Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 29/08/2022 Scarica PDF
Sovraindebitamento: dall'accordo ex l. 3/2012 al concordato minore (Note operative a seguito del d.lgs. 17 giugno 2022 n.83)
Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - BicoccaSommario: 1. L’adeguamento del CCII alla Direttiva Insolvency; 2. Il “nuovo” sovraindebitamento: cosa resta del favor debitoris? Una considerazione preliminare; 3. Accordo e Concordato minore: le anticipazioni del CCII nella l. 3/2012 intervenute nel dicembre 2020 con il d.l. 2020/137 conv. in l. 2020/176; 4. Aspetti generali e specifici del Concordato minore; 4.1. Differenze ed analogie con l’Accordo ex l. 3/2012; 4.2. Il presupposto oggettivo: la crisi prospettica; 4.3. Il presupposto soggettivo: l’esclusione del consumatore; 4.4. segue: il sistema binario società / socio illimitatamente responsabile; 4.5. segue: il socio illimitatamente responsabile può accedere al Concordato Minore? 4.6. La prededuzione; 5. Il criterio di compatibilità: il perimetro oggettivo del rinvio alle norme del concordato preventivo; 5.1. Modalità applicative del criterio; 6. Le fattispecie non regolate nel Concordato minore; 6.1. Continuità indiretta; 6.2. Proposte e offerte concorrenti; 6.3. Rapporti pendenti; 6.4. Finanziamenti prededucibili; 6.5. Autorizzazione al pagamento di crediti anteriori; 7. Le disposizioni comuni a tutte le procedure di sovraindebitamento: il richiamo dell’art. 65 CCII; 7.1. La cessazione dell’attività del debitore: l’art. 33 quarto comma CCII; 7.2. La nomina del Commissario Giudiziale; 7.3 La nomina facoltativa dell’Attestatore; 7.4. Concordato minore c.d. con riserva; 8. L’accesso al Concordato minore a seguito di istanza di liquidazione controllata da parte di un creditore o del P.M.; 9. L’accesso al Concordato minore tramite la Composizione Negoziata (cenni); 9.1. Gli effetti propri della Composizione Negoziata a) Le misure protettive b) Gli atti autorizzati ex art. 22 CCII c) Le misure premiali
1. L’adeguamento del CCII alla Direttiva Insolvency
Con il d. lgs. 17 giugno 2022 n.83 il legislatore italiano ha apportato le ultime modifiche al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) in vista della sua definitiva entrata in vigore il 15 luglio 2022, per recepire le indicazioni della Direttiva Insolvency n.1023/2019, che imponeva agli Stati membri l’adeguamento della normativa nazionale.
All’indomani dell’avvio del CCII, preso atto del testo definitivo licenziato, molti studiosi hanno evidenziato l’esito sostanzialmente negativo del tentativo di pervenire ad una reale ed effettiva semplificazione del sistema del diritto concorsuale interno.
Da tempo, la migliore dottrina aveva preso atto dell’anomalia italiana rappresentata da due piani paralleli “riformatori” su cui si è lavorato per aggiornare il nostro diritto concorsuale[1]: invero, il processo italiano di riforma ha visto,
- da un lato, un progetto fondato sui lavori della Commissione ministeriale istituita nel gennaio 2015 e presieduta dal prof. Renato Rordorf, fino alla legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, da cui è scaturita l’architettura originaria del CCII, di cui al d. lgs. 12 gennaio 2019 n.14;
- dall’altro lato, il lavoro avviato nel 2016 in sede europea, volto al riavvicinamento delle legislazioni in materia dei ventisette Stati membri, ha licenziato la Direttiva Insolvency recependo una impostazione di fondo sensibilmente diversa rispetto all’approccio riformatore italiano, soprattutto riguardo l’interpretazione dell’intervento del giudice, la declinazione della ‘continuità aziendale’ e l’utilizzo degli strumenti di allerta.
Fatto è che con il d. lgs. 83/2022 il legislatore italiano ha apportato gli ultimi adeguamenti al CCII, nel senso di un più organico recepimento della Direttiva Insolvency, anche mediante alcuni interventi di modifica che hanno interessato gli istituti già introdotti dal d. lgs. 12 gennaio 2019 n.14.
Ai fini del presente contributo, si osserva che i provvedimenti che si sono succeduti[2] hanno ridisegnato le nuove procedure di sovraindebitamento, introdotte dall’art. 65 ss. CCII, prevedendo, altresì, per le imprese commerciali e agricole sotto soglia, la possibilità di accedere alla Composizione Negoziata ex art. 25 quater CCII (già prevista dal dl. 118/2021), da cui scaturiscono una serie di opzioni normative di indubbio interesse, che ampliano gli strumenti di composizione della crisi per tale tipologia di soggetti sovraindebitati.
Va chiarito che l’art. 390 CCII regola il regime transitorio, per cui le procedure di sovraindebitamento pendenti alla data del 15 luglio 2022 restano regolate dalla l. 3/2012, con ciò intendendosi quelle per le quali è stata depositata in tribunale, prima della predetta data, la domanda di accesso ad una delle procedure (essendo irrilevante la presentazione dell’istanza di nomina del gestore, anche se richiesta al tribunale), mentre quelle introdotte successivamente sono attratte alla disciplina del nuovo CCII.
2. Il “nuovo” sovraindebitamento: cosa resta del favor debitoris? Una considerazione preliminare.
Prima di entrare nel merito degli aspetti generali e specifici del concordato minore, non è inutile chiedersi quale sia il più adeguato approccio interpretativo con cui leggere le disposizioni del “nuovo” sovraindebitamento.
Il superamento della l. 3/2012 impone, infatti, una riflessione preliminare, non tanto sul collocamento sistematico delle procedure di sovraindebitamento nel nuovo CCII - essendo pacifico, a tal riguardo, l’ingresso a pieno titolo di dette procedure nell’alveo della concorsualità - quanto sulla ratio di fondo che ispira le nuove norme dedicate al variegato mondo dei soggetti sovraindebitati non assoggettabili alla liquidazione giudiziale.
Come noto, la lacunosità della l. 3/2012 aveva richiesto un grande sforzo ermeneutico da parte degli operatori - chiamati a sopperire a carenze e vuoti normativi giustificati da asserite esigenze di semplificazione - con il risultato che l’elaborazione giurisprudenziale è risultata condizionata, a seconda dei casi, da criteri orientativi anche molto divergenti tra loro, spesso mutuati dalle procedure maggiori, utilizzati di volta in volta anche in ragione delle peculiarità della crisi da sovraindebitamento da regolare.
Tuttavia, in giurisprudenza era emerso un denominatore comune nella lettura delle diverse situazioni di crisi - del consumatore, piuttosto che del professionista o dell’imprenditore minore o agricolo - rappresentato dal principio del favor debitoris, in forza del quale, tra le diverse interpretazioni possibili, veniva preferita quella che consentiva effettivamente di orientare il debitore verso il superamento della propria crisi da sovraindebitamento, anche a scapito del miglior soddisfacimento del creditori.
Non è questa la sede per dare conto delle molteplici opzioni ermeneutiche adottate dalla giurisprudenza in tal senso, certo è che la lettura di numerosi istituti della l. 3/2012 ha privilegiato, sempre e comunque, l’obbiettivo della fuoriuscita del debitore dalla zona grigia dell’indebitamento, in linea con la finalità anti-usura sottesa alla stessa legge 3/2012 e con le esigenze di ripartenza (c.d. fresh start), spesso anche a scapito, appunto, del miglior realizzo possibile per il ceto creditorio.
Del resto, anche dal lato dell’advisor, è noto che, nella costruzione di piani ed accordi, il criterio di riferimento non è mai stato quello del “miglior soddisfacimento dei creditori’, nella consapevolezza che il legislatore della l. 3/2012 ha mostrato più interesse alla disponibilità del debitore di mettere in gioco tutte le proprie risorse patrimoniali, piuttosto che alle percentuali di soddisfo dei crediti[3].
Ma nel nuovo CCII sarà ancora ammissibile, nelle lettura delle nuove norme sul sovraindebitamento, un approccio liberale e favorevole al debitore?, tenuto conto, per esempio, che la finalità anti-usura non permea più la disciplina e il concordato minore è stato sostanzialmente assimilato alla procedura maggiore?
Mi pare che sotto tale profilo, rispetto alla l. 3/2012, il CCII operi una distinzione ancora più marcata della figura del consumatore rispetto agli altri soggetti legittimati alle procedure di sovraindebitamento, ed in particolare all’imprenditore commerciale o agricolo, differenziando le due procedure a ciascuno riservata (ristrutturazione dei debiti e concordato minore), sulla base di finalità sensibilmente diverse[4].
Peraltro, rispetto al criterio del “miglior soddisfacimento dei creditori”, è noto che il concordato preventivo ha visto affermarsi progressivamente, fin dall’avvio della stagione di riforme, il principio della “continuità aziendale” e della conservazione dell’impresa quale nuovo paradigma ispiratore, sul quale la migliore dottrina è oscillata tra il ritenere il predetto criterio un valore in sé, da preservare rispetto all’interesse immediato dei creditori, e chi ha comunque ricondotto la continuità aziendale al servizio del miglior interesse del ceto creditorio[5].
Se ciò è vero, va ritenuto che il concordato minore non si sottrarrà alla medesima logica, per cui il timore è quello di vedere accreditati approcci ermeneutici alle norme inspirati più alla salvaguardia della continuità aziendale (funzionale, a sua volta, al miglior soddisfacimento dei creditori), che non al favor debitoris[6].
Al contrario, pur nel contesto del nuovo CCII, è auspicabile che anche il concordato minore sia declinato principalmente a favore del debitore, nella convinzione che il legislatore ha inteso contemperare la tutela dei creditori con il primario interesse del debitore-imprenditore o del professionista al recupero di una piena operatività economica.
Invero, il legislatore, in tal senso, ha chiarito che il concordato minore deve indicare “in modo specifico tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento” (art. 74 CCII), dando rilievo, appunto, alla condizione oggettiva del debitore, mentre nel concordato preventivo ha preteso che la proposta “realizzi il soddisfacimento dei creditori” (art. 84 CCII): anche il dato positivo induce ad assegnare una valenza diversa all’interesse dei creditori, di cui si dovrà tenere in debito conto, dunque, nell’applicazione analogica delle norme della procedura maggiore nei limiti della compatibilità (art. 74 quarto comma CCII).
In termini concreti, nel presente contributo vedremo le diverse possibilità interpretative, nel senso del favor debitoris o del miglior interesse dei creditori: a titolo esemplificativo, basti per ora osservare che in vigenza della l. 3/2012, a favore del debitore, si è ritenuta ammissibile la proposta di accordo prevedente un soddisfacimento anche irrisorio e simbolico delle ragioni dei creditori, senza con ciò incorrere nella censura di inammissibilità per carenza assoluta della causa concreta del concordato (secondo i dettami di Cass. 2013/1521, espressi in tema di concordato preventivo)[7].
3. Accordo e Concordato minore: le anticipazioni del CCII nella l. 3/2012 intervenute nel dicembre 2020 con il d.l. 2020/137 conv. in l. 2020/176.
Venendo all’analisi del concordato minore che ha sostituito l’accordo di composizione ex artt. 7 e 8 l. 3/2012, va ricordato che le procedure di sovraindebitamento hanno subìto una revisione integrale nell’ambito del nuovo CCII entrato in vigore, ma, al contempo, gli operatori hanno potuto fare esperienza di alcuni dei nuovi istituti grazie all’anticipazione degli stessi disposta dal d.l. 137/2020, conv. in l. 176/2020 (c.d. miniriforma di Natale); ciò dovrebbe consentire un passaggio più graduale e meno traumatico alla nuova disciplina.
In particolare, le più importanti innovazioni anticipate nella l. 3/2012 dalla miniriforma, anche non strettamente attinenti al concordato minore, hanno riguardato:
a) la modifica della nozione di consumatore ex art. 6 l. 3/2012, nel cui ambito è stato ricompreso anche il socio illimitamente responsabile per debiti estranei a quelli sociali;
b) l’espressa previsione dell’estensione degli effetti dell’accordo di composizione e della procedura di liquidazione ai soci illimitatamente responsabili;
c) la modifica del presupposto soggettivo di accesso alla procedura del piano del consumatore (e dell’incapiente) con l’introduzione del concetto di colpa nella determinazione dell’indebitamento, al posto del c.d. triplice test di meritevolezza previsto dall’art. 12-bis l. 3/2012;
d) il riscontro da parte dell’OCC del giudizio di “merito creditizio” operato dall’ente finanziatore al momento dell’erogazione del credito, con conseguenze sulla legittimazione a proporre opposizione o reclamo avverso il decreto di omologa;
e) l’inserimento dell’istituto delle c.d. procedure familiari, con l’intento di semplificare alcune criticità di carattere processuale, quando il progetto di composizione riguarda i membri della stessa famiglia;
f) l’espressa previsione, nelle procedure negoziali, della possibilità della falcidia dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione, che la giurisprudenza ha esteso all’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c.;
g) l’introduzione del c.d. giudizio di cram down, che consente al giudice di omologare l’accordo o il piano anche in caso di voto negativo espresso dell’amministrazione finanziaria;
h) la previsione delle innovative fattispecie riguardanti la prosecuzione del mutuo ipotecario, afferenti sia l’abitazione principale che l’immobile adibito a sede principale dell’impresa;
i) l’anticipazione dell’istituto del debitore incapiente, con la possibilità di ottenere l’esdebitazione pur in assenza di qualsivoglia risorsa da porre a disposizione dei creditori;
j) la legittimazione del liquidatore all’esperimento di azioni revocatorie e recuperatorie nell’interesse dei creditori.
Dunque, gli operatori hanno sperimentato il contesto normativo anticipato con la miniriforma della l. 3/2012 ed oggi presente nel CCII: ciò ha consentito una prima verifica giurisprudenziale dei nuovi istituti, dei quali, peraltro, sono emerse criticità e difficoltà applicative, anche non di poco conto, su cui non ci soffermeremo per i limiti del presente contributo.
4. Aspetti generali e specifici del Concordato Minore.
L’accordo di composizione della crisi è stato, dunque, trasfuso nel nuovo CCII nell’istituto del concordato minore, evidentemente plasmato sulla base della procedura maggiore di cui mutua chiaramente la natura concorsuale e il favor per le soluzioni della crisi che privilegiano la continuazione aziendale o professionale.
Al pari dell’accordo ex l. 3/2012, il concordato minore si caratterizza per essere una procedura concorsuale a contenuto negoziale, destinata a concludersi non più con un decreto ma con una sentenza di omologazione del tribunale in composizione monocratica, fondata sulla proposta che il soggetto sovraindebitato formula ai propri creditori - il cui contenuto può essere il più vario -, rimessa alla votazione del ceto creditorio e di cui l’OCC ed il Giudice vagliano i presupposti di ammissibilità e fattibilità, giuridica ed economica.
Il concordato minore, dunque, è uno strumento di superamento della crisi da sovraindebitamento, che consente al soggetto che vi accede di pervenire alla propria esdebitazione tramite l’omologa della proposta di concordato ed il suo integrale adempimento, principalmente diretto alla prosecuzione dell’attività d’impresa o professionale.
4.1. Differenze ed analogie con l’Accordo ex l. 3/2012
Evidenziamo subito alcune differenze ed analogie del nuovo istituto rispetto all’accordo di composizione ex l. 3/2012, senza richiamare, peraltro, in modo specifico gli istituti già anticipati dal legislatore con la riforma della legge speciale, cui si è fatto prima riferimento:
a) il concordato minore, diversamente dall’accordo ex l. 3/2012, non può essere proposto dal consumatore, essendo riservato al superamento delle situazioni di sovraindebitamento determinate da attività di impresa, commerciale o agricola, ovvero da attività professionale[8];
b) nell’accordo ex l. 3/2012, proponibile anche dal consumatore, la continuità dell’attività d’impresa o professionale non rappresentava un elemento caratterizzante la proposta; nel concordato minore il favor del legislatore è, invece, chiaramente indirizzato verso una proposta di concordato che consenta di proseguire l’attività imprenditoriale o professionale, se è vero che un concordato di natura esclusivamente liquidatoria, che non preveda alcuna prosecuzione dell’attività, può essere proposto solo a condizione di un “apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori”[9];
c) al pari dell’accordo ex l. 3/2012, il concordato minore deve prevedere una soddisfazione, anche se minima, dei creditori chirografari e l’integrale pagamento dei crediti privilegiati, salva la possibilità di una loro falcidia o dilazione previa attestazione di incapienza dell’OCC circa il valore dei beni o diritti sui quali insiste la causa di prelazione; tuttavia, la proposta non richiede più che sia assicurato il regolare pagamento dei crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali, di cui il CCII non fa menzione[10];
d) riguardo i crediti erariali e previdenziali, ivi compresa l’imposta sul valore aggiunto, non ci sono particolari vincoli; come noto, a seguito degli interventi legislativi e del giudice delle leggi che hanno profondamente inciso la l. 3/2012, essi sono stati equiparati a tutti gli effetti ai crediti privilegiati e dunque anche nel CCII possono essere falcidiati al pari di questi, a condizione dell’attestazione di incapienza innanzi richiamata.
