e vi sia, lo dimostrano gli interventi, giurisprudenziali soprattutto, in punto di condizioni di liceità del recesso.” (Paolo Ferro-Luzzi, Ci risiamo. A proposito dell’usura e delle commissioni di massimo scoperto, Giur. Comm. 2006).
[12]I D.M. del MEF, travalicando il mandato legislativo, tuttora prevedono all’art. 3, comma 2: “Le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia”. Con ciò prefigurando, per il principio di incorporazione della norma extra-penale nel precetto, un’apprezzabile discrasia: i menzionati ‘criteri di calcolo’, estesi arbitrariamente ai ‘criteri di inclusione’ e trasposti dal processo di rilevazione statistica al processo di verifica, risultano, per più aspetti, in conflitto con il dettato letterale dell’art. 644 c.p.
[13] Assai generoso risulta l’intervento del legislatore del ’09 che ha ricondotto allo 0,50% trimestrale, corrispondente ad oltre il 2,0% annuo, la percentuale massima della commissione di affidamento, onnicomprensiva di tutti gli oneri di affidamento, principalmente della CMS. In Francia, dove veniva impiegata un’analoga commissione sul massimo scoperto, la misura media comunicata dalla Banca di Francia nel ’09, era pari allo 0,06% mensile, corrispondente allo 0,7% annuale, contro una valore nello stesso periodo in Italia della commissione di massimo scoperto dello 0,65% trimestrale, corrispondente al 2,6% annuale. In Francia, i tassi medi praticati e le soglie d’usura si collocano su valori apprezzabilmente più moderati; inoltre, la formula impiegata per l’usura è quella ordinaria del TAEG, la stessa utilizzata nelle rilevazioni comunitarie uniformi del costo del credito.
[14] Osserva C. Bonora: ‘Con un’operazione di dubbia legittimità, la Banca d’Italia ha stabilito che: ‘analogamente a quanto avviene in Francia, ove vige una normativa sull’usura che ha ispirato la legge 108/96, la commissione di massimo scoperto è oggetto di autonoma rilevazione’ (Banca d’Italia, circolare n. 47429 del 1.10.1996). (…) Più pilatescamente il Ministro dell’Economia, rispondendo in data 20 dicembre 2006 ad una interrogazione parlamentare sul punto, ha dichiarato che in mancanza di una indicazione normativa univoca compete al Magistrato di valutare se la commissione di massimo scoperto debba incidere o meno sulla base di calcolo del Tasso Soglia (Italia Oggi, 21 dicembre 2006, pag. 32)’. (C. Bonora, L’usura, 2007, CEDAM). Appare alquanto paradossale che il Ministro dell’Economia, prima dispone che gli intermediari impieghino, per la verifica dell’art. 644 c.p., i criteri della Banca d’Italia, per poi dichiarare che, in mancanza di un’indicazione univoca, è rimessa al magistrato la valutazione; trascurando che non è la banca che per applicarla deve ricorrere al magistrato, bensì è il cliente che la subisce e deve ricorrere al magistrato per l’eventuale restituzione.
[15] Nel ’05, la Banca d’Italia, preoccupata dei risvolti civili, e soprattutto penali, destati da un’esasperata ed incontrollata lievitazione della CMS, che interveniva, per di più, contestualmente ad una discesa dei tassi, nella nota Circolare del 2/12/05, segnalava agli Istituti di credito: ‘nell’ambito dei contatti intercorsi con le autorità inquirenti e dall’esame dei dati trasmessi dai soggetti vigilati nel quadro della ‘rilevazione, sono emersi dubbi interpretativi in merito all’eventuale impatto sulle condizioni economiche complessivamente applicate alla clientela della commissione di massimo scoperto, come è noto oggetto di specifica rilevazione.”. In tal modo, la Banca d’Italia, lasciando invariato l’indebito sistema di calcolo della CMS, prestava la propria ‘autorevole’ opinione, suggerendo un modello di calcolo della verifica dell’usura, del tutto identico al criterio indicato, in precedenza, dall’ABI alle proprie associate (Circolare n. 4681/2003), per la verifica dell’usura relativa al tasso di mora. In tal modo si veniva a rendere ‘coperto’ ed impregiudicato, quanto meno sul piano penale, il comportamento adottato dalle banche.
