Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/03/2011 Scarica PDF
Prescrizione e anatocismo negli affidamenti bancari - I principi giuridici stabiliti dalla sentenza della cassazione S.U. 2 dicembre 2010, n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti
Roberto Marcelli, Consulente FinanziarioSommario. 1. Premessa. 2. Dies a quo della prescrizione dell'azione di ripetizione (pag. 2). 3. Le rimesse solutorie e l'art. 1194 c.c. (pag. 8). 4. Le rimesse solutorie e il saldo extra fido (pag. 19). 5. Gli affidamenti in conto e la Delibera CICR 9 febbraio 2000 (pag. 28). 6. La natura degli affidamenti e l'accertamento del fido disponibile (pag. 33). 7. La capitalizzazione semplice: risvolti economici (pag. 39). 8. Il provvedimento legislativo mille proroghe, legge n. 10/11, conv. D. Lgs. 225/10 (pag. 44). 9. Sintesi e conclusioni (pag. 48).
1. PREMESSA
In un precedente documento erano stati segnalati due importanti principi - in
tema di prescrizione e capitalizzazione degli interessi in conto corrente -
fissati dalla recente sentenza della Cassazione S.U. n. 24418/10, con risvolti
di apprezzabile rilievo nei procedimenti di recupero dell'anatocismo bancario.
La sentenza in parola tuttavia, se da un lato viene ad indurre chiarezza su
taluni aspetti sui quali si sono a lungo confrontate e divise le Corti di
merito2, dall'altro solleva significativi problemi operativi connessi con
l'applicazione dei menzionati principi ai rapporti di conto intrattenuti con le
banche.
Nell'applicazione ai casi concreti insorgono dubbi e perplessità sulle modalità
di accertamento dei saldi di conto entro ed oltre il fido, sui criteri di
attribuzione delle rimesse solutorie e di individuazione dei pagamenti
prescritti.
Nel documento si affrontano alcuni problemi giuridici che si incontrano sul
piano operativo, che si rende necessario dirimere per consentire ai consulenti
tecnici di curare una corretta ricostruzione dei rapporti di conto: vengono
altresì proposte soluzioni operative di calcolo che, tuttavia, abbisognano di
una verifica giurisprudenziale.
In tema di prescrizione è stata più recentemente inserita, nel provvedimento
legislativo 'mille-proroghe' (legge n. 10/11 di conversione del D.L. 225/10),
un''interpretazione' normativa alquanto singolare, che mira ad introdurre per
il conto corrente una deroga ai principi stabiliti dalla Cassazione S.U.. Al
comma 61 dell'art. 2 si prevede: 'In ordine alle operazioni bancarie regolate
in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a
decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla
restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto legge".
Nella formulazione letterale il disposto normativo appare confliggere con
consolidati principi giuridici: a parte talune riserve costituzionali, per gli
interessi sul credito entro il fido la ripetizione dell'indebito sembra
conservare il termine di prescrizione alla chiusura del rapporto. Tuttavia, per
una valutazione definitiva occorrerà attendere le pronunce che assumerà al
riguardo la giurisprudenza.
2. DIES A QUO DELLA PRESCRIZIONE DELL'AZIONE DI RIPETIZIONE
"Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario
regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità
della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la
ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di
prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre,
qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano
avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato
estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati" (Cass. S.U. 24418/10).
Appare subito evidente come l'enunciato del principio sia parziale: si limita a
stabilire solo la disciplina del termine di prescrizione in presenza di rimesse
aventi natura ripristinatoria, lasciando impliciti, nelle argomentazioni
riportate nella sentenza, rilevanti elementi di valutazione dei versamenti
aventi natura solutoria. Si viene a modificare e ridimensionare la precedente
posizione giurisprudenziale che, nel rimettere perentoriamente all'estinzione
del saldo di chiusura del conto il decorso della prescrizione decennale, non
lasciava alcuno spazio a deroghe ed eccezioni.
La sentenza in esame, pur riconoscendo formalmente l'unicità del rapporto di
conto, non disconosce completamente l'autonomia delle singole operazioni di
prelievo e versamento. Operando un distinguo fra i due rapporti - conto
corrente e apertura di credito3 - circoscrive solo a quest'ultima il rinvio del
termine di prescrizione del pagamento degli interessi all'estinzione del saldo
di chiusura. Per l'operatività che esula dall'apertura di credito, alle rimesse
viene riconosciuta una natura di pagamento, con riflessi di pregnante rilievo,
oltre che nel termine di prescrizione, nell'applicazione dell'art. 1194 c.c. e,
conseguentemente, nella stessa natura anatocistica dei relativi interessi.
La Suprema Corte richiama nella sentenza la pregressa giurisprudenza con la
quale si è più volte affermato come il conto corrente configuri un contratto
unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, sicché è solo con la
chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti
delle parti (Cass. n. 2262/84, n. 10127/05). Aggiunge tuttavia che l'unitarietà
del rapporto non è, di per sé solo, elemento decisivo per l'individuazione
nell'estinzione del saldo di chiusura del conto del momento da cui decorre il
termine di prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito4.
La sentenza in esame viene ad introdurre in tal modo un varco, nel quale opera
l'art. 1194 c.c.: per i rapporti di conto che presentano scoperti di conto,
pregnanti elementi di valutazione vengono espressi, più che dall'enunciato del
principio, nelle argomentazioni che precedono e conducono allo stesso.
A norma dell'art. 1422 c.c., mentre la nullità della clausola di
capitalizzazione trimestrale è imprescrittibile, la ripetizione di quanto
indebitamente versato a titolo di interessi illegittimamente computati è
soggetta alla prescrizione decennale5. Per la ripetizione dell'indebito il
termine di prescrizione comincia a decorrere, ai sensi dell'art. 2935 c.c., dal
giorno in cui il diritto alla ripetizione può essere fatto valere e coincide
con quello del pagamento all'intermediario bancario.
Anche quando rapporti di durata implicano prestazioni di denaro ripetute nel
tempo - quali locazioni o somministrazioni periodiche di cose - l'unitarietà
del rapporto contrattuale non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo
pagamento ed è sempre da quest'ultimo che sorge il diritto alla ripetizione e,
di riflesso, il decorso della prescrizione. Infatti, ai sensi dell'art. 2935
c.c., il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il
diritto alla ripetizione può essere fatto valere6.
Il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione può avere
luogo solo quando interviene un atto giuridico definibile come pagamento, che
si pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile
alcun diritto di ripetizione.
Il termine di prescrizione inizia pertanto a decorrere non dalla data della
decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del
pagamento, ma da quella del pagamento stesso (Cass. n. 7651/05). Né può
costituire pagamento, nel caso di interessi bancari, la semplice registrazione
in conto; la sentenza precisa: "ogni singola posta di interessi
illegittimamente addebitati dalla banca al correntista (...) comporta un
incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui
ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra
indicati: perché non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista
medesimo in favore della banca.".
La banca registra in un unico conto, oltre alle poste modificative del credito,
anche gli interessi e competenze che maturano trimestralmente, senza
riferimento ad alcuna rimessa di pagamento. Quest'ultima, quando interviene,
viene portata a deconto del capitale di credito.
Il saldo del conto viene così impropriamente influenzato dagli interessi
appostati in conto dalla banca, che inducono una limitazione nella facoltà di
maggior indebitamento, ma che non configurano un pagamento anticipato degli
stessi. Il correntista potrà agire per ottenere una rettifica delle risultanze
del conto, per recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti
di fido concessogli, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che,
in quanto tale, non ha ancora avuto luogo.
Nel conto assistito da apertura di credito, la presenza di un passivo che non
configuri uno scoperto costituisce un debito del correntista non immediatamente
esigibile e le rimesse non hanno una funzione solutoria, ma soltanto una
funzione di ripristino della disponibilità7. Il credito concesso dalla banca
con il fido rimane alla stessa indisponibile sino alla scadenza.
L'apertura di credito, analogamente al mutuo8, è un contratto di durata,
sviluppato su più atti esecutivi che conservano una sostanziale unitarietà nel
rapporto giuridico. La serie successiva di addebiti e accrediti non dà luogo a
singoli rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina solo variazioni
quantitative dell'unico originario rapporto costituito tra banca e cliente:
solo alla chiusura si regolano i debiti e i crediti conseguenti (Cass. n.
1392/69; n. 2545/72; n. 2301/04; n. 10127/05; n. 1929/10). Prima della chiusura
del conto - o della revoca/scadenza dell'apertura di credito - il titolare del
conto può solo avanzare una domanda di accertamento costitutivo, volta alla
determinazione del saldo9.
L'apertura di credito si inserisce in un conto corrente nel quale confluiscono
plurimi servizi offerti dall'intermediario bancario: questi ultimi esulano dal
rapporto di apertura di credito e per essi i termini di prescrizione si pongono
in maniera diversa.
A differenza dell'apertura di credito, per il conto corrente bancario non è
prevista l'inesigibilità e l'indisponibilità sino alla chiusura: infatti,
vengono per esso richiamate alcune norme del conto corrente ordinario (artt.
1826, 1829, 1832), ma si esclude proprio l'art. 1823 relativo all'inesigibilità
del saldo.
Per i versamenti effettuati su un conto passivo privo di apertura di credito, o
quando gli stessi siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti di
fido, si configura un effettivo pagamento, tale da poter formare oggetto di
ripetizione, ove indebito, individuando il dies a quo della prescrizione nella
data di annotazione in conto10.
Da quanto esposto emerge chiaramente come, con la sentenza in esame, il focus
dell'attenzione, per l'elemento dirimente il termine di decorrenza della
prescrizione, viene a risultare sostanzialmente spostato dal carattere unitario
del rapporto bancario alle modalità di funzionamento del rapporto stesso.
A differenza del credito compreso nel fido, nel "conto scoperto'
l'eccedenza del fido costituisce un credito della banca esigibile in qualsiasi
momento: in tali circostanze le rimesse che affluiscono sul conto vengono ad
assumere la veste di pagamenti aventi l'effetto di uno spostamento patrimoniale
in favore della banca.
3. LE RIMESSE SOLUTORIE E L'ART. 1194 C.C.
La sentenza precisa: la circostanza che "il saldo passivo del conto sia
influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati, si traduce in
un'indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel
pagamento anticipato di interessi".
La registrazione in conto degli interessi non configura un indebito pagamento
degli stessi ma soltanto una indebita limitazione del credito: solo con la
rimessa effettuata sul conto scoperto - saldo passivo in assenza di fido o
saldo passivo debordante il fido - si realizza un pagamento anticipato di
interessi.
Per il vero il principio di diritto stabilito nella sentenza, conseguente alla
problematica portata all'attenzione della Cassazione, si limita alla sola
circostanza di versamenti in conto passivo aventi una funzione ripristinatoria,
ma le argomentazioni sviluppate avvalorano, nel caso complementare di
versamenti in conto scoperto, l'applicazione dell'art. 1194 c.c..
La sentenza in parola, attribuendo un valore dirimente alla natura solutoria o
ripristinatoria delle rimesse in conto, viene a riconoscere implicitamente il
criterio di priorità, posto a tutela del creditore con l'art. 1194 c.c..
Prima di ripianare il credito, il pagamento deve essere rivolto a ripianare gli
interessi: il relativo pagamento, a prescindere che sia fatto nel decennio o
precedentemente, non risulta ripetibile in quanto legittimo. Apparirebbe, al
contrario, assai stridente con la tutela del creditore, prevista dal menzionato
articolo 1194 c.c., che, in una situazione di extra-fido, la rimessa in conto
fosse rivolta a ripianare l'esubero del credito concesso, liquido ed esigibile,
mentre il pagamento degli interessi, parimenti liquidi ed esigibili, venisse
posposto alla chiusura del conto.
D'altra parte il divieto di anatocismo preclude ogni forma di capitalizzazione
degli interessi: questi non possono, salvo le circostanze previste dall'art.
1283 c.c., trasformarsi in capitale, ma non sussiste alcun impedimento a
convenire la liquidazione trimestrale degli stessi11.
Considerando separatamente capitale (credito/debito) ed interessi via via
maturati, senza commistione fra le due categorie di appostazioni, le rimesse
che intervengono in presenza di extra-fido, vengono a costituire, secondo i
dettami della sentenza, effettivi pagamenti. Tali pagamenti, impiegati
prioritariamente a ripianare interessi esigibili, non contravvengono al
rispetto dell'art. 1283 c.c. e non determinano alcun diritto a refusione di
indebito soggetto a prescrizione decennale.
La confusione con la capitalizzazione insorge per il sistema contabile di
registrazione ordinariamente impiegato dalle banche, che fonde e confonde in un
unico conto poste aventi natura giuridica diversa. Tenendo distinto capitale e
interessi, si palesa e chiarisce il portato della sentenza e l'applicazione
dell'art. 1194 c.c..
Per un conto, ad esempio, affidato per 1.000, che presenta un saldo a
debito di 1.500 e interessi pregressi di 200, una rimessa di 100 costituisce un pagamento, rivolto a ridurre gli interessi prima di
essere utilizzato per ripianare l'extra fido liquido ed esigibile.
La giurisprudenza prevalente tuttavia ritiene che, per l'applicazione del
criterio legale di imputazione dell'art. 1194 c.c., si renda necessario che sia
il capitale che gli interessi risultino liquidi ed esigibili12. In talune
pronunce si è anche rilevata l'assenza di un'espressione della volontà delle parti, desumibile anche per presunzione, mentre le banche, di
regola, contabilizzano gli accrediti senza alcuna distinzione fra ripianamento
di capitale e ripianamento di competenze, ma il comma 2 dell'art. 1194 c.c. non
sembra lasciare spazio a letture diverse.
La Cassazione, in una sentenza del '03 (Cass. civile, sez. I, 16 aprile 2003 n.
6022) puntualizza: "La disposizione dell'art. 1194 c.c. secondo la quale
il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli
interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il
credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese,
siano simultaneamente liquidi ed esigibili"13.
Ben si comprende che, per un capitale ed interessi liquidi ed esigibili, il
debitore debba, di regola, prima pagare gli interessi e poi il capitale, per
evitare pregiudizio al creditore. Per gli interessi relativi all'apertura di
credito tuttavia il capitale diviene liquido ed esigibile solo alla scadenza:
un'inderogabile e incondizionata applicazione del comma 2 dell'art. 1194 c.c. è
suscettibile di ingenerare il pagamento di interessi prima della scadenza
dell'apertura di credito, realizzando di fatto, in violazione dell'art. 1283
c.c., quell'anatocismo che la Cassazione aveva ravvisato nei rapporti di conto
corrente.
In precedenti sentenze la Cassazione aveva riferito la simultanea esigibilità e
liquidità del capitale ed interessi, oltre che per il comma 1 anche per il
comma 2 dell'art. 1194 c.c.. Relativamente ad una problematica attinenti i
versamenti effettuati in sede di esecuzione forzata, la Cassazione ha avuto
modo di precisare: "... Ma non possono trovare applicazione nemmeno quelli
legali quale appunto quello contenuto nel secondo comma dell'art. 1194 c.c., in
quanto come già ritenuto da questa Corte (Cass. 26/10/60, n. 2911), la norma in
esame secondo cui il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi, debba
essere imputato prima agli interessi, presuppone pur sempre la simultanea
esistenza della liquidità ed esigibilità di un credito per capitale e di un
credito per spese e interessi per cui in mancanza di tale simultaneità l'art.
1194 non trova alcuna possibilità di applicazione. Questa linea interpretativa
seguita dal giudice di merito, non è smentita da Cass. 4/7/87, n. 5874 ed è
confermata da Cass. 26/7/86 n. 4798.". (Cass. Sez. I, 28/9/91, n.10149).
Appare pertanto coerente con il consolidato orientamento della Cassazione che
il criterio legale dettato dal comma 2 dell'art. 1194 c.c. - "Il pagamento
fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli
interessi" - risulti applicabile, in quanto entrambi i crediti, per
capitale ed interessi, siano liquidi ed esigibili.
La liquidità che consente al correntista di disporre del saldo si deve
accompagnare alla esigibilità del capitale e degli interessi che, per
l'apertura di credito - tenuta nella sentenza separata e distinta dal conto
corrente - si realizza esclusivamente al termine del rapporto.
Il riferimento al termine del rapporto, esteso nelle precedenti sentenze della
Cassazione all'intero coacervo dei rapporti negoziali che confluiscono nel
rapporto di conto corrente bancario, con la sentenza in esame viene ad essere
circoscritto alla sola apertura di credito, come ultimo baluardo posto a
presidio dell'anatocismo, la cui "perversione' si configura appunto nella
trasformazione di interessi in capitale, prima che questo venga a scadenza,
determinando una lievitazione geometrica del debito.
In stretta aderenza al principio richiamato, nei rapporti bancari affidati
l'esigibilità e liquidità di capitale ed interessi ricorre simultaneamente solo
per il credito che deborda il fido e per gli interessi ad esso relativi, mentre
tale simultaneità, per il credito entro il fido ed i relativi interessi, è
differita, come detto, all'estinzione del saldo di chiusura del rapporto o
dell'apertura di credito.
Secondo quanto discende dalla sentenza occorre tenere distinti gli interessi
relativi al credito oltre il fido che, se pagati, risultano legittimi e non
ripetibili, da quelli relativi al fido, i quali, congiuntamente a quelli sul
credito in extra fido rimasti non pagati, dovranno essere considerati,
unitamente al saldo capitale, alla chiusura del conto o alla prima rimessa dopo
la revoca/scadenza dell'affidamento14.
La rimessa oltre il fido verrebbe prioritariamente rivolta a saldare gli
interessi relativi al credito debordante il fido, poi a quest'ultimo e da
ultimo, per l'eventuale parte residua, andrebbe a ricostituire la disponibilità
entro il fido.
Per la situazione contabile rappresentata in tabella, una rimessa di 250 estingue prima gli interessi relativi al debito in extra fido (20), poi lo stesso extra fido (200) e, per la parte residua (30) riduce l'esposizione all'interno del fido, ripristinando il margine
disponibile. Gli interessi relativi al fido rimangono invariati.
Viene in tal modo coniugato, con maggiore equilibrio, un contemperamento tra lo
spirito perseguito dall'art. 1194 c.c. e quello perseguito dall'art. 1283 c.c..
Un'attenta distinzione della diversa natura delle due forme di credito, entro
il fido ed oltre il fido, rispondenti a due distinti rapporti negoziali, nonché
il puntuale rispetto, per capitale e interessi, del criterio di simultaneità
stabilito dalla menzionata sentenza della Cassazione del '03, appaiono, per
altro, coerenti con la seconda parte della sentenza in esame, che fa discendere
dalla nullità della previsione negoziale degli interessi trimestrali l'esclusione
di ogni forma alternativa di capitalizzazione e il rinvio alla chiusura del
pagamento degli interessi.
In un'interpretazione che trascuri la simultanea presenza di liquidità ed
esigibilità del credito e degli interessi, non operando alcuna distinzione in
questi ultimi, anche un piccolo debordo del fido verrebbe a precludere la
ricostituzione del credito accordato, se prima non fossero interamente saldati
tutti i pregressi interessi e competenze.