Se, dunque, nel concordato minore lo scenario normativo non muta, si pone comunque la questione dell’applicabilità o meno, in quanto compatibile, dell’art. 88 CCII dettato nella procedura maggiore per il trattamento di tale tipologia di crediti, su cui torneremo in prosieguo di trattazione.
Si osserva, infine, che il nuovo CCII non richiama la disposizione dell’art. 11 comma 5 l. 3/2012 che prevede la cessazione di diritto degli effetti dell’accordo in caso di mancato pagamento dei crediti erariali e previdenziali entro novanta giorni dalle scadenze previste;
e) al pari di quanto previsto nella l. 3/2012, nel concordato minore la formazione delle classi è, in generale, facoltativa, essendo obbligatoria solo per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi; anche in tal caso, alla stregua del criterio di compatibilità, andrà chiarita la questione del possibile richiamo all’art. 85 CCII, almeno nella parte in cui prevede l’obbligo di classamento in presenza di creditori che vengono soddisfatti, anche in parte, con utilità diverse dal denaro.
Peraltro, ove la proposta preveda la formazione delle classi, l’advisor dovrà mettere in condizioni il gestore di dare conto nella propria relazione, ex art. 76 secondo comma CCII, dei criteri a tal fine adottati: di fatto trattasi di un parere sulla logicità e ragionevolezza delle diverse classi costituite, in relazione alla previsione di soddisfacimento di ciascuna ed ai criteri di riparto adottati, nel rispetto dell’ordine dei privilegi;
f) riguardo il quorum richiesto per l’approvazione, il concordato minore non richiede più l’adesione del 60% dei creditori, bensì il voto favorevole (vale il silenzio-assenso) dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, ma se la proposta prevede il classamento, l’art. 79 primo comma CCII pretende che detta maggioranza sia raggiunta anche nel maggior numero di classi.
La prassi evidenzierà sicuramente la questione dell’applicazione analogica dell’art. 109 quinto comma CCII, dettato in tema di approvazione del concordato preventivo in continuità aziendale, sotto un duplice profilo:
- se possa ritenersi applicabile, sul presupposto della sua compatibilità, la regola empirica che specifica quando la proposta può dirsi approvata in ciascuna classe, per cui “in ciascuna classe la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe”;
- se valga anche nel concordato minore la regola per cui il pagamento si intende integrale solo se avviene entro centottanta giorni dall’omologazione (trenta giorni per i crediti di lavoro)[11].
Al primo quesito dovrebbe darsi risposta negativa, perché la previsione normativa in commento parte da un presupposto del tutto differente, rappresentato dalla regola generale dell’art. 109 quinto comma CCII per cui “il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”, non prevista nel concordato minore[12].
Circa il secondo quesito, invece, la risposta dovrebbe essere positiva, sul presupposto che il concordato minore non regola in alcun modo la questione della moratoria, di fatto rinviando alla disciplina di cui all’art. 86 CCII che pone la regola generale della possibilità di prevedere la moratoria nel pagamento dei crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca, “fermo quanto previsto nell’art. 109”;
g) quanto alle regole di riparto delle risorse, pur in assenza di esplicita previsione normativa, nell’accordo ex l. 3/2012 l’impostazione della proposta non poteva prescindere dal rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione e del principio della par condicio creditorum ex art. 2741 c.c., anche nell’ipotesi di falcidia dei creditori privilegiati o assistiti da pegno o ipoteca.
Nel concordato minore la disciplina non prevede regole specifiche al riguardo, ma è ragionevole ritenere che, in forza della clausola di rinvio nei limiti della compatibilità, operi il duplice criterio introdotto dal d. lgs. 83/2022 all’art. 84 quarto e sesto comma CCII, per cui:
- riguardo il concordato di tipo liquidatorio, viene codificata la regola di derivazione giurisprudenziale per cui la finanza esterna può essere distribuita in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile[13];
- mentre in riferimento al concordato in continuità aziendale, stabilisce la regola della c.d. priorità relativa nel riparto del ‘valore eccedente quello di liquidazione’, per cui è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore[14].
Per ‘valore eccedente quello di liquidazione’ si intende non già la finanza esterna (che può essere distribuita liberamente non soggiacendo al principio dell’ordine delle cause legittime di prelazione), ma il valore ricavato dalla continuità, che nel caso del concordato minore può essere rappresentato dai flussi derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa o dai redditi professionali, od ancora, ad es., da dividendi da partecipazioni sociali o dai redditi di lavoro in genere messi a disposizione dal debitore per l’intera durata del piano di concordato[15].
È stato, infine, espunto il criterio della prevalenza, per cui è possibile nel concordato in continuità aziendale il soddisfacimento dei creditori, in misura anche non prevalente, mediante il ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta;
h) al contrario della l. 3/2012, la disciplina del concordato minore non prevede espressamente alcuna disposizione in tema di moratoria nel pagamento dei crediti assistiti da ipoteca, pegno o privilegio, analoga o simile alla norma di cui all’art. 8 comma 4 l. 3/2012, su cui in questi anni si è formata un’ampia produzione giurisprudenziale, mutuando in larga parte gli orientamenti consolidatisi in tema di concordato preventivo.
L’art. 86 CCII dettato nella procedura maggiore e rubricato “Moratoria nel concordato in continuità”, applicabile al concordato minore in forza del richiamo ex art. 74 ult. comma CCII, ha subìto, dal canto suo, una profonda modifica da parte del d. lgs. 83/2022, con l’eliminazione a) del termine biennale della moratoria e b) del criterio di attualizzazione del credito (in precedenza posto per il calcolo del diritto di voto da riconoscere ai creditori dilazionati, a ristoro della “perdita economica da ritardo”), nonché c) con l’introduzione di una speciale moratoria nel pagamento dei crediti di lavoro fino a sei mesi dall’omologazione[16].
Tuttavia, tale disposizione va coordinata con l’art. 109 CCII a cui espressamente rinvia, che disciplina i quorum di maggioranza ai fini dell’approvazione del concordato preventivo in continuità, stabilendo un termine specifico per il pagamento dei crediti assistiti da prelazione e dei crediti di lavoro, oltre il quale la moratoria resta ammissibile a condizione del riconoscimento del diritto di voto e di uno specifico classamento per la parte incapiente[17].
Ad un primo e sommario esame delle citate disposizioni, in particolare, dal combinato disposto degli artt. 86 e 109 CCII, abbozziamo una prima interpretazione, deducendo che:
i) per i crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca, salva la previsione di liquidazione del bene su cui grava la garanzia reale, è sempre possibile prevedere una moratoria, senza limite temporale, salvo il diritto di voto ove il soddisfo non sia previsto come integrale od oltre il termine di centottanta giorni dall’omologa del concordato;
ii) per i crediti di lavoro non sembra possibile una moratoria oltre i sei mesi, fermo il diritto di voto ove sia previsto il pagamento oltre i trenta giorni;
i) un’annotazione sulla fattispecie del tutto peculiare della prosecuzione del mutuo ipotecario, già anticipata nella l.3/2012 all’art. 8 commi 1-ter e 1-quater. Detta previsione - nella duplice formulazione della garanzia gravante sull’immobile adibito a residenza principale e sul bene strumentale all’esercizio dell’impresa - è oggi prevista agli artt. 67 quinto comma CCII (ristrutturazione dei debiti) e art. 75 terzo comma CCII (concordato minore).
A dispetto del dato positivo piuttosto chiaro, la previsione è foriera di una serie di criticità, anche solo in riferimento all’inclusione o meno del mutuo nel piano, su cui non possiamo indugiare[18].
Ci limitiamo ad evidenziare un profilo non di poco conto, rimasto sullo sfondo in vigenza della l. 3/2012 in cui anche il consumatore poteva accedere alla procedura di accordo e le due fattispecie di prosecuzione del mutuo (abitazione e bene d’impresa) erano inserite nello stesso art. 8, così da ritenere astrattamente non esclusa la possibilità, per il sovraindebitato che avesse maturato debiti d’impresa, di impostare un piano di accordo prevedente l’incrocio delle due fattispecie, ovvero la prosecuzione del mutuo gravante non già sul bene strumentale bensì sulla casa di abitazione.
Nel concordato minore, a cui non accede il consumatore, è ora prevista la sola fattispecie di prosecuzione del mutuo sul bene strumentale d’impresa, pur essendo frequente, nella prassi, l’ipotesi dell’imprenditore o del professionista indebitato che, se da un lato ha maturato debiti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale, dall’altro lato ha cercato di preservare il proprio immobile residenziale proseguendo regolarmente nel pagamento delle rate del mutuo assistito da garanzia ipotecaria sullo stesso.
Pur essendo le due fattispecie di prosecuzione del mutuo rigorosamente distinte, ed addirittura inserite come opzioni normative in procedure diverse, ad avviso di chi scrive non v’è ragione di ritenere preclusa tale possibilità all’imprenditore minore o al professionista, diversamente potrebbe venire in evidenza un profilo di incostituzionalità della norma per irragionevolezza, risultando impedita la speciale tutela dell’abitazione all’imprenditore minore o al professionista a causa della tipologia di debiti maturata.
L’interpretazione analogica che si suggerisce, dunque, conduce a ritenere che l’imprenditore individuale, minore o agricolo, o il professionista, potrebbe proporre un concordato minore in continuità, dimostrando di poter onorare con i propri redditi, ed eventualmente con l’ausilio di terzi, il regolare pagamento del mutuo ipotecario sull’abitazione, invocando la disposizione sulla prosecuzione di detto mutuo in regolare ammortamento;
l) diversamente dall’art. 7 comma 2-ter l. 3/2012, l’art. 79 quarto comma CCII stabilisce che il concordato minore della società produce i suoi effetti anche per i soci illimitatamente responsabili, “salvo patto contrario”, inciso, quest’ultimo, non contenuto nella predetta norma della l. 3/2012.
Dunque, è possibile il ‘patto contrario’, ovvero la previsione per cui le obbligazioni sociali permangono in capo al socio illimitatamente responsabile malgrado la loro definizione a seguito dell’omologazione del concordato minore della società: trattasi di un patto concordatario, da inserire in modo esplicito nella proposta, come tale soggetto alla vincolatività dello stesso nei confronti della generalità dei creditori anteriori, in conseguenza della sentenza di omologa;
m) l’art. 79 quinto comma CCII disciplina, altresì, i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, diversi dai soci illimitatamente responsabili, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso, “salvo che sia diversamente previsto”; il concordato minore omologato, dunque, se da un lato è obbligatorio verso tutti i creditori anteriori, dall’altro lato lascia impregiudicati i diritti verso i terzi coobbligati, salvo diverso patto concordatario, da inserire nella proposta, avente ad oggetto la liberazione degli stessi.
La previsione si discosta dall’analoga norma dettata per il concordato preventivo all’art.117 primo comma CCII, che non ammette deroghe alla regola per cui ifideiussori del debitore, i coobbligati e gli obbligati in via di regresso, non possono avvalersi dell’effetto esdebitatorio e restano obbligati per intero nei confronti del creditore[19];
n) la fase dell’esecuzione del concordato presenta notevoli differenze rispetto all’accordo ex l. 3/2012:
i) si consideri, in primo luogo, che non è più prevista la nomina di un liquidatore o l’adempimento a cura dell’OCC, essendo l’esecuzione demandata dalla legge direttamente al debitore, tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione al piano omologato, sotto la vigilanza dell’OCC che provvederà a relazionare al giudice ogni sei mesi[20];
ii) in secondo luogo, il legislatore ha introdotto le procedure competitive per le vendite e le cessioni previste dal piano, a cui, peraltro, provvede direttamente il debitore, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sotto il controllo e con la collaborazione dell'OCC e sulla base di stime effettuate da operatori esperti.
La disposizione integra una declinazione del principio della migliore soddisfazione dei creditori, ritenuto prevalente rispetto al favor debitoris che caratterizzava la l. 3/2012 e che dovrebbe permeare anche la nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento nel CCII.
Deve concludersi che non sarà più possibile presentare piani con proposte c.d. chiuse, così frequenti nella prassi in vigenza della l. 3/2012, in cui, ad es., la proposta veniva sorretta dalla previsione di un terzo offerente (sovente, un familiare) che si proponeva di ri-acquistare l’abitazione del debitore o l’immobile adibito a sede dell’impresa o le quote di partecipazione della società di famiglia[21];
iii) infine, al riparto del ricavato provvede il debitore, essendo demandato all’OCC la presentazione, terminata l’esecuzione, di una relazione finale e non di un rendiconto;
o) diversamente dall’accordo ex l. 3/2012, curiosamente il concordato minore prevede che il compenso dell’OCC, peraltro assistito dalla prededuzione ex art. 6 CCII, venga pagato una volta eseguito integralmente il piano[22].
La criticità si evidenzia in tutte le ipotesi di continuità aziendale o professionale con piani di lunga durata, anche pluriennali, per cui l’integrale esecuzione degli stessi viene differita nel tempo, procrastinando così il pagamento del compenso dell’OCC, che subirà sostanzialmente anche l’alea connessa al mancato o parziale adempimento del concordato[23];
p) rilevanti le innovazioni di carattere processuale, a cominciare dalla non reclamabilità del decreto ex art. 78 CCII con cui il giudice dichiara aperta la procedura:
i) non è più prevista la fissazione dell’udienza di adunanza dei creditori, né l’obbligo in capo al gestore della crisi di comunicare ai creditori una ‘relazione sui consensi’, limitandosi il giudice ad assegnare un termine non superiore a trenta giorni entro il quale i creditori devono far pervenire il proprio voto ed eventuali contestazioni od osservazioni; è ragionevole, tuttavia, ipotizzare che il gestore depositi comunque una relazione in ordine all’esito della votazione ed eventuali contestazioni od osservazioni da parte dei creditori;
ii) viene esclusa, quale effetto automatico del decreto di apertura della procedura, l’inibitoria delle azioni esecutive e cautelari (c.d. automatic stay), che deve essere oggetto di espressa richiesta del debitore da formulare con il ricorso introduttivo di accesso alla procedura;
iii) con il decreto di apertura della procedura ex art. 78 CCII il giudice nomina un commissario giudiziale “perché svolga, a partire da quel momento, le funzioni dell’OCC”, in tre specifiche ipotesi, ovvero
- se è stata disposta la sospensione generale delle azioni esecutive e la nomina appare opportuna per tutelare gli interessi delle parti;
- se il concordato è in continuità aziendale, con omologazione da pronunciarsi in assenza di voto favorevole di tutte le classi;
- se la nomina è oggetto di espressa richiesta del debitore[24];
iv) ai fini dell’approvazione della proposta di concordato da parte dei creditori, vige sempre la regola del silenzio-assenso ma il quorum scende dal 60%, previsto nell’accordo ex l. 3/2012, alla semplice maggioranza dei crediti ammessi al voto[25];
v) il concordato è omologato dal giudice monocratico non più con decreto ma con sentenza; con lo stesso provvedimento decide anche eventuali contestazioni, se del caso applicando la regola del c.d. cram down in ordine all’eventuale dissenso dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, ogni qualvolta la proposta risulti più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria; analogamente, il giudice omologa il concordato anche in presenza di una esplicita contestazione di un creditore circa la convenienza della proposta, sempre se ritiene che il credito dell'opponente possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria;
vi) il CCII non prevede alcuna fissazione di udienza di omologazione, neppure nel caso in cui pervengano osservazioni o contestazioni da parte dei creditori, limitandosi l’art. 80 CCII a prevedere che il giudice omologa il concordato “sentiti il debitore e l’OCC”; è, tuttavia, ragionevole ipotizzare che venga disposta, per la fase di omologa, apposita udienza per sentire le parti interessate, almeno in presenza di eventuali creditori opponenti;
vii) in caso di rigetto della domanda di concordato, il giudice provvede con “decreto motivato”, non con sentenza, in cui dispone anche l’inefficacia delle misure protettive eventualmente concesse, reclamabile innanzi al tribunale in composizione collegiale;
viii) il CCII semplifica la disciplina delle patologie del concordato, accomunando sotto l’istituto della “revoca dell’omologazione” fattispecie tra loro differenti quali la sottrazione dell’attivo o altri atti di frode, da un lato, e la mancata esecuzione integrale del piano o la sua sopravvenuta inattuabilità, dall’altro.
* * *
Senza alcuna pretesa di esaustività, ci soffermiamo su alcuni tratti del concordato minore comuni alle altre procedure di sovraindebitamento, e su alcune criticità di carattere sistematico ed interpretativo che si ipotizza possano venire in evidenza nell’applicazione concreta dei nuovi istituti.