[16] La distinzione in categorie omogenee di rischio attiene alla natura oggettiva della tipologia di credito, non all’elemento soggettivo del cliente che dovrebbe trovare copertura nello spread di legge. Se si creassero soglie d’usura diversificate in funzione del rischio del cliente si verrebbe a vanificare gli obiettivi della legge: teoricamente, scalettando il rischio si perverrebbe facilmente a valori della soglia indefinitamente crescenti, che svilirebbero la funzione dello spread dal tasso medio di mercato, disposto dalla legge.
[17] Anche la recente Cassazione 12965/16 si ‘appoggia’ a tale riferimento: ‘elemento non coincidente ex se con gli altri conteggiabili, ratione temporis, nella specifica ricostruzione del tasso-soglia usurario’.
[18] Cfr. Bollettino Statistico della Banca d’Italia. La rilevazione è circoscritta alle esposizioni complessivamente superiori a €30.000, oggetto di segnalazione alla Centrale dei Rischi.
[19] ‘Un quarto argomento prospettato evidenzia, non a torto, che lo sforamento del tasso usura dipende dal modo di utilizzo del fisso da parte del cliente (il quale a seconda della durata e della somma determina indirettamente l’ammontare della commissione) perché minore è il periodo di utilizzazione massima e più è irregolare il ricorso all’accordato, di più sale il tasso di interesse globale inclusivo della c.m.s. Si tratta, però, di una clausola che prevede un criterio di calcolo che il predisponente deve considerare prudenzialmente nella sua formulazione nell’ipotesi di utilizzo più oneroso per il cliente e quindi, sarebbe perfettamente giustificabile la sanzione di nullità contro una clausola che porta al superamento del TEG in caso di utilizzo discontinuo ed irregolare del fido.’ (Pasquale Serrao d’Aquino, Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari, Consiglio Superiore della Magistratura, 9 marzo 2011).
[20] Cfr. P. Ferro Luzzi, “Ci risiamo. A proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto”, in Giurisprudenza commerciale, n. 5, 2006. Si è anche sostenuto, dallo stesso autore, che è improponibile l’ipotesi di inserire la somma percepita a titolo di CMS (ossia di commissione in percentuale sul picco rilevante di utilizzo) nella seconda componente del calcolo del TEGM (oneri x 100/accordato), trattandosi di elementi del tutto diversi ed eterogenei, se non altro perché l’accordato, base del calcolo della seconda componente del TEG è dato del tutto estraneo all’ipotesi di CMS calcolata sul massimo picco di scopertura. Ma il principio che ispira ogni metodologia di stima è volto a ricercare il modello che, più o meno approssima l’obiettivo perseguito, che nella circostanza è l’incognito valore medio di mercato. Si poteva introdurre nel TEG la terza frazione, rapportando la CMS al massimo utilizzo, oppure, come in termini più correnti ma più approssimati si è fatto nelle Istruzioni ’09, semplicemente unificando in un solo valore le commissioni, oneri e spese, rapportandolo all’accordato. Un errore di approssimazione è implicito in ogni modello di stima: compito del tecnico è l’individuazione del modello di rilevazione che più accosta il valore stimato all’effettivo valore reale che rimane incognito.