Come si evidenzia nell'esempio, anche in presenza di un modesto scoperto di
conto (1.000 di fido e 10 di extra fido) le successive
rimesse verrebbero interamente rivolte a saldare interessi e competenze
pregressi (202), sino al loro completo ripianamento, prima di pagare il credito in
scoperto e passare a ricostituire il margine di fido. Con tale interpretazione
verrebbe in buona parte vanificata la norma imperativa disposta dall'art. 1283
c.c.. I riflessi economici, in tale lettura, risulterebbero del tutto analoghi
alla capitalizzazione: venendo meno la simultaneità di scadenza del credito e degli interessi, il pagamento anticipato di
questi ultimi produrrebbe implicitamente ulteriori interessi sino alla scadenza
del credito stesso.
Quanto all'imputazione delle rimesse occorre poi osservare che, nel sistema
contabile ordinariamente impiegato dalla banca, il pagamento degli interessi
viene registrato con l'appostazione in dare del relativo importo: non risulta
alcuna imputazione agli stessi delle successive rimesse solutorie.
Tuttavia si potrebbe attribuire al "foglio competenze', che accompagna
l'estratto conto, un'espressione della volontà della banca di imputare ad
interesse le prime successive rimesse; il saldo del conto, espresso
nell'estratto trimestrale, costituirebbe l'attestazione del credito in essere e
l'implicita quietanza ex art. 1199 c.c. del capitale rifuso, al netto degli
interessi pagati. Pur considerando che spetta al debitore l'imputazione delle
rimesse, dall'illecita attribuzione delle rimesse agli interessi ad opera della
banca deriverebbe un pagamento ripetibile entro l'ordinario termine
prescrizionale dei dieci anni decorrente dalla rimessa stessa.
Emerge tuttavia, dalla prospettazione contabile resa al cliente, che la banca,
proprio con l'addebito alla fine del trimestre, imputa direttamente al capitale
gli interessi maturati, senza attendere alcuna rimessa di pagamento: a riprova,
gli interessi successivi, per la parte anatocistica, vengono fatti decorrere
dalla fine del trimestre, non dalla prima rimessa di pagamento.
Si potrebbe sostenere che l'art. 1194, comma 1, c.c. prevede sì che "il
debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli
interessi e alle spese, senza il consenso del creditore", ma che è la
stessa banca creditrice a registrare sul capitale le variazioni derivanti da
rimesse, addebitando invece gli interessi in sede di chiusura periodica15.
Risultando questi ultimi addebiti privi di un valore di pagamento, non si
porrebbe alcun problema di prescrizione e il relativo termine pertanto verrebbe
rimesso all'estinzione del saldo di chiusura del conto.
Al di là dei possibili costrutti di attribuzione delle rimesse, rimane la
risultanza fattuale che, all'atto dell'operazione in conto, viene esplicitato
il negozio giuridico da cui origina la rimessa, ma non viene, di regola,
fornita alcuna indicazione sull'impiego e destinazione della rimessa stessa.
Dall'assenza di una esplicita indicazione alla rimessa solutoria consegue
l'applicazione dell'art. 1194 c.c., comma 2, nel rispetto del menzionato
principio di contestualità della esigibilità e liquidità del credito. Prima
della revoca dell'apertura di credito solo gli interessi relativi al credito in
extra fido possono risultare oggetto di pagamento legale ex art. 1194 c.c..
Per gli interessi relativi al credito entro il fido e per quelli anatocistici,
poiché l'addebito operato dalla banca non costituisce pagamento, ma
semplicemente un'indebita registrazione in conto limitativa del credito
disponibile, non sorge problema di prescrizione e il termine per l'azione di
ripetizione rimane di conseguenza attestato all'estinzione del saldo di
chiusura del conto o alla prima rimessa dopo la revoca/scadenza del fido.
La rimessa solutoria - intervenuta in un conto scoperto - viene
prioritariamente rivolta al pagamento degli interessi sul credito in extra
fido: il capitale (credito/debito) non si modifica, rimane invariato. In tali
circostanze si ha un versamento che, in luogo di essere rivolto al capitale, va
a ripianare gli interessi: non si configurano interessi che divengono capitale
attraverso l'addebito in conto operato dalla banca. Il risultato finale (saldo
del conto) è identico, ma i risvolti giuridici risultano apprezzabilmente
diversi.
La precisazione introdotta dalle Sezioni Unite sulla natura della rimesse, nel
trascinare con sé un'implicazione solutoria degli interessi ex art. 1194 c.c.,
di fatto esclude che si determini anatocismo nelle circostanze di rimesse su un
conto scoperto. Diversa sarebbe l'implicazione qualificando come pagamento
degli interessi l'addebito in conto, configurandosi in tal caso un effettivo
passaggio a capitale degli stessi.
Nella tabella a sinistra viene riportata la registrazione ordinariamente
impiegata dalla banca, dove gli interessi si capitalizzano al momento
dell'addebito determinando anatocismo, a destra viene riportata l'applicazione
dell'art. 1194 c.c., con il quale con la rimessa si viene a saldare gli
interessi senza operare alcuna capitalizzazione.
Riconducendo il pagamento degli interessi non al momento della registrazione a
debito degli stessi, bensì alla successiva rimessa solutoria, non si configura
più alcun anatocismo: con la rimessa solutoria, gli interessi relativi
all'extra fido risultano regolarmente pagati e, di riflesso, non ripetibili
perché legittimi.
Al contrario, gli interessi relativi al fido, come anche quelli anatocistici,
configurano all'atto dell'addebito in conto non un pagamento, ma semplicemente
indebite appostazioni limitative del credito disponibile. Non risulterebbe, per
le rimesse successive, alcuna esplicita imputazione, né potrebbero essere
riconosciute ad interessi, trattandosi, come detto, soltanto di indebite
appostazioni. Di riflesso non sembra porsi per tali appostazioni alcun problema
di prescrizione non risultando intervenuto alcun indebito pagamento.
Queste, si ritiene, costituiscano le innovative modifiche non espresse
nell'enunciato, ma sostanzialmente implicite nella sentenza in esame. Limitando
al solo caso di rimessa ripristinatoria la decorrenza della prescrizione
decennale dall'estinzione del saldo di chiusura del conto, la sentenza da un
lato esclude dalla prescrizione gli addebiti degli interessi in quanto non
costituenti pagamenti, dall'altro introduce, a contrariis, uno spazio
giuridico, seppur definito e circoscritto (extra fido), nel quale l'anatocismo
finanziario diviene legale.
Questa deroga al divieto dell'anatocismo, che discende dalla sentenza,
prescinde dalla prescrizione: i suoi effetti si esplicano sull'intero periodo
del rapporto, rendendo legittimo, con la rimessa solutoria, il pagamento degli
interessi relativi all'extra fido, sia semplici che anatocistici16. In tal modo
si vengono a ridimensionare le precedenti pronunce della Cassazione, che
avevano ravvisato proprio in tale forma di costrutto logico-contabile la
fattispecie degli interessi anatocistici vietati dall'art. 1283 c.c.,
considerata dalla Cassazione stessa "norma imperativa, che presidia
l'interesse pubblico ad impedire una forma, subdola, ma non socialmente meno
dannosa delle altre, di usura" (Cfr. Cass. 3479/71 e n. 1724/77)17.
Occorre per altro osservare che la sentenza delle Sezioni Unite qualifica come
rimesse solutorie i versamenti "eseguiti su un conto in passivo (o, come
in simili situazioni si preferisce dire "scoperto') cui non accede alcuna
apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano
destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento". La
sentenza, in un altro passo, riporta: "intanto questi ultimi (i
versamenti) potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da
poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto
abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore
della banca".
La natura solutoria della rimessa è pertanto individuata dalla ricorrenza di
due elementi qualificanti: la rimessa interviene quando il saldo del conto
presenta uno scoperto oltre il fido (o un passivo in assenza di fido) e la
rimessa ha l'effetto, oltre che lo scopo, di determinare uno spostamento
patrimoniale a favore della banca. Lo spostamento patrimoniale in favore della
banca si può determinare solo per l'ammontare massimo corrispondente al credito
in extra fido (o per l'ammontare del passivo in assenza del fido) e agli
interessi ad esso relativi: solo tali poste sono infatti liquide ed esigibili.
Ogni altro spostamento risulterebbe solo apparente, non avendo la rimessa, per
il corrispondente ammontare, una natura solutoria: non si determinerebbe alcun
spostamento, né quindi azione di ripetizione soggetta a prescrizione.
Per un fido di 100 ed un extra fido di 20, ad esempio, una rimessa di 50 assolve lo scopo sopra indicato
non per l'intero importo, bensì solo per la quota che può determinare un legale spostamento patrimoniale in favore della banca. Tale
quota è data dal credito in extra fido (20) e dagli interessi sullo stesso
maturati e divenuti liquidi ed esigibili: per la somma di tali valori la
rimessa costituisce un pagamento, mentre per la parte residua assolve una
funzione ripristinatoria, non rivestendo né lo scopo, né tanto meno l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca
(Cfr. Cass. n. 76/04).
Risulterebbe improprio e contrario allo spirito della norma ritenere solutoria
l'intera rimessa, destinandola a ripianare, seppur illegittimamente, anche gli
interessi relativi al fido e quelli anatocistici.
Solo per l'importo massimo liquido ed esigibile una rimessa può essere rivolta
ad un eventuale irregolare pagamento che, se intervenuto nel periodo
prescritto, non sarebbe ripetibile. Ma, come sopra riportato, non intervenendo
per gli interessi alcuna specifica imputazione delle rimesse di pagamento,
risulterebbe arbitrario attribuire queste ultime prioritariamente a
ripianamento degli interessi relativi al credito entro il fido, indebitamente
appostati in conto.
Venendo meno la funzione di pagamento degli addebiti trimestrali, non risultano
interessi illegittimamente pagati e ripetibili entro i dieci anni. In assenza
di specifiche imputazioni delle rimesse, solo gli interessi relativi al credito
in extra fido possono risultare oggetto di pagamento ex art. 1194 c.c.,
legittimo e quindi non ripetibile, quale che sia il momento in cui interviene.
Per la distinzione fra le operazioni aventi natura ripristinatoria della
provvista e quelle aventi invece funzione di effettivo pagamento del debito
verso la banca, le Sezioni Unite richiamano i criteri sanciti in precedenti
pronunce espresse in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto
corrente bancario (regime ante riforma) (Cass. n. 5413/82, n. 23107/07, n.
245881/05): "pur se elaborata ad altri fini, detta distinzione non può non
venire in evidenza anche quando si tratti di stabilire se è o meno
configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una
pretesa restitutoria ad opera del solvens; pretesa che è soggetta a
prescrizione solo a partire dal momento in cui si può affermare che essa sia
venuta ad esistenza".
Venendo richiamato espressamente il carattere solutorio o ripristinatorio del
versamento, appare consequenziale mutuare dalle revocatorie anche il criterio
del saldo disponibile che non corrisponde necessariamente né al saldo per
valuta, né al saldo contabile18: risulterebbe oltremodo incongruo che, per il
"gioco' delle valute, un addebito risultasse anteposto ad un precedente
accredito, determinando un momentaneo e fittizio scoperto di fido. Analogamente
applicabili risulterebbero gli ulteriori criteri ordinariamente impiegati nella
determinazione delle poste revocabili19.
4. LE RIMESSE SOLUTORIE E IL SALDO EXTRA FIDO
Si osserva che, ai fini della distinzione dei saldi entro il fido da quelli
oltre il fido, non è sufficiente riordinare le operazioni appostate
nell'estratto conto secondo i criteri che presiedono, nelle revocatorie delle
rimesse bancarie, la data disponibile, risultando tale saldo inficiato dagli
interessi indebitamente contabilizzati.
La circostanza che la banca abbia indebitamente registrato a fine trimestre gli
interessi determina un'impropria riduzione del credito disponibile o un aumento
del credito concesso in extra fido, ma non modifica la natura del saldo legale,
dal quale ricavare la funzione solutoria o ripristinatoria della successiva
rimessa. Una indebita registrazione non può modificare la natura legale del
saldo, né si può ritenere che, decorso il decennio, tale saldo diventi
legittimo20.
La Cassazione Civ., Sez. I, 1/10/07, n. 10692, seppur per altre finalità, ha
avuto modo di affermare: "Una volta esclusa la validità della clausola
sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli
estratti a partire dall'apertura del conto corrente consente, attraverso una
integrale ricostruzione del dare e dell'avere con l'applicazione del tasso
legale, di determinare il credito della banca, sempreché la stessa non risulti
addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla capitalizzazione degli
interessi non dovuti. Allo stesso risultato, evidentemente, non si può
pervenire con la prova del saldo, comprensivo di capitali ed interessi, al
momento della chiusura del conto. Infatti, tale saldo non solo non consente di
conoscere quali addebiti, nell'ultimo periodo di contabilizzazione, siano
dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli
interessi, ma a sua volta discende da una base di computo che è il risultato di
precedenti capitalizzazioni degli interessi.
Per l'individuazione delle rimesse solutorie, aventi una funzione di pagamento,
si pone il problema di ricostruire il corretto scalare del rapporto di conto,
che esprima la legale natura, passiva o di scoperto del saldo, alla quale
risulta interconnessa la natura solutoria o ripristinatoria della rimesse
successive.
La banca ha appostato in conto interessi indebiti, modificando il saldo:
l'effettivo e legale credito posto a disposizione del correntista è dato
esclusivamente dal saldo delle rimesse e dei pagamenti (oltre agli eventuali
interessi a credito), che ricomprenda altresì solo gli interessi riferiti
all'extra fido, legittimamente coperti da rimesse solutorie di pagamento21.
L'accertamento della nullità della capitalizzazione trimestrale è
imprescrittibile e comporta il venir meno della clausola ex tunc, vale a dire
dal momento iniziale, travolgendo ogni effetto successivo: la situazione
contabile prospettata nel tempo va necessariamente rettificata.
Se si ritenesse applicabile il disposto dell'art. 2, 61° comma della legge
10/11, risulterebbero consolidati e resi irripetibile gli addebiti degli
interessi e dell'anatocismo appostati nei conti nel periodo precedente il
decennio ed il saldo banca coinciderebbe con il saldo rettificato.
Si rende comunque necessario - quanto meno per il periodo relativo al decennio
di prescrizione - enucleare tutti i restanti interessi, semplici e
anatocistici, posponendo i primi - ricalcolati sul nuovo saldo rettificato -
alla chiusura del conto o alle rimesse successive alla revoca/scadenza
dell'apertura di credito.
Se, al contrario, nel ricalcolo del saldo si lasciassero invariati tutti gli
illegittimi addebiti delle competenze bancarie, si avrebbe una rappresentazione
contabile assai discosta da quella legale. Queste appostazioni assumerebbero
progressivamente nel tempo una dimensione ragguardevole, che potrebbe anche
travalicare il fido stesso: in tali circostanze lo "scoperto di fido' risulterebbe
solo apparente, dovuto alla confusione di interessi illegittimi e capitale.
La commistione, in conto, del capitale di credito posto a disposizione e
utilizzato dal correntista con gli interessi non ancora divenuti capitale e con
gli illegittimi interessi anatocistici assimila in un unico saldo poste aventi
natura giuridica diversa. Tale commistione riflette la sovrapposizione e
confusione di operazioni che attengono ai diversi rapporti negoziali
caratterizzanti il conto corrente e l'apertura di credito.
Ciò che configura la circostanza di un pagamento o, alternativamente, di un
ripristino della provvista, non può essere affidato al saldo risultante dalle
appostazioni contabili curate dalla banca, ma deve discendere esclusivamente
dal legittimo saldo capitale. Enucleando a parte gli interessi maturati e
lasciando in conto solo quelli legittimamente coperti da rimesse di pagamento,
il saldo a debito rettificato che si ottiene consente di accertare la corretta
natura passiva o di scoperto. Il saldo così rettificato può risultare nel tempo
apprezzabilmente inferiore rispetto al saldo banca, evidenziando in tal modo
che, ad apparenti saldi scoperti, corrispondono più propriamente solo saldi
passivi.
Tenendo separata la linea capitale dalla linea interessi, rimane più agevole la
rielaborazione. In una trasparente rappresentazione contabile, la distinzione
del capitale dalle competenze accessorie, l'accertamento del corretto saldo
capitale e l'individuazione dell'esatta natura delle rimesse intervenute nel conto
consentono la giusta attribuzione delle rimesse alle finalità contemplate nella
sentenza delle Sezioni Unite: ripristino della provvista, pagamento degli
interessi, riduzione del capitale di credito.
Preliminarmente, sul piano operativo si renderà opportuno, dopo aver riordinato
l'estratto conto per data di disponibilità, scindere saldo del conto in saldo
capitale, comprensivo degli interessi a credito, saldo interessi a debito e
saldo delle ulteriori competenze. Gli interessi a credito non vanno confusi con
quelli a debito: l'annotazione in conto è legittima e la capitalizzazione è
contestuale.
Per l'individuazione delle rimesse solutorie, in un processo iterativo, il
saldo capitale andrà volta per volta rettificato con gli interessi
legittimamente pagati nel periodo, ricalcolati sul credito in extra fido e
"passati' a capitale22 all'atto dell'ultima rimessa solutoria (con la
produzione successiva di interessi legittimi).
Gli interessi che risultano invece non pagati, risultando appostazioni prive di
efficacia giuridica, vanno esclusi dal capitale rettificato, ricalcolandoli
sullo stesso, in regime di capitalizzazione semplice, e riportandoli alla
chiusura del conto o in scomputo delle prime rimesse successive alla
revoca/scadenza del fido23.
Le altre spese del conto, se regolarmente contrattualizzate, si ritiene debbano
seguire la sorte degli interessi relativi al credito in extra fido: divenendo
anch'esse periodicamente liquide ed esigibili devono essere ricomprese nelle
rimesse di pagamento e spesate dopo gli interessi. Per le CMS invece - sempre
che non vengano ritenute nulle per indeterminatezza e/o assenza di causa - sia
che vengano intese come un accessorio degli interessi, sia che vengano intese
come la remunerazione per l'obbligo di tenere a disposizione il credito (Cfr.
Cass. 11772/02), si renderà opportuno suddividerle, come gli interessi, nella
quota parte relativa all'extra fido, pagabile con la rimessa solutoria e quota
parte relativa al fido, pagabile alla scadenza.