4.2. Il presupposto oggettivo: la crisi prospettica
L’art. 2 primo comma lett. c) CCII definisce il sovraindebitamento con il richiamo allo stato di crisi o d’insolvenza del debitore: la definizione dell’art. 6 l. 3/2012 - “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte” - cede il passo alla nuova definizione di “crisi”, intesa come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
Viene così introdotto, anche con riferimento alle situazioni di sovraindebitamento, il concetto di ‘insolvenza prospettica’, non attuale ma probabile, mentre la nozione aziendalistica di ‘inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici’, applicata alle situazioni meno complesse di sovraindebitamento, è stata declinata da un autorevole A. come “qualunque ricavo o guadagno atteso, o in senso generico ‘entrata’ che in concreto risulti inadeguata in prospettiva a far fronte alle obbligazioni assunte o a quelle che siano di prossima assunzione”[26]; concretamente, potrà accedere alle procedure di sovraindebitamento non più, e solo, chi si trova in una situazione di ‘perdurante squilibrio” economico ma anche coloro che prevedono di ritrovarsi a breve nell’oggettiva difficoltà di onorare i propri impegni finanziari, attuali o prossimi, come il caso tipico del garante fideiussore non ancora escusso.
4.3. Il presupposto soggettivo: l’esclusione del consumatore
A differenza della l. 3/2012, in cui il consumatore poteva optare per il piano o l’accordo di composizione, il legislatore del CCII ha operato una scelta netta nel precludere al consumatore l’accesso al concordato minore, riservandogli esclusivamente la ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII[27].
Il concordato minore è riservato agli altri soggetti menzionati dall’art. 2 primo comma lett. c) CCII, ovvero il professionista, l'imprenditore minore, l'imprenditore agricolo, la start-up innovativa, e ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza.
Malgrado le perplessità mostrate dalla dottrina, dunque, il legislatore ha confermato l’impianto iniziale del CCII che impedisce l’accesso ad un’unica procedura di ristrutturazione per la definizione della debitoria c.d. promiscua del consumatore, laddove questi abbia maturato pregressi debiti derivante dall’attività d’impresa o professionale, oltre a debiti di natura consumeristica, in evidente dissonanza con la Direttiva Insolvency (Direttiva UE 2019/1039 del 20 giugno 2019).
Tali criticità di composizione della situazione di crisi del consumatore, trovano ulteriore conferma nel caso del socio illimitatamente responsabile, incluso nella definizione di “consumatore” ex art. 2 primo comma lett. e) CCII, cui faremo cenno nel prossimo paragrafo.
4.4. segue: il sistema binario società / socio illimitatamente responsabile
Con riferimento al socio illimitatamente responsabile, malgrado le perplessità sollevate da più parti, il legislatore ha ribadito la scelta di affidare la disciplina della crisi da sovraindebitamento di tale tipologia di socio ad un sistema binario società / socio che pone non poche difficoltà.
Per rimanere alla fattispecie di società di persone non fallibile (rectius: non assoggettabile a liquidazione giudiziale), la criticità deriva dal fatto che il socio illimitatamente responsabile non può accedere in via autonoma ad una procedura negoziale per definire i debiti sociali, fin quando permane in vita la società ed il rapporto sociale, come vedremo meglio più avanti.
Ciò comporta che la società dovrà proporre un concordato minore i cui effetti si produrranno anche in favore del socio illimitatamente responsabile, che si troverà pertanto esdebitato con riferimento alle sole obbligazioni sociali, salvo il patto contrario[28].
In presenza di debiti personali di natura consumeristica, egli potrà accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti ex at. 67 CCII (ex Piano del Consumatore) - anche contestualmente alla eventuale procedura della società - senza la possibilità, tuttavia, di definire, all’interno della procedura ex art. 67 CCII, i debiti sociali su di lui gravanti, essendo espressamente qualificato dalla legge come ‘consumatore’ solo “per i debiti estranei a quelli sociali”[29].
Dunque, il socio non è legittimato autonomamente ad esperire una procedura negoziale di sovraindebitamento per la composizione dei debiti sociali, dovendo attendere, a tal fine, l’iniziativa della società, salva, ovviamente, la richiesta di accesso alla liquidazione controllata, che coprirà l’intero indebitamento del socio[30], con alcuni problemi di coordinamento tra la procedura individuale e quella eventualmente intrapresa dalla società[31].
4.5. segue: il socio illimitatamente responsabile può accedere al Concordato Minore?
Ciò detto, l’avere incluso il socio illimitatamente responsabile nella nozione di “consumatore” ex art. 2 CCII, con riferimento ai “debiti estranei a quelli sociali”, significa forse che gli è precluso il concordato minore?
È chiaro che la questione dell’accesso alle procedure da parte del socio illimitatamente responsabile non è stata semplificata nel nuovo Codice; la complessità del problema ha determinato vari orientamenti, in dottrina ed in giurisprudenza, in vigenza della l. 3/2012, anche dopo le anticipazioni del Codice a seguito della mini riforma del 2020.
Proviamo a definirne il perimetro, alla luce delle nuove norme, osservando, in primo luogo, che a seguito del varo del Codice le prime analisi hanno semplificato impropriamente il tema della legittimazione all’accesso delle procedure, riservando il concordato minore all’imprenditore ed al professionista, e la ristrutturazione dei debiti al consumatore, per cui la prima procedura sarebbe preclusa al socio illimitatamente responsabile, rientrante nella nozione di consumatore ex art. 2 CCII.
Va chiarito, invece, che il concordato minore non è riservato solo all’imprenditore minore, od agricolo, ed al professionista.
Ad esso possono accedere, escluso il consumatore, “i debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in stato di sovraindebitamento” (art. 74 primo comma CCII), e tra i debitori indicati dall’art. 2 rientrano non solo il professionista, l'imprenditore minore o agricolo e la start-up innovativa, ma anche “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” (art. 2 primo comma lett. c CCII), formula che la giurisprudenza, in vigenza dell’analogo art. 6 l. 3/2012, ha riferito al soggetto non fallibile ex art. 147 l. fall. in estensione al fallimento sociale.
Il socio illimitatamente responsabile non è imprenditore, perlomeno in quanto tale, ma può certamente rientrare nella categoria dei debitori non assoggettabili alla liquidazione giudiziale, al verificarsi delle condizioni già vigenti con la l. 3/2012 ed enucleate dalla giurisprudenza sulla base dei tradizionali dati normativi (art. 10 e 147 l. fall., oggi trasfusi negli artt. 33 e 256 CCII).
In particolare, per rimanere alle fattispecie più comuni, il socio illimitatamente responsabile non sarà più soggetto a liquidazione giudiziale, in estensione alla procedura della società sopra soglia, una volta decorso l’anno dalla cancellazione di questa dal Registro Imprese (art. 33 CCII) ovvero decorso l’anno dalla formalizzazione, sempre nel Registro Imprese, del proprio recesso dalla società (art. 256 CCII).
Una volta cancellata la società di persone sopra soglia,
- se l’apertura della liquidazione giudiziale della società interviene entro l’anno, l’efficacia della relativa sentenza si estende ai soci illimitatamente responsabili e determina l’apertura in capo agli stessi della medesima procedura (art. 256 CCII);
- se invece la liquidazione giudiziale della società non può più essere aperta per il decorso dell’anno, allora il socio illimitatamente responsabile si troverà nella condizione di poter accedere al concordato minore, definendo, in tale unica procedura, sia la debitoria personale che sociale.
Il discorso è analogo per il caso del recesso.
Se il socio illimitatamente responsabile è receduto dalla società ed ha formalizzato tale scioglimento presso il Registro Imprese, sarà soggetto a liquidazione giudiziale in caso di apertura, entro l’anno, dell’analoga procedura in capo alla società (art. 256 CCII);
mentre, ove fosse decorso l’anno dal recesso, l’eventuale liquidazione giudiziale della società non avrebbe effetti sul socio receduto, che, dunque, potrebbe proporre il concordato minore, definendo l’intera sua debitoria, personale e sociale: circostanza in cui si avrebbe la contestuale pendenza delle due procedure (che potrebbero essere anche omogenee, ovvero entrambe liquidatorie o concordatarie).
In presenza, invece, di società di persone sotto soglia, non potendo tale società essere sottoposta a liquidazione giudiziale, il socio illimitatamente responsabile dovrebbe trovarsi (teoricamente) nella condizione di potere, fin da subito, accedere al concordato minore per definire tutti i propri debiti, rimanendo inteso che, per il combinato disposto degli artt. 256 e 270 CCII, l’eventuale apertura della liquidazione controllata in capo alla società determinerebbe l’apertura di analoga procedura liquidatoria in capo al socio illimitatamente responsabile, circostanza che travolgerebbe la procedura di concordato minore[32].
Analogamente, stante il richiamo dell’art.256 secondo comma CCII operato dall’art. 270 CCII, ed il rinvio all’art. 33 CCII disposto dall’art. 65 CCII, dovrebbero valere, anche in riferimento alla fattispecie del socio illimitatamente responsabile di società sotto soglia, le due regole per cui:
- decorso un anno dalla cancellazione della società dal Registro Imprese la liquidazione controllata della società non può più essere aperta, per cui la debitoria sociale (e personale) potrà essere definita solo con una procedura promossa dal socio illimitatamente responsabile;
- decorso l’anno dal recesso del socio formalizzato a Registro Imprese, l’eventuale liquidazione controllata della società non avrebbe effetti sul socio receduto, che, dunque, sarà libero di promuovere personalmente una procedura da crisi di sovraindebitamento[33].
4.6. La prededuzione
La nuova disciplina dell’art. 6 CCII, espressamente dedicato alla “Prededucibilità dei crediti”, rappresenta una involuzione della normativa rispetto alla prassi invalsa con le procedure della l. 3/2012, escludendo essa il compenso professionale del legale che assiste il debitore e dell’advisor finanziario, figura, quest’ultima, spesso necessaria e imprescindibile nella costruzione del piano riguardante situazioni di crisi di imprese commerciali ed agricole sotto soglia.
Eppure la miniriforma del 2020 ne aveva, addirittura, ampliato il perimetro con la modifica dell’art. 13 comma 4-bis l. 3/2012, stabilendo la prededucibilità dei “i crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti di cui alla presente sezione, compresi quelli relativi all'assistenza dei professionisti”[34].
Il dibattito avviato intorno all’art. 6 CCII è noto, soprattutto con riferimento alla previsione per cui i crediti professionali sorti in funzione della presentazione del concordato preventivo sono riconosciuti come prededotti nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia formalmente aperta[35].
Fatto è che nella formulazione finale della norma, l’art. 6 CCII menziona come prededucibili, per quanto ci interessa, soloi crediti relativi a spese e compensi per le prestazioni rese dall’OCC, non anche i crediti dei professionisti che assistono il debitore.
Dovrebbe concludersi che il legislatore abbia optato per l’eliminazione del criterio generale del credito sorto “in funzione” della procedura, per riservare la prededucibilità i) ai soli crediti espressamente qualificati come tali dalla legge[36], ii) alle altre ipotesi contemplate nell'art. 6 CCII, quest’ultime da intendersi come tassative ed insuscettibili di applicazione estensiva o analogica ad altre fattispecie non espressamente previste[37].
Tuttavia, va rilevato il dato normativo di segno opposto, rappresentato dal secondo comma dell’art. 277 CCII[38] dettato in tema di ‘liquidazione controllata del sovraindebitato’, che riprende l’attuale formulazione dell’art. 14-duodecies l. 3/2012 (e dell’art. 13 comma 4-bis), ripristinando i criteri generali di occasionalità e funzionalità ai fini della prededucibilità dei crediti.
La specialità della norma dell’art. 277 CCII rispetto alla previsione generale contenuta all’art. 6 CCII conduce a ritenere che il credito del professionista che assiste il debitore nella domanda di liquidazione controllata sia prededucibile, mentre il compenso del legale che cura la domanda di concordato minore, in carenza di analoga disposizione specifica e non essendo espressamente richiamato dall’art. 6 CCII, dovrebbe rimanere confinato tra i crediti privilegiati ex art. 2751-bis primo comma n.2) del codice civile.
Tuttavia, tale conclusione appare stridente ed irragionevole, ove si consideri i) che nel concordato minore il patrocinio del difensore è obbligatorio, operando la regola generale sulla obbligatorietà della difesa tecnica posta dall’art. 9 secondo comma CCII[39]; ii) che il concordato minore, a tutti gli effetti, è una procedura concorsuale modellata sulla base della procedura maggiore, la cui tecnicalità impone comunque una professionalità altamente specialistica; iii) che il favor accordato dal legislatore al debitore sovraindebitato ai fini del suo reinserimento nel ciclo economico tramite il c.d. fresh start, a cui viene espressamente dedicata la procedura di concordato minore, appare incompatibile con l’esclusione del credito del professionista dall’ambito della prededucibilità.
La questione andrà certamente al vaglio della giurisprudenza che, ragionevolmente, oscillerà tra l’orientamento più restrittivo volto a negare la prededuzione sulla base del dato letterale dell’art. 6 CCII, e l’approccio più liberale che, eventualmente, farà leva sulla clausola di rinvio alle norme del concordato preventivo, in quanto compatibili, prevista all’art. 74 quarto comma CCII, e dunque al citato art. 6 primo comma lett. c)[40].
5. Il criterio di compatibilità: il perimetro oggettivo del rinvio alle norme del concordato preventivo.
L’art. 74 ultimo comma CCII prevede che “per quanto non previsto dalla presente sezione, si applicano le disposizioni del capo III del presente titolo in quanto compatibili”, dettate per la procedura di concordato preventivo.
Se da un lato l’introduzione di detto richiamo risolve una volta per tutte la questione della possibilità di colmare i vuoti normativi del concordato minore mediante l’applicazione analogica delle norme dettate per la procedura maggiore, dall’altro lato tale disposizione di chiusura pone una serie di problemi interpretativi.
In primo luogo, viene da chiedersi se il richiamo alla compatibilità vada nella direzione di facilitare la formulazione di una proposta di concordato minore o se la complessità della normativa sul concordato preventivo non si risolva, invece, in un forte ostacolo alle soluzioni negoziali di risanamento per i soggetti sovraindebitati.
In altri termini, ci si interroga se il legislatore abbia posto il richiamo alla disciplina ‘maggiore’ per esigenze sistematiche, nel senso di uniformare il più possibile le due discipline per evitare eccessive disparità di trattamento - per cui le norme del concordato preventivo vanno applicate tutte, se non manifestamente incompatibili - oppure se il limite di compatibilità vada letto in funzione della semplificazione a cui è improntato il concordato minore, quale favor per le imprese di minori dimensioni ed i professionisti, per cui il richiamo può limitarsi alle disposizioni favorevoli e funzionali alle situazioni di crisi di tali categorie di debitori[41].
È forse ragionevole aderire ad un approccio ermeneutico che privilegi la funzionalità delle norme, in ragione della natura dei soggetti che accedono alla procedura, anche per dare valore all’inciso per cui le norme del concordato preventivo vanno richiamate “per quanto non previsto dalla presente sezione”, ciò che lascia intendere che se il legislatore ha comunque previsto una disciplina sommaria nel concordato minore, lo ha fatto nel segno della semplificazione, in ragione della tipologia dei debitori a cui è rivolta detta procedura, per cui ha poco senso ipotizzare un’applicazione estesa e capillare delle norme che regolano il medesimo aspetto nella procedura maggiore.
5.1. Modalità applicative del criterio
Proprio nel senso di definire il perimetro oggettivo del richiamo, va, dunque, preso atto che il legislatore, in ordine ad alcuni aspetti, ha completamento omesso una specifica regolamentazione nel concordato minore, mentre altri profili sono stati espressamente disciplinati, ancorché in modo semplificato e parziale, per cui ci si chiede se in quest’ultima situazione sia preclusa l’integrazione della disciplina.
Ancora una volta, la risposta a detto quesito impone l’analisi caso per caso delle singole fattispecie, al fine di individuare l’effettiva volontà del legislatore[42].
In tal senso, vengono in evidenza tre diverse declinazioni interpretative, a secondo del grado di disciplina specifica prevista dal legislatore nel concordato minore:
a) nulla quaestio con riferimento ai profili in alcun modo regolati dagli artt. 74 ss. CCII ed in cui la relativa disciplina stabilita per il concordato preventivo appare ‘neutra’, cioè idonea a disciplinare anche fattispecie eterogenee, non presentando, dunque, particolari problemi di compatibilità in relazione alle proposte concordatarie presentate da professionisti e imprese minori[43];
b) un’ulteriore casistica attiene a quel complesso di situazioni disciplinate dal legislatore nell’ambito degli artt.74 ss. CCII, con norme ad hoc poste per tale procedura, che traducono una volontà chiara e specifica del legislatore di regolare la fattispecie semplificandone la disciplina, in funzione delle tipologie di debitori interessate dal concordato minore: in tal caso, è ragionevole ritenere che, malgrado la compatibilità delle norme, il richiamo vada escluso[44];
c) infine, di maggiore problematicità si appalesano tutte quelle situazioni che andranno analizzate caso per caso, norma per norma, in ordine al richiamo di disposizioni in teoria ‘compatibili’ ma che il legislatore ha, tuttavia, formulato con specifico riferimento al concordato preventivo, senza disciplinare la fattispecie nella procedura ‘minore’, che tratterremo nel prossimo paragrafo.