[21] In una delle plurime vertenze avanzate dal Gruppo De Masi, la Banca d’Italia, nel giustificare il proprio operato, con riferimento alla Circolare 2/12/05, argomenta la scelta come rispondente “1. all’esigenza di consentire la verifica dell’eventuale usurarietà dei tassi di interesse praticati già al momento della stipula del contratto quando, data la peculiare modalità di calcolo di questa commissione – collegata non all’erogazione del credito in sé stessa, ma alle modalità del suo utilizzo successivamente prescelte dal cliente – non è ancora noto l’importo che sarà dovuto da questi a titolo di CMS e non è quindi possibile tenerne conto nel calcolo del tasso globale applicato. 2. Al rilievo che – sulla base delle analisi all’epoca condotte – l’inclusione della CMS nel calcolo del TEG avrebbe potuto determinare sia ingiustificate disparità di trattamento della clientela (con possibili penalizzazioni per i tassi di interesse applicati ai clienti che utilizzano il credito in modo costante nel tempo), sia, in generale, un sensibile aumento dei tassi medi rilevati e quindi delle soglie di legge, così paradossalmente rendendo più difficoltosa – anziché agevole – la repressione dei comportamenti illegali. La scelta operata corrisponde d’altronde – come evidenziato nella Nota metodologica allegata ai decreti ministeriali – al criterio seguito nell’ordinamento francese, che costituisce il modello che il legislatore italiano ha seguito con la legge n. 108/96”. Dalla debolezza delle argomentazioni trapela l’inconsistenza delle motivazioni tecniche che: i) trascurano la circostanza che il disposto normativo sanziona ogni possibile scenario di offerta di condizioni d’usura; ii) l’esclusione dal TEG ha fortemente penalizzato, con tassi oltre le soglie d’usura, anche l’occasionale scoperto di conto; iii) se correttamente ricompresa nel TEG, data la sua iniziale più sporadica applicazione, non avrebbe determinato un aumento sensibile dei tassi medi e, soprattutto, non avrebbe generato un incontrollato aumento e diffusione del ‘balzello’; appare inconferente il riferimento all’ordinamento francese, che si ispira a principi analoghi ma non identici: per altro, in altri aspetti, come l’impiego del TAEG, la Banca d’Italia si è discostata dai canoni francesi, derogando, nei rapporti di conto, dall’ordinaria misura del costo.
[22] Osserva G. D’Amico: ‘Le ragioni per le quali la Banca d’Italia (sino a quando non è intervenuto il legislatore) ha adottato la soluzione di non inserire il valore della CMS media nel TEGM non sembrano affatto prive di fondamento. Anzitutto va osservato che, anche nei rapporti nei quali può astrattamente trovare spazio una simile voce di “costo del credito” (ad es. le aperture di credito in conto corrente), non sempre è previsto in concreto un “fido”, e dunque uno “scoperto di conto” utilizzabile dal cliente, e remunerato con la commissione in questione. Cosicché inserire la CMS nel calcolo del TEGM significherebbe elevare il tasso soglia (e quindi rendere più difficile la possibilità di invocare la usurarietà degli interessi) anche per rapporti nei quali in concreto la CMS non trova applicazione’. (G. D’Amico, Gli interessi usurari, 2016, Giappichelli). Se la CMS fosse stata pacificamente considerata un costo legittimo, fisiologico e ordinariamente applicato, appare logico, corretto e consequenziale che avrebbe dovuto contribuire ad elevare il TEGM di riferimento, anche per i rapporti che, compresi nella Categoria, non presentavano tale costo. Risulta, invece, privo di senso, contrario alla finalità della rilevazione, rilevare la CMS media solo per le operazioni che prevedono tale costo: si ottiene un dato spurio che, per la Categoria di riferimento, non fornisce il costo medio, cioè l’incidenza media delle CMS nella Categoria che, congiuntamente agli interessi propriamente detti e agli altri oneri e spese, concorre a formare l’interesse ‘allargato’ individuato dall’art. 644 c.p.
[23] Se si considera l’anomalo fenomeno delle aperture di credito a revoca, che assume in Italia un sovradimensionamento patologico, un costo annuo nell’intorno del 2% per una disponibilità del credito non garantita nel tempo, risultando priva di ogni nesso con il costo del servizio prestato, viene a costituire un vero e proprio ‘balzello’, come lo era in precedenza la CMS.