Nell'usuale organizzazione contabile adottata dalle banche, nella quale
rifluiscono in un unico saldo poste di capitale e poste di competenze, si
devono distinguere le diverse fattispecie:
a) il saldo va in extra-fido a seguito della presenza delle competenze
trimestrali addebitate dalla banca. In tale circostanza non si configura un
credito da parte della banca di somme oltre il limite di fido: il versamento
che interviene successivamente non assolve una funzione solutoria. Il saldo
evidenzia un importo oltre il fido solo per impropria rappresentazione
contabile, mentre l'esposizione del credito effettivamente utilizzato risulta,
di diritto, entro il fido e il versamento assolve una mera funzione
ripristinatoria: l'illegittima registrazione degli interessi giustificherebbe il
diritto alla sua enucleazione, non un diritto restitutorio del successivo
versamento in conto. Il termine di prescrizione, non risultando la rimessa
solutoria, rimane relegato all'estinzione del saldo di chiusura del conto.
b) il saldo va in extra-fido a seguito di addebiti disposti dal correntista, a
cui si aggiungono interessi, commissioni e spese addebitati dalla banca. Il
primo versamento in conto assume la veste di pagamento per una quota massima
pari alla somma di capitale in extra fido e relativi interessi. Tale pagamento
va a ripianare, di diritto, ex art. 1194 c.c., solo gli interessi addebitati
per la quota riferita al credito in extra fido utilizzato. Gli interessi in
capitalizzazione semplice, riferiti al credito entro il fido, devono essere ricalcolati
e posposti alla chiusura, mentre la componente di capitalizzazione
(anatocistica) deve invece essere espunta in quanto illegittima e ripetibile.
La decorrenza della prescrizione per l'azione di ripetizione è rimessa
all'estinzione del saldo di chiusura del conto.
c) il saldo del conto, a seguito delle rimesse, oltre a ripristinare il credito
concesso dalla banca, va in attivo. La rimessa che conduce il conto in attivo
assume comunque la veste di provvista: gli interessi a debito maturati sono
relativi ad un affidamento non ancora esigibile24. La decorrenza della
prescrizione per l'azione di ripetizione è rimessa all'estinzione del saldo di
chiusura del conto.
d) il conto non è affidato e presenta scoperti. La prima rimessa in conto
assume la veste di pagamento e va a ripianare, di diritto, ex art. 1194 c.c.,
gli interessi addebitati, per la quota strettamente riferita, in
capitalizzazione semplice, al credito concesso ed utilizzato (maggiorato dei
precedenti pagamenti legittimi di interessi), mentre l'eventuale quota
riveniente dall'effetto della capitalizzazione, indebitamente computata in
conto, deve essere espunta. La prescrizione per l'azione di ripetizione
dell'anatocismo decorre dall'estinzione del saldo di chiusura del conto.
La metodologia dianzi esposta andrà adeguatamente verificata e confrontata con
le posizioni che dottrina e giurisprudenza assumeranno sui risvolti giuridici
dei criteri applicativi impiegati. La materia risulta significativamente
permeata da un elevato tecnicismo giuridico, che impone un'opportuna sinergia
fra consulente tecnico e giudice.
Qualora si condividano i principi e i criteri illustrati, onde evitare
incongruenze nel complesso processo di ricalcolo del saldo rettificato, si
rende opportuno, nella formulazione del quesito al CTU, precisare le
specificità tecnico-giuridiche che presiedono l'incarico peritale.
Nella tavola sopra riportata sono sinteticamente riportate le principali
indicazioni da fornire nel quesito posto al CTU, secondo i diversi principi
giuridici adottabili.
Nelle modalità e termini dianzi esposti, se risulta inapplicabile agli addebiti
degli interessi il menzionato comma 61° dell'art. 2 della legge n. 10/11, per
conti ultradecennali che presentino significativi saldi in extra fido il
ricalcolo del saldo di conto, secondo i criteri che si evincono dalla sentenza
in esame, conduce a recuperi significativi, non molto discosti da quelli
conseguibili con la procedura di ricalcolo seguita sino ad oggi. Disconoscendo
la funzione di pagamento agli addebiti trimestrali degli interessi, non
risultano rimesse di pagamento imputabili ad indebiti interessi e, di riflesso,
i termini di prescrizione rimangono attestati all'estinzione del saldo di
chiusura del conto: il pagamento anticipato degli interessi relativi all'extra
fido ha, di regola, un impatto assai limitato sul saldo finale rettificato.
L'applicazione del menzionato comma 61° agli interessi illecitamente addebitati
in conto riduce drasticamente i margini di recupero, sino a renderli esigui
considerando l'effetto dell'entrata in vigore della Delibera C.I.C.R. 9
febbraio '00.
Parimenti modesti risulterebbero i margini di recupero se, pur non applicando
il menzionato comma 61°, si ritenesse che le rimesse solutorie, ancorché nei
limiti del credito liquido ed esigibile (credito in extra fido ed interessi),
risultino imputabili a tutti gli interessi (semplici ed anatocistici) nel tempo
addebitati dalla banca.
5. GLI AFFIDAMENTI IN CONTO E LA DELIBERA C.I.C.R. 9 FEBBRAIO 2000
I conti oggetto di esame nella sentenza delle Sezioni Unite iniziavano e
terminavano prima dell'entrata in vigore della Delibera C.I.C.R. 9/2/00;
pertanto si è fatto riferimento esclusivamente alla disciplina antecedente il
22 aprile '00.
Tuttavia la giurisprudenza di merito sempre più frequentemente ritiene che, con
la dichiarata illegittimità del 3° comma dell'art. 25 D. Lgs. 342/99, è venuto
meno il presupposto legittimante l'art. 7 della Delibera C.I.C.R. 9/2/00,
finalizzato a disciplinare i rapporti in essere al momento dell'entrata in
vigore della Delibera stessa, per i quali rimane applicabile il regime
precedente. Né il 2° comma dell'art. 25 conferisce al C.I.C.R. il potere di
prevedere disposizioni di adeguamento, con effetti validanti la sorte delle
condizioni contrattuali stipulate anteriormente25.
Con tale interpretazione, per i conti preesistenti la Delibera si
applicherebbero i criteri esposti sino alla scadenza del rapporto.
Qualora si ritenesse invece applicabile la Delibera C.I.C.R. anche ai rapporti
preesistenti, rimarrebbe limitata agli interessi pregressi la menzionata
metodologia di ricalcolo, mentre per i nuovi interessi addebitati a partire dal
30/6/00, data dalla quale iniziano a decorrere gli effetti dell'adeguamento,
occorrerebbe riferirsi all'art. 2, 1° comma, della Delibera C.I.C.R. che
prescrive: "Nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi
avviene sulla base dei tassi e con la periodicità contrattualmente stabiliti.
Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità".
L'art. 2, 1° comma, della Delibera C.I.C.R. sembra legittimare il pagamento
degli interessi con l'addebito degli stessi in conto. Ciò verrebbe a derogare i
principi stabiliti dalla Cassazione: a partire dalla Delibera per gli interessi
si verrebbe a prescindere dalle rimesse e la stessa registrazione in conto
verrebbe ad assolvere la funzione di pagamento degli stessi, decurtando di
fatto e di diritto le disponibilità di credito preesistenti. Con la
registrazione in conto degli interessi, questi diverrebbero implicitamente
capitale e il nuovo saldo produrrebbe da subito interessi.
Tuttavia, in un'applicazione letterale della norma, che conservi e rispetti la
diversa natura del rapporto di conto e del rapporto di apertura di credito,
sulla quale la pronuncia delle Sezioni Unite fonda il criterio di imputazione
delle rimesse di pagamento, il dettato dell'articolo sembra riguardare
esclusivamente il richiamato rapporto di conto corrente, riferendo il vincolo
della pari periodicità agli interessi a credito e a quelli a debito che
intervengono nello scoperto di conto26.
La separata disciplina prevista dalla pronuncia delle Sezioni Unite sembra
impedire, nella lettura dell'art. 2 della Delibera, l'assimilazione tout-court
dell'apertura di credito al conto corrente, in una concezione unitaria della
gestione del rapporto: nell'apertura di credito, come anche nelle altre forme
di affidamento in conto, diverse sono le cause, diversi i periodi di
riferimento, diverse le discipline regolanti i contratti. Né l'art. 1 della Delibera
sembra consentire, di per sé, una lettura che estenda la produzione degli
interessi sugli interessi ad ogni forma di affidamento in conto corrente27.
In una non recente sentenza del Tribunale di Milano (6 settembre '06, Vanoni)
si è ritenuto che solo ricorrendo un'unitarietà della causa si possa
giustificare un'interferenza delle discipline, estendendo all'apertura di
credito le clausole espressamente stabilite per il conto corrente:
"Allorquando tra la banca ed il cliente sia stato sottoscritto un unico
contratto avente ad oggetto un rapporto di conto corrente "affidato' (da
apertura di credito), è possibile estendere all'apertura di credito sullo
stesso concessa le clausole normative relative agli interessi ultralegali ed
alla capitalizzazione trimestrale espressamente previste nel contratto di conto
corrente.".
Nella sentenza si è ravvisata, nei tempi e modalità di formazione, una
manifestazione negoziale configurante un unico contratto, definito "conto
corrente affidato', giustificando in tal modo l'estensione all'apertura di
credito della disciplina applicabile al conto corrente. Nel commentare la
sentenza (cfr. Mercedes Guarini, Banca e Borsa - Parte II - 2008) si è
osservato: "Un attento esame della giurisprudenza sembrerebbe confermare
che solo l''unitarietà' della causa può giustificare l'integrazione del
regolamento negoziale, dettato per l'apertura di credito, con clausole
negoziali espressamente pattuite per il solo conto corrente; e viceversa, in
presenza di più contratti che, seppur collegati, mantengono una loro
"autonomia' sotto il profilo "strutturale', è da escludere ogni
possibile interferenza circa la disciplina applicabile. (...) L'idea di fondo è
dunque incentrata sul rilievo che la qualificazione della fattispecie non possa
essere fatta a priori, analizzando gli schemi negoziali tipici, ma debba essere
fatta a posteriori, attraverso l'esame dell'intero regolamento negoziale posto
in essere dalle parti, nonché nell'assunto che in presenza di più contratti che
mantengono la propria "individualità', ciascuno rimane assoggettato alla
disciplina del tipo corrispondente."28.
La Cassazione si è più volte occupata del collegamento fra le due tipologie di
negozi: "I due contratti (quello di conto corrente e quello diretto alla
creazione della disponibilità) sono strutturalmente autonomi, benché
funzionalmente collegati. Il conto corrente di corrispondenza ha natura di
contratto misto, alla cui costituzione concorrono, insieme coi principi del
mandato, che hanno una posizione preminente nella sua struttura e disciplina,
anche elementi di altri negozi" (Cass. Civ. n. 3637/68).
Anche volendo accogliere la distinzione, curata in dottrina, fra contratti
collegati e contratti misti, per questi ultimi recenti sentenze delle Sezioni
Unite (Cass. S.U. n. 26298 e n. 11656/08) hanno ribadito che "per
stabilire la disciplina applicabile al contratto di specie, deve individuarsi
quale tra i vari elementi causali prevalga sugli altri (secondo la nota teoria
della prevalenza, appunto, o dell'assorbimento), fatta salva l'applicabilità
della disciplina prevista per gli altri elementi, in quanto compatibile; ovvero
della disciplina che risulta dalla sintesi di tutti gli elementi (teoria della
combinazione) qualora nessuno di essi possa dirsi prevalere sugli altri.".
Nel conto corrente affidato, più che al criterio di prevalenza, che
implicherebbe un'analisi minuta della genesi e funzionamento dei rapporti e
spesso condurrebbe all'apertura di credito piuttosto che al conto corrente, si
potrebbe preferire il criterio della combinazione che forse si attaglia meglio
alle fattispecie in esame, non ravvisandosi per altro particolari
incompatibilità dalla contemporanea applicazione delle norme proprie a ciascun
contratto.
Frequentemente l'apertura di credito, unitamente alle altre forme usuali di
affidamento - anticipi e sconti di carta commerciale29 - interviene in un
momento successivo, con un contratto per il quale il conto corrente non
costituisce elemento essenziale: anche se appoggiato funzionalmente allo
stesso, conserva pur tuttavia la propria autonomia negoziale30.
Tali forme di credito, soprattutto le anticipazioni e lo sconto di carta
commerciale, vengono spesso gestite in appositi conti di servizio, separati dal
conto ordinario e a questo collegati dalle movimentazioni del credito concesso
e dall'addebito degli interessi trimestrali. Per una pluralità di negozi,
distinti e separati - negli atti, nei tempi di manifestazione e nelle modalità
di gestione - seppur collegati funzionalmente, si può ritenere esclusa ogni
interferenza fra le discipline che presiedono ciascuno di essi31.
La sentenza della Cassazione S.U. in esame, onde evitare commistioni che
pregiudicano l'essenza stessa dell'apertura di credito, ne ha stabilito e
presidiato la distinta disciplina giuridica. Per l'apertura di credito non si
pone alcun problema di uniformità periodale degli interessi e, trattandosi di
un contratto di durata, la produzione di interessi su interessi sul capitale
ancora illiquido ed inesigibile impone, salvo specifica deroga normativa, che
gli stessi siano esatti al termine del rapporto, unitamente al capitale.
Per i finanziamenti con rimborso rateale, si è avvertita l'esigenza di
prevedere esplicitamente, all'art. 3 della Delibera C.I.C.R., la produzione di
interessi, in capitalizzazione semplice, sulle rate scadute (compresa quindi la
quota interessi). Ciò induce ad escludere, senza un'esplicita previsione, per i
finanziamenti a scadenza, la produzione degli interessi, per di più in
capitalizzazione composta.
Sembra pertanto che, per il distinto rapporto di apertura di credito come per
gli altri contratti di durata che conservano una sostanziale unitarietà
giuridica, l'esigibilità e liquidabilità dei relativi interessi, in forza
dell'ulteriore precisazione fornito dalla sentenza in esame, dovrebbero
continuare ad essere riferite alla chiusura del rapporto stesso32. Né le
Sezioni Unite, nel formulare in conclusione delle argomentazioni prospettate il
generale principio di diritto riferito alla funzione ripristinatoria delle
rimesse, ne ha escluso l'applicazione successivamente alla Delibera C.I.C.R.
9/2/00.
In questa diversa lettura del provvedimento del C.I.C.R. risulterebbe estesa
oltre il '00, alle aperture di credito e agli altri affidamenti in conto, la
capitalizzazione semplice prevista dalla sentenza in esame.
6. LA NATURA DEGLI AFFIDAMENTI E L'ACCERTAMENTO DEL FIDO DISPONIBILE
Come si è mostrato, il ricalcolo del saldo capitale e la conseguente
determinazione del legittimo saldo finale risultano particolarmente delicati e
complessi per rapporti affidati che presentano alternativamente saldi a debito
entro il fido ed oltre il fido. Per i conti permanentemente entro il fido, le
rimesse avranno sempre una natura ripristinatoria, mentre per conti non
affidati le rimesse successive agli interessi addebitati avranno sempre una
natura solutoria.
Quando sullo stesso conto insistono affidamenti di diversa natura si renderà
necessario tenere distinta l'apertura di credito dalle altre forme di
affidamento, curando uno specifico e distinto esame della documentazione
sottostante per sceverare la presenza e misura dei distinti fidi attivi.
Frequentemente al cosiddetto "fido di cassa' si affianca un
"castelletto di sconto' o un "fido per anticipazione fatture e/o
effetti salvo buon fine': questi affidamenti sono spesso collegati ad un unico
conto di corrispondenza. Assume rilievo ciascun affidamento e la natura della
rimessa deve essere valutata con riferimento a ciascuno di essi.
Ai fini della determinazione dei saldi disponibili, e quindi del carattere
solutorio dei versamenti, si rende opportuno non tener conto dei fidi diversi
dalle aperture di credito, che non consentono una immediata ed incondizionata
disponibilità di credito.
A differenza dell'apertura di credito, nel castelletto di sconto e
nell'anticipazione la banca non attribuisce la facoltà di disporre
immediatamente di una somma di denaro ma si impegna ad accettare per lo sconto,
entro una somma predeterminata, i titoli che saranno presentati
dall'affidatario. In tali circostanze il fido non rappresenta l'ammontare della
somma di cui il cliente dispone, bensì il limite massimo entro il quale la
banca si impegna ad accettare i titoli presentati. Tali forme di credito
assumono la veste di operazioni auto-liquidanti: la banca anticipa una somma di
denaro al cliente che gli affida l'incarico di riscuotere il credito verso
terzi.
Quando la banca accetta all'anticipazione una fattura entro il limite del
castelletto concordato, registra a debito del conto anticipi il credito
anticipato e contestualmente accredita nel conto corrente di corrispondenza la
somma anticipata. Al momento dell'incasso della carta commerciale la somma
viene accreditata direttamente nel conto anticipi, pareggiando il precedente
anticipo. Se invece il credito non va a buon fine la banca addebita l'importo
nel conto corrente accreditando il conto anticipi. A questa modalità di base si
affiancano altre forme analoghe di contabilizzazione. Nell'anticipazione s.b.f.
si accredita il conto di appoggio con valuta differita e contemporaneamente si
effettua un giro al conto ordinario con valuta corrente: in tal modo il conto
di appoggio presenta saldo zero e valute differenti. Alla scadenza se l'effetto
risulta insoluto verrà addebitato il conto ordinario. Per i conti dedicati ad
anticipi e sconti di effetti e carta commerciale, di regola, non si riscontrano
saldi extra fido.
Non si può propriamente parlare di ripristino della provvista per
l'anticipazione e sconto di carta commerciale accreditata nel rapporto di
conto, salvo che queste forme non assumano la veste di apertura di credito.
Nella forma ordinaria l'anticipo di carta commerciale e/o titoli è curato in
un'unica soluzione, al più in un roll-over di successivi finanziamenti che si
auto-liquidano alla scadenza. In tali circostanze non vi è provvista da
ricostituire con successive rimesse. Per il conto ordinario l'accredito
dell'anticipo si risolve in una ordinaria rimessa che, se interviene in extra
fido, assume la funzione di pagamento, non configurandosi alcun margine di
provvista da ricostituire. Il credito in extra fido, eccezionalmente concesso
dalla banca, può ben essere saldato, unitamente agli interessi, attraverso
l'anticipo. Parimenti, alla scadenza della carta commerciale e/o dei titoli, a
prescindere che questi siano onorati o meno dal debitore, il credito diviene
liquido ed esigibile, congiuntamente ai relativi interessi, e può essere
contestualmente saldato, alla stregua di qualunque altro finanziamento scaduto,
con le stesse disponibilità dell'apertura di credito33.
Nella prassi bancaria è invalso sempre più frequentemente l'impiego del
cosiddetto "fido promiscuo', altrimenti chiamato "fido mobile',
costituito sostanzialmente dalla somma di un fido di cassa e di un fido s.b.f.:
l'apertura di credito è costituita da una parte sempre incondizionatamente
disponibile (fido di cassa) e da una parte, entro un massimo predefinito,
utilizzabile solo nel limite dei crediti/titoli accettati all'incasso. In tali
circostanze il fido effettivo risulta appunto "mobile', variando giorno
per giorno in funzione degli effetti presentati all'incasso e di quelli nel
frattempo scaduti: la determinazione dell'ammontare delle rimesse solutorie non
potrà, in tali casi, prescindere da una puntuale ricognizione del fido attivo,
in essere al momento della rimessa, risultante dai movimenti del portafoglio
effetti giacenti presso la banca e non ancora scaduti.