6. Le fattispecie non regolate nel Concordato minore
Si è già fatto cenno, innanzi, al tema della moratoria e delle regole che sovraintendono il riparto ai creditori delle risorse concordatarie, questioni non disciplinate dal legislatore nel concordato minore.
Vediamo, in modo sommario e senza pretesa di esaustività, altre situazioni non regolate espressamente nel concordato minore con una disciplina ad hoc.
6.1. Continuità indiretta
La continuità cui allude l’art. 74 CCII va certamente intesa come continuità sia diretta che indiretta, stante il richiamo alla più esaustiva disciplina dell’art. 84 CCII in tema di concordato preventivo, finalizzata alla salvaguardia dell’azienda, per cui è ben possibile proporre un concordato minore in cui la prosecuzione dell’attività aziendale sia prevista in capo ad un altro imprenditore in forza di conferimento o cessione d’azienda, eventualmente preceduto dalla stipula dell’affitto, anche anteriormente, a condizione della sua funzionalità rispetto alla domanda di concordato.
In tal senso, in dottrina non constano voci dissonanti, se non per precisare che il richiamo normativo dovrebbe valere per l’imprenditore commerciale o agricolo, individuale o collettivo, ma non anche per il professionista, stante la natura personale dell’attività esercitata, incompatibile con l’affitto a terzi e la prosecuzione “indiretta” dell’attività professionale.
6.2. Proposte e offerte concorrenti
Nessun cenno viene operato nel concordato minore alle proposte concorrenti (art. 90 CCII) ed alle offerte concorrenti (art. 91 CCII).
Quanto alla prima, la disciplina appare piuttosto complessa e direi non compatibile con il rito semplificato del concordato minore[45], anche solo in riferimento al termine, fissato per la presentazione della proposta concorrente, di trenta giorni anteriori alla “data iniziale stabilita per la votazione dei creditori”, considerato che nel concordato minore non c’è un termine iniziale per l’espressione del voto, ma il giudice “assegna ai creditori un termine non superiore a trenta giorni”, entro il quale devono fare pervenire all'OCC la propria eventuale dichiarazione di adesione.
Con riferimento alle offerte concorrenti - l’art. 91 CCII ricalca il disposto dell’art. 163-bis l. fall., con significative innovazioni - la questione si presenta più problematica.
Al riguardo abbiamo innanzi richiamato la regola della competitività fatta propria dall’art. 81 CCII dettato in tema di esecuzione del concordato minore, resta da capire se operi anche in detta procedura la speciale previsione delle offerte concorrenti, per cui, anche prima dell’omologazione ovvero in pendenza di domanda di concordato c.d. con riserva, il tribunale debba sempre disporre una procedura competitiva per acquisire altre offerte migliorative.
Si osserva, peraltro, che il legislatore sembra aver ridotto in modo significativo l’ambito di operatività dell’istituto rispetto alla previgente fattispecie di cui all’art. 163-bis l. fall., considerato che:
- l’obbligo della competitività scatta solo in presenza di un'offerta “irrevocabile” avente ad oggetto il trasferimento, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, obbligo che trova applicazione anche in ipotesi di affitto d’azienda;
- la medesima disciplina si applica quando, prima dell'apertura della procedura di concordato, il debitore ha stipulato “un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell'azienda, del ramo d'azienda o di specifici beni aziendali”, con chiaro riferimento all’offerta contenuta in un contratto preliminare, che tuttavia abbia ad oggetto un bene del compendio aziendale, non altro.
La prevalente dottrina ritiene compatibile detta disposizione con la procedura minore[46]; in effetti, non vi sono ragioni per escludere tale richiamo, almeno con riferimento al concordato in continuità aziendale, tenuto anche conto che il legislatore ha introdotto una fattispecie di cessione anticipata dell’azienda, anche per le imprese minori, nell’ambito della Composizione Negoziata, in forza dell’art. 22 richiamato dall’art. 25-quater CCII.
In senso contrario, resta il dubbio, tuttavia, che il legislatore, ponendo espressamente il principio della competitività solo all’art. 81 CCII, abbia inteso limitarla alla fase esecutiva, in ragione della semplificazione del rito e delle dimensioni più contenute delle imprese interessate dal concordato minore[47].
6.3. Rapporti pendenti
La disciplina del concordato minore nulla dispone in ordine alla regolazione dei rapporti pendenti, se non in riferimento alla speciale disciplina del mutuo ipotecario in regolare ammortamento al momento della domanda.
Nel concordato preventivo, invece, l’art. 97 CCII disciplina in modo compiuto i rapporti negoziali pendenti, ponendo la regola generale per cui essi proseguono, salva la facoltà del debitore di chiedere al tribunale la sospensione o lo scioglimento di uno o più rapporti, quando detta prosecuzione non sia in linea con il piano di concordato proposto.
La speciale regolazione dei contratti pendenti non pare incompatibile con il concordato minore - almeno con riferimento alle situazioni più complesse di continuazione aziendale - per cui il debitore può depositare l’istanza di sospensione contestualmente o successivamente al deposito della domanda di accesso al concordato, mentre la richiesta di scioglimento può essere depositata solo quando sono presentati anche il piano e la proposta.
Come prescritto, con l'istanza il debitore propone anche una quantificazione dell'indennizzo dovuto alla controparte della quale si tiene conto nel piano per la determinazione del fabbisogno concordatario, ammontare che, ove contestato, sarà determinato dal giudice.
L'indennizzo è soddisfatto come credito chirografario anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito conseguente a eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda di accesso al concordato[48].
6.4. Finanziamenti prededucibili
Analogamente, dovrebbe ritenersi compatibile con la procedura minore la disciplina degli artt. 99, 101 e 102 CCII in tema di finanziamenti prededucibili, per cui il debitore, con la domanda di accesso al concordato, quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale può chiedere con ricorso al tribunale di essere autorizzato, anche prima del deposito della documentazione che deve essere allegata alla domanda, a contrarre finanziamenti in qualsiasi forma, compresa la richiesta di emissione di garanzie, prededucibili, funzionali all'esercizio dell’attività aziendale sino all'omologa del concordato ed all’interesse dei creditori.
L’istanza deve essere accompagnata dal giudizio di un professionista, ragionevolmente non coincidente con l’OCC, che attesti la sussistenza dei requisiti previsti e che i finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
Il ricorso deve specificare la destinazione dei finanziamenti e le ragioni per cui, l'assenza di tali finanziamenti, determinerebbe grave pregiudizio per l’attività aziendale o per il prosieguo della procedura.
Analoga prededucibilità è accordata ai finanziamenti in qualsiasi forma effettuati, ivi compresa l'emissione di garanzie, in esecuzione di un concordato minore omologato, quando sono funzionali alla prosecuzione dell’attività aziendale ed espressamente previsti nel piano.
6.5. Autorizzazione al pagamento di crediti anteriori
Uno strumento certamente utile anche nel concordato minore in continuità aziendale è rappresentato dalla possibilità di pagare creditori “strategici”, funzionali alla prosecuzione dell’attività aziendale o professionale.
È sicuramente applicabile alla procedura in commento l’art. 100 CCII per cui il debitore, anche nella fase prenotativa, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, sempre previa attestazione di un professionista indipendente che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.
Il tribunale può autorizzare, alle medesime condizioni, il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione.
7. Le disposizioni comuni a tutte le procedure di sovraindebitamento: il richiamo dell’art. 65 CCII
Una novità di rilievo è il richiamo alla disciplina unitaria prevista per tutte le procedure.
Tra le disposizioni di carattere generale sulle procedure di sovraindebitamento si colloca, infatti, l’art. 65 secondo comma CCII che richiama, per quanto non specificamente previsto, le disposizioni di carattere generale “del titolo III, in quanto compatibili”, a cui fa seguito il terzo comma che prescrive che la nomina dell’attestatore è sempre facoltativa, in linea con il principio di cui all’art. 2, co. 1, lett. l) della legge delega n. 155/2017 che imponeva la riduzione dei costi delle procedure concorsuali.
Il richiamo alla disciplina processuale unitaria involge, in primo luogo, le norme in materia di giurisdizione (art. 26), competenza (artt. 27-32) e cessazione di attività del debitore (artt. 33-36).
Non sussistono questioni interpretative riguardo la giurisdizione e la competenza, la cui regola generale è contenuta, ulteriormente, nell’art. 76 primo comma CCI che fissa la competenza del tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali, che si presume nel luogo dove la persona fisica o giuridica hanno la propria sede d’impresa[49].
7.1. La cessazione dell’attività del debitore: l’art. 33 quarto comma CCII
Piuttosto problematico per gli operatori è, senza dubbio, l’inclusione del concordato minore nel disposto dell’art. 33 quarto comma CCII[50].
L’art. 33 riprende il vecchio art. 10 l.fall. e dispone che la liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività dell’imprenditore, coincidente con la cancellazione dal Registro Imprese e, se non iscritto, dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa.
Il quarto comma, non presente nella l. fall., dichiara inammissibile la domanda di accesso al concordato minore per l’imprenditore cancellato dal Registro Imprese, a prescindere dal decorso o meno dell’anno dalla cancellazione[51]; la ratio può, forse, essere rinvenuta nel favore accordato dal legislatore alla continuità aziendale e professionale che permea le procedure negoziali concordatarie, esclusa in radice dalla cancellazione dal Registro Imprese[52].
La norma pone difficoltà all’interprete con riferimento, quantomeno, all’imprenditore individuale.
Non è infrequente la fattispecie dell’imprenditore individuale non fallibile cancellato dal Registro Imprese, malgrado la presenza di residui debiti derivanti dall’attività d’impresa: la norma non sembra lasciare spazio all’imprenditore cessato, anche solo per un concordato minore liquidatorio con risorse esterne, ammesso dall’art. 74 secondo comma CCII quando non è prevista la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale[53].
La residua debitoria d’impresa, al contempo, dovrebbe precludergli l’accesso alla ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, consentito al solo consumatore, non essendo i debiti di natura consumeristica[54], per cui l’unica procedura praticabile (per definire anche i debiti d’impresa o professionali) sarebbe la liquidazione controllata, tramite la quale l’imprenditore potrà definire tutti i debiti maturati, d’impresa e non, al costo gravoso rappresentato dal coinvolgimento, nella procedura, della totalità dei propri beni.
Il risultato concreto, che impedisce al debitore persona fisica di pervenire all’esdebitazione, ad avviso dello scrivente, crea una criticità di ordine sistematico: aver svolto un’attività d’impresa o professionale ormai cessata, ma con una residua debitoria derivante da detta attività, non dovrebbe impedire sine die una soluzione negoziale del proprio stato di crisi, quantomeno mediante l’accesso al concordato minore di tipo liquidatorio.
A maggior ragione, ove si consideri che l’apertura della liquidazione controllata a carico della persona fisica, ai sensi dell’art. 268 secondo comma CCII, può essere chiesta da un creditore e la legge accorda al debitore il diritto di ‘sterilizzare’ tale iniziativa mediante l’accesso a una procedura negoziale di soluzione della crisi da sovraindebitamento (art. 271 CCII), che, nel caso dell’imprenditore individuale cessato, sarebbe impedita[55].
Un’interpretazione alternativa, contro l’assunto per cui sarebbero precluse le procedure negoziali di sovraindebitamento all’imprenditore individuale cancellatosi dal Registro Imprese, potrebbe muovere dalla considerazione che a seguito della cessazione il debitore persona fisica perde la qualità di imprenditore, ciò che dovrebbe consentirgli di definire l’intera sua posizione mediante la ristrutturazione dei debiti[56].
La soluzione non appare, tuttavia, convincente.
Occorre partire, in primo luogo, dallo spazio interpretativo che si apre considerando che al concordato minore - come già innanzi osservato - possono accedere, escluso il consumatore, “i debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in stato di sovraindebitamento” (art. 74 primo comma CCII), e tra i debitori indicata dalla norma richiamata rientrano non solo il professionista, l'imprenditore minore o agricolo e la start-up innovativa, ma anche “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” (art. 2 primo comma lett. c).
L’imprenditore individuale cessato ha certamente dismesso la qualità di imprenditore, ma resta ‘non assoggettabile alla liquidazione giudiziale’ - se sopra soglia dopo un anno dalla cancellazione dal R.I., se sotto soglia fin da subito - in quest’ultimo caso, dunque, ben potendo accedere al concordato minore liquidatorio.
Quanto all’ultimo comma dell’art. 33 CCII, la lettura che si propone è quella che riferisce la norma al solo imprenditore collettivo, sopra o sotto soglia, e non anche all’imprenditore individuale[57], sul presupposto implicito che la cancellazione dell’ente dal Registro Imprese determina la sua definitiva estinzione ex art. 2495 c.c., fattispecie del tutto diversa, ovviamente, dall’imprenditore individuale che sopravvive alla cessazione della ditta[58]; diversamente, come giustamente osservato in dottrina, dovrebbe concludersi che “nell’impianto del nuovo Codice la permanenza dell’iscrizione nel Registro Imprese risulterebbe una condizione imprescindibile per l’accesso (anche) al concordato minore”[59].
7.2. La nomina del Commissario Giudiziale
L’art. 65 terzo comma CCII dispone che “I compiti del commissario giudiziale o del liquidatore nominati nelle procedure di cui al comma 1 sono svolti dall'OCC. La nomina dell'attestatore è sempre facoltativa”.
Tuttavia, con il d. lgs. 83/2022 il legislatore ha inserito il comma 2-bis all’art. 78 CCII, prevedendo la nomina del commissario giudiziale “perché svolga, a partire da quel momento, le funzioni dell’OCC”, così di fatto esautorando il gestore della crisi, ritenuto evidentemente sprovvisto delle competenze necessarie per gestire le particolari situazioni di crisi.
Infatti tale nomina sarà necessaria, oltre al caso (forse poco ricorrente) in cui ne faccia esplicita richiesta il debitore, nelle due diverse ipotesi - tutt’altro che infrequenti - in cui sia stata accordata dal giudice l’inibitoria delle azioni esecutive e la domanda di concordato sia impostata in continuità aziendale[60] .
La norma si pone in controtendenza rispetto alle esigenze di semplificazione e di contenimento dei costi tipiche delle procedure di sovraindebitamento, anche con la disposizione che prevede la facoltatività della nomina dell’attestatore.
Nulla si dispone circa il coordinamento tra le due figure di controllo, anche se è chiaro che trattasi di una vera e propria sostituzione nell’esercizio delle medesime funzioni già assegnate all’OCC, per cui viene da chiedersi quale ambito di operatività permanga in capo all’OCC fino al termine della procedura.
7.3. La nomina facoltativa dell’Attestatore
Riguardo l’attestatore, il d. lgs. 83/2022 ha mantenuto la facoltatività della nomina, stabilendo all’art. 65 terzo comma CCII che “la nomina dell'attestatore è sempre facoltativa”, ma è intervenuto sull’art. 80 CCII eliminando l’inciso “economica” dal giudizio di fattibilità demandato al giudice in sede di omologazione del concordato[61].
Tale previsione era stata criticata dalla dottrina, appunto perché, da un lato, l’attestazione di fattibilità non risultava più obbligatoria, ma dall’altro lato, si pretendeva che fosse il giudice a verificare la “fattibilità economica” del piano, senza dunque uno specifico supporto dell’OCC, non più tenuto a rendere tale tipo di attestazione.
È stato, dunque, opportunamente espunto detto inciso, per cui la “fattibilità economica” pare rientrata nell’alveo dell’indagine affidata all’OCC, ma, al contempo, l’attestazione è stata mantenuta come facoltativa.
Il nuovo art. 80 CCII dispone, infatti, che il giudice omologa il concordato “verificati la ammissibilità giuridica e la fattibilità del piano”, mentre la relazione particolareggiata cui è tenuto l’OCC in base all’art. 76 CCII contiene solo “d) la valutazione sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda, nonché sulla convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria”[62].
In assenza di nomina dell’attestatore, dunque, il giudizio più pregnante di fattibilità resta demandato al giudice, mentre l’OCC, nella propria relazione particolareggiata, limita la propria indagine alla “completezza ed attendibilità della documentazione” ed alla “convenienza del piano”, giudizio che appare forse inadeguato e insufficiente in presenza di una proposta concordataria in continuità aziendale di rilevante complessità.