[24] Nell’apertura di credito l’aspetto caratterizzante - più che il godimento della somma di denaro, comune ad ogni finanziamento - è il libero e incondizionato godimento della disponibilità, per il quale si può giustificare la corresponsione di una commissione: la banca pone a disposizione l’importo accordato, senza sapere se, quando e per quanto verrà utilizzato. Diversa è la situazione nelle altre due forme contrattuali, dove, pressoché sistematicamente l’utilizzo è condizionato e la banca si riserva di valutare, volta per volta, la carta commerciale presentata; in tali circostanze la disponibilità non è automatica, né piena: la differenza sul piano del servizio non è trascurabile. Anche in queste tipologie di credito, seppur più sporadicamente, si riscontra la presenza di CMS (inizialmente censita solo per aperture di credito e s.b.f., Cfr. decreto 22/3/97).
[25] “Nel tempo questa commissione, forse proprio per la non immediata percezione da parte degli utenti, è stata resa via via più onerosa non solo aumentandone, in termini assoluti, l’incidenza ma, soprattutto, prevedendo che la stessa potesse incidere sui clienti anche in relazione ad un utilizzo per un solo giorno e anche se tale utilizzo fosse determinato da problemi di valuta. L’aumento dei ricavi connessi alla CMS, la sua scarsa percepibilità da parte dei clienti, hanno poi indotto le banche ad introdurre la CMS anche in altre linee di credito: anticipo su fatture, anticipo al salvo buon fine, ecc. Così dilatata la CMS veniva a perdere il suo originale fondamento economico e cioè di costituire una remunerazione per la messa a disposizione di una riserva di credito, che per ipotesi poteva essere utilizzata anche solo in modo marginale, remunerazione del tutto distinta da quella rappresentata dagli interessi che si traduce in un corrispettivo degli utilizzi delle somme.” (P. L. Oliva, Le commissioni di massimo scoperto, 23/6/09, filodiretto.com).
[26] Di riflesso i rapporti nei quali la CMS non è percepita, non rientravano nella rilevazione; nelle modalità tecnico-operative per l’inoltro delle informazioni, riportate nelle Istruzioni, si distingue:
- tasso effettivo globale praticato in media e numero di rapporti su cui è stato calcolato il tasso effettivo globale praticato in media dall’intermediario;
- percentuale commissione di massimo scoperto e numero rapporti su cui è stata calcolata la percentuale della commissione di massimo scoperto.
Il numero dei rapporti sul quale viene calcolato il tasso effettivo non risulta coincidente con il numero dei rapporti oggetto di rilevazione della CMS.
[27] Secondo lo schema suggerito dalla Banca d’Italia, si veniva ad introdurre surrettiziamente, per una medesima operazione, oltre ad un tasso soglia, calcolato in ragione d’anno, distinto per classi di importo e per Categoria, una Commissione soglia (valore medio indicato in decreto + 50%), calcolata in ragione trimestrale, rilevata con una metodologia del tutto singolare e senza distinzione alcuna di Categoria (importo, durata, rischio e garanzia). Tuttavia l’applicazione che superava l’entità della CMS soglia non determinava di per sé l’usurarietà del rapporto. Nella Circolare si precisa che, ‘per ciascun trimestre l’importo della CMS percepita va confrontato con l’ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti. Qualora l’eccedenza delle commissioni rispetto alla CMS soglia sia inferiore a tale margine, è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge’.