Gli interessi maturati su tali crediti, evidenziati in conti di servizio,
vengono, di norma, girati sul conto ordinario confluendo trimestralmente con
gli interessi maturati sullo stesso: nella ricostruzione del capitale
rettificato, considerando la natura del credito sottostante (auto-liquidante),
tali interessi dovranno essere ricompresi, congiuntamente al credito, alla
scadenza di quest'ultimo.
Particolare attenzione va prestata alle modalità di funzionamento degli
affidamenti concessi: solo una incondizionata disponibilità aggiuntiva, avente
le caratteristiche della ripristinabilità e riutilizzabilità, attribuisce
carattere ripristinatorio alle rimesse.
Determinante risulterà altresì l'accertamento dei distinti contratti di
affidamento posti in essere con la banca. In assenza di contratto con la
determinazione delle condizioni, si rende applicabile il tasso legale, ma se
non risulta provato alcun accordo di affidamento le rimesse risultano
intervenute in extra fido, con pagamento, prima del capitale, degli interessi
maturati sullo stesso. In tali circostanze risulta preclusa, per il periodo
ultradecennale, oltre alla ripetizione dell'anatocismo anche la ripetizione del
tasso ultralegale. Per l'ultimo decennio occorre invece distinguere la quota
parte di interessi al tasso legale legittimamente saldata - unitamente
al'anatocismo - da rimesse di pagamento, da quella relativa agli interessi
debordanti il tasso legale che risulterebbe invece ripetibile, a prescindere se
vi corrispondano o meno rimesse di pagamento34.
Tuttavia la presenza di un'apertura di credito può essere dedotta, per il
periodo precedente la legge 154/92, per "facta concludentia"35, e
successivamente per presunzione dalle eventuali indicazioni presenti nell'atto
di fideiussione e/o dall'estratto conto: una reiterata o continua posizione in
extra fido, senza che siano intervenuti inviti al rientro può costituire più
che un mero indizio. Un ruolo rilevante verrebbe ad assumere lo storico della
Centrale dei Rischi, che è agevolmente reperibile, quanto meno per il periodo
successivo all'1/1/96, presso la Banca d'Italia36: alla stregua di una
certificazione attesterebbe l'esatto importo del fido accordato in ciascun
mese, rimanendo a carico della banca la prova dei tassi e condizioni
concordati. D'altra parte la nullità prevista per l'inosservanza della forma
scritta opera soltanto a vantaggio del cliente.
Diversa appare la situazione in presenza di contratto di conto corrente in
forma scritta, privo tuttavia di uno specifico contratto di affidamento. In
assenza dell'indicazione del tasso di interesse e/o delle altre condizioni, si
renderà applicabile il tasso legale e/o l'art. 117 del TUB (D. Lgs. 385/93),
mentre, per l'apertura di credito in conto, questa risulta richiamata nell'art.
6 del regolamento di conto. In tali circostanze l'assenza della specifica forma
scritta dell'affidamento non porta alla nullità del contratto. Il rigore
disposto dal 1° comma dell'art. 117 viene attenuato nel 2° comma: il C.I.C.R.
può prevedere che particolari contratti possano essere stipulati in forma
diversa. In passato, per lungo tempo, non essendo intervenuta alcuna Delibera
C.I.C.R. al riguardo, hanno continuato a trovare applicazione, ai sensi
dell'art. 161, commi 2 e 5, D.Lgs. n. 385/93, l'art. 3, commi 2 e 3, L. 154/92
e il D.M. del Tesoro 24 aprile 1992, nonché le istruzioni operative della Banca
d'Italia 24 maggio 1992, che prevedevano una deroga alla forma scritta
"per le operazioni ed i servizi contemplati in contratti già redatti per
iscritto"37. E il contratto uniforme di conto corrente, all'art. 6 delle
"Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi
connessi", prevede espressamente, seppur genericamente, le aperture di
credito.
Sulla base di tali richiami la Cassazione ha riconosciuto in passato la
validità delle disposizioni derogatorie alla forma scritta emanate dalla Banca
d'Italia: con la sentenza del 9/7/05 n. 14470 ha infatti stabilito: "La
sentenza impugnata ha affermato che sulla base della disciplina di legge (art.
3 legge 154/1992 e art. 117 T.U.B.) il contratto di apertura di credito deve
essere redatto per iscritto a pena di nullità e che a nulla rilevano eventuali
disposizioni meno restrittive emanate in via amministrativa dalla Banca
d'Italia. Tale affermazione non può essere condivisa. Le norme emanate dal
C.I.C.R. (nel 1992 in via d'urgenza, in sua sostituzione, dal Ministro del
Tesoro) e dalla Banca d'Italia completano ed integrano la norma di legge, in
virtù di una facoltà espressamente prevista dalla legge stessa. Non si tratta
pertanto di atti amministrativi illegittimi perché contra legem, ma di atti a
contenuto ed efficacia normativi, emanati dal C.I.C.R. e dall'Autorità di
vigilanza nell'esercizio di un potere espressamente loro attribuito dal
legislatore. Tali norme integrano il precetto legislativo e, nei limiti
consentiti dalla legge stessa, vi derogano, con la conseguenza che hanno natura
di atti normativi, sia pur non di rango primario e debbono pertanto essere
conosciute d'ufficio dal giudice, secondo il principio iura novit curia".
Il principio viene poi ribadito dalla Cassazione 19941/06 e, più recentemente,
dalla Cassazione n. 8953/10 che, per una revocatoria bancaria relativa al
"96, precisa: "È vero che la banca potrebbe provare l'esistenza
dell'apertura di credito anche per "facta concludentia", ma tale
dimostrazione può essere fornita dalla banca soltanto nel caso in cui risulti
applicabile la deroga al requisito della forma scritta, prevista nelle
disposizioni adottate dal C.I.C.R. e dalla Banca d'Italia ai sensi del citato
art. 117 del D. Lgs. n. 385 del 1993 (che al comma 2 stabilisce che il C.I.C.R.
può prevedere che, per motivate ragioni, particolari contratti possono essere
stipulati in altra forma) e, anteriormente, ai sensi dell'art. 3 della legge n.
154 del 1992, per essere stato tale contratto già previsto e disciplinato da un
contratto di conto corrente stipulato per iscritto (cfr. in tal senso Cass. n.
14470 del 2005; Cass. n. 19941 del 2006).".
7. LA CAPITALIZZAZIONE SEMPLICE: RISVOLTI ECONOMICI
"L'interpretazione data dal giudice di merito all'art. 7 del contratto di
conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile
2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli
interessi contemplata dal primo comma di detto articolo si riferisce ai soli
interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la capitalizzazione
degli interessi a debito prevista dal comma successivo su base trimestrale, è
conforme ai criteri legali d'interpretazione del contratto ed, in particolare,
a quello che prescrive l'interpretazione sistematica delle clausole; con la
conseguenza che, dichiarata la nullità della surriferita previsione negoziale
di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo
stabilito dall'art. 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad un'eventuale
previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del
correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione
alcuna" (Cass. S.U. 24418/10).
La sentenza delle Sezione Unite non ha ritenuto che le ragioni di nullità
individuate dalla giurisprudenza per le clausole di capitalizzazione degli
interessi debitori registrati in conto investano solo il profilo della loro
periodizzazione trimestrale. La giurisprudenza ha escluso di poter ravvisare un
uso normativo atto a giustificare una deroga ai limiti posti dall'art. 1283
c.c.: risulta, pertanto, "assolutamente arbitrario trarne la conseguenza
che, nel negare l'esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale
degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto
(implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di
capitalizzazione annuale. Prima che difettare di "normatività?, usi
siffatti non si rinvengono nella realtà storica che (...) non ha affatto
conosciuto una consuetudine né di capitalizzazione annuale, né di necessario
bilanciamento con gli usi creditori".
La sentenza in argomento perviene, pertanto, alla conclusione che dalla nullità
dell'applicazione degli interessi debitori non può derivare alcuna
capitalizzazione: in altri termini, mentre per gli interessi a credito
rimarrebbe valida la capitalizzazione annuale convenuta, non essendo
intervenuta per essa alcuna nullità, per gli interessi a debito il relativo
ammontare potrà essere esatto solo in sede di chiusura finale del conto.
I conti oggetto di esame nella richiamata sentenza della Cassazione iniziavano
e terminavano prima dell'entrata in vigore della Delibera C.I.C.R. 9/2/00;
pertanto si è fatto riferimento esclusivamente alla disciplina antecedente il
22 aprile '00.
Come accennato in precedenza, si può ritenere che, per conti posti a cavallo
della Delibera C.I.C.R. 9/2/00, anche per il periodo successivo - qualora non
sia intervenuta un'espressa accettazione dei tassi e condizioni - gli interessi
(semplici), non coperti da rimesse di pagamento, potranno essere esatti solo in
sede di chiusura del conto e/o di revoca/scadenza del rapporto di affidamento.
Analoghi riflessi discendono per l'affidamento in conto, laddove si ritenga non
ricorrano le condizioni per l'applicazione allo stesso dell'art. 2 della citata
Delibera.
Nel caso invece si ritengano pienamente applicabili ai rapporti preesistenti le
norme di adeguamento previste dalla Delibera C.I.C.R., si determinerebbe una
circostanza assai singolare: gli interessi a partire dal III trimestre "00
risulterebbero esatti all'atto dell'addebito alla fine del trimestre, mentre
gli interessi maturati precedentemente la Delibera e non coperti da rimesse
solutorie rimarrebbero inesigibili sino alla scadenza del rapporto quando anche
il capitale diviene liquido ed esigibile.
L'applicazione della capitalizzazione semplice agli interessi maturati in conto
comporta la loro imputazione alla fine del rapporto: l'effetto, rispetto alla
capitalizzazione annuale, non è di scarso rilievo, risultando l'anatocismo,
seppur annuale, assai incidente sul lungo periodo.
Mentre con la capitalizzazione semplice il processo di cumulo degli interessi
segue un andamento lineare, con la capitalizzazione annuale, la produzione
degli interessi sugli interessi induce nel processo di cumulo un andamento
esponenziale.
Ad esempio, per un saldo a debito di 1.000, ad un tasso del 10% per un
periodo di 20 anni, il divario tra i due sistemi di capitalizzazione risulta
assai ampio: con la capitalizzazione semplice, ad invarianza di movimenti di
conto, dopo 20 anni il saldo a debito passa a 3.000, mentre
con la capitalizzazione annuale il saldo a debito passa a 6.727.
Il divario fra l'impiego della capitalizzazione semplice e quella annuale
risulta tanto maggiore quanto più ampio è il periodo in rassegna e quanto più elevato è il tasso di interesse.
Rispetto alla capitalizzazione annuale, l'incidenza degli interessi in
capitalizzazione semplice, dopo un ampio arco di tempo (20 anni) si riduce del
40% per un interesse medio del 5%, del 65% per un interesse medio del 10% e
dell'80% per un interesse medio del 15%.
Il divario del saldo e degli interessi maturati si accresce ancor più se il
conto, anziché presentare un andamento costantemente a debito, presenta invece
alternativamente saldi a credito e saldi a debito38.
8. IL PROVVEDIMENTO LEGISLATIVO 'MILLE PROROGHE', LEGGE N.10/11, CONV. D.L.
225/10
Il 26 febbraio '11, in sede di conversione del D.L. 225/10 (provvedimento mille
proroghe), si è previsto all'art. 2, comma 61°: "In ordine alle operazioni
bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta
nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in
conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non
si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto legge".
La formulazione del comma, inserito nelle legge n. 10/11, conv. D.L. 225/10,
non è scevra di criticità: oltre a profili di incostituzionalità39, perplessità
e dubbi applicativi si pongono sulla natura delle annotazioni in conto e dei
diritti da esse nascenti. In particolare agli interessi e competenze registrati
in conto deriva una valenza che la giurisprudenza ha reiteratamente
disconosciuto.
La norma in parola riconosce una completa autonomia ai diritti di credito e
debito nascenti dalle annotazione in conto. In tal modo si viene a svuotare il
principio unitario del rapporto giuridico di conto corrente, reiteratamente
ribadito da dottrina e giurisprudenza, trascurando ogni nozione di versamento,
pagamento e adempimento.
Con il menzionato comma si mira a inibire, con il decorso del tempo, la domanda
di accertamento costitutivo volta a rideterminare il saldo e/o consolidare il
diritto all'illecito addebito della banca, ma non sembra esprimere questo il
testo letterale: per altro il riferimento della norma è alla prescrizione, non
alla decadenza.
Non si comprende inoltre come si possa conciliare la norma con il principio di
distinzione delle rimesse solutorie e ripristinatorie. Gli interessi
illecitamente addebitati e divenuti irripetibili con la prescrizione si
capitalizzano insieme all'anatocismo prodotto o rimangono illiquidi e
inesigibili sino alla chiusura del rapporto? Analogamente per l'annoso problema
relativo al saldo iniziale pari a zero, recentemente ribadito dalla sentenza
della Cassazione n. 23974/1040, l'annotazione a debito all'inizio del decennio
diverrebbe incontestabile e irripetibile: ma si può dire altrettanto
dell'anatocismo che continua a prodursi nei dieci anni a seguire dagli illeciti
addebiti dei precedenti anni, che rimangono affetti da nullità?
Né si comprende il riferimento all'aspetto interpretativo, dopo che le Sezioni
Unite, con la sentenza dello scorso dicembre, hanno posto fine ad ogni
possibile opzione ermeneutica. Il riferimento si chiarisce invece con la
soluzione, in chiave interpretativa, che aveva suggerito la Corte
Costituzionale nella sentenza n. 425/00 con la quale aveva ravvisato
l'illegittimità costituzionale del 3° comma dell'art. 25 del D. Lgs 392/99
(legge salva banche). Nella circostanza la Corte Costituzionale aveva
osservato: Non si tratta, evidentemente, di una norma interpretativa - che pure
era stata suggerita nel corso dei lavori parlamentari (seduta del 17 giugno
1999 della sesta Commissione: pag. 35 del relativo verbale) - perché la
disposizione, così come strutturata, non si riferisce e non si salda a norme
precedenti intervenendo sul significato normativo di queste, dunque lasciandone
intatto il dato testuale ed imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche
già ricomprese nell'ambito semantico della legge interpretata. Al contrario,
con efficacia innovativa e (in parte anche) retroattiva, essa rende
"valide ed efficaci", sino alla data di entrata in vigore della
deliberazione del C.I.C.R., tutte indistintamente le clausole anatocistiche
previste nei contratti bancari già prima della legge delegata o comunque
stipulate anteriormente all'entrata in vigore della suddetta deliberazione.
Ma non sembrano ravvisabili, soprattutto dopo l'intervento delle Sezioni Unite,
né nell'art. 2935 c.c., né nelle norme che regolano il conto corrente di
corrispondenza, opzioni ermeneutiche diverse. Può prestare il fianco
all'interpretazione proposta, al più, l'ambito semantico del menzionato art. 2
della Delibera CICR 9 febbraio '00, dove si riporta al comma 1°: "Nel
conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla base dei
tassi e con le periodicità contrattualmente stabilite. Il saldo periodico produce
interessi secondo le medesime modalità". E tale interpretazione può
applicarsi solo ai rapporti di conto corrente bancario posti in essere
successivamente alla Delibera.
Il provvedimento legislativo mille proroghe, nell'obiettivo di alleviare i
maggiori oneri del sistema bancario in previsione dell'entrata in vigore del
nuovo accordo di Basilea, per non gravare sul bilancio dello Stato, ha supplito
con la bizzarra 'interpretazione' che risparmia alle banche il pesante
drenaggio derivante dai recuperi dell'indebito anatocismo.
Per una lunga schiera di correntisti, ai quali, senza alcun accordo pattizio,
sono state imposte condizioni di conto 'uso piazza, variate 'ad libitum' dalle
banche, in regime di anatocismo, nel corso del tempo, si è prima ritenuto
legittimato - a partire dal 2000 - l'anatocismo stesso, attraverso la semplice
informazione sulla G.U. e nell'estratto conto. Ora, con un altro passaggio in
G.U. - questa volta al 61° comma di un 'minestrone legislativo' - per
salvaguardare l'anatocismo praticato precedentemente al 2000, si sovvertono ex
novo, in via interpretativa, principi del nostro ordinamento che, per lungo
tempo, hanno presieduto la nullità, la ripetibilità dell'indebito e la
prescrizione.
Sino ad oggi la ripetizione dell'indebito non poteva essere avanzata sino alla
chiusura del rapporto per l'assenza della rimessa di pagamento41. Ora, con
l''interpretazione' introdotta dal comma in parola, la ripetizione
dell'indebito non può essere avanzata per le annotazioni cadute in
prescrizione. Emerge un'apprezzabile discrasia che palesa, nella cronologia,
l'impossibilità di vedere riconosciuti i propri diritti.
Absit iniuria verbis, si ritiene che questa sia una 'farsa' che i giudici di
merito, prima ancora delle Supreme Corti, non potranno subire con supina
acquiescenza. L'annotazione degli interessi trimestrali in conto configura una
capitalizzazione anatocistica: l'accertamento della nullità è imprescrittibile,
la clausola illecita viene meno ex tunc, con tutte le successive annotazioni.
Il disposto, seguendo l'osservazione fatta dalla Corte Costituzionale al
precedente provvedimento salva banche, copre con una veste di inconsistente
chiave interpretativa, una deroga innovativa e retroattiva, che appare del
tutto inapplicabile.
Occorrerà attendere le prime pronunce. In particolare, per le numerose vertenze
già avviate presso i Tribunali, verrà vagliata l'eccezione di prescrizione nei
termini ordinariamente prospettati dalla banca. Quand'anche fosse stata
eccepita la prescrizione decennale, questa, di norma, è stata riferita agli
addebiti degli interessi e non alle rimesse solutorie, come indicato dalle
Sezioni Unite. Il termine prescrizionale non può essere rilevato d'ufficio, ma
ex art. 2928 c.c. va richiesto dalla parte interessata attraverso l'eccezione,
entro il termine di cui all'art. 166 c.p.c., specificando l'elemento
costitutivo, cioè il momento iniziale dell'inerzia del titolare del diritto
fatto valere in giudizio. Senza un'esatta indicazione delle rimesse solutorie,
l'eccezione è passibile di rigetto (cfr. Cassazione n. 4668/04, in Rep. Foro
it. 2004)42.
9. SINTESI E CONCLUSIONI
In tema di prescrizione, precedenti sentenze della Cassazione, nel valorizzare
l'aspetto unitario del contratto di conto corrente, avevano perentoriamente
ricondotto il termine di decorrenza dell'azione di ripetibilità degli indebiti
pagamenti all'estinzione del saldo di chiusura dello stesso (Cass. n. 2301/04;
n. 10127/05; n. 1929/10).
La recente sentenza delle S.U. n. 24418/10 invece, nell'accentrare l'attenzione
sulla nozione di pagamento e sulla natura solutoria e ripristinatoria delle
rimesse, viene ad operare un puntuale distinguo fra apertura di credito e
rapporto di conto, riconoscendo in quest'ultimo un'autonoma valenza delle
rimesse di pagamento, da cui far decorrere la prescrizione, e circoscrivendo
esclusivamente al primo il differimento della prescrizione all'estinzione del
saldo di chiusura del rapporto.
