Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/06/2021 Scarica PDF
Liquidazione dei beni ex l. 3/ 2012: sulla estensione degli effetti ai soci illimitatamente responsabili e sul concetto di atto in frode (Brevi note su Tribunale di Ravenna 29 aprile 2021)
Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - BicoccaSovraindebitamento – Liquidazione dei beni di società di persone - Estensione degli effetti sui soci illimitamente responsabili - Apertura automatica della liquidazione personale dei soci - Esclusione - Istanza di parte - Necessità