[28] B. Inzitari e P. Dagna, evidenziano altresì la totale estraneità alla legge della Circolare, segnalandone gli equivoci e le difformità a danno dei clienti: ‘Risulta di immediata evidenza che, nell’intento di chiarimento espresso dalla Banca d’Italia nella Circolare del 2 dicembre 2005, per la verità, si introducono, senza che vi sia alcuna previsione di legge in tal senso, nuovi parametri di riferimento nell’applicazione della commissione di massimo scoperto e si chiede agli operatori dei servizi bancari di comportarsi sulla base di questi nuovi criteri. E’ forse ridondante sottolineare, ancora una volta, che tali nuovi parametri sono totalmente estranei al dettato della l. 108/96 sull’usura ed, inoltre, ancor meno trasparenti nel calcolo e capaci di generare ulteriori equivoci e difformità di interpretazione a danno dei clienti. Tutto ciò verrà ben evidenziato dalle sentenze della magistratura di merito successive alla pubblicazione della Circolare sul massimo scoperto del 2005’. (B. Inzitari, P. Dagna, Commissioni e spese nei contratti bancari, 2010, CEDAM).
[29] Le istruzioni della Banca d’Italia, mentre per gli interessi dispongono la rilevazione del tasso applicato in ragione d’anno, per le Commissioni di Massimo Scoperto disponevano che “il calcolo della percentuale va effettuata rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata”. Le banche comunicavano (sino al I trimestre ’10) l’aliquota di commissione applicata trimestralmente. E’ questa un’ulteriore grossolana distorsione, comune agli oneri e spese, rispetto al tasso annuo indicato dalla legge. In ragione d’anno, per la CMS l’incidenza era ben maggiore di quattro volte l’aliquota comunicata, registrando anche l’incremento derivante dall’effetto di capitalizzazione trimestrale, sia di interessi che di Commissioni, che si rifletteva sulle CMS stesse; così come gli interessi, in ragione d’anno, risultano incrementati, non solo dalla capitalizzazione trimestrale degli stessi, ma anche da quella riveniente dalle CMS. I criteri tecnici di rilevazione devono rigorosamente rispondere a principi di coerenza, funzionalità e oggettività; quelli adottati dalla Banca d’Italia appaiono invece uniformemente orientati ad allentare i vincoli di legge: la rilevazione del TEGM risulta asservita a fini ultronei, di protezione e stabilità dell’intermediario.
[30] Le istruzioni della Banca d’Italia, mentre per gli interessi dispongono la rilevazione del tasso applicato in ragione d’anno, per le Commissioni di Massimo Scoperto disponevano che “il calcolo della percentuale va effettuata rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata.”. Le banche comunicavano (sino al I trimestre ’10) l’aliquota di commissione applicata trimestralmente. E’ questa un’ulteriore grossolana distorsione, comune agli oneri e spese, rispetto al tasso annuo indicato dalla legge. In ragione d’anno, per la CMS l’incidenza era ben maggiore di quattro volte l’aliquota comunicata, registrando anche l’incremento derivante dall’effetto di capitalizzazione trimestrale, sia di interessi che di Commissioni, che si rifletteva sulle CMS stesse; così come gli interessi, in ragione d’anno, risultano incrementati, non solo dalla capitalizzazione trimestrale degli stessi, ma anche da quella riveniente dalle CMS. Un’analoga contraddizione si rileva anche per gli oneri e spese che, sino al ’09, venivano ricompresi nel calcolo del TEG su base trimestrale anziché annuale: uno stesso addebito, se effettuato a titolo di onere e spesa, aveva un’incidenza inferiore ad un quarto di quella corrispondente ad un addebito per interessi.