L'enunciato del principio riportato nella sentenza delle Sezioni Unite si
limita, per il vero, a chiarire la disciplina del termine di prescrizione in
presenza di rimesse aventi natura ripristinatoria del credito: l'elemento di
novità del provvedimento risulta tuttavia implicito nelle argomentazioni che, a
contrariis, vengono ad alimentare e sostenere l'applicazione dell'art. 1194
c.c., e quindi di un diverso termine di prescrizione, in presenza di rimesse
aventi una funzione solutoria.
Le conclusioni a cui perviene la Cassazione conducono di fatto ad escludere
l'anatocismo nelle circostanze di rimesse su conti scoperti. Qualificando il
pagamento degli interessi non nell'operazione di addebito, ma nella successiva
operazione di rimessa solutoria, giuridicamente non si configura alcun
passaggio a capitale di interessi. Si viene in tal modo ad introdurre uno
spazio giuridico nel quale l'anatocismo finanziario diviene legale.
Il principio stabilito dalla Cassazione in tema di dies a quo della
prescrizione dell'azione di ripetizione, pur nel distinguo fra rimesse di
pagamento e rimesse di ripristino della provvista, non viene di fatto a
pregiudicare apprezzabilmente le azioni di ripetizione dell'anatocismo
praticato in passato dalle banche43. Disconoscendo all'addebito in conto degli
interessi una valenza di pagamento, non si ravvisano rimesse specificatamente
imputate a tale titolo; al contrario la prospettazione contabile resa al
cliente dalla banca riporta tutte le rimesse al capitale.
Nelle risultanze operative, all'atto dell'operazione in conto, viene
esplicitato il negozio giuridico da cui origina la rimessa, ma non viene, di
regola, fornita alcuna indicazione sull'impiego e destinazione della rimessa
stessa. Dall'assenza di una esplicita indicazione nella rimessa solutoria
consegue l'applicazione dell'art. 1194 c.c., 2° comma, nel rispetto tuttavia del
principio di contestuale esigibilità e liquidità del credito e degli interessi.
Ne consegue che solo gli interessi relativi al credito in extra fido possono
risultare oggetto di pagamento legale ex art. 1194 c.c., risultando l'apertura
di credito entro il fido illiquida ed inesigibile sino al termine del rapporto.
Per gli interessi relativi al credito entro il fido e per quelli anatocistici,
poiché l'addebito operato dalla banca non costituisce pagamento, ma
semplicemente un'indebita registrazione in conto limitativa del credito
disponibile, non sorge un problema di prescrizione anticipata e il termine di
decorrenza rimane attestato all'estinzione del saldo di chiusura del conto o
all'atto delle prime rimesse successive alla revoca/scadenza del fido, quando
la banca riceve effettivamente il pagamento di detti interessi.
Determinante risulta l'accertamento del fido: questo potrebbe essere dedotto
per "facta concludentia" per il periodo precedente la legge 154/92,
e, successivamente, per presunzione, dall'estratto conto, dalle eventuali
indicazioni presenti nell'atto di fideiussione e, meglio ancora, dallo storico
della Centrale dei Rischi44. D'altra parte una frequente situazione di extra
fido, senza che siano intervenuti inviti al rientro, può costituire più che un
mero indizio. Si può escludere che possano al riguardo verificarsi, a parti
invertite, le circostanze della revocatoria bancaria, dove è richiesto alla
banca di provare un regolare contratto scritto di affidamento. L'art. 127 del
T.U.B.
(D. Lgs 385/93) impedisce che possano essere addotte motivazioni di nullità per
assenza della forma scritta, se queste non operano a vantaggio del correntista.
Il principio stabilito dalla Cassazione nella seconda parte della sentenza, in
merito alla capitalizzazione semplice, conseguente alla nullità della
previsione della capitalizzazione trimestrale, induce un'apprezzabile
lievitazione della dimensione anatocistica ripetibile, in funzione diretta con
la durata del rapporto e con l'aliquota del tasso di interesse applicato.
Rispetto alla capitalizzazione annuale, su un ampio arco temporale, la
riduzione degli interessi a debito può essere mediamente valutata superiore ad
un terzo.
Il mancato riconoscimento dell'art. 7 della Delibera C.I.C.R. 9/2/00 ai conti
accesi in precedenza, che la giurisprudenza sempre più frequentemente viene
accogliendo, estende oltre il 2000 la nullità delle condizioni relative alla
capitalizzazione trimestrale.
Il puntuale distinguo sulla diversa natura del rapporto di conto e del rapporto
di apertura di credito, sul quale la pronuncia delle Sezioni Unite fonda il
criterio di imputazione delle rimesse di pagamento, aggiunge un ulteriore varco
allo spazio di inapplicabilità della Delibera, offerto dal contenuto letterale
dell'art. 2 della Delibera stessa.
Il dettato dell'articolo è riferito esplicitamente al rapporto di conto
corrente: non risulta condivisa, né in giurisprudenza né in dottrina, una
lettura dell'art. 2 della Delibera che assimili tout-court l'apertura di
credito al conto corrente, in una concezione accessoria del primo rapporto al
secondo45. Nell'apertura di credito, come anche nelle altre forme di
affidamento in conto, diverse sono le cause, diversi i periodi di riferimento,
diverse le discipline regolanti i contratti. La sentenza in esame ha
puntualmente distinto i due negozi, senza nessuna estensione all'apertura di
credito della disciplina del conto corrente.
Per il rapporto di apertura di credito, soprattutto se posto in essere in un
separato momento, conservando una propria sostanziale unitarietà giuridica,
l'esigibilità e liquidabilità dei relativi interessi, nel rispetto della
puntuale indicazione fornita dalle Sezione Unite, dovrebbero continuare ad
essere riferite alla chiusura del rapporto stesso.
All'inapplicabilità dell'art. 7 della menzionata Delibera C.I.C.R. ai rapporti
preesistenti si aggiungerebbe in tal modo, per i rapporti di affidamento,
precedenti e successivi, l'inapplicabilità dell'art. 2 della Delibera stessa.
Con la legge n. 10/11, di conversione del D.L. 225/10 (decreto mille proroghe)
è stato inserito un comma relativo alla prescrizione delle operazioni bancarie,
che vorrebbe introdurre, mediante una chiave interpretativa, un "animus
solvendi' alle annotazioni in conto, con conseguente decorso della
prescrizione. Volta a precludere il recupero di ogni indebito bancario
precedente il decennio di prescrizione, la formulazione letterale adottata
appare pesantemente viziata. A meno di "stravolgere' generali principi di
diritto, per altro ribaditi dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza
n.24418/10, non si vede come possa essere negletta la nullità dell'annotazione
di interessi anatocistici: nei termini indicati dalla sentenza esaminata, gli
interessi relativi al credito entro il fido, rimangono esatti non con
l'illecita annotazione, ma al termine del rapporto o alle prime rimesse
successive alla scadenza/revoca dell'apertura di credito e solo da tale termine
può decorrere la prescrizione decennale.
CRITERI E MODALITÀ OPERATIVE DI RICALCOLO DEL SALDO DEL CONTO CORRENTE ALLA
LUCE DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE S.U. 2 DICEMBRE 2010 N. 24418
1. Premessa.
Al fine di rideterminare il saldo di un conto corrente considerando i principi
- enunciati e impliciti - della sentenza della Cassazione S.U. n. 24418/10, si
può distinguere il processo operativo in cinque distinte Fasi.
1. Preliminarmente è necessario individuare per ciascuna operazione intervenuta
in conto la relativa data disponibile e riordinare l'estratto conto per detta
data.
2. Si procede a scindere il saldo del conto in linea capitale (e interessi
debitori) e linea interessi/competenze.
3. Si ricalcolano gli interessi (con separata indicazione di quelli entro il
fido ed extra fido) e le C.M.S. sul saldo capitale (capitalizzazione semplice).
Per verifica è utile tenere anche evidenza degli interessi e commissioni di
massimo scoperto illegittimi, rivenienti dalla capitalizzazione.
4. Si individuano le rimesse solutorie: il saldo capitale viene, volta per
volta, rettificato tenendo conto delle rimesse che, assumendo la veste di
"pagamento" di interessi e competenze, non andranno ad intaccare il
saldo in linea capitale, bensì ridurranno il saldo relativo agli interessi
semplici extra fido, alle C.M.S e alle spese. Sul saldo capitale "rettificato"
dovranno quindi essere riconteggiate - in un processo iterativo -gli interessi
e C.M.S..
5. Da ultimo si dovrà calcolare il saldo finale rettificato sommando al saldo
capitale "rettificato" il totale degli interessi semplici entro il
fido ed il residuo non pagato di interessi semplici extra fido, C.M.S. e spese.
2. Determinazione natura rimessa.
La determinazione della natura di pagamento o meno della rimessa intervenuta in
conto è connessa alla quantificazione del saldo disponibile secondo il seguente
schema:
- Conto attivo --» la rimessa ha natura di provvista
- Conto passivo (entro il fido) --» la rimessa ha natura di provvista
- Conto scoperto (oltre il fido) --» la rimessa ha natura solutoria (pagamento)
Nel caso di un conto privo di affidamento qualunque rimessa intervenuta in
presenza di un saldo negativo riveste la natura di pagamento.
Assume la forma di pagamento solo la quota della rimessa corrispondente agli
interessi semplici extrafido, alle competenze e al credito in extra fido.
3. Individuazione del saldo disponibile.
Per l'individuazione del saldo disponibile, occorre far riferimento alla
tipologia dei movimenti registrati sul conto in esame.
- per gli addebiti:
- Assegni emessi a favore di terzi: data contabile, in quanto, fino al momento
in cui il terzo beneficiario non presenta il titolo all'incasso, la banca non è
a conoscenza dell'emissione del titolo e non si determina di conseguenza nessun
decremento della disponibilità;
- Prelevamenti, assegni circolari, disposizioni di pagamento: data contabile
(per tali operazioni la data contabile risulta coincidente con la data valuta);
- Spese bancarie, bolli ed interessi passivi: data contabile;
- Effetti ritirati / insoluti: data contabile.
- per gli accrediti:
- versamento di contanti e assegni emessi dalla stessa banca: data contabile;
- accredito di bonifici, ricavo effetti/assegni dopo incasso, accrediti POS:
data contabile;
- giroconti: data contabile;
- versamento di assegni bancari e circolari di altre banche, assegni posdatati:
data valuta;
- accredito effetti SBF: data valuta;
- rettifica valute e storni: data contabile, una volta appurato che la stessa
data è stata adottata per le poste a cui le rettifiche e gli storni si
riferiscono;
In caso di operazioni plurime andranno computati prima gli addebiti e poi gli
accrediti.
4. Esempio di ricalcolo.
Si consideri un breve conto corrente acceso in data 31/12/89 ed estinto il
31/12/92, sul quale insistono le seguenti condizioni:
- fido 100.000;
v' tassi debitori medi del periodo;
v' aliquota C.M.S. 0,5%;
v' spese 50 trimestrali;
v' capitalizzazione trimestrale.
Sul conto sono intervenuti i seguenti movimenti:
1. prima fase.
La prima fase del ricalcolo consiste nell'individuare per ciascuna operazione
la data disponibilità secondo gli usuali criteri della
revocatoria bancaria e riordinare per detta data l'estratto conto.
2. seconda fase.
Nella seconda fase occorre separare i movimenti di capitale dalle operazioni di
addebito delle competenze passive.
3. terza fase.
Nella terza fase devono essere rideterminati gli interessi e le C.M.S. sul
saldo in linea capitale46 (ovvero in capitalizzazione semplice).
4. quarta fase.
Nella quarta fase dovranno essere individuate le rimesse solutorie e
rideterminato il saldo in linea capitale. Dopo ciascun pagamento, modificandosi
il saldo capitale dovranno essere ricalcolate le competenze successive. Tale
ricalcolo andrà a sua volta a rideterminare le rimesse solutorie in un processo
iterativo.
5. quinta fase.
L'ultimo passo consiste nella determinazione del saldo finale rettificato: al
saldo finale in linea capitale dovranno essere uniti gli interessi semplici
relativi all'entro fido ed il residuo di interessi semplici relativi all'extra
fido e le altre competenze (C.M.S. e spese).
Le cinque fasi precedentemente descritte rappresentano uno sviluppo logico
semplificato, funzionale alla ricostruzione del rapporto nel rispetto dei
principi stabiliti dalla norma.
Tuttavia, su un piano pratico, le fasi sopra descritte possono essere inglobate
in un processo entro un unico modello di calcolo.
Nelle pagine seguenti si riporta un esempio di modello con la dettagliata
descrizione di ciascuna voce.
Come già rilevato, per semplicità espositiva, nel ricalcolo delle competenze è
stato impiegato il saldo per data disponibilità. Tuttavia, qualora i giorni
valuta siano correttamente indicati nel contratto, occorre tener distintamente
evidenza del saldo disponibile per determinare la natura di ciascuna rimessa e
del saldo per valuta sul quale calcolare le competenze rettificate.
A) data disponibilità
Preliminarmente occorre desumere per ciascuna operazione la "data
disponibilità" secondo gli usuali criteri stabiliti dalla giurisprudenza
per le revocatorie fallimentari (ante riforma). Le operazioni devono quindi
essere ordinate cronologicamente secondo tale data.
B - C) mastrino capitale (dare e avere)
Operazioni a credito e a debito come riportate nell'estratto conto.
D) interessi creditori
Interessi creditori calcolati sul saldo in linea capitale rettificato entro
fido (col. M)
E) interessi debitori banca
Interessi computati dalla banca come indicati in estratto conto.
F) C.M.S. banca
C.M.S. computate dalla banca come indicate in estratto conto.
G) spese banca
Spese computate dalla banca come indicate in estratto conto.
H) saldo banca
Somma dei movimenti di capitale e degli interessi calcolati dalla banca [es.
F16=F15- B16+C16++D16+E16+F16+G16].
I) pagamenti interessi
Importo delle rimesse solutorie, legittime e non più ripetibili. Si configura
un pagamento solutorio unicamente in presenza di una rimessa intervenuta con un
saldo in linea capitale rettificato (col. K) oltre il fido concesso. L'importo
del pagamento sarà il minore tra l'importo della rimessa (col. C) e la somma
dei saldi degli interessi semplici extra fido (col. R), delle C.M.S.
rettificate (col. T) e delle spese ricalcolate (col. V) [es.
G16=SE(E(K15«L15;C16»0);MIN(-(R15+T15+V15);C16);0)].
J) saldo pagamenti
Somma dei pagamenti intervenuti alla relativa data [es. J16=somma($I$1:GI6)
oppure J16=J15+I16)].
K) saldo capitale rettificato
Somma dei movimenti in linea capitale (dare e avere) al netto dei pagamenti
intervenuti [es. K16=K15-B16+C16+D16-I16].
L) fido
Fido accordato al correntista eventualmente desunto dagli estratti conto o
dalla visura storica dei dati presenti presso la Centrale dei Rischi della
Banca d'Italia
M - N) Saldo in linea capitale rettificato debitore entro/extra fido
Distinzione del saldo in linea capitale rettificato entro e oltre il fido [es.
M16=SE(K16«0;SE(K16»L16;K16;L16);0) e N16=SE(K16»L16;0;K16-L16)]
O) interessi debitori capitalizzazione semplice entro fido
Interessi debitori calcolati sul saldo in linea capitale rettificato entro fido
(col. M)
P) saldo interessi debitori capitalizzazione semplice entro fido
Somma degli interessi debitori calcolati sul saldo in linea capitale
rettificato entro fido alla relativa data [es. P16=somma($O$1:O16) oppure
P16=P15+O16].
Q) interessi debitori capitalizzazione semplice extra fido
Interessi debitori calcolati sul saldo in linea capitale rettificato extra fido
(col. N).
R) saldo interessi debitori capitalizzazione semplice extra fido
Somma degli interessi debitori calcolati sul saldo in linea capitale
rettificato extra fido alla relativa data al netto dei pagamenti intervenuti
[es. R16=R15+Q16+SE(I16»-R15;- R15;I16)].
S) C.M.S. ricalcolate
C.M.S. ricalcolate sul saldo capitale rettificato (col. K).
T) saldo C.M.S. ricalcolate
Somma delle C.M.S. ricalcolate sul saldo capitale rettificato (col. K) al netto
dei pagamenti intervenuti [es. T16=T15+S16+SE(I16«-R15;0;SE(I16+R15»-T15;-
T15;I16+R15))].
U) spese ricalcolate Spese ricalcolate.
V) saldo spese ricalcolate
Somma delle spese ricalcolate al netto dei pagamenti intervenuti [es. V16=V15+U16+SE(I16«-(R15+T15);0;SE(I16+R15+T15»-V15;-V15;I16+R15+T15))].
W) saldo interessi e competenze liquide ed esigibili
Somma degli interessi extra fido e delle C.M.S. e spese ricalcolate al netto
dei pagamenti intervenuti (col. I) [es. W16=R16+T16+V16].
X) interessi e competenze illegittimi
Differenza tra gli interessi, C.M.S. e spese calcolati dalla banca e gli
interessi, C.M.S. e spese ricalcolati. [es. X16=E16+F16+G16-O16-Q16-S16-U16].
Y) saldo interessi debitori illegittimi ripetibili
Somma degli interessi e competenze illegittimi alla relativa data [es.
Y16=somma($X$1:X16) oppure Y16=Y15+X16].
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi sig.ri Magistrati:
Dott. MICHELE DE LUCA Primo Pres.te
Dott. VINCENZO PROTO Presidente sezione
Dott. Antonio MERONE, Consigliere
Dott. Luigi PICCIALLI, Consigliere
Dott. Antonio SEGRETO, Consigliere
Dott. Renato RODORF, Relatore Consigliere
Dott. Luigi MACIOCE, Consigliere
Dott. Filippo CURCURUTO Consigliere
Dott. Ulpiano MORCAVALLO Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso 22421-2009 proposto da: XXX, capogruppo del gruppo bancario
"X", in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliate in ...;
ricorrente contro YYY, elettivamente domiciliato in ...; controricorrente e
ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 97/2009 della CORTE D'APPELLO di
Lecce, depositata il 19.02.2009; udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 23.11.2010 dal consigliere dott. Renato RORDORF; uditi gli
avvocati Lucio DE ANGELIS, Giuseppe DELL'ANNA MISURALE, Giorgio TARZIA e
Giuseppe NUZZACI e Antonio TANZA.
Udito il P. M in persona del sostituto procuratore generale, Raffaele
CENICCOLA, che ha concluso per l'accoglimento del secondo motivo del ricorso
principale, rigetto nel resto; rigetto del ricorso incidentale
Svolgimento del processo
Il sig. YYY con atto notificato il 21 giugno 2001, citò in giudizio dinanzi al
tribunale di Lecca, la Banca "X", in prosieguo indicata come Banca
"X". Riferì di aver versato a detta banca, dopo la chiusura di alcuni
rapporti di conto corrente, con essa intrattenuti tra il 1995 e il 1998, un
importo comprensivo di interessi computati ad un tasso extralegale e
capitalizzati trimestralmente per l'intera durata dei menzionati rapporti.