Infatti se, nell’ambito del concordato minore liquidatorio, la fattibilità del piano può ritenersi di facile accertamento[63], nel concordato in continuità il giudizio richiede un’attenta analisi e valutazione dei risultati prospettici attesi dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale, per la quale il giudice dovrebbe poter contare sulle competenze aziendalistiche del commissario giudiziale (facente funzioni dell’OCC)[64].
Si ritiene, dunque, che nell’ambito del concordato minore in continuità, fin dalla relazione introduttiva, l’OCC decida comunque di procedere con un penetrante controllo dei dati forniti dal debitore, allargando l’analisi al conto economico previsionale del piano, così da fornire al giudice elementi a sostegno del giudizio di fattibilità da esprimere in sede di omologazione.
In alternativa, il debitore valuterà l’opportunità di procedere alla nomina di un professionista (terzo rispetto al commissario giudiziale e/o all’OCC) che renda una formale attestazione di fattibilità del piano, anche alla stregua dei criteri elaborati dalle scienze aziendalistiche.
Quanto alla formale attestazione, nel concordato minore sono due le fattispecie particolari in cui essa deve essere resa dall’OCC, ovvero :
- in caso di soddisfo solo parziale dei crediti ipotecari o privilegiati (art. 75 secondo comma CCII), l’OCC rilascia la c.d. attestazione di incapienza avente ad oggetto il bene su cui grava il privilegio;
- in caso di prosecuzione del mutuo ipotecario originario sul bene strumentale d’impresa (art. 75, comma 3 CCII), dovendo in tal caso l’OCC attestare che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori.
Abbiamo tuttavia visto che, in forza del richiamo di alcune disposizioni della procedura maggiore, trovano applicazione nel concordato minore singole disposizioni che prevedono anch’esse la relazione di attestazione di un professionista indipendente, che ritroviamo nell’art. 88 CCII (se ritenuto applicabile) in tema di trattamento dei crediti fiscali, come pure in tema di finanziamenti prededucibili (art.99 CCII) e autorizzazione al pagamento di crediti anteriori (art.100 CCII).
7.4. Concordato minore c.d. con riserva
Una delle prime questioni interpretative che si porrà all’attenzione degli operatori, è senza dubbio rappresentata dall’ammissibilità della domanda di concordato minore c.d. con riserva, regolata per la procedura maggiore dall’art. 44 CCII, disposizione rientrante tra quelle del titolo III, richiamate dall’art. 65 CCII[65].
Lo strumento del c.d. concordato in bianco - molto utilizzato in passato per ottenere l’inibitoria delle azioni esecutive (c.d. automatic stay), nelle more della predisposizione della domanda di concordato o degli accordi di ristrutturazione - nel contesto del nuovo Codice è destinato a subire la concorrenza della Composizione Negoziata ex art. 12 ss. CCII, che pure consente di fruire delle misure protettive regolate dall’art. 18 CCII, estese anche alle imprese sotto soglia.
Tuttavia, non vi sono elementi per negare l’ammissibilità di una domanda prenotativa di concordato minore[66], tenuto conto anche del dato positivo rappresentato proprio dall’art. 271 CCII che consente al debitore, nei cui confronti un creditore o il P.M. abbia chiesto l’apertura della liquidazione controllata, di ottenere dal giudice un termine per l’integrazione della domanda finalizzata alla presentazione (anche) di una proposta di concordato minore[67].
Resta da chiarire, ove si ritenga ammissibile la domanda prenotativa di concordato minore, la questione di quali effetti scaturiscano dal deposito di detta domanda in bianco, considerato che nel concordato minore l’unico effetto conseguente al deposito della domanda è la sospensione, ai soli effetti del concorso, del corso degli interessi, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, mentre nel concordato preventivo, in conseguenza di detto deposito prenotativo, vengono fissati ulteriori effetti che potrebbero essere estremamente utili anche all’imprenditore minore, quali la sterilizzazione delle ipoteche giudiziali iscritte sul proprio bene immobile nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione della domanda nel Registro Imprese, ex art. 46 quinto comma CCII [68].
8. L’accesso al Concordato minore a seguito di istanza di liquidazione controllata da parte di un creditore o del P.M.
Merita di essere segnalata l’innovativa previsione, non anticipata nella l. 3/2012 della miniriforma, contenuta all’art. 271 CCII rubricato “Concorso di procedure”, rappresentata dalla possibilità del debitore di ‘sterilizzare’ la richiesta di apertura a suo carico della domanda di liquidazione controllata, proveniente da un creditore o dal P.M.[69].
In caso di istanza di liquidazione, infatti, il giudice deve assegnare al debitore un termine per integrare la domanda, ogni qualvolta abbia chiesto l’accesso ad una delle procedure negoziali di sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti o concordato minore).
La disposizione prevede che in pendenza di detto termine, non può essere dichiarata aperta la liquidazione controllata e la relativa domanda è dichiarata improcedibile, ove la procedura negoziale di sovraindebitamento sia effettivamente aperta.
La norma conferma il favore del legislatore per l’accesso al concordato minore rispetto alla liquidazione controllata, intesa come procedura residuale che può essere utilmente avviata solo nel caso in cui il concordato non venga aperto o sia chiuso anticipatamente; detta disposizione può essere letta unitamente a quanto disposto dall’art. 83 CCII che stabilisce, su istanza del debitore, la conversione del concordato minore in liquidazione controllata “in ogni caso di revoca”, mentre, se la revoca consegue ad atti di frode o ad inadempimento, anche su istanza del creditore o del P.M.
La possibilità di impedire l’apertura della liquidazione controllata richiesta da terzi è configurabile come un vero e proprio diritto del debitore, tenuto conto che la concessione del termine non sembra soggetto ad un particolare vaglio giudiziale[70].
9. L’accesso al Concordato minore tramite la Composizione Negoziata (cenni)
Al concordato minore il debitore sovraindebitato può pervenire anche per il tramite della Composizione Negoziata, ammessa anche per le imprese sotto soglia dall’art. 25-quater CCII, a condizione che si tratti di impresa commerciale o agricola; dunque, questa via è preclusa al professionista o agli altri soggetti di cui all’art. 2 primo comma lett. c) del Codice.
Con riferimento al presupposto soggettivo, le imprese sotto soglia, persone fisiche o giuridiche, devono presentare il requisito dell’iscrizione al Registro Imprese, necessario per l’accesso alla piattaforma telematica tramite cui si presenta l’istanza di nomina dell’esperto.
Rispetto a quanto previsto dal d.l. 118/2021, la norma non prevede più la possibilità di richiedere all’OCC la nomina dell’esperto, in alternativa al segretario della Camera di Commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede dell’impresa, unico soggetto tenuto alla nomina ed anche alla liquidazione del compenso (malgrado il refuso contenuto nell’ultimo comma dell’art. 25-quater CCII che assegna ancora all’OCC tale compito).
Il concordato minore viene indicato nel quarto comma come uno degli strumenti che l’imprenditore può richiedere, ai sensi dell’art. 74 ss. CCII, “se all’esito delle trattative non è possibile raggiungere l’accordo”[71].
9.1. Gli effetti propri della Composizione Negoziata
Malgrado l’esito negativo delle trattative, la scelta di pervenire al concordato minore tramite la Composizione Negoziata determina una serie di possibilità in capo all’imprenditore minore, espressamente richiamate, con il limite di compatibilità, dall’art. 25-quater quinto comma CCII.
In particolare, viene in evidenza la disciplina a) delle misure protettive e cautelari, b) degli atti sottoposti a regime autorizzatorio in pendenza della procedura, c) infine, delle misure premiali.
a) Le misure protettive
Di indubbia rilevanza è la possibilità per le imprese minori sotto soglia di richiedere misure protettive del patrimonio in pendenza di trattative per la composizione negoziata della crisi, a seguito dei richiamati artt. 18 e 19, in quanto compatibili.
Come noto tale possibilità non esisteva nella l.3/2012, i cui effetti protettivi conseguivano solo al decreto di apertura delle procedure di sovraindebitamento, al pari del concordato minore in cui l’inibitoria delle azioni esecutive consegue all’apertura della procedura con il provvedimento ex art. 78 CCII.
Tuttavia, abbiamo visto come l’art. 65 CCII richiami le disposizioni del procedimento unitario del titolo III, nell’ambito del quale l’art. 54 CCII prevede espressamente la possibilità di disporre le “misure cautelari e protettive”[72] anche prima del deposito della domanda di concordato, presentando, appunto, la domanda di accesso alla Composizione Negoziata o di concordato c.d. con riserva.
Per le imprese legittimate ad accedere alla Composizione Negoziata, dunque, il c.d. automatic stay conseguirà alla semplice pubblicazione nel Registro Imprese dell’istanza di applicazione di misure protettive del patrimonio; per gli altri soggetti sovraindebitati che possono accedere al concordato minore, l’unica via anticipata per beneficiare delle misure protettive è rappresentata dalla pubblicazione nel Registro Imprese della domanda di concordato c.d. con riserva - ove ritenuta applicabile alla procedura minore - contenente istanza di applicazione di misure protettive.
b) Gli atti autorizzati ex art. 22 CCII
Nel corso delle trattative successive alla nomina dell’esperto l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa.
Di grande interesse è il richiamo all’art. 22 CCII ovvero la previsione per cui, su richiesta dell’imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può:
a) autorizzare l’imprenditore a contrarre finanziamenti, anche dai soci, qualificati come prededucibili;
b) autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560, c.2, c.c., rimanendo tuttavia fermo l’art. 2112 c.c.
Peraltro, per quanto di interesse ai nostri fini, va chiarito che il sesto comma dell’art. 25-quater CCII ha colmato una lacuna dell’art.17 d.l. 118/2021 stabilendo espressamente che gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'art.22 conservano i propri effetti se successivamente interviene un concordato minore omologato.
c) Le misure premiali
Il sistema di misure premiali di carattere fiscale codificato all’art. 25-bis CCII per le imprese maggiori è richiamato dal quinto comma dell’art. 25-quater CCII nei limiti della compatibilità: il terzo comma della norma di rinvio prevede la riduzione della metà di “sanzioni e interessi sui debiti tributari sorti prima del deposito dell’istanza”, nelle ipotesi previste dall’art.23 secondo comma CCII, in cui sono indicate - per le imprese maggiori - le procedure a cui l’imprenditore può accedere in caso di mancata individuazione di una delle soluzioni negoziali previste dalla stessa norma.
L’art. 25-quater CCII non richiama l’art. 23 CCII in quanto gli strumenti che il debitore può proporre in caso di esito negativo delle trattative, tra cui il concordato minore, sono specificamente indicati al quarto comma dello stesso art. 25-quater CCII.
È, tuttavia, ragionevole ritenere che anche le imprese sotto-soglia possano concludere il percorso di composizione negoziata accedendo a detto beneficio, e dunque con la formulazione di una proposta di concordato minore che tenga conto della riduzione di legge del debito fiscale.
[1] In tal senso si è osservato che “Il sistema che oggi ne è venuto fuori – stretto fra l’attuazione della Direttiva in forza della l. 53/2021 priva di criteri direttivi, e la legge delega 155/2017 che è ancora (a torto o a ragione) ritenuta viva e vegeta, dato che consente decreti correttivi per due anni dall’entrata in vigore del CCII (e dunque fino al 2024) – è inevitabilmente complicato, essendo il risultato della composizione non sempre armoniosa di ‘anime’ diverse” (STANGHELLINI, “Il CCII dopo il d. lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della Direttiva europea in materia di quadri di ristrutturazione preventiva”, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 luglio 2022).
[2] Al d. lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.f. Primo Correttivo) ha fatto seguito il d.l. 118/2021 conv. l. 147/2021 e d.l.152/2021 conv. l .233/2021 ed ora il d. lgs. 17 giugno 2022 n.83 (Decreto Insolvency).
[3] Ciò si dica pur consapevoli del dato positivo rappresentato nella l. 3/2012 (trasfuso nel CCII) dal criterio della “convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria”, con cui il giudice è chiamato a risolvere le contestazioni del singolo creditore nelle procedure negoziali di sovraindebitamento, per cui la proposta del debitore viene comunque omologata ove risulti che il credito dell'opponente possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria.
Anche su detto punto, constano numerose pronunce che hanno interpretato la norma in favore del debitore, per esempio statuendo che detta valutazione di convenienza “deve essere effettuata con riferimento all’intera massa passiva e non con riferimento ad un singolo credito, perseguendo la procedura di sovraindebitamento una finalità pubblicistica di tutela del mercato del credito al fine di evitare fenomeni usurari, che mal si concilia con la prospettiva di tutela del singolo creditore” (Tribunale di Torino 21 febbraio 2021, Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 2 dicembre 2020, in questa Rivista).
In dottrina, sulle finalità della disciplina sul sovraindebitamento, si leggano le acute riflessioni di F.CESARE, in “Le nuove frontiere del sovraindebitamento nella pandemia”, in Il Fallimentarista, 14 aprile 2020.
[4] Esempio emblematico è rappresentato dalla fattispecie della prosecuzione del mutuo ipotecario, per cui quando si tratta dell’abitazione del consumatore, diversamente dal bene strumentale all’esercizio dell’impresa, il legislatore non ha previsto la speciale attestazione dell’OCC avente ad oggetto l’assenza di lesione dei diritti dei creditori, invece richiesta dall’art. 75 terzo comma CCII per la prosecuzione del mutuo garantito da ipoteca iscritta sul bene strumentale d’impresa.
[5] Per una disamina della ratio ispiratrice della ‘continuità aziendale’ ex art. 186-bis l. fall., si veda il contributo di GALLETTI, “Il miglior soddisfacimento dei creditori: brevi note sui principi generali e sugli interessi tutelati”, Il Fallimentarista, febbraio 2019.
[6] In questa direzione, a titolo esemplificativo, sembra deporre la scelta netta operata dal legislatore di includere anche le imprese sotto soglia nel perimetro dei soggetti legittimati alla Composizione Negoziata, al pari di quanto previsto per le imprese commerciali maggiori, con la specifica disciplina richiamata dall’art. 25-quater CCII e dettata espressamente per le situazioni di crisi nelle quali risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”.
[7] È copiosa la giurisprudenza di merito che, sul presupposto dell’approvazione dei creditori e stante la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, ha omologato accordi di composizione ex l. 3/2012 prevedenti percentuali irrisorie di realizzo per il ceto chirografario (ex multis, Tribunale di Forlì 13 agosto 2019, inedita, ha omologato la proposta di accordo prevedente il soddisfo dei chirografari in misura pari allo 0,11%; Tribunale di La Spezia 7 gennaio 2022, in questa Rivista, in misura dello 0,18 %; Tribunale di Rimini 17 maggio 2022, inedita, nella misura dello 0,29%).
[8] Fatta eccezione del consumatore, i soggetti rientranti nella previsione soggettiva dell’art. 2 primo comma lett. c) sono, dunque, il professionista, l'imprenditore minore, l'imprenditore agricolo, la start-up innovativa, e ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza.
È chiaro che va inteso come consumatore anche l’imprenditore o il professionista che versi in uno stato di sovraindebitamento a causa di obbligazioni aventi natura consumeristica, o comunque estranee alla propria attività d’impresa o professionale.
[9] Il legislatore ha optato non solo per una riduzione dei soggetti legittimati a proporre il concordato minore, ma anche per un modello concordatario chiaramente delineato a favore dell’imprenditore sovraindebitato che intenda risanare l’impresa nel senso della continuità. Fermo quanto si dirà in prosieguo di trattazione circa l’imprenditore individuale cessato, pare condivisibile la posizione di chi ha ritenuto che il concordato minore sia chiaramente impostato per la risoluzione della crisi d’impresa, anche a scapito degli altri soggetti legittimati, come il professionista intellettuale (così ROLFI, “Il concordato minore”, in AA.VV. “Il nuovo sovraindebitamento dopo il CCII”, Bologna, 2019).
[10] Ciò si dica anche se l’art. 268 quarto comma CCII continua a menzionare, escludendoli dalla liquidazione controllata, i crediti impignorabili.
[11] La norma nel concordato minore, infatti, si limita a prevedere che i creditori privilegiati o muniti di pegno o ipoteca, dei quali la proposta prevede l'integrale pagamento, non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione.
[12] Invero, si osserva che nella procedura maggiore, rispetto al concordato minore, il legislatore ha ritenuto di porre due differenti regole per l’approvazione della proposta da parte dei creditori, a seconda se il concordato è liquidatorio o in continuità aziendale.
L’unica regola posta nel concordato minore, per cui “quando sono previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta anche nel maggior numero di classi”, è si riprodotta nell’art. 109 CCII ma con esclusivo riferimento al concordato preventivo di tipo liquidatorio, mentre la regola dell’unanimità delle classi disciplina la proposta in continuità aziendale, ma non vale nel concordato minore.