La tabella sopra riportata evidenzia come, per un pari ammontare di competenze, il costo del credito /TAEG) rimane invariato allo stesso livello (40% nell’esempio), mentre il TEG delle Istruzioni della Banca d’Italia scende rapidamente al crescere della quota parte di addebito effettuato a titolo di oneri e spese. Questi sono aspetti banali di travisamento tecnico che, considerata la professionalità della Banca d’Italia, costituiscono l’espressione manifesta di una volontà diversa, rivolta a condizionare la rilevazione del TEGM a fini di protezione e di stabilità dell’intermediario, a scapito dei prenditori di credito. Ben si comprende la ‘via di fuga’ all’elusione offerta dalle Istruzioni e ampiamente utilizzata dagli intermediari bancari che, nel corso degli anni 2000, hanno esasperatamente innalzato e proliferato spese e oneri dei rapporti di conto. Nella rilevazione del TEGM affidata al MEF non si ravvisa alcun esercizio di discrezionalità amministrativa e la discrezionalità tecnica prevista dalla legge viene circoscritta entro rigorosi canoni scientifici e tecnici. I criteri di rilevazione devono rispondere a principi di coerenza, funzionalità e oggettività: pregnanti perplessità e palesi criticità insorgono nelle discrasie sopra evidenziate.[31] Viene altresì precisato: ‘Tale commissione è strutturalmente connessa alle sole operazioni di finanziamento per le quali l’utilizzo del credito avviene in modo variabile, sul presupposto tecnico che esista uno “scoperto di conto”. Pertanto analoghe commissioni applicate ad altre categorie di finanziamento andranno incluse nel calcolo del TEG’. Ciò lascerebbe intendere che per le operazioni ‘Anticipi’ e ‘Factoring’, qualora non sia previsto un impiego ‘flessibile’ del credito erogato, l’eventuale CMS sia direttamente da includere nel TEG.
[32] Una interpretazione alquanto singolare e assai speciosa del dettato letterale riportato nelle Istruzioni ’06, è stata proposta dai consulenti di alcuni imputati del processo di Palmi (Sent. 1732/07), in particolare i professori D’Innella e Ferro – Luzzi, e richiamata nella menzionata sentenza: ‘fino al 2006 le comunicazioni che la Banca d’Italia ha ricevuto dagli istituti di credito riguardavano indistintamente sia la CMS applicata sui conti con fido accordato che la CMS applicata sui conti senza fido accordato; è stato quindi determinato un tasso medio di CMS che unisce importi non comparabili tra loro; i conti con fido accordato sono infatti preceduti da un attento monitoraggio del merito di credito del cliente e in questo caso la CMS può essere variata a seconda del grado di rischio che la banca si assume; nel secondo caso, invece, le banche tendono ad applicare la CMS nel grado massimo possibile poiché non hanno sufficienti informazioni sul comportamento che terrà il cliente e sul rischio che gliene deriverà; proprio per questa ragione, a partire dal 2006 la banca centrale ha chiesto che le comunicazioni in materia di CMS vengano fatte solo per i conti con fido accordato’. La confusione sembra raggiungere il paradosso. Secondo quanto espresso dai citati consulenti, senza alcuna ulteriore spiegazione, nella criptica piega delle Istruzioni sarebbe prevista un’articolata distinzione, priva di senso compiuto. Se alle banche non è stata fornita specificatamente tale speciosa interpretazione, la lettura ‘prima facie’ delle Istruzioni ha ragionevolmente dato luogo ai comportamenti sopra descritti, né si ha alcuna evidenza di controlli volti ad accertare la corretta applicazione di quanto si voleva esprimere con l’integrazione apportata.
[33] In tali circostanze, per analogia, insorgono giustificati dubbi e pregiudizi sulle carenze di trasparenza relative alle commissioni di istruttoria veloce, la cui aderenza ai costi è affidata a procedure interne, sottratte alla pubblica trasparenza e soggette esclusivamente al controllo dell’Organo di Vigilanza preposto dall’Ordinamento a presidiare la stabilità dell’intermediario. Il palese conflitto di attribuzioni avrebbe dovuto suggerire l’intervento, o quanto meno la concertazione, dell’Autorità Antitrust.
[34] La legge 248/06 ha attribuito nuovi e pregnanti poteri cautelari, istruttori e sanzionatori all’AGCM, prevedendo: ’Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza, l’Autorità può, d’ufficio, ove constatata ad un sommario esame la sussistenza di un’infrazione, deliberare l’adozione di misure cautelari’, nonché disporre l’applicazione di sanzioni pecuniarie, sino a disporre, nel caso di reiterata inottemperanza alla diffida, la sospensione dell’attività.
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