Chiese quindi che, previa declaratoria di nullità della clausola contrattuale
inerente agli interessi sopra indicati, la banca convenuta fosse condanna a
restituire quanto indebitamente a questo titolo percepito.
La Banca "X" si difese contestando la fondatezza della pretesa
dell'attore ed eccependo la prescrizione del diritto azionato.
L'adito tribunale, accolse in parte le domande del sig. YYY e condannò la banca
a restituirgli l'importo di euro 113.571,08.
Chiamata a pronunciarsi sui contrapposti gravami delle parti, la corte
d'appello di Lecce, con sentenza non definitiva, resa pubblica il 19.2.2009,
accolse parzialmente la sola impugnazione principale, in quanto ritenne che
validamente fosse stata pattuita la
corresponsione di interessi ad un tasso extralegale. Confermò invece la
declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale dei
medesimi interessi, escludendo di potervi validamente sostituire un meccanismo
di capitalizzazione annuale e ribadì il rigetto dell'eccezione di prescrizione
con cui l'istituto di credito aveva inteso paralizzare l'azione di ripetizione
di indebito proposta dal correntista.
Avverso tale sentenza la Banca ha avanzato ricorso per cassazione prospettando
due motivi di censura.
Il sig. YYY si è difeso con controricorso ed ha proposto un ricorso
incidentale, articolato in due motivi ed illustrato poi anche con memoria, alla
quale la Banca ha replicato, a propria volta con un controricorso del pari
illustrato da successiva memoria.
La particolare importanza delle questioni sollevate ha indotto ad investirne le
Sezioni Unite.
All'esito della discussione in pubblica udienza, il difensore della ricorrente
ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico Ministero.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente
essere
riuniti, come dispone l'art. 335 c.p.c.
2. I due motivi del ricorso principale, entrambi volti a denunciare errori di
diritto e vizi di motivazione dell'impugnata sentenza, investono
rispettivamente due distinte questioni:
a) se l'azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il
quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli
interessi maturati su un'apertura di credito in conto corrente e chiede perciò
la restituzione di quanto, a questo titolo corrisposto alla banca, si prescriva
a partire dalla data di chiusura del conto, o partitamente da quando è stato
annotato in conto ciascuna addebito per interessi;
b) se, accertata la nullità dell'anzidetta clausola di capitalizzazione
trimestrale, gli interessi debbano essere computati con capitalizzazione
annuale o senza capitalizzazione alcuna.
3. Giova premettere che i rapporti di conto corrente dei quali nella presente
causa si discute risultano essersi svolti ed essere stati chiusi in data
precedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, con cui è stato
modificato l'art. 120 del D.Lgs, n. 385 del 1993 (Testo Unico bancario). Ad
essi non è quindi applicabile la disciplina dettata, in attuazione della
richiamata normativa, dalla Delibera emessa il 9 febbraio 2000 dal comitato
interministeriale per il credito ed il risparmio (C.I.C.R.). Perciò, anche per
effetto della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 25 terzo comma del
citato D.Lgs. n. 342/99, pronunciata dalla corte Costituzionale con la sentenza
n. 425 del 2000, la disciplina cui occorre qui fare riferimento è esclusivamente
quella antecedente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della
menzionata Deliberadel C.I.C.R.).
Su tale base è stata dichiarata nelle pregresse fasi del giudizio di merito la
nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico
del cliente, che figurava nei contratti conto corrente bancario di cui tratta,
in conformità all'orientamento di questa Sezione Unite, secondo cui la
legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del
correntista bancario va esclusa anche con riguardo al periodo anteriore alle
decisioni con le quali la Suprema Corte, ponendosi in contrasto con l'indirizzo
giurisprudenziale sin lì seguito, ha accertato l'inesistenza di un uso
normativo idoneo a derogare al precetto dell'art. 1283 c.c. (Sez. Un. 4
novembre 2004, n. 21095). Deriva da ciò la pretesa del correntista di ripetere
quanto indebitamente versato a titolo di
interesse illegittimamente computati a suo carico dalla banca, ma occorre
stabilire all'accoglimento di tale pretesa osti l'intervenuta prescrizione.
Infatti, se l'azione di nullità è imprescrittibile, altrettanto non è a dirsi -
come chiaramente indicato dall'art. 1422 c.c. - per le conseguenti azioni
restitutorie; donde, appunto, la già richiamata necessità di individuare il
dies a quo del termine di prescrizione decennale applicabile, in casi come
questi, alla condictio indebiti.
3.1. A tale riguardo è opportuno anzitutto ricordare come la pregressa
Giurisprudenza di questa Corte, alla quale anche l'impugnata sentenza ha fatto
riferimento, abbia già in passato avuto occasione di affermare che il termine
di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca
indebitamente a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente
decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto
unitario che dà luogo ad unico rapporto giuridico, anche se articolato in una
pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto si
stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro ( Cass.
9 aprile 1984, n. 2262; e Cass. 14 maggio 2005, n. 10127).
A siffatto orientamento, che non tutta la dottrina ha condiviso, la banca
ricorrente muove critiche che son degne di attenzione. Può condividersi il
rilievo secondo cui l'unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto
di conto corrente bancario non è, di per sé solo, elemento decisivo al fine di
individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il
termine di prescrizione del diritto alla ripetizione di indebito che, in caso
di poste non legittimamente iscritte nel conto medesimo, eventualmente spetti
al correntista nei confronti della banca. Ogni qualvolta un rapporto di durata
implichi prestazioni in denaro ripetute o scaglionate nel tempo - si pensi alla
corresponsione dei canoni di locazione o d'affitto, oppure del prezzo nella
somministrazione periodica di cose - l'unitarietà del rapporto contrattuale ed
il fatto che esso sia destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce
di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende
dalla nullità del titolo giustificativo dell'esborso, sin dal momento in cui il
pagamento medesimo abbia avuto luogo; ed è sempre da quel momento che sorge dunque
il diritto del solvens alla ripetizione e che la relativa prescrizione inizi a
decorrere.
Nondimeno, con specifico riguardo al contratto di apertura di credito bancario
in conto corrente, la conclusione alla quale era pervenuta la giurisprudenza
sopra richiamata va tenuta ferma in base alle considerazioni ed entro i limiti
di cui appresso.
3.2. Occorre considerare che, con tutta ovvietà, perché possa sorgere il
diritto alla ripetizione di un pagamento l'indebitamento eseguito, tale
pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. Senza indulgere in inutili
disquisizioni nella nozione di pagamento nel linguaggio giuridico e sulla sua
assimilazione o distinzione dalla più generale nozione di adempimento, appare
indubbio che il pagamento, per dar vita ad un'eventuale pretesa restitutoria di
chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto
nell'esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il
solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto
(l'accipiens); e lo si può dire indebito - e perciò ne consegue il diritto di
ripeterlo a norma dell'art. 2033 - quando difetti di una idonea causa
giustificativa.
Non può, pertanto, ipotizzarsi, il decorso del termine di prescrizione del
diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico,
definibile come pagamento, che l'attore pretende essere indebito, perché prima
di quel non è configurabile alcun diritto di ripetizione. Ne tale conclusione
muta nel caso in cui il pagamento debba dirsi indebito in conseguenza
dell'accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione al quale è stato
effettuato, altra essendo la domanda volta a far dichiarare la nullità di un
atto che non si prescrive affatto, altra quella volta ad ottenere la condanna
alla restituzione di una prestazione eseguita: sicché questa Corte ha già in
passato chiarito che con riferimento a questa ultima domanda il termine di
prescrizione inizia a decorrere non dalla data della decisione che abbia
accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento ma da quella del
pagamento stesso (Cass. 13 aprile 2005, n. 7651).
3.3. I rilievi che precedono sono sufficienti a convincere di come
difficilmente possa essere condiviso il punto di vista della ricorrente, che,
in casi del genere di quello in esame, vorrebbe individuare il dies a quo del
decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola
posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista.
L'annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito
del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in
nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non
vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore
della banca. Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimità
dell'addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far
dichiarare la nullità del titolo su cui quel addebito si basa e, di conseguenza,
per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E
potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di
recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido
concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto
tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.
Occorre allora aver riguardo, più ancora che al già ricordato carattere
unitario del rapporto di conto corrente, alla natura ed al funzionamento del contratto
di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata. Come
agevolmente si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di
credito si attua la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di
denaro che il cliente può utilizzare anche in più ripresa e della quale, per
l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la
disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali
ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli.
Se, pendente l'apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della
facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun
pagamento da parte sua, prima del momento in cui chiuso il rapporto egli
provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso,
qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di
interessi in misura non consentita, l'eventuale azione di ripetizione di
indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura
del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo
termine di prescrizione.
Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia
effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi
potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare
oggetto di ripetizione ( ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo
scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo
accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o,
come in simili situazioni si preferisce di dire "scoperto") cui non
accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i
versamenti siano destinati a coprire in passivo eccedente i limiti
dell'accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i
versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento
concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista
della quale il correntista può ancora continuare a godere. L'accennata
distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento
compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca
opportunamente richiamata anche nell'impugnata sentenza della Corte D'appello è
ben nota alla Giurisprudenza (che ne ha fatto applicare in innumerevoli casi, a
partire da Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413 sino a tempi più recenti si vedano ad
es. Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; Cass. 23 novembre 2005 n. 24588).
Pur se elaborata ad altri fini detta distinzione non può non venire in
evidenzia anche quando si tratti di stabilire se è o meno configurabile un
pagamento asseritamene indebito da cui possa scaturire una pretesa restitutoria
ad opera del solvens: pretesa che è soggetta a prescrizione solo a partire dal
momento in cui si può affermare che essa sia venuta ad esistenza. Un versamento
eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite
dell'affidamento concesso dalla banca con l'apertura di credito non ha né lo
scopo né l'effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi
restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe
scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura nell'affidamento
utilizzabile nuovamente in futura dal correntista. Non è, dunque, un pagamento,
perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà di
indebitamento del correntista; la circostanza che, in quel momento il saldo
passivo del conto sia influenzato dai interessi legittimamente fin li computati
si traduce in un'indebita limitazione di tale facoltà di maggiore
indebitamento, ma nel pagamento anticipato di interessi. Di pagamento, nella
descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il
rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia estratto dal
correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino
compresi interessi non dovuti, e, perciò, da restituire se corrisposti dal
cliente all'atto della chiusura del conto.
3.4. Nel caso in esame la corte territoriale ha appunto affermato che i
pagamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto di apertura di
credito regolato in conto corrente "non costituiscono (sostiene
l'appellante) pagamenti (indebiti), ma atti ripristinatori della
provvista" (Sent. impugnata pag. 7).
La ricorrente non ha censurato tale affermazione, ne ha comunque sostenuto che
vi fossero in atti elementi dai quali si sarebbe desumere una realtà diversa.
Ne consegue che il primo motivo del ricorso principale và rigettato alla luce
del seguente principio di diritto:
"Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario
regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità
della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la
ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di
prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre,
qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano
avuto solo funzione ripristinatoria della provvista dalla data in cui è stato
estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati".
4. La questione se, accertata la nullità dell'anzidetta clausola di
capitalizzazione trimestrale, gli interessi debbano essere computati con
capitalizzazione annuale o senza capitalizzazione alcuna forma oggetto, come
già detto, del secondo motivo di ricorso.
La corte d'appello ha interpretato le clausole riportate nel contratto di conto
corrente stipulato dal signor YYY con la banca "X" nel senso che, in
caso di conto in attivo per il cliente, la capitalizzazione degli interessi a
suo favore fosse prevista a scadenze annuali, mentre, in caso di conto in
passivo, la capitalizzazione degli interessi in favore della banca avrebbe
dovuto avvenite trimestralmente. Accertata la nullità di quest'ultima
previsione contrattuale ed esclusa ogni possibile integrazione legale del
contratto, la corte di appello ha tratto la conclusione che non residui alcuno
spazio per la capitalizzazione annuale degli interessi pretesa dalla banca.
Secondo la ricorrente siffatta interpretazione non sarebbe conforme ai criteri legali
di interpretazione dei contratti ed implicherebbe un'indebita estensione della
declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale anche
alla diversa ipotesi di capitalizzazione annuale degli interessi, rispetto alla
quale non sussisterebbero le medesime ragioni di invalidità.
4.1. Neppure siffatte censure colgono nel segno.
L'art. 7 del contratto di apertura di credito in conto corrente da cui origina
la presente causa continue due commi: il primo prevede la chiusura contabile
annuale dei rapporti, di dare e avere tra le parti, con registrazione in conto
degli interessi, delle commissioni e delle spese; il secondo stabilisce che i
conti anche saltuariamente debitori siano invece chiusi trimestralmente quindi
con capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nel periodo a carico
del correntista, ferma restando la capitalizzazione annuale di quelli
eventualmente spettanti a suo credito.
L'interpretazione che di tale clausola di contratto ha dato la Corte di merito
è essenzialmente fondata su un argomento di tipo logico-sistematico, in linea
con la previsione del art. 1363 c.c., oltre che su rilievo dato al
comportamento successivo delle parti (art. 1362, comma 2, c.c.).
Non è apparso infatti sostenibile alla Corte Leccese il primo comma della
clausola in esame, nel prevedere la capitalizzazione annuale degli interessi,
si riferisse anche a quelli eventualmente maturati a debito del correntista e
che, perciò, venuta meno la previsione del secondo comma che assoggettava
invece tali interessi debitori alla capitalizzazione trimestrale, dovesse
trovare applicazione per essi la capitalizzazione annuale. Si osserva che
nell'impugnata sentenza che alla capitalizzazione degli interessi debitori per
il correntista si riferisce espressamente il secondo comma, prevedendola su
base trimestrale, e che tale previsione, immaginata ovviamente come valida al
tempo della sua predisposizione conduce evidentemente ad escludere che agli
stessi interessi debitori le parti abbiano inteso applicare anche in regime -
diverso ed incompatibile - della capitalizzazione annuale contemplato dal primo
comma. Il che ha condotto alla ragionevole conclusione secondo cui il
riferimento del medesimo primo comma agli interessi debba essere inteso come
limitato agli interessi a credito del correntista, essendo la capitalizzazione
di quelli a debito destinata necessariamente a cadere sotto la differente
disciplina dettata dal secondo comma.
La banca ricorrente, nel contestare che questa interpretazione corrisponda
davvero alla comune intenzione delle parti del contratto, non individua in modo
puntuale quali regole di ermeneutica legale sarebbero state eventualmente
violate, né pone in luce contraddizioni logiche nello sviluppo argomentativi
che sorregge la conclusione raggiunta dalla Corte di merito.
Non appare d'altronde condivisibile l'affermazione secondo cui sarebbe stata in
tal modo arbitrariamente estesa la nullità della clausola di capitalizzazione
trimestrale degli interessi anche alla clausola di capitalizzazione annuale.
Vero è invece che, come già chiarito, quest'ultima clausola è stata considerata
irrilevante ai fini della decisione della causa, in quanto non riferibile al
calcolo degli interessi a debito del correntista. La capitalizzazione annuale è
stata dunque esclusa per difetto di qualsiasi base negoziale che l'abbia
prevista e non perché sia stata dichiarata nulla la clausola che la prevedeva.
Del resto, non è il caso di tacere che neppure potrebbe essere condivisa la
tesi secondo la quale le ragioni di nullità individuate dalla giurisprudenza di
questa Corte per le clausole di capitalizzazione degli interessi debitori
registrati in conto corrente investirebbero solo il profilo della loro
periodizzazione trimestrale. Detta giurisprudenza, come è noto, ha escluso di
poter ravvisare un uso normativo atto a giustificare, nel settore bancario, una
deroga ai limiti posti all'anatocismo dall'art. 1283 c.c.: ma non perché abbai
messo in dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine consistente nel
prevedere nei contratti di conto corrente bancari la capitalizzazione
trimestrale degli indicati interessi, bensì per difetto del requisito della
"normatività" di tale pratica. Sarebbe, di conseguenza, assolutamente
arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l'esistenza di usi normativi
di capitalizzazione trimestrale degli interessi, quella medesima giurisprudenza
avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi
normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di normatività, usi
siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà
storica dell'ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della
fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una
diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio uris ac necessitatis)
di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto
anche una consuetudine di capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né
di necessario bilanciamento con quelli creditori.
4.2. Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale può essere dunque
accompagnato dall'enunciazione del seguente principio di diritto:
"L'interpretazione data dal Giudice di merito all'art. 7 del contratto di
conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile
2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli
interessi contemplata dal primo comma di detto articolo si riferisce solo ad
interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la
capitalizzazione degli interessi a debito previsto dal comma successivo su base
trimestrale, è conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, ed
in particolare, a clausole: con la conseguenza che, dichiarata la nullità della
surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto
con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. (il quale osterebbe
anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli
interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare
capitalizzazione alcuna."
5. Quanto alla misura del tasso di interesse applicato dalla banca al rapporto
in esame, che è la questione su cui vertono i due motivi del ricorso
incidentale, è necessario ricordare come la Corte Territoriale abbia reputato
soddisfatto il requisito della pattuizione per iscritto del tasso extralegale,
posto dall'ultimo comma dell'art. 1284 c.c., perché la difesa dell'istituto di
credito ha prodotto in giudizio le proposte contrattuali, firmate dal Sig. L.,
contenenti appunto l'indicazione di un tasso di interesse superiore a quello
previsto dalla legge.
Il ricorrente non contesta il consolidato principio giurisprudenziale al quale
la Corte d'Appello si è richiamata, e cioè che la produzione in giudizio di una
scrittura privata ad opera di una parte che non l'abbia sottoscritta
costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e pertanto
perfeziona il contratto in essa contenuto, purché la controparte del giudizio
sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato,
prima della produzione, il consenso prestato (cfr. Cass. 12 giugno 2006, n.
13548; Cass. 16 maggio 2006, n. 11409; Cass. 8 marzo 2006, n. 4921, e numerose
altre conformi) egli afferma, però, che la banca avrebbe in realtà applicato
interessi diversi da quelli indicati nelle surriferite scritture, adeguandosi
agli usi correnti su piazza (primo motivo del ricorso incidentale); ed aggiunge
che la Corte di Appello avrebbe trascurato di tenere conto della produzione ad
opera della difesa del medesimo Sig. L., di una lettera, inviata alla
controparte prima dell'inizio della causa, nella quale era stata espressa
l'intenzione di revocare la volontà manifestata in qualsiasi precedente
scrittura (secondo motivo).
