Sovraindebitamento


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/06/2019 Scarica PDF

Sovraindebitamento: il CCI e un nuovo sguardo sull'art. 7 l. 3/2012 in tema di falcidia dell'IVA e delle ritenute operate e non versate

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


Come noto il D.L. 12 gennaio 2019 n.14, che ha introdotto il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, ha inglobato nel nuovo compendio normativo anche le disposizioni sul sovraindebitamento dei debitori civili, mandando così in soffitta non solo la legge fallimentare ma anche la legge 27 gennaio 2012 n. 3 relativamente recente. Il differimento al 15 agosto 2020 dell’entrata in vigore della gran parte delle disposizioni del CCI, ivi comprese le norme sul sovraindebitamento, non esclude peraltro la necessità di una lettura orientata delle disposizioni attualmente in vigore alla stregua delle nuove opzioni normative messe in campo dal legislatore.

Proprio in tema di sovraindebitamento è altrettanto noto che il legislatore del 2012 ha costruito l’architettura delle procedure di composizione della crisi del debitore civile mutuando parte delle disposizioni già previste per il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione, senza peraltro curarsi di “aggiornare” la legge n. 3/2012 alla luce delle numerose modifiche successive apportate alla normativa fallimentare.

Un esempio significativo di tale mancato coordinamento attiene al rapporto tra il novellato art. 182 ter l. fall. (c.d. Transazione Fiscale ora “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”) e l’art. 7 primo comma terzo periodo della legge 3/2012; il trattamento dell’IVA limitato alla sola dilazione di pagamento così come previsto dall’art. 7 cit. (“In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”) richiama alla lettera l’analoga prescrizione contenuta nell’art. 182 ter l. fall., nel testo, tuttavia, anteriore alla modifica di cui alla legge di bilancio 2017, a partire dalla quale, a certe condizioni, è possibile proporre un piano concordatario o un accordo di ristrutturazione con falcidia del tributo. La migliore dottrina non ha peraltro mancato di osservare che la duplicazione normativa era da intendersi quale segno di autonomia fra le due procedure e, in particolare, della impossibilità di estensione automatica della speciale regola di cui all’art. 182 ter l. fall. alla legge sul sovraindebitamento.

La disparità di trattamento tra le due discipline è stata giustamente rilevata dall’unanime dottrina e da alcune decisioni della giurisprudenza di merito, che si è chiesta per quale ragione l’imprenditore sottosoglia rispetto ai parametri di cui all’art. 1 l. fall. o l’imprenditore agricolo o il professionista non possono accedere al pagamento non integrale dell’IVA, quando tale possibilità è invece concessa all’imprenditore fallibile [1].

La soluzione scelta da alcuni tribunali è stata quindi nel senso della disapplicazione dell’art. 7 l. 3/2012 limitatamente al c.d. divieto di falcidia dell’IVA in ragione del contrasto tra quest’ultimo e il principio di neutralità fiscale imposto dall’Unione Europea, con la conseguente ammissibilità di un accordo di composizione della crisi prevedente il pagamento solo parziale del debito IVA (cfr. la citata Tribunale di La Spezia 10 settembre 2018; si veda anche Tribunale di Pistoia 26 aprile 2017 e Tribunale di Torino 7 agosto 2017).

In particolare, sulla scorta della giurisprudenza comunitaria resa in tema di concordato preventivo, i giudici di merito hanno argomentato osservando che in materia di IVA nell’Unione Europea vige il principio di effettività della riscossione, che impone allo Stato membro di adottare misure idonee all’efficace prelievo dell’imposta, e il principio di neutralità fiscale, che impone al medesimo Stato di non creare diseguaglianze significative tra i contribuenti. Attesa la disparità di trattamento tra imprenditori fallibili e imprenditori non fallibili, sul tema la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 7 aprile 2016) aveva altresì ritenuto, alla luce del principio di effettività della riscossione, la piena compatibilità di una proposta concordataria prevedente il pagamento solo parziale dell’IVA poiché la disciplina della procedura di concordato preventivo comporta che il pagamento di detta imposta, ancorché parziale, sia attestato come il migliore concretamente realizzabile sia nell’an sia nel quantum.

Ciò per giungere alla conclusione per cui la disciplina di cui all’art. 7 l. 3/2012 con riferimento al c.d. divieto di falcidia dell’IVA viola il principio di neutralità fiscale previsto dall’Unione Europea (attesa la disparità di trattamento rispetto alla disciplina del concordato), vincolante per il legislatore nazionale, senza che ciò sia giustificato dal principio di effettività della riscossione dell’IVA.

Diversamente, il Tribunale di Udine, con la nota ordinanza 14 maggio 2018, ha ritenuto di non procedere con la disapplicazione della norma preferendo sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, primo comma, terzo periodo, l. n. 3/2012, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., ovvero  al parametro costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione [2].

Va detto che a fronte dei predetti tentativi di emendare l’anomalia sistematica dell’art. 7 l. 3/2012, altrettante decisioni di merito hanno ritenuto l’inammissibilità della proposta di composizione della crisi prevedente la falcidia dell’IVA e delle ritenute operate e non versate, sulla scorta del preciso dato letterale della citata disposizione di legge [3].