Per tale ragione, la regola empirica citata nel testo, circa le condizioni in presenza delle quali la proposta possa ritenersi comunque approvata, a mio avviso va ritenuta specifica del concordato preventivo in continuità e non applicabile analogicamente al concordato minore.
[13] Curiosamente, il legislatore fornisce una definizione di “risorse esterne” indicando quelle “apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali”.
È chiaro, tuttavia, che vanno considerate tali tutti gli apporti integranti la c.d. finanza esterna, intesa come apporto del terzo che risulti neutrale rispetto al patrimonio del debitore o stato patrimoniale della società, “non comportando nè un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, nè un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no” (Cass. 8 giugno 2020 n. 10884).
[14] Come noto, secondo la regola della c.d. priorità assoluta, le risorse provenienti dal patrimonio del sovraindebitato (c.d. finanza interna) devono essere obbligatoriamente destinate all’integrale pagamento del credito di rango superiore prima di poter soddisfare quelli di rango inferiore, per cui la prassi ha evidenziato la necessità di impostare piani di accordo prevedenti la c.d. finanza esterna da riservare ai creditori chirografari e privilegiati incapienti, pena l’inammissibilità della proposta per carenza di causa. Mentre con la regola distributiva della c.d. priorità relativa, al fine di prevedere il pagamento dei creditori chirografari, non occorre il pagamento integrale dei crediti assistiti da privilegio generale essendo sufficiente che questi ultimi ottengano un trattamento migliorativo o, comunque, non inferiore rispetto ai crediti chirografari.
[15] Ciò è chiarito dalla Relazione Illustrativa allo schema di decreto legislativo approvato, per cui “la regola di distribuzione contenuta all’art. 84 sesto comma detta due principi distinti da osservare nella ripartizione dell’attivo concordatario e che dipendono dalla natura delle risorse distribuite. Essa prevede che il valore di liquidazione dell’impresa sia distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e cioè secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore) mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, il c.d. plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore)”.
[16] Stabilisce il novellato art. 86 CCII che “Fermo quanto previsto nell’articolo 109, il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Per i creditori assistiti dal privilegio previsto dall’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile può essere prevista una moratoria per il pagamento fino a sei mesi dall’omologazione”.
[17] L’art. 109 CCII, rubricato “Maggioranza per l’approvazione del concordato”, dispone infatti che “I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall’omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile, il termine di cui al quarto periodo è di trenta giorni. Se non ricorrono le condizioni di cui al primo e secondo periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta”.
[18] L’approccio ermeneutico prevalente, nel periodo successivo all’introduzione della fattispecie nella l. 3/2012, è stato quello che ipotizza che il mutuo in prosecuzione resti estraneo al piano o all’accordo, così da tenere fuori da detto perimetro sia il debito che il bene.
La fattispecie pone questioni quali la risoluzione o meno del mutuo bancario alla data di accesso alla procedura di sovraindebitamento, il riverbero che la fattispecie determina sulla durata del piano, il giudizio di fattibilità del piano o dell’accordo e l’operatività del principio delle cause legittime di prelazione. Vanno, inoltre, chiarite altre criticità, quali gli effetti propri del decreto di omologa; il riconoscimento del diritto di voto, nell’accordo, in favore del creditore ipotecario; l’azione di risoluzione del piano o dell’accordo omologato in caso di inadempimento successivo al contratto di mutuo; la classificazione bancaria del sovraindebitato in pendenza della fase esecutiva dell’accordo o del piano omologato; non ultimo il permanere delle funzioni di sorveglianza dell’adempimento dell’accordo o del piano proprie dell’OCC, tutte questioni non espressamente regolate dal legislatore, che non ha fornito alcun ulteriore elemento circa la disciplina applicabile. Per un’analisi approfondita, mi permetto ancora di rinviare al mio contributo, “Sovraindebitamento: la prosecuzione del mutuo ipotecario dichiarato risolto dalla banca. Profili sistematici e criticità nella costruzione del piano del consumatore o dell’accordo”, pubblicato in questa Rivista, 12/2021.
[19] Si è giustamente evidenziato che “il patto contrario inserito nella proposta avrà il valore di rendere efficace anche nei confronti del coobbligato la medesima trasformazione e riduzione del debito prevista nel concordato per il debitore che lo propone, mentre non potrebbe essere imposta in questo modo la liberazione assoluta del coobbligato, che potrebbe avvenire solo per effetto dell’adesione volontaria e individuale del creditore” (ZULIANI, “Il concordato minore”, in MANENTE - BAESSATO, “La disciplina delle crisi da sovraindebitamento”, Milano, gennaio 2022, p.464).
[20] Non può, dunque, ritenersi applicabile in via analogica quanto disposto dall’art. 84 ottavo comma CCII, che prevede la nomina di un liquidatore “quando il piano prevede la liquidazione del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato”, essendo tale disposizione incompatibile con la norma espressa dell’art. 81 CCII in tema di concordato minore per cui “alle vendite e alle cessioni, se previste dal piano, provvede il debitore, tramite procedure competitive”.
[21] È chiaro che il debitore può acquisire, per es., l’offerta di acquisto di un terzo, avente ad oggetto un determinato bene, su cui costruire la proposta di concordato, tuttavia la cessione deve sempre prevedere una fase competitiva di verifica del mercato, nell’interesse dei creditori.
La formula dell’art. 81 CCII, primo comma, secondo periodo, recita, infatti, che “Alle vendite e alle cessioni, se previste dal piano, provvede il debitore, tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sotto il controllo e con la collaborazione dell'OCC, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”.
In ordine alle procedure competitive, ed al momento in cui vanno avviate all’interno della procedura di concordato minore, si porrà il problema dell’applicazione analogica a detta procedura, ove compatibile, della disciplina anticipata delle ‘offerte concorrenti’ di cui all’art. 91 CCII (ex art. 163-bis l. fall.), su cui torneremo in sede di trattazione.
[22] L’art. 81 quarto comma CCII prevede che “terminata l'esecuzione, l'OCC, sentito il debitore, presenta al giudice una relazione finale. Il giudice, se il piano è stato integralmente e correttamente eseguito, procede alla liquidazione del compenso all'OCC, tenuto conto di quanto eventualmente convenuto dall'organismo con il debitore, e ne autorizza il pagamento”, mentre il sesto comma stabilisce che “nella liquidazione del compenso il giudice tiene conto della diligenza dell'OCC”.
[23] Francamente non appare soddisfacente la previsione della prededucibilità del compenso dell’OCC se poi questo sarà pagato, magari, anni dopo l’omologazione del concordato minore. Si consideri, peraltro, che la stessa norma è contenuta nell’art. 71 sesto comma CCII in tema di Ristrutturazione dei debiti del consumatore, i cui piani omologati - in vigenza della l. 3/2012 – prevedevano una durata anche decennale o ultradecennale.
Una possibile soluzione, pragmatica e concreta, potrebbe prendere le mosse dall’art. 98 CCII, rubricato “Prededuzione nel concordato preventivo”, per cui “i crediti prededucibili sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto”.
In base al richiamo della norma ex art. 74 CCII, nei limiti della compatibilità, debitore e OCC potrebbero sottoscrivere un apposito “conferimento d’incarico” con la pattuizione del compenso in linea con il tariffario adottato dall’ente, prevedente il pagamento di uno o più acconti in corso di procedura - in conformità al piano predisposto - ed il saldo, nella misura che risulterà dovuto, all’esito della liquidazione operata dal giudice al termine della procedura, con pagamento disposto previa autorizzazione giudiziale. A fronte di un incarico così strutturato, il pagamento degli acconti in corso di procedura non dovrebbe richiedere la preventiva autorizzazione giudiziale, trattandosi di pagamenti di crediti prededucibili effettuati alle scadenze contrattuali.
[24] In un primissimo commento della disposizione contenuta all’art. 78 comma 2-bis CCII introdotta dal d. lgs. 15 giugno 2022 n.83, si è osservato che “La disposizione, non presente nel progetto né, pare, richiesta in sede di interlocuzione, è stata giustificata con la necessità di protezione dei creditori imposta dalla direttiva (art.5, par.3) che richiede una nomina giudiziale o amministrativa di un commissario giudiziale; a parte ogni considerazione sulla possibilità di ritenere equiparabile ad una nomina amministrativa quella fatta dal referente dell’OCC che è comunque un organismo per legge indipendente, appare chiaro che detta sostituzione si verificherà sistematicamente, fermo restando che non è dato comprendere come la omologazione in assenza di unanimità possa prevedersi prima che la votazione avvenga e quindi essere fatta col decreto di apertura”. (ZANICHELLI, “Commento a prima lettura del d. lgs. 83/2022”, in dirittodellacrisi, 1 luglio 2022).
[25] L’art. 79 CCII prevede altresì che “Quando un unico creditore è titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, il concordato minore è approvato se, oltre alla maggioranza di cui al periodo precedente, ha riportato la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto. Quando sono previste diverse classi di creditori, il concordato minore è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta anche nel maggior numero di classi”.
[26] LAMANNA, “Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”, Il civilista, giugno2019.
[27] Salvo il caso della procedura familiare ex art. 66 CCII, che coinvolge più membri della stessa famiglia – anche consumatori - nell’ambito di un progetto unitario di soluzione della crisi, che può essere definito con il concordato minore, ove anche un solo famigliare non sia consumatore.
[28] Ciò in forza dell’art. 79 quarto comma CCII per cui “Salvo patto contrario, il concordato minore della società produce i suoi effetti anche per i soci illimitatamente responsabili”.
Nel caso in cui, invece, la società non fallibile optasse per la liquidazione controllata, la sentenza determinerebbe anche l’apertura della liquidazione in capo ai soci illimitatamente responsabili, ai sensi del combinato disposto degli artt. 256 e 270 CCII.
[29] Giustamente si è osservato che “in questa prospettiva, l’esclusione del consumatore dalla cerchia dei soggetti legittimati a formulare una domanda di concordato minore pone problemi di coordinamento tra procedure che la l. 3/2012 non conosceva, in ragione della sua fruibilità da parte sia del consumatore che dell’imprenditore” (SCOPSI, “La procedura di concordato minore”, p. 225, in PELLECCHIA – MODICA, “La riforma del sovraindebitamento nel CCII”, Pacini Editore, 2020).
Occorre, dunque, riconoscere che il legislatore ha perso l’occasione per chiarire meglio il coordinamento tra le procedure e il perimetro dei debiti definibili, se è vero che nessun orientamento ermeneutico formatosi sull’analoga definizione di consumatore anticipata nella l. 3/2012 è davvero convincente, nel senso di ritenere ammissibile la composizione della debitoria c.d. promiscua del consumatore nell’ambito di un’unica procedura.
Peraltro, come già cennato, la nozione di consumatore, con riferimento al socio illimitatamente responsabile, non sembra aver recepito correttamente la Direttiva Insolvency che, invece, raccomandava di mettere in condizione il consumatore di utilizzare un unico strumento di fuoriuscita dalla situazione di sovraindebitamento, per la definizione, al contempo, dei debiti di consumo e d’impresa o professionali. Tale criticità di coordinamento con la direttiva europea è giustamente segnalata in dottrina, cfr. CIPOLLA, “Le nuove procedure di sovraindebitamento”, www.dirittobancario.it, 2021.
Tale convinzione è stata ribadita in dottrina, per cui “a prescindere dalle soluzioni concrete e dalle specificazioni che verranno a stratificarsi in sede di applicazione della nuova definizione di consumatore, l’interprete dovrà – se possibile – privilegiare ricostruttive funzionali a contenere il rischio che per la gestione della crisi di uno stesso debitore debba farsi ricorso a più procedure. Tale evenienza si pone in contrasto con gli obiettivi dell’Unione Europea. Proprio sul presupposto che spesso non sia possibile distinguere i debiti maturati nell’esercizio dell’attività d’impresa dai debiti a questa estranei, la Direttiva, al Considerando 21, denuncia che gli imprenditori non godrebbero efficacemente di una seconda opportunità se, per liberarsi dai loro debiti, dovessero sottoporsi a procedure distinte con diverse condizioni di accesso e con diversi termini. Il dato normativo riformato continua, tuttavia, a non escludere l’eventualità di un cumulo di procedure in capo allo stesso soggetto” (M. RANIELI, “Requisito soggettivo per l’accesso alle procedure e presupposti di ammissibilità”, in AA.VV., “La nuova disciplina del sovraindebitamento – Le riforme del diritto italiano”, diretto da M. Irrera e Stefano Cerrato, Torino, settembre 2021, pag. 44).
[30] Con riferimento alla residua procedura di liquidazione controllata che potrebbe promuovere il socio illimitatamente responsabile, è noto che la sua ammissibilità è tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, in carenza di procedura della società.
In tal senso, v. Tribunale di Rimini, con decreto 10 febbraio 2020, in questa Rivista, che in fattispecie di socio illimitatamente responsabile di società fallibile - ma il discorso sarebbe analogo con riferimento alla società non fallibile, anche alla luce delle nuove disposizioni del CCII, con cui si è operato un riallineamento delle due fattispecie -, ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di apertura della liquidazione del socio, sul presupposto che la liquidazione di questi non può preesistere alla liquidazione fallimentare della società, procedure entrambe caratterizzate dalla universalità dei beni da mettere a disposizione dei creditori concorsuali; in effetti, in vigenza della società, diventa difficile ipotizzare una liquidazione controllata del socio che determinerebbe l’esdebitazione totale, dunque anche dalle obbligazioni sociali, pur rimanendo, appunto, in vita la società.
Contra, nel senso che la liquidazione controllata del socio sovraindebitato possa riguardare solo i suoi debiti personali, non anche sociali per i quali può essere invocato il beneficium excussionis, almeno ogni qualvolta la società sia in bonis, mi pare si sia espresso un autorevole Autore (PANZANI, Corso di alta formazione “Gestori della Crisi d’impresa. Le procedure di composizione della crisi tra presente e futuro”, Università del Piemonte orientale settembre / dicembre 2020, i cui contributi sono curati da Cracolici, Curletti e Tedeschi, editi da Wolter Kluwer Italia).
[31] Tali problemi di coordinamento possono declinare verso vere e proprie criticità di sistema, ogni qualvolta la società, pur in stato di crisi od insolvenza, per qualsiasi motivo non richieda l’accesso ad alcuna procedura, mantenendo così la debitoria sociale in capo al socio illimitatamente responsabile, nell’impossibilità di questi di definirli fino a quando permarrà il vincolo sociale, imponendogli di fatto lo scioglimento del rapporto societario.
[32] Peraltro, ciò si dica anche se il CCII non riprende la disposizione dell’art. 12 quinto comma l. 3/2012 per cui “la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l'accordo”.
[33] A conclusione di tali rilievi riguardanti il socio illimitatamente responsabile, si osserva che è ragionevole ipotizzare una congerie di problemi applicativi delle norme richiamate, non fosse altro per la varietà dei casi concreti che andranno all’attenzione della giurisprudenza. Si pensi al caso del socio illimitatamente responsabile indebitato che sia autonomamente imprenditore o professionista ed intenda proporre un concordato minore in continuità, definendo al contempo i debiti sociali; al rapporto, a cui abbiamo fatto cenno, tra socio indebitato che propone il concordato minore e la società in bonis; al concorso tra le procedure del socio e della società, che trova scarna regolamentazione nel CCII (consta solo l’art. 271 CCII), con riferimento alla falcidia concordataria dei crediti sociali conseguente al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione nel concordato sociale; infine, al rapporto tra procedura della società ed eventuale procedura familiare del socio illimitatamente responsabile, ex art. 66 CCII.
[34] Tale previsione, ancorché inserita nella disciplina delle procedure negoziali di sovraindebitamento, è stata ritenuta applicabile analogicamente anche ai crediti professionali sorti ai fini della presentazione del ricorso per la ammissione alla procedura di liquidazione ex art 14 ter l. 3/2012, cfr. Tribunale di Rimini 14 ottobre 2021, in questa Rivista, per cui la disposizione del comma 4-bis “non è ripetuta nell’art 14 duodecies comma 2 per un mero difetto di coordinamento, in assenza di ragioni per diversificare il trattamento del compenso dei professionisti - fra i quali va certamente compreso il consulente contabile del debitore - nelle tre procedure di sovraindebitamento e tenuto conto della analoga previsione di prededuzione nelle procedure concorsuali “maggiori”, sulla base dell’art. 111 comma 3 l.fall.”.
[35] La disposizione, peraltro, è frutto delle indicazioni contenute nell’art. 2 della Delega n.155/2017 in cui si auspicava “il contenimento delle ipotesi di prededuzione, con riguardo altresì ai compensi dei professionisti, al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l'attivo delle procedure”.