5.1. Nemmeno il ricorso incidentale appare meritevole di accoglimento.
La circostanza che la banca possa aver di fatto applicato interessi ad un tasso
diverso da quello pattuito - pattuizione la cui validità discende dal principio
di diritto enunciato dalla giurisprudenza sopra richiamata, al quale il Giudice
di merito appare essersi correttamente attenuto - non è circostanza idonea ad
invalidare ex post la pattuizione stessa; ma implica che sia stata stipulata
tra le parti un'altra, priva del necessario requisito formale o ancorata a
parametri oscillanti e non adeguatamente predeterminabili. Detta circostanza
potrebbe semmai aver rilievo, ai fini della decisione della causa, solo qualora
i tassi di interesse in concreto applicati dalla banca fossero stati superiori
a quelli indicati nei documenti contrattuali sottoscritti dal correntista e
prodotti in giudizio dalla banca medesima; ma ciò non risulta, o comunque il
ricorrente incidentale non documenta di averlo provato nel corso del giudizio
di merito. Il che basta a privare la sua doglianza di fondamento.
L'assunto secondo il quale il Sig. YYY avrebbe revocato la dichiarazione
contrattuale da lui sottoscritta prima che questa fosse prodotta in causa dalla
banca, non può messere apprezzato in questa sede. Il ricorrente incidentale si
limita, infatti, a riportare tra virgolette un passaggio della lettera
contenente tale asserita revoca; ma solo la lettura integrale del documento
consentirebbe davvero di valutarne la portata negoziale, né lo stesso ricorrente
ha indicato con sufficiente precisione in quale atto del giudizio di merito
quel documento, sul quale il motivo di ricorso si fonda, è stato prodotto
(limitandosi a dire che risulta "prodotto in atti"); e neppure appare
averlo autonomamente depositato nella cancelleria di questa Corte: onde non può
dirsi siano state a questo riguardo rispettate le prescrizioni dettate,
rispettivamente a pena di inammissibilità ed improcedibilità, degli artt. 366,
comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c.
6. Il rigetto di entrambi i ricorsi e la conseguente reciproca soccombenza
induce a compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa tra le parti le spese del
giudizio di Legittimità.
Così deciso, in Roma il 23 novembre 2010
L'Estensore Il Presidente
(Renato Rordorf) (Michele De Luca)
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2010
1) Documento predisposto con la collaborazione, per la parte giuridica, del
dott. Bruno De Ciccio e, per la parte operativa, del dott. Alberto Bonomo e
dott. Antonio Giulio Pastore.
2) Cfr. R. Marcelli. Decorrenza dei termini di prescrizione decennale, 2009, in
http://www.assoctu.it.
3) Il conto corrente bancario o di corrispondenza si configura principalmente
nella prestazione da parte della banca di un servizio di cassa e di gestione
del denaro, riconducibile allo schema del mandato senza rappresentanza.
L'apertura di credito si qualifica come il contratto con il quale la banca si
obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato
periodo di tempo o a tempo indeterminato, che il cliente può utilizzare in
tutto o in parte secondo le proprie necessità, ripristinando con versamenti il
credito disponibile e riconoscendo alla banca gli interessi, commisurati al
tasso e all'ammontare del credito effettivamente utilizzato nel periodo.
L'apertura di credito costituisce un contratto distinto dal contratto di conto corrente
di corrispondenza, ha una vita autonoma, con separati momenti di apertura e
chiusura. Per l'apertura di credito non si impiega, di norma, un'autonoma
registrazione contabile, bensì essa viene inserita nel conto corrente,
determinando di fatto una disponibilità ulteriore che si unisce a quella creata
dal correntista mantenendo tuttavia la distinzione. In sede di pignoramento o
di sequestro da parte dei creditori del cliente, il debito della banca oggetto
di procedura è quello risultante a credito del cliente, senza tener conto della
disponibilità creata con l'apertura di credito (Cass. 2915/92).
4) Una ordinanza del Tribunale di Verbania (23/9/10) aiuta a comprendere meglio
gli elementi che sviliscono una visione unitaria del rapporto: "ritenuto
che il contratto di conto corrente bancario non è un univoco contratto
dall'uniforme contenuto negoziale ma è uno schema negoziale aperto, soltanto
integrato dalle disposizioni del codice civile, che sempre più si caratterizza
come strumento attraverso il quale si perfezionano e trovano esecuzione
molteplici negozi giuridici nei quali la banca può assumere nei confronti del
proprio cliente varie vesti dai vari contenuti obbligatori - ora di semplice
custode del denaro del correntista il quale, in ogni momento, può prelevare le
proprie somme "custodite' sul proprio conto corrente presso la banca; ora
di mandataria di ordini di pagamento, è questo ad esempio il caso delle
domiciliazioni bancarie delle utenze varie operate dal correntista sul proprio
conto o il caso del pagamento degli assegni tratti sul proprio conto dal
correntista e girati a terzi; ora di mutuante laddove ponga a disposizione del
cliente somme di denaro da potersi utilizzare anche al di là della provvista
sussistente sul conto vanno tenuti distinti gli atti di versamento operati dal
correntista sul proprio conto corrente, laddove incrementino la provvista; per
quanto detto appare riduttivo ed apodittico affermare che tutte le operazioni
in conto corrente costituiscano semplici variazioni quantitative dell'unico
originario rapporto costitutivo tra la banca ed il cliente, mentre appare più
convincente ed anche aderente alla realtà dei traffici economico-giuridici,
distinguere le varie operazioni eseguite sul conto corrente attribuendo loro il
significato di solutio o di mero incremento della provvista a seconda della
loro autonoma ed effettiva destinazione".
5) Né si può ritenere che operi la prescrizione quinquennale ai sensi dell'art.
2948 m. 4 c.c. prevista per il pagamento degli interessi e, in generale, di
tutto ciò che deve corrispondersi periodicamente in ragione d'anno o in termini
più brevi. Si ritiene che la norma si riferisca agli interessi richiesti dal
creditore, accessori al capitale dovuto dal debitore, non alla ripetizione di
interessi pagati e non dovuti e, quindi, alla ripetizione di un indebito
oggettivo. Parimenti non può ritenersi applicabile l'art. 2947 c.c. non
trattandosi di credito risarcitorio per fatto illecito della banca.
6) Si può prescindere dalla natura della rimessa quando ad agire nei confronti
della banca è il fideiussore: In tali casi, è forse corretto affermare che il
fideiussore, la cui obbligazione di garanzia diviene esigibile solo al momento
in cui la banca abbia revocato gli affidamenti concessi al debitore principale
e sia receduta dal contratto di credito in essere, è posto concretamente in
grado di far valere le eccezioni già spettanti al correntista solo allorché la
banca richieda il pagamento del saldo debitorio finale; sicché la prescrizione
del suo diritto allo scorporo di interessi e competenze addebitate
illecitamente in conto non può che decorrere dalla data in cui egli sia messo
concretamente in condizione - con la richiesta di escussione della garanzia
prestata - di prenderne cognizione. Ma nel caso di specie i (...) sono stati
evocati in giudizio non solo quali fideiussori del marito e padre (...), ma
anche quali suoi eredi a titolo universale: sicché essi rinvengono nel
patrimonio ereditario, in quanto tali, i diritti e le obbligazioni che già
facevano capo al de cuius e nella consistenza giuridica che avevano - anche
sotto il profilo della perdurante decorrenza dei termini di prescrizione - al
momento della successione (Trib. Novara, Sent. n. 145/06, G. Pannicelli).
7) D'altra parte la previsione contrattuale prevista nel regolamento del conto
corrente - all'articolo riferito alle aperture di credito in conto e agli
affidamenti nella forma di castelletto con regolamento in c/c che la banca
ritenesse eventualmente di concedere -preclude l'imputazione preventiva delle
rimesse agli interessi maturati sul fido: "il correntista può utilizzare
in una o più volte la somma messagli a disposizione e può con successivi
versamenti ripristinare la sua disponibilità".
8) Anche per la prescrizione applicabile al contratto di mutuo la Cassazione
(Cass. Civ. Sez. III, 10 settembre 2010, n. 19291) ha previsto: "E'
pacifico, infatti, che nella specie, trattandosi di contratto di mutuo, e
quindi di contratto di durata, in cui l'obbligo di restituzione del capitale
sia differito nel tempo, i singoli ratei non costituiscono autonome e distinte
obbligazioni, bensì l'adempimento frazionato di un'unica obbligazione. Ne
consegue che la prescrizione decennale, applicabile al caso in esame, non può
che decorrere dalla scadenza dell'ultimo rateo previsto nel piano di
ammortamento e, perciò, come è stato ritenuto dai giudici di merito, dal giorno
successivo alla data di scadenza per il pagamento dell'ultima rata del mutuo
stesso e cioè dal 26.11.90.".
9) F. Mastromarino, Il dies a quo della prescrizione dei diritti
dell'indebitamento nel conto corrente bancario, Guida al Diritto, 2010.
10) In tema di revocatoria fallimentare, si impiega il termine "conto
passivo" per indicare il saldo passivo compreso entro il fido e
"conto scoperto" per indicare il saldo passivo in assenza di apertura
di credito o la quota sconfinante il limite di fido.
11) "Devesi osservare che la regolamentazione pattizia del rapporto di
conto corrente bancario, fino al mutato orientamento giurisprudenziale in
materia di capitalizzazione trimestrale, contemplava all'art. 7 co. 2 n.u.b. la
previsione della contabilizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
correntista: "i conti che risultino, anche saltuariamente, debitori
vengono chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente ... applicando
agli interessi dovuti dal correntista e alle competenze di chiusura valuta data
di regolamento del conto...". Ora, se è vero che la clausola summenzionata
deve ritenersi affetta da nullità, per come sopra evidenziato, avuto riguardo,
tra l'altro, alla parte in cui prevede il c.d. anatocismo bancario per
violazione dell'art. 1283 c.c., vero è anche che la detta clausola nelle sue
due articolazioni segnalate (commi 2 e 3) mantiene una sua rilevanza giuridica ai
fini della ricostruzione della comune volontà negoziale delle parti, con
particolare riferimento alla debenza degli interessi dovuti dal correntista
sulle somme messegli a disposizione dalla banca. Non può infatti seriamente
dubitarsi del fatto che gli interessi in questione risultino dovuti, alla
stregua della pattuizione citata, a cadenza trimestrale, in forza della
chiusura contabile del conto prevista per l'appunto alla fine di ogni
trimestre. Il fatto, poi, che la clausola in esame non possa ritenersi operante
ai fini della capitalizzazione trimestrale non toglie che essa valga ad
individuare la debenza degli interessi alla fine di ogni trimestre.
Non appare configurabile nel sistema alcuna norma che precluda alle parti di
prevedere una scadenza trimestrale della obbligazione da interessi per la messa
a disposizione di somme di denaro da parte dell'istituto bancario."
(Tribunale di Catania, Giudice Fichera, 5-6 agosto 2010).
12) Un credito è liquido quando è determinato, o facilmente determinabile, nel
suo ammontare, è esigibile quando non è sottoposto a condizione o termine
ovvero, se subordinato a controprestazione, quando questa è stata eseguita.
13) Cfr. anche Cass. Civ. Sez. III, n. 10281/01; Cass. Civ. Sez. III, n. 5707;
Cass. Civ. Sez. Lav. n. 6228/94; Cass. Civ. Sez. III n. 11014/91; Cass. Civ.
Sez. III, n. 2352/88.
14) Gli interessi relativi all'apertura di credito, con la revoca/scadenza del
fido, divengono, congiuntamente al credito stesso, liquidi ed esigibili:
venendo meno il fido, ogni rimessa diviene solutoria e viene attribuita
prioritariamente a ripianare gli interessi.
15) "... Come spiega autorevole pensiero, nei rapporti tra banca e
correntista oggetto dell'annotazione sono soltanto somme e non crediti
reciproci, giacché l'annotazione della somma produce modifica della quantità di
moneta di cui il correntista può, ex art. 1852 c.c., 'disporre in qualsiasi
momento'. I pagamenti, quindi, non avvengono in moneta legale, ma mediante
semplici 'annotazioni' e, cioè, registrazioni contabili, con il che si può ben
dubitare che si perfezioni il 'pagamento' di cui all'art. 1194 c.c., che, come
spiega il più autorevole pensiero, consiste in un 'ricevimento di pagamento' in
senso tecnico accompagnato dalla imputazione fatta dal debitore ai sensi dell'art.
1193 c.c., giacché il potere di imputazione del pagamento compete al solo
debitore. Del resto, non si vede come applicare alla fattispecie oggetto del
presente giudizio l'art. 1194, 1° comma, c.c. che prevede, appunto, come 'il
debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli
interessi e alle spese, senza il consenso del creditore', quando è la stessa
banca creditrice, al contrario, che ha deciso, invece, di conteggiare
chiaramente sul capitale le variazioni derivanti da rimesse addebitando poi gli
interessi scalari in sede di chiusura periodica.". (Trib. Torino, dott. G.
Rizzi, 5/10/07 in Foro It., 2008, 2, I, pagg. 646 ss.).
16) La menzionata deroga risulterebbe, di fatto, congiungersi con la Delibera
C.I.C.R. 9/2/00, con la quale l'anatocismo è stato sostanzialmente
ripristinato: alle registrazioni nel conto corrente risulterebbe, per altro,
riconosciuto un effetto di pagamento. All'art.2 della Delibera si riporta:
"Nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla
base dei tassi e con la periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo
periodico produce interessi secondo le medesime modalità".
17) "Tale tesi inficia in radice l'operatività, nella fattispecie in
esame, dell'art. 1283 c.c., giacché si risolve nel sostenere che, per
estinguere gli interessi passivi, che maturano giorno per giorno, verrebbero
utilizzate le poste attive del conto corrente (o le aperture di credito
concesse dalla banca al cliente). Se così fosse però, ovviamente alcun anatocismo
maturerebbe (il debito da interessi verrebbe, infatti, immediatamente estinto)
il che contraddice specificamente quanto statuito dalle Sezioni Unite che, come
detto, hanno individuato nel contenuto delle clausole contrattuali "de
quibus" proprio la fattispecie degli interessi anatocistici stabiliti in
violazione della norma di cui all'art.1283 c.c." (Trib. Torino, 5 ottobre
2007, in Foro It., 2008, 2, I, pagg. 646 ss.).
18) Recentemente la Cassazione (Sez. I Civ. 14 aprile 2010, n. 8953), in tema
di azione revocatoria delle rimesse bancarie, ha avuto modo di ribadire:
"Per quanto riguarda il criterio da utilizzare al fine di determinare
quali sono i versamenti aventi natura ripristinatoria della provvista,
escludendone, quindi, la natura solutoria il criterio da utilizzare secondo il
costante e consolidato orientamento di questa Suprema Corte di Cassazione è
quello del saldo disponibile. Questa Suprema Corte ha, infatti, reiteratamente
affermato che le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore poi fallito sono
legittimamente revocabili tutte le volte in cui il conto stesso, all'atto della
rimessa risulti "scoperto", tale dovendosi ritenere sia il conto non
assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente,
sia quello scoperto a seguito di sconfinamento dal fido accordato al
correntista. Pertanto, al fine di accertare se una rimessa del correntista sul
proprio conto corrente sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la
banca, ovvero solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare
riferimento al saldo disponibile del conto, vale a dire all'effettiva
disponibilità di danaro liquido da parte del correntista nel momento in cui
effettua la rimessa, non al "saldo contabile", che riflette la registrazione
delle operazioni in ordine puramente cronologico, né al "saldo per
valuta", che è effetto del posizionamento delle partite in base alla data
di maturazione degli interessi (cfr. tra le molte in tal senso: Cass. n. 4762
del 2007; Cass. n. 26171 del 2006; Cass. n. 24588 del 2005; Cass. n. 24084 del
2004; Cass. n. 12 del 1996; Cass. n. 2744 del 1994).".
19) Ad esempio, in presenza di un conto scoperto, sarebbero da escludere le
rimesse aventi la precipua funzione di fornire la provvista per l'esecuzione di
specifici ordini di pagamento, mancando in tal caso il carattere solutorio del
versamento (partite bilanciate).
20) "Il titolare del conto può proporre, anche prima della chiusura del
contratto, una domanda di accertamento costitutivo, volta alla sola
rideterminazione del saldo. L'accertamento costitutivo del saldo, infatti,
incide nel rapporto di durata in corso, modificandolo e rendendolo conforme al
diritto, senza bisogno della chiusura preventiva del conto corrente e di una
condanna di restituzione. La domanda di accertamento del saldo è volta a
ottenere l'esatta determinazione delle somme a credito e a debito delle parti,
sulla base dell'intera documentazione (disponibile), dall'inizio dei rapporti
di conto corrente al tempo della domanda: detta azione di accertamento è
imprescrittibile (cfr. art. 1422 c.c.) e si può chiedere la modifica delle
poste all'interno del rapporto, così e come accade in altri contratti di durata
(come la somministrazione)." (A. Tanza e G. Nuzzaci, Dal "diritto
delle banche" al "diritto bancario" in: http//www.diritto.net).
21) Qualora si ritenga invece che le rimesse solutorie possano essere
regolarmente imputate a tutti gli interessi, semplici ed anatocistici,
calcolati dalla banca, il saldo capitale andrà rettificato, ricomprendendo
nello stesso detti interessi, nei limiti della natura solutoria della rimessa,
che rimane determinata dall'ammontare delle poste esigibili, costituite dal
credito in extra fido e dei relativi interessi maturati.
22) In realtà, come si è mostrato, anche se il risultano è identico, non si configura
un vero e proprio passaggio a capitale: risultando la rimessa rivolta al
pagamento di detti interessi, il capitale di credito prestato dalla banca non
si riduce dell'importo corrispondente.
23) Qualora si ritenga invece che le rimesse solutorie possano essere
regolarmente imputate a tutti gli interessi, semplici ed anatocistici,
calcolati dalla banca, nel procedimento iterativo di ricostruzione del saldo
del conto, occorre distinguere il periodo prescritto dal successivo.
1. Per il periodo prescritto, le appostazioni a debito operate dalla banca
risultano irripetibili se coperte da rimesse di pagamento. Ogni rimessa avente
natura solutoria, va a ripianare prioritariamente sia gli interessi semplici
che gli interessi anatocistici, entro il limite massimo della quota solutoria
della rimessa. L'eccedenza della rimessa, come le altre rimesse
ripristinatorie, vanno a modificare il saldo in linea capitale che, a sua
volta, in funzione della natura passiva o scoperta dello stesso, consente di
stabilire la natura, oltre che la misura, solutoria o ripristinatoria della
successiva rimessa.
2. Per il periodo non prescritto, ogni rimessa avente natura solutoria, va a
ripianare solo gli interessi semplici relativi al credito in extra fido.
L'eventuale eccedenza della quota solutoria, congiuntamente alle rimesse
ripristinatorie, vanno a modificare il saldo in linea capitale, sul quale
valutare, in funzione della natura passiva o scoperta dello stesso, la
conseguente natura solutoria o ripristinatoria della successiva rimessa.
Alla chiusura del conto, tutti gli interessi semplici che non hanno trovato
copertura in una rimessa di pagamento, previo ricalcolo sul capitale
rettificato, vengono, nella stessa data, sommati al saldo in linea capitale
determinando l'effettivo saldo finale.