In un quadro giurisprudenziale quale quello cui si è fatto cenno, un nuovo sguardo interpretativo viene offerto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), ancorchè gran parte di dette disposizioni, come noto, entreranno in vigore solo il 15 agosto 2020.

Con gli artt. 65 e seguenti il Codice dedica al sovraindebitamento l’intero capo II, operando una rivisitazione sistematica degli istituti già previsti dalla l. 3/2012. Si nota subito che il legislatore ha espunto dal nuovo Codice la disposizione in commento di cui all’art. 7 l. 3/2012 sulla possibilità del pagamento dilazionato ma non falcidiato di IVA e ritenute operate e non versate: sia il piano del consumatore (denominato “ristrutturazione dei debiti” all’art. 67 CCI) che l’accordo di ristrutturazione (denominato “concordato minore” all’art. 74 CCI) prevedono inoltre la disposizione generale sulla falcidia del credito privilegiato oggi contenuta all’art. 160 secondo comma l. fall. per cui “è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti non integralmente, allorchè ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dagli OCC” (art. 67 quarto comma CCI e art. 75 secondo comma CCI), senza espressa deroga od una diversa disciplina per quanto concerne l’IVA e le ritenute operate e non versate.

Ma soprattutto appare decisiva la norma di chiusura contenuta all’art. 74 quarto comma CCI, che prevede espressamente, in quanto compatibili, l’applicabilità in via analogica al concordato minore delle norme in tema di concordato preventivo, superando così ogni dubbio in merito alla falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute operate e non versate, tenuto conto che nel concordato preventivo non si menziona alcun trattamento differenziato per le suddette imposte.

La condizione di compatibilità prevista dall’art. 74 cit. per l’applicazione analogica delle disposizioni sul concordato preventivo, appare peraltro rispettata attesa l’impostazione generale del concordato minore che ricalca in larga parte l’istituto del concordato preventivo; in tal senso si consideri che nel concordato minore viene ripresa sia la norma che impone di equiparare al chirografo la parte residua insoddisfatta del credito privilegiato (art. 79 primo comma CCI), sia la disposizione che assegna al giudice il potere di omologare il concordato minore, quando reputato conveniente, “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria” (art. 80 terzo comma CCI), evidentemente sul presupposto del pagamento solo parziale dei tributi e senza peraltro alcuna distinzione circa la tipologia di imposta falcidiata.

Detto altrimenti, nel Codice della Crisi alcuna menzione viene operata dal legislatore ad un preteso trattamento differenziato per IVA e ritenute operate e non versate rispetto alla generalità dei tributi falcidiabili, sia nelle disposizioni del concordato preventivo che nel dettato normativo riguardante le procedure di sovraindebitamento.



[1] In tal senso il Tribunale di La Spezia con la decisione 10 settembre 2018, www.ilcaso.it, ha osservato che “emerge una significativa differenza tra imprenditori, con riferimento alla stessa imposta sul valore aggiunto, in quanto da un lato si impone ad alcuni (soggetti all’applicazione della Legge 3/2012) il pagamento integrale, dall’altro lato si consente ad altri (soggetti all’applicazione del Rd 267/1942) il pagamento soltanto parziale (senza che il Rd 267/1942 preveda espressamente un minimo percentuale quanto alla soddisfazione del debito iva). Occorre infine chiedersi se possa dirsi giustificata la differenza di trattamento, in materia di imposta sul valore aggiunto, tra imprenditori soggetti alla procedura di concordato preventivo ed imprenditori soggetti alla procedura di accordo di composizione della crisi (in quanto l’eventuale ragionevolezza della disparità di trattamento costituirebbe un limite all’operatività del principio di neutralità fiscale, escludendosi di conseguenza la violazione di tale principio)”.

[2] Osserva il tribunale rimettente che la norma, quando rende necessariamente inammissibile la proposta di accordo che non preveda il pagamento integrale dell'IVA, priva la Pubblica Amministrazione del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta (al di là delle attestazioni di corredo e del primo vaglio giudiziale) è davvero in grado di soddisfare tale credito erariale in misura pari o addirittura superiore al ricavato ottenibile nell’alternativa liquidatoria, e dunque di determinarsi nel caso concreto al voto favorevole o contrario (con facoltà di successiva opposizione e reclamo). Ciò non assicura il principio costituzionale del buon andamento, perché preclude in radice alla Pubblica Amministrazione di condursi secondo criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto, anche quando in realtà ciò sarebbe possibile consentendo ad un pagamento del credito IVA parziale, ma in termini più rapidi ed in misura non inferiore alle alternative meramente liquidatorie.

[3] Nel senso dell’inammissibilità di proposte prevedenti la falcidia dell’IVA v. Tribunale di Rimini 9 marzo 2019, est. pres. Miconi, www.ilcaso.it, “stante l’inequivocabile tenore dell’art 7 comma 1 L 3/2012 (su cui, al momento della espressione di accordo da parte dei creditori, non può prevedersi siano intervenute modifiche legislative o declaratorie di illegittimità costituzionale) che consente la sola dilazione, e non la falcidia, dell’IVA e delle ritenute previdenziali”.


Scarica Articolo PDF