[36] Il CCII prevede numerose fattispecie regolate ad hoc con la previsione della prededucibilità; a titolo esemplificativo, il compenso dell’esperto (art. 25-ter CCII), i crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore (artt. 46 e 53 CCII), i finanziamenti autorizzati nella composizione negoziata (art. 22 CCII) o prima dell’omologa del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione (art. 99 CCII), od ancora, in esecuzione del concordato o dell’accordo (art. 101 CCII), i finanziamenti dei soci (art. 101 CCII), i crediti sorti nei rapporti pendenti proseguiti dal Curatore (art. 172 e 187 CCII), il credito corrispondente al controvalore del bene nella rivendica o restituzione disciplinata dall’art. 210 CCII, l’indennizzo all’affittuario in caso di recesso del curatore dal contratto di affitto d’azienda stipulato ex art. 212 CCII.
[37] Mi pare in tal senso si esprima LEUZZI, “Dalla crisi all’emergenza: la prededuzione al tempo del Covid-19”, in questa Rivista, 22 marzo 2020.
[38] Recita detto comma: “I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti”.
[39] L’art. 9 secondo comma CCII dispone che “Salvi i casi in cui non sia previsto altrimenti, nelle procedure disciplinate dal presente codice, il patrocinio del difensore è obbligatorio”.
Il legislatore ha espressamente escluso l’obbligo di difesa tecnica nella ristrutturazione dei debiti del consumatore (art.68 primo comma CCII), non anche nel concordato minore, per cui l’assistenza del difensore munito di specifico mandato è sempre necessaria, dovendosi ritenere superata la contraria interpretazione di parte della giurisprudenza fondata sulla sufficiente assistenza fornita dall’OCC, spesso munito di conoscenze tecniche specifiche (Tribunale di Roma 23 dicembre 2021, in questa Rivista).
[40] Ciò si dica anche se l’art. 74 quarto comma CCII, norma di chiusura del concordato minore, prevede che “Per quanto non previsto dalla presente sezione, si applicano le disposizioni del capo III del presente titolo in quanto compatibili”, mentre la prededuzione nel concordato preventivo resta regolata in altro contesto, appunto l’art. 6 CCII il cui primo comma, lett. c), stabilisce che “i crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo nonché del deposito della relativa proposta e del piano che la correda, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 47”.
[41] Il diverso approccio ermeneutico al criterio di compatibilità è emerso molto chiaramente in dottrina. Nel senso più rigoroso, si è osservato che “A fronte della scelta del legislatore di modellare il concordato del sovraindebitato come un fratello minore del concordato preventivo la scelta dell’interprete deve essere quella massima espansione del richiamo all’applicazione delle norme del capo III sino al limite dell’oggettiva incompatibilità” ((G.B. NARDECCHIA, “Il nuovo CCII. Disciplina, novità e problemi applicativi, in Nuove Leggi Commentate, Molfetta, 2019, pag.188).
Altri hanno invece concluso per cui “le norme del concordato preventivo vanno richiamate nella misura in cui sono funzionali all’attuazione del favor debitoris” (F.LAMANNA-D.GALLETTI, “Il primo correttivo al codice della crisi e dell’insolvenza”, Milano, 2020, che richiama LAMANNA, “Il nuovo Codice della Crisi, parte IV”, Il Civilista, Milano, 2019).
In tal senso, si è osservato che “la misura della compatibilità va declinata avendo riguardo alla peculiarità dell’istituto del concordato minore: si tratta di procedura destinata a un professionista ed a un imprenditore minore in cui pare per certi aspetti prevalente il favor verso il debitore” (GHEDINI, “Il concordato minore”, in MANENTE - BAESSATO, “La disciplina delle crisi da sovraindebitamento”, Milano, gennaio 2022, p.397).
[42] Un analogo approccio ermeneutico può valere nell’analisi dell’art. 17 rubricato “Imprese sotto soglia” del DL 118/2021 – oggi trasfuso nell’art. 25-quater CCII -, in relazione al richiamo delle disposizioni della Composizione Negoziata ‘ordinaria’ ad opera della norma di chiusura contenuta nel citato l’art. 25-quater CCII, sempre nei limiti di compatibilità; mi permetto il rinvio al mio contributo “Composizione Negoziata e Sovraindebitamento (Note intorno all’art. 17 Dl. 118/2021”, in questa Rivista, 7 febbraio 2022.
[43] Le norme ‘generali’ contenute nella disciplina del concordato preventivo sono davvero numerose. A titolo esemplificativo, è certamente applicabile ai professionisti ed alle imprese “minori” l’art. 98 CCII per cui “i crediti prededucibili sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto”, in un contesto in cui le norme sul concordato minore nulla dispongono al riguardo; nello stesso senso, ma gli esempi potrebbero essere diversi, trova applicazione al concordato minore la norma dell’art. 145 CCII, richiamata nel concordato preventivo dall’art. 96 CCII, per cui le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data di presentazione della domanda di accesso al concordato minore, sono senza effetto rispetto ai creditori.
[44] Anche in tal caso sono numerose le situazioni disciplinate in modo semplificato nel concordato minore, che trovano nel concordato preventivo una regolamentazione più ampia e complessa.
Ci limitiamo a tre esempi.
i) Si pensi all’obbligo di formazione delle classi, previsto dall’art. 74 terzo comma ult. periodo CCII solo “per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi”, mentre l’art. 85 secondo comma CCII per il concordato preventivo prevede ulteriori tre fattispecie che rendono obbligatoria la formazione delle classi, ovvero “per i creditori titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l'integrale pagamento, […] per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate”, la prima delle quali (prevedente la falcidia dei crediti tributari o previdenziali) ricorre frequentemente anche nelle procedure minori.
Orbene, se da un lato la disposizione dell’art. 85 CCII appare compatibile con il concordato minore, almeno in parte qua, nondimeno è evidente che il mancato richiamo delle ulteriori ipotesi obbligatorie di classamento traduce una volontà espressa del legislatore, nel senso della semplificazione, che non può essere disconosciuta in sede interpretativa, richiedendo, ad es., la formazione di una classe ad hoc per i crediti tributari o previdenziali falcidiati, per cui deve concludersi che nel concordato minore non vi siano altre ipotesi di classamento obbligatorio, oltre a quella prevista espressamente all’art. 74 CCII.
Nel senso indicato, in dottrina si è, infatti, giustamente osservato che “essendo la materia positivamente disciplinata nel concordato minore (con la previsione dell’obbligatorietà soltanto per una certa categoria di creditori), è sicuramente inammissibile ipotizzare l’applicazione in via analogica della normativa del concordato preventivo” (così TRENTINI, in “Le procedure di sovraindebitamento l. 3/2012 e Codice della crisi d’impresa”, Milano, 2021, pag. 195).
ii) Lo stesso ragionamento, ad avviso di chi scrive, deve essere seguito in riferimento alla transazione fiscale, la cui presentazione agli Enti è obbligatoria nel concordato preventivo ogni qualvolta la proposta preveda la falcidia, o anche solo la dilazione, dei relativi crediti.
Essa è disciplinata all’art. 88 CCII rubricato “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, ma non vi è menzione nel concordato minore di un procedimento analogo, avendo il legislatore limitato il proprio intervento per la definizione di tale tipologia di crediti, con tre previsioni normative specifiche.
In primo luogo i crediti fiscali e previdenziali sono stati assimilati agli altri crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca, con la regola generale della loro falcidiabilità in caso di incapienza totale o parziale dei beni, come attestato dall’OCC ex art. 75 secondo comma CCII.
In secondo luogo, il legislatore ha menzionate tale tipologia di crediti stabilendo la regola del cd. cram down in sede di omologazione, per cui “il giudice omologa altresì il concordato minore anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento della percentuale di cui all'articolo 79, comma 1 […]”, a condizione che la relazione dell’OCC contenga uno specifico riferimento alla convenienza di soddisfacimento di tali crediti rispetto all'alternativa liquidatoria.
Una terza previsione normativa in materia di regolazione dei crediti fiscali e previdenziali, addirittura, marca una distinzione rispetto alla disciplina dell’art. 88 CCII: l’art. 76 quarto comma CCII prevede l’obbligo dell’OCC di comunicare agli enti l’avvenuto conferimento d’incarico da parte del debitore, “i quali entro quindici giorni debbono comunicare il debito tributario accertato e gli eventuali accertamenti pendenti”, mentre l’art. 88 terzo comma CCII prevede che l’agente della riscossione trasmetta al debitore una certificazione del debito iscritto a ruolo “non oltre trenta giorni dalla data della presentazione”, liquidando nello stesso termine i tributi risultanti dalle dichiarazioni; dunque nel concordato minore gli Enti sono notiziati subito, a seguito della nomina dell’OCC, mentre nel concordato preventivo al momento del deposito della proposta in tribunale.
Si deve concludere che la definizione dei debiti fiscali e previdenziali nel concordato minore trova una sua disciplina semplificata (e distinta), ciò significa che la presentazione agli Enti della proposta di transazione fiscale ex art. 88 CCII non può essere ritenuta obbligatoria, come fosse una condizione per falcidiare o dilazionare tali crediti, diversamente il legislatore avrebbe potuto operare anche solo un semplice rinvio al predetto articolo, richiamando espressamente l’iter ivi previsto, piuttosto che regolare autonomamente, ed in modo semplificato, la fattispecie.
Si osserva, peraltro, che l’interpretazione qui suggerita circa la non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato minore è stato oggetto di confronto in dottrina: aderiscono a tale impostazione D’ATTORRE, “Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza”, Torino, 2021, pag.360, che ritiene applicabile al concordato minore solo la regola sostanziale dettata dal primo comma dell’art. 88 CCII, per cui il trattamento dei crediti fiscali e previdenziali non può avere un trattamento deteriore rispetto ai crediti assistiti da grado inferiore; LAMANNA, “Il nuovo Codice della Crisi, parte IV”, Il Civilista, Milano, 2019, pag.54, che valorizza il dato positivo dell’introduzione nel Concordato Minore del giudizio ex officio di cram down “che rende la transazione fiscale del tutto superflua e possibile una indifferenziata falcidia anche dei crediti fiscali”.
Contra, nel senso dell’applicabilità al concordato minore dell’istituto della transazione fiscale, si segnala l’opinione di chi ritiene che “in forza del rinvio alla disciplina del concordato preventivo operato dall’art. 74 quarto comma CCII, risulta applicabile l’art. 88 CCII, che disciplina la transazione fiscale, disposizione che di fatto recepisce quanto disposto in proposito dall’art. 182 ter l. fall.” (NARDECCHIA, “La riforma della legge fallimentare – Prima lettura del Codice della Crisi e dell’Insolvenza – Aggiornato con il Dl 83/2022”, Molfetta, luglio 2022, pag.289).
Favorevole al richiamo dell’art. 88 CCII nel concordato minore anche CRIVELLI, in “Il piano e la proposta nelle procedure di componimento della crisi da sovraindebitamento nella L. n. 3/2012 e nel CCII”, Il Fallimento, 6/2019, pag.713, e NOCERA, “La proposta di concordato minore tra categorie civilistiche e regole operazionali”, in PELLECCHIA – MODICA, “La riforma del sovraindebitamento nel CCII”, Pacini Editore, 2020, pag.208).
iii) Un terzo esempio di regolazione autonoma, ma sommaria, è rappresentato dalla condizione di ammissibilità per la presentazione di una proposta di concordato minore liquidatorio, al di fuori dell’ipotesi di continuità dell’attività d’impresa o professionale, rappresentata dalla formula poco felice per cui l’apporto di risorse esterne deve essere tale da aumentare “in misura apprezzabile” la soddisfazione dei creditori (art. 74 secondo comma CCII).
Come noto, analogamente al concordato preventivo, anche nel concordato minore il legislatore mostra un favor deciso per le soluzioni della crisi che prevedano la continuità, tuttavia solo nella procedura maggiore (di tipo liquidatorio) il corrispondente art. 84 quarto comma CCII prevede che le risorse esterne “incrementino di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda”, oltre al soddisfo dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20 per cento.
Anche se la formula dell’incremento “apprezzabile” appare poco chiara, prestando il fianco ad interpretazioni arbitrarie, è chiaro che nel concordato minore non potrà essere applicato il criterio del 10%, in forza del richiamo alla norma compatibile, essendo evidente la volontà del legislatore, attesa la minore complessità delle situazioni da regolare, di lasciare tale valutazione al prudente apprezzamento del giudice, in relazione al caso concreto: invero, una regola di diritto positivo è stata posta, la fattispecie non è priva di disciplina, per cui spingere l’applicazione analogica fino alla prova limite della compatibilità pare francamente eccessivo.
Sia, dunque, permesso di dissentire dai primi orientamenti emersi in dottrina per cui “seguendo un identico e quindi coerente percorso interpretativo, pare preferibile ritenere che un aumento apprezzabile […] sia quello che incrementi di almeno il 10 %, rispetto all’alternativa della liquidazione, l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda” (NARDECCHIA, op. cit., 2022, p. 288).
Peraltro, a rigore, il raffronto comparativo andrebbe operato non già con il 10 % (riferito all’incremento dell’attivo), bensì con la diversa percentuale del 20% stabilita dallo stesso art.84 CCII per “il soddisfacimento dei creditori” chirografari e privilegiati incapienti, se è vero che l’art. 74 CCII pretende che l’apporto di risorse esterne deve essere tale da aumentare in misura apprezzabile non tanto l’attivo a disposizione quanto “la soddisfazione dei creditori”.
In ogni caso, è forse ragionevole ritenere che, nella costruzione della proposta di concordato minore di tipo liquidatorio, vada prestata attenzione all’incremento in termini relativi e non assoluti del soddisfacimento dei creditori, rispetto al patrimonio del debitore, per cui se le risorse “interne” siano tali da consentire un riparto ai chirografari in termini percentuali di pochi punti (2-3 %), è chiaro che anche solo un apporto tale da consentire un riparto del 4-5% dei crediti sia qualificabile come apprezzabile, mentre, diversamente, ove il patrimonio del sovraindebitato già consentisse un riparto significativo, per es. nell’ordine del 30%, è chiaro che lo stesso incremento sarebbe irrisorio (mi pare sia questa l’opinione espressa da TRENTINI, op. cit.).
[45] Peraltro, è la stessa Relazione Illustrativa ad osservare che il concordato minore “non conosce l’istituto delle proposte concorrenti in cui è prevista per il concordato preventivo”.
[46] Contra, si è ravvisato un ostacolo al recepimento delle offerte concorrenti nel concordato minore, “nella scarsa compatibilità di tale istituto con le dimensioni, di regola ridotte”, delle imprese che accedono a tale concordato (così TRENTINI, in “Le procedure di sovraindebitamento l. 3/2012 e Codice della crisi d’impresa”, Milano, 2021, pag. 460).
[47] A favore della prospettiva ora evidenziata nel testo, per cui il legislatore avrebbe omesso volutamente la disciplina delle offerte concorrenti per escluderne l’operatività nel concordato minore, affidando la competitività solo alla fase esecutiva, si può osservare che:
i) l’art. 81 CCII non opera nella fase anteriore all’omologazione ma si pone in correlazione con gli artt. 114 e 118 CCII (ex art. 182 l. fall.) dettati in tema di ‘esecuzione del concordato’, considerato che la disposizione è rubricata ‘Esecuzione del concordato minore’ e in essa si menziona espressamente la disciplina del ‘piano omologato’; per cui, nella procedura più semplificata del concordato minore, l’obbligo di esperire le procedure competitive potrebbe ritenersi posticipato alla sola fase di esecuzione del concordato omologato, non anche alla fase anticipata di apertura della procedura;
ii) l’art. 81 CCII si limita a regolare le ‘vendite e cessioni’ nella fase esecutiva della procedura minore, peraltro senza limitazioni a beni facenti parte del compendio aziendale e senza riferimenti all’affitto d’azienda;
iii) in presenza di un contratto preliminare sottoscritto dal debitore o comunque di obblighi assunti dal debitore prima dell’avvio della procedura, dovrebbe valere anche nel concordato minore l’espresso effetto negoziale stabilito dall’art. 91 CCII per cui “con la vendita o con l'aggiudicazione, se precedente, a soggetto diverso dall'originario offerente indicato nel piano, questi e il debitore sono liberati dalle obbligazioni reciprocamente assunte”, malgrado la natura eccezionale di detta previsione.
[48] Interessante la previsione espressa del comma 14 dell’art. 97 CCII che disciplina per la prima volta la sorte del “finanziamento bancario”, con ciò intendendo le c.d. linee autoliquidanti (anticipo su fatture, anticipo s.b.f., ecc…), in cui si precisa - superando così i contrasti giurisprudenziali sorti nella procedura maggiore - che, in caso di scioglimento, la banca ha diritto di riscuotere e trattenere le somme corrisposte dai terzi debitori fino al rimborso integrale delle anticipazioni effettuate nel periodo compreso tra i centoventi giorni antecedenti il deposito della domanda di accesso al concordato e la notifica, alla stessa banca, del provvedimento che autorizza lo scioglimento.