24) Anche la quota di rimessa corrispondente alla parte in attivo assume la
veste di provvista. La sentenza delle Sezioni Unite qualifica come rimesse
solutorie solo quelle che intervengono in un conto passivo: "..potranno
essere considerati alla stregua di pagamenti (...) qualora si tratti di
versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si
preferisce dire "scoperto?) cui non accede alcuna apertura di credito a
favore del correntista ..."; di converso, un versamento eseguito su un
conto in attivo, cui non accede alcuna apertura di credito a favore del
correntista - come anche la quota parte attiva di un versamento eseguito su un
conto passivo - non assume la veste di pagamento ma va a costituire una
provvista.
25) Per i rapporti precedenti non vi sarebbe possibilità alcuna per la banca di
modificare unilateralmente le condizione contrattuali, imponendo la parità
nella periodicità degli interessi per il periodo successivo alla Delibera
C.I.C.R. 9/2/00. Tale variazione non costituisce una modifica ai sensi
dell'art. 118 T.U.B. ma una illegittima sanatoria di una clausola nulla.
"La fondatezza del mezzo di gravame è quindi evidente, dal momento che la
norma dichiarata costituzionalmente illegittima (il 3° comma dell'art. 25 D.
Lgs. 342/99), quale che sia la natura del vizio accertato, cessa di avere
efficacia (e non può quindi più essere applicata) dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione (art. 136, primo comma, Cost.). Il venir meno di
tale disposizione, eliminando l'eccezionale salvezza della validità e degli
effetti delle clausole già stipulate, lascia queste ultime, secondo i principi
che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme
anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse
non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione
dell'art. 1283 c.c." (Cass. Civ., Sez. I, 22 febbraio 2005, n. 3589). Cfr.
Roberto Marcelli, L'anatocismo dopo la Delibera C.I.C.R. del 9/2/00: fatta la
pentola il diavolo c'è cascato dentro, in http://www.assoctu.it.
26) La formulazione degli artt. 4 e 6 delle Norme uniforme bancarie prevedono
la possibilità di un'elasticità di cassa non configurabile come un'apertura di
credito.
27) L'art. 1 della Delibera C.I.C.R. 9/2/00 prevede: (Ambito di applicazione)
"Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito
poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi
possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri
indicati negli articoli che seguono.". Gli articoli che seguono trattano
esclusivamente il conto corrente e i finanziamenti con piano di rimborso
rateale.
28) Si può ritenere che non sia propriamente corretto affermare che l'apertura
di credito sia connessa al contratto di conto corrente, quasi ne fosse un
accessorio. A riprova si è richiamato, da parte di taluni autori, quanto
espresso dalla Cassazione 5/12/96 n. 10848: "detta stretta connessione non
esiste affatto, né sul piano della disciplina giuridica dei contratti bancari,
né notoriamente sulla base della prassi bancaria", adducendo anche che,
mentre nella ripartizione tra le parti dell'onere della prova nel giudizio di
revocatoria, il fallimento deve provare il versamento solutorio, la banca, in
via di eccezione deve provare che il versamento non è revocabile in forza
dell'apertura di credito: ove l'apertura di credito fosse connessa al conto
corrente, la prova di entrambe le circostanze dovrebbe essere posta a carico
del fallimento.
29) Secondo l'orientamento della Suprema Corte, ripetuto in numerose decisioni,
il "c.d. 'castelletto di sconto' concreta un negozio con il quale la banca
si impegna, entro il limite e per il periodo di tempo convenuti, a scontare, a
favore di un determinato soggetto, gli effetti e le ricevute bancarie che lo stesso
presenterà ad essa. Il negozio, importando l'obbligo per la banca di accettare
i documenti creditori che il soggetto le presenterà per lo sconto, ha come
unica finalità quella di evitare la negoziazione volta per volta dello sconto
di detti documenti, e quindi esso (negozio) è meramente strumentale, e perciò
neutro, rispetto alle singole operazioni di sconto che poi verranno
concretamente effettuate. Il negozio, difatti, non costituisce apertura di
credito perché non pone alcuna somma a disposizione del cliente e non
costituisce sconto perché questo sorgerà se e quando il cliente presenterà i
documenti da scontare. Il c.d. 'castelletto di sconto', pertanto, rende
obbligatorio, anziché facoltativo, per la banca, lo sconto, nei limiti
dell'ammontare e del periodo di tempo convenuti, e pertanto l'unica
obbligazione che dal negozio scaturisce a carico della banca è quella di
scontare i titoli che il cliente le presenterà" (Cass., 11 settembre 1993,
n. 9479. Nello stesso senso, Cass., 6 settembre 1997, n. 8662; Cass., 20 maggio
1997, n. 4473; Cass., 5 febbraio 1997, n. 1083; Cass., 28 aprile 1995, n. 4718;
Cass., 28 gennaio 1994; Cass., 19 gennaio 1995, n. 559). Secondo una difforme
giurisprudenza di merito, con il castelletto di sconto la banca si obbliga,
sino all'ammontare del castelletto, a concedere credito al cliente; tale
credito, tuttavia, - ed è questa la particolarità del castelletto di sconto che
differenzia tale figura dall'apertura di credito - potrà essere utilizzato
soltanto tramite lo sconto di effetti o di altri titoli scontabili (fatture,
ricevute bancarie, ecc.) a condizione che i titoli presentino i requisiti
richiesti dalla banca, la quale, nell'accettarli o meno, opera un giudizio
discrezionale.
30) Nel contratto di conto corrente sono già previste all'art. 6, in maniera
scarna e sintetica, le condizioni di un'eventuale concessione di credito. Si
sostiene tuttavia, da parte di taluni autori, che per il perfezionamento del
contratto rimane comunque necessaria, oltre alla manifestazione di volontà
della banca, l'espressa accettazione del cliente.
31) Cfr. Cassazione 23 gennaio 1984, n. 546 in Riv. Dir. Comm. 1987, con nota
di Gullotta, Rapporti tra conto corrente bancario e successive concessioni di
fido.
32) Si potrebbe per contro, osservare che i contratti di apertura di credito,
posti in essere successivamente alla Delibera C.I.C.R., prevedono, a norma
dell'art. 6, accanto al tasso nominale anche il tasso effettivo annuo. Ciò
potrebbe implicare che, comunque, al termine del rapporto, gli interessi da
riconoscere siano quelli rivenienti dalla capitalizzazione al tasso effettivo
annuo, seppur pagati in un'unica soluzione al termine, unitamente al
finanziamento. Per i contratti precedenti varrebbe il tasso nominale convenuto,
senza alcuna capitalizzazione.
33) In presenza di un conto di servizio dedicato all'anticipo di carta
commerciale, la rimessa nel conto ordinario della somma corrispondente alla
fattura anticipata dovrà essere considerata alla stregua di qualunque altra
rimessa di pagamento, costituendo un distinto finanziamento che, se accreditato
nel conto ordinario, potrebbe, all'occorrenza essere impiegato per saldare
interessi e capitale relativi all'extra fido. Analogamente, considerando
distinte le due forme di finanziamento, gli interessi relativi alla carta
commerciale anticipata, addebitati nel conto ordinario, vengono pagati alla
prima rimessa che interviene successivamente, a prescindere dalla circostanza
che questa intervenga con il saldo del conto entro il fido o oltre il fido. Ciò
in considerazione della natura di credito a breve che contraddistingue
l'anticipo di carta commerciale: nel conto di servizio si realizza un continuo
roll over di finanziamenti a breve. Tali crediti della banca divengono
rapidamente esigibili, congiuntamente ai relativi interessi e quindi appare
consequenziale che, oltre al rimborso del credito a breve vengano pagati anche
i relativi interessi, utilizzando le prime rimesse che intervengono nel conto
ordinario, prima ancora che queste vadano a ricostituire il fido. In tal modo
il separato finanziamento, divenuto liquido ed esigibile, viene ripianato
utilizzando anche rimesse che all'occorrenza sarebbero andata a ricostituire le
disponibilità del conto ordinario.
34) Analoghe considerazioni si pongono in presenza di contratti privi di
condizioni. Risultando nulle - anche per i contratti stipulati prima
dell'entrata in vigore della L. n. 154/92 - le clausole che non prevedono una
specifica pattuizione scritta del tasso di interesse o prevedono il riferimento
agli usi di piazza, ne consegue l'applicazione dell'interesse legale ex art.
1284 c.c.. Per le obbligazioni sorte successivamente alla menzionata legge, se
il contratto é stato posto in essere prima, si deve continuare ad applicare il
tasso legale ex art. 1284 c.c., in quanto l'art. 161 del D.Lgs. 385/93 prevede,
per i contratti in essere, l'applicazione delle norme anteriori (Cass. Civ.
Sez. I n. 11466/08, Trib. Torino, n. 450/10). Quest'ultima interpretazione è
stata più recentemente oggetto di un'autorevole conferma della Corte
Costituzionale (Ordinanza n. 338 del 18/12/09).
Per i rapporti successivi, in assenza di una forma scritta, il contratto (art.
117, comma 3) è nullo e, se tale nullità è rilevata ai sensi dell'art. 127
comma 2 del T.U.B., si ritiene che gli interessi siano da calcolare al tasso
legale, sia quelli a debito che quelli a credito (Trib. Udine, dott.ssa M. A.
Chiriacò, 10/5/08 n. 809).
35) La forma scritta per la conclusione dei contratti relativi alle operazioni
ed ai servizi bancari è stata disposta dall'art. 3 della legge 154/92,
disciplina poi confluita nell'art. 117 del T.U.B. (D. Lgs. 385/93).
L'orientamento giurisprudenziale vigente in precedenza (Cass. n. 2915 del 1992,
Cass. n. 3842 del 1996 e Cass. n. 19941 del 2006, Cass. n. 17090 del 2008)
prevedeva che il contratto di apertura di credito potesse essere concluso per
facta concludentia e ciò alla luce del comportamento rilevante della banca,
consistente nel pagamento di assegni emessi dal cliente senza copertura con la
conseguenza che anche il relativo recesso, intervenuto prima dell'entrata in
vigore della normativa innanzi richiamata, "non richiedeva la forma
scritta, potendo essere valida la semplice comunicazione anche verbale della
banca al cliente, relativa all'intenzione di recedere dai contratti".
I contratti bancari uniformi precedenti la c.d. legge sulla trasparenza
bancaria n. 154/92 e la successiva entrata in vigore del T.U.B. D. Lgs. 385/93
riportavano, all'art. 17: "E' facoltà dell'Azienda di credito di assumere
o meno gli incarichi del Cliente. Col valersi dei servizi dell'azienda di
credito si intendono senz'altro accettate dal Cliente le norme e le condizioni
da essa stabilite per singoli servizi (come incasso ed effetto documenti,
aperture di crediti documentari, incasso cedole e titoli estratti, custodia od
amministrazione titoli, ecc.).".
36) Per il periodo precedente l'estrazione dei dati presenta qualche
difficoltà, riconducibile ai mutamenti intervenuti nell'organizzazione e
gestione del sistema informativo di rilevazione ed archiviazione dei dati
stessi.
37) Solo con Delibera del 4 marzo '03, relativa alla disciplina della
trasparenza delle condizioni contrattuali, il C.I.C.R. ha previsto all'art. 10,
relativo alla "Forma dei contratti", che "la Banca d'Italia può
individuare forme diverse da quella scritta per le operazioni e i servizi,
oggetto di pubblicità ai sensi della presente delibera, che hanno carattere
occasionale ovvero comportano oneri di importo contenuto per il cliente".
Le nuove disposizioni di trasparenza della Banca d'Italia prevedono che la
forma scritta non è obbligatoria per: a) le operazioni e i servizi effettuati
in esecuzione di contratti redatti per iscritto; b) le operazioni e i servizi
prestati in via occasionale - quali, ad esempio, acquisto e vendita di valuta
estera contante, emissione di assegni circolari - purché il valore complessivo
della transazione non ecceda 5.000 euro e a condizione che l'intermediario: a)
mantenga evidenza dell'operazione compiuta; b) consegni o invii tempestivamente
al cliente conferma dell'operazione in forma scritta o su altro supporto
durevole, indicando il prezzo praticato, le commissioni e le spese addebitate;
c) l'emissione di prodotti di moneta elettronica anonimi non ricaricabili,
ovvero nei casi previsti dall'articolo 25, comma 6, lett. d), del D.lgs. n. 231
del 21 novembre 2007.
38) Al riguardo si sottolinea come le sentenze in materia di anatocismo
riguardano esclusivamente gli interessi a debito: gli interessi a credito
mantengono invariato il loro regime di capitalizzazione annuale. Tale
circostanza incrementa apprezzabilmente il divario. Mantenendo le ipotesi
dell'esempio precedentemente illustrato - periodo di 20 anni, interesse
debitore pari al 10% - con un interesse creditore del 0,5%, se si ipotizza
l'alternanza di saldi a debito e a credito in modo tale da mantenere un saldo
medio a debito di 1.000 (in linea con l'esempio
sopra riportato) si evidenzia una differenza dei saldi che può arrivare a circa il 235%.
39) Si veda A. Tanza (http://www.studiotanza.it).
40) "una volta esclusa la validità della clausola sulla cui base sono
stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione relativa degli estratti a
partire dall'apertura del conto corrente (...) consente, attraverso una
integrale ricostruzione del dare e dell'avere con l'applicazione del tasso
legale, di determinare il credito della banca". La pronuncia precisa
inoltre: "La banca ricorrente confonde l'onere di conservazione della
documentazione contabile con l'onere della prova del credito. Il fatto di non
essere tenuta a conservare le scritture contabili oltre i dieci anni dalla loro
ultima registrazione non esonera la parte che vi è tenuta dall'onere di provare
il proprio credito. (...) La banca non ha provato per le ragioni dianzi esposte
che alla data dell'1/1/93, cui si riferisce il promo estratto-conto riportato
in giudizio, il credito riportato in detto estratto conto e conclusivo
dell'andamento dei conti per gli anni pregressi fosse quello effettivo in
ragione della più volte citata nullità delle clausole sugli interessi. Del
tutto correttamente pertanto la Corte d'appello ha azzerato le dette risultanze
in quanto non provate e disposto che il calcolo dei rapporti di dare ed avere
venisse calcolato dal CTU a partire dalla detta data del 1993 partendo da
zero". (Cass. I Civ., 25/11/2010, n. 23974).
41) "Non può pertanto ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione
del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giudico,
definibile come pagamento, che l'attore pretende essere indebito, perché prima
di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione." (Cass.
S.U. 24418/10).
42) "È onere della banca eccepire l'intervenuta prescrizione precisando il
momento iniziale dell'inerzia del correntista in relazione a ciascun versamento
extrafido, mentre è compito del giudice accertare quale sia il tipo e la durata
della prescrizione stessa e se essa sia decorsa, ma non si potrà sostituire
alla difesa della banca specificandone l'elemento costitutivo e demandando
detta individuazione al CTU. L'eccezione di prescrizione, in quanto eccezione
in senso stretto, deve fondarsi su fatti allegati dalla banca, quand'anche
suscettibili di diversa qualificazione da parte del giudice. Nulla la banca ha
specificatamente osservato circa la natura solutoria dei versamenti effettuati
dal correntista durante il rapporto, né ha individuato o allegato detti
versamenti e gli effetti che hanno avuto nel saldo finale. Ne consegue che la
banca, ove eccepisca la prescrizione del credito, ha l'onere di allegare e
provare il fatto che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio
della decorrenza del termine ai sensi dell'art. 2935 c.c., restando escluso che
il giudice possa accogliere l'eccezione sulla base di un fatto diverso, conosciuto
attraverso un documento prodotto ad altri fini da diversa parte in causa (Cass.
2009/16326; conf. Cass. 2004/3578). La banca nelle difese anteriori al 2
dicembre 2010 non ha dedotto nulla di specifico in tal senso e non ha prodotto
nulla, sia nella memoria di costituzione, con le sue preclusioni di cui
all'art. 167 c.p.c., che nelle successive memorie ex art. 183 c.p.c. (prima e
seconda). D'altra parte l'elemento costitutivo dell'eccezione di prescrizione è
la manifestazione in modo non equivoco della volontà della parte di far valere
l'estinzione, a causa del decorso del tempo, del credito o dei crediti nei suoi
confronti azionati; conseguentemente, mentre rileva la precisazione della parte
circa i crediti o le loro parti effettivamente investiti dall'eccezione, il
riferimento al termine - quinquennale, decennale, ecc. - ha il valore di mera
prospettazione di una tesi giuridica, che non vincola il giudice circa
l'individuazione del tipo di prescrizione (Cass. 2000/9825). La generica
proposizione dell'eccezione di prescrizione da parte dell'interessato non
autorizza il giudice ad individuare d'ufficio il tipo concretamente
applicabile, atteso che, da un canto, la prescrizione non è rilevabile
d'ufficio, dall'altro, il suo carattere dispositivo comporta, per la parte che
la propone, l'onere di tipizzarla (cfr. Cass. 1993/4130), sicché, in mancanza
delle specifiche indicazioni di fatto necessarie per rendere comprensibile ed
individuabile l'eccezione, l'eccezione medesima non può che essere dichiarata
inammissibile (cfr. Cass. 1999/3798; v. anche Cass. 2005/6519; Cass. 1999/850;
Cass. S.U. 1989/1607, in cui si rileva che l'eccezione di prescrizione, oltre a
non essere rilevabile d'ufficio, deve essere dedotta, a pena di
inammissibilità, in modo specifico e tipizzato, non potendo il giudice
applicare un tipo di prescrizione diverso da quello richiesto, ciò comportando
la violazione sia del principio dispositivo dell'eccezione di prescrizione, sia
del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato) (A. Tanza -
http://www.studiotanza.it).
43) Per contro l'impiego della data di disponibilità, in luogo della data di
valuta, nella ricostruzione del conto, è suscettibile di sopravanzare gli
effetti derivanti dalla legale appostazione a pagamento degli interessi sul
credito in extra fido.
44) La Banca d'Italia pone a disposizione, su semplice richiesta dell'avente
diritto, lo storico a partire dal 1/1/96: per il periodo precedente
l'estrazione dei dati presenta qualche difficoltà, riconducibile ai mutamenti
intervenuti nell'organizzazione e gestione del sistema informativo di
rilevazione ed archiviazione dei dati stessi.
45) Secondo una corrente di dottrina, solo dall'esame dell'origine e formazione
dei contratti in parola si può evincere quell'unitarietà e prevalenza del
rapporto di conto corrente sul rapporto di apertura di credito che sole
potrebbero forse giustificare l'estensione all'apertura di credito della
disciplina del rapporto di conto. Tuttavia nella pratica operativa, l'apertura
di credito, come le altre tipologie di finanziamento in conto, spesso non
risulta posta in una posizione di subalternità e/o accessorietà del rapporto di
conto corrente: talvolta quest'ultimo è prevalentemente dedicato al servizio
dell'affidamento concesso.
46) Per semplicità espositiva gli interessi e le C.M.S. sono stati ricomputati
sul saldo capitale per data disponibilità. Qualora i giorni valuta siano
contrattualmente pattuiti, occorre tener distinto il saldo disponibile
funzionale all'individuazione della natura di ciascuna rimessa, dal saldo per
valuta sul quale calcolare le competenze rettificate.
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