[49] L’unica perplessità attiene alla traslatio judicii disposta d’ufficio dal giudice dichiaratosi incompetente in favore del tribunale ritenuto competente, prevista dall’art. 29 primo comma CCII.
Tale istituto potrebbe presentare profili di incompatibilità con la procedura di concordato minore, in relazione al fatto che detto trasferimento priverebbe di operatività l’OCC nominato nell’ambito della procedura promossa innanzi al primo tribunale, OCC la cui legittimazione, come noto, deriva dal distretto in cui è stato costituito.
A fronte dell’incompetenza del tribunale adìto, è difficile ipotizzare che permanga la legittimazione ad operare del medesimo OCC, essendo più ragionevole la soluzione per cui il debitore scelga l’OCC nel distretto di competenza e proceda con una nuova istanza di nomina, richiedendo al primo OCC la trasmissione, al nuovo OCC incaricato, di tutta la documentazione riguardante l’attività istruttoria svolta.
[50] Il d. lgs. 147/2020 (c.d. primo Correttivo) ha aggiunto il ‘concordato minore’ alle procedure menzionate all’art. 33 quarto comma CCII; la norma ora recita: “La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile”.
[51] Per omogeneità di trattamento con l’imprenditore commerciale, in riferimento al professionista, legittimato al concordato minore, non iscritto nel Registro Imprese, la cessazione dell’attività potrebbe essere ricondotta alla formale cancellazione dall’albo professionale.
Peraltro, la norma nulla dispone riguardo l’ipotesi di cancellazione del debitore dal Registro Imprese in epoca successiva all’accesso al concordato minore, ma è forse ragionevole ritenere che la domanda divenga improcedibile.
[52] La disposizione sembra rinviare alla ratio sottesa ad un orientamento giurisprudenziale risalente, ribadito anche recentemente, per cui “al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l'anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, non è consentito di presentare ricorso per ammissione al concordato preventivo. Quest'ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima (che ha finalità solo liquidatorie) tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l'intervenuta e consapevole scelta di cessare l'attività imprenditoriale (necessario presupposto della cancellazione) ne preclude "ipso facto" l'utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare; né l'istanza concordataria può essere intesa come uno dei mezzi attraverso i quali si esplica il diritto di difesa del fallendo in sede di istruttoria prefallimentare” (Cass. 19 luglio 2021 n.20616, est. Ferro, in questa Rivista; Cass. 2020/12045; Cass. 2015/20186).
[53] Peraltro, mi pare sia salva la vis attractiva della procedura familiare ex art. 66 CCII, per cui l’imprenditore cessato (persona fisica) potrebbe accedere al concordato minore, in presenza di tutte le condizioni poste da detto articolo.
[54] L’elaborazione giurisprudenziale, peraltro, ha ritenuto possibile l’accesso al piano del consumatore per l’imprenditore o il professionista (o il socio illimitatamente responsabile, ex art. 6 l.3/2012), a condizione che siano definiti i soli debiti di consumo, malgrado l’esistenza di debiti d’impresa (cfr. Tribunale di Grosseto 22 giugno 2021, in questa Rivista).
Per una disamina delle varie fattispecie riguardanti la regolazione dei debiti c.d. promiscui, anche alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale intervenuta, mi permetto di rinviare al mio contributo “La definizione dei debiti promiscui nel piano del consumatore (Brevi note a Tribunale di Grosseto 22 giugno 2021)”, in questa Rivista, 6/2021.
[55] Si legge nella Relazione Illustrativa del d. lgs. 14/2019, a commento dell’art. 271 CCII: “È altresì previsto, in ossequio al principio secondo il quale la liquidazione può essere disposta solo quando non sono proposte o non sono percorribili soluzioni concorsuali alternative, che durante il termine concesso non possa essere aperta la liquidazione controllata e che, nel caso in cui venga aperta una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, la domanda di liquidazione debba essere dichiarata improcedibile. Se, tuttavia, alla scadenza del termine concesso il debitore non integra la domanda o la procedura non viene aperta o viene dichiarata cessata, il tribunale dispone l’apertura della liquidazione controllata con sentenza reclamabile innanzi alla Corte di appello”.
[56] Mi pare sia l’impostazione seguita da Tribunale di Napoli Nord 16 marzo 2021, in www.tribunale.napolinord.giustizia.it, in cui si osserva che “in base alla ratio legislativa che conforma la procedura si deve ritenere che la qualifica di consumatore deve riconoscersi, in via alternativa, al soggetto: a) che non ha mai svolto l’attività di imprenditore; b) che svolge l’attività di impresa, come i soci di società di persone, che voglia regolare con il piano solo i debiti strumentali al soddisfacimento di interessi personali; c) che ha svolto l’attività di impresa e che non la svolga in futuro e che voglia regolare con il piano sia debiti inerenti la pregressa attività economica sia debiti personali. Invero, in questo caso solo si giustifica l’esclusione del voto dei creditori non ricorrendo la necessità dell’approvazione degli stessi per la permanenza nel mercato del soggetto sovraindebitato”.
[57] Per cui, secondo il brocardo ‘minus dixit quam voluit’, il legislatore avrebbe, appunto, statuito che “la domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile”.
[58] A sostegno di tale possibile interpretazione, si osserva che nella Relazione Illustrativa all’art. 33 CCII, la disposizione ivi contenuta all’ult.comma - prevista per il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti, poi estesa al concordato minore dal d. lgs. 83/2022 - viene giustificata con l’esigenza di “risolvere una questione che si era posta nel regime attuale”.
Orbene, la questione a cui allude il legislatore riguardava proprio la possibilità per la società cancellata dal Registro Imprese di proporre il concordato preventivo (o l’AdR), per sterilizzare l’istanza di fallimento promossa dal creditore entro l’anno dalla cancellazione dell’ente.
Invero, le tre pronunce di Cassazione che hanno affermato l’inammissibilità del concordato (Cass. 2020/12045 e Cass. 2021/20616, che richiamano Cass. 2015/21286) sono state rese a fronte dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 2495 c.c. in combinato disposto con l’art. 10 l. fall., proprio in detta fattispecie, riguardante l’ente collettivo cancellato dal Registro delle Imprese, di cui, tuttavia, è stato chiesto il fallimento prima del decorso dell’anno.
La Suprema Corte ha statuito che tale possibilità è preclusa al liquidatore della società cancellata da meno di un anno, e la relativa questione di incostituzionalità è manifestamente infondata, “atteso che la cancellazione della società dal R.I., che ne determina l’estinzione, deriva dalla scelta dei suoi organi che, essendo perfettamente in grado di valutarne le conseguenze, non possono poi pretendere che in capo all’ente estinto residui la legittimazione ad accedere alla procedura concorsuale (che presuppone, in primo luogo, l’esistenza di un’impresa, ancorché in stato di crisi), nel caso in cui sia presentata nei suoi confronti domanda di fallimento entro il termine di cui all’art. 10 l.fall.”. (Cass. 2015/21286).
La questione, dunque, da cui scaturisce la norma, non prescinde dagli effetti estintivi connessi alla cancellazione, ex art. 2495 c.c., dell’ente collettivo.
Sotto diverso profilo, l’argomento svolto dalla S.C. per cui le procedure negoziali non sarebbero esperibile in quanto la cancellazione determina l’estinzione dell’impresa, appare francamente piuttosto fragile, tenuto conto che il concordato preventivo o minore possono essere anche di tipo meramente liquidatorio, in linea con la definizione offerta dall’art. 2 primo comma lett. m-bis) degli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, intesi come “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.
[59] Così BONACCORSI-DE SANTIS, “L’ambito soggettivo di applicazione delle nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento”, pag.57, in PELLECCHIA – MODICA, “La riforma del sovraindebitamento nel CCII”, Pacini Editore, 2020.
[60] In un primo commento alla norma, introdotta all’ultimo momento nel d. lgs. 83/2022, si è osservato che “la disposizione, non presente nel progetto né, pare, richiesta in sede di interlocuzione, è stata giustificata con la necessità di protezione dei creditori imposta dalla direttiva (art. 5. par. 3) che richiede una nomina giudiziale o amministrativa di un commissario giudiziale; a parte ogni considerazione sulla possibilità di ritenere equiparabile ad una nomina amministrativa quella fatta dal referente dell’OCC che è comunque un organismo per legge indipendente, appare chiaro che detta sostituzione si verificherà sistematicamente, fermo restando che non è dato comprendere come la omologazione in assenza di unanimità possa prevedersi prima che la votazione avvenga e quindi essere fatta col decreto di apertura” (così ZANICHELLI, “Un primo commento al d. lgs. 83/2022”, in www.dirittodellacrisi.it, luglio 2022).
[61] Si osserva che il legislatore è intervenuto sopprimendo la parola “economica” anche negli artt. 47 CCII sull’apertura del concordato preventivo, art. 57 CCII in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, e art. 70 CCII in materia di omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore.
[62] Come giustamente osservato da autorevole dottrina, “detta valutazione non coincide evidentemente con l’attestazione di veridicità dei dati aziendali o contabili di partenza, essendo un quid minoris rispetto ad essa, visto che attiene solo alla ‘completezza’ della documentazione ed alla sua ‘attendibilità’, cioè alla probabilità che essa sia effettivamente espressiva dei dati e delle circostanze rappresentate (verosomiglianza)” (LAMANNA, in “Il nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza”, Speciale Riforma – Il Civilista, Milano, 2019).
Per un approfondimento sulla tematica del giudizio di fattibilità nel concordato minore, sia consentito un rinvio al mio contributo “La crisi da sovraindebitamento nel nuovo Codice e il declino del giudizio di fattibilità”, in questa Rivista, 12/2020.
[63] L’art. 47 CCII in tema di apertura del concordato preventivo definisce la “fattibilità del piano” come “non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati”; analogamente, l’art. 112 CCII dettato nel giudizio di omologazione, prevede che il tribunale omologa il concordato liquidatorio alla stregua del medesimo criterio di fattibilità.
[64] Anche in vigenza della l. 3/2012, recentemente Tribunale di Ferrara 27 maggio 2022, in questa Rivista, in fattispecie di accordo di composizione prevedente la prosecuzione dell’attività artigiana odontotecnica, ha statuito che “il piano dovrà indicare le misure di ristrutturazione, riorganizzazione, ridimensionamento o ampliamento, idonee a riportare equilibrio e dovrà altresì contenere una previsione dei costi e dei ricavi previsti per tutta la durata, così da formulare una attendibile previsione di flussi di cassa idonei non solo a pagare i costi ma anche a soddisfare i creditori. Anche se la legge non prevede il piano industriale ed il piano finanziario, non vi è dubbio che il piano dovrà inoltre contenere tutti gli elementi informativi idonei a consentire un voto consapevole dei creditori. In mancanza della attestazione, il Gestore della crisi dovrà verificare tutti i profili sopra indicati”.
[65] Eventualmente da proporre non al tribunale in composizione collegiale ma monocratica, in base a quanto previsto dall’art. 76 sesto comma CCII.
[66] In senso contrario alla sua ammissibilità, gli argomenti più incisivi evidenziati dalla dottrina sono i seguenti:
a) che l’art. 44 CCII, anche a seguito delle ultime modifiche, menziona espressamente la domanda di concordato preventivo, la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e la domanda di omologazione del nuovo istituto del piano di ristrutturazione di cui all’articolo 64-bis CCII, ma nulla dice riguardo la domanda di concordato minore;
b) che nel concordato minore non è prevista neppure l’assegnazione di termini per la integrazione della domanda dovendo il sovraindebitato depositare, non solo la proposta completa con la relativa documentazione, ma anche la relazione favorevole dell’OCC;
c) che la disciplina dell’art. 44 CCII, si regge sul controllo assegnato ad un commissario giudiziale che viene subito nominato affinché “riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero su ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi” (art. 44 primo comma lett. b, CCII), mentre, come noto, l’art. 65 terzo comma CCII prevede che “i compiti del commissario giudiziale o del liquidatore nominati nelle procedure di cui al comma 1 sono svolti dall'OCC”, ponendo, così, una sostanziale coincidenza tra il commissario e colui che consente al debitore la presentazione della domanda.
Detti argomenti non paiono, tuttavia, decisivi nel senso di escludere la possibilità di anticipare la proposta di concordato minore con una domanda prenotativa, ove si consideri che rientra già nelle prerogative dell’OCC il compito di segnalare eventuali atti in frode dei creditori, e dunque le due figure sono sovrapponibili, come dimostrato, del resto, dall’introduzione dell’art. 78 comma 2-bis CCII, per cui, al verificarsi di determinate condizioni, in sede di apertura della procedura di concordato minore “il giudice nomina il commissario giudiziale perché svolga, a partire da quel momento, le funzioni dell’OCC”.
Riguardo l’assegnazione del termine, apparentemente estraneo al concordato minore, in realtà l’art. 271 CCII, regolante il “concorso tra procedure”, prevede espressamente uno spazio temporale tra il deposito della domanda di accesso al concordato minore e il momento in cui effettuare la disclosure riguardante il piano e la proposta, disponendo, appunto, che “Se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal pubblico ministero e il debitore chiede l'accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV, il giudice concede un termine per l'integrazione della domanda”.
[67] In dottrina, in tal senso, si è osservato che “la previsione per cui, a fronte della richiesta del debitore di accesso ad una procedura alternativa, il giudice debba concedere ‘un termine per l'integrazione della domanda’ induce ad ipotizzare una sorta di domanda di ‘sovraindebitamento in bianco’ all'interno della liquidazione controllata instaurata da un terzo; il debitore resistente nella liquidazione controllata potrebbe formulare una domanda con un difensore (poiché si tratta di attività contenziosa) manifestando la sola intenzione di depositare un ricorso per sovraindebitamento ‘minore’ in funzione difensiva con riserva di scegliere la procedura più consona e i suoi contenuti entro un termine assegnato dal giudice” (CESARE, “Liquidazione controllata”, IlFallimentarista, 22 maggio 2020).
[68] L’art. 96 primo comma CCII in tema di concordato preventivo, inoltre, dispone che “si applicano, con riferimento alla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo, le disposizioni degli articoli 145, nonché da 153 a 162”, tra cui le norme sul soddisfo dei crediti privilegiati e in tema di compensazione dei crediti.
[69] L’art. 268 CCII prevede, peraltro, che “non si fa luogo all'apertura della liquidazione controllata se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria è inferiore a euro cinquantamila”. Analogamente, l'apertura della liquidazione controllata non avrà luogo “se l'OCC, su richiesta del debitore, attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l'esercizio di azioni giudiziarie”.
[70] Viene da chiedersi se tale diritto possa essere riconosciuto anche al socio illimitatamente responsabile nei cui confronti venga disposta la liquidazione controllata a seguito dell’apertura di analoga procedura capo alla società, ex art. 270 CCII. E’ ragionevole ritenere che l’apertura della procedura del socio sia un effetto automatico indefettibile. Ma il dubbio è legittimo. Applicandosi l’art. 256 CCII, in quanto compatibile, il tribunale dovrà ordinare la convocazione del socio prima di pronunciare a suo carico la sentenza di apertura della liquidazione controllata; nelle more di detta convocazione il socio potrebbe voler accedere al concordato minore o, quantomeno, alla ristrutturazione dei debiti “estranei a quelli sociali”, tenuto conto che la doppia procedura socio / società sembra essere la regola generale adottata dal CCII. Lo stesso art. 270 CCII dispone che il tribunale apre la liquidazione controllata del debitore, anche su istanza di questi, “in assenza di domande di accesso alle procedure”, con ciò dovendosi intendere la preventiva apertura della liquidazione controllata in capo alla società, ma non del socio illimitatamente responsabile.
[71] È probabile che il concordato minore, quale opzione per le imprese sotto soglia, subirà la forte concorrenza dell’istituto di nuovo conio rappresentato dal Concordato Semplificato liquidatorio, previsto dall’art. 25-sexies CCII espressamente richiamato per le imprese sotto soglia dall’art. 25-quater quarto comma lett. c) CCII tra le soluzioni esperibili sempre in caso di esito negativo delle trattative (con l’ulteriore elemento rappresentato dalla dichiarazione dell'esperto, nella relazione finale, che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede). Riguardo la convenienza di detto strumento basti osservare che: a) non prevede una valutazione giudiziale di tipo preliminare ai fini dell’ammissione; b) la proposta non è sottoposta alla votazione dei creditori; c) non pretende una soglia minima di soddisfazione dei creditori o l’apporto di risorse esterne; d) infine, malgrado sia inteso come liquidatorio, il Concordato Semplificato può essere finalizzato alla cessione a terzi dell’azienda, o ramo di essa in esercizio, salvaguardando così, in via indiretta, la continuità aziendale.
[72] La norma dispone al secondo comma che “se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'art.40, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”.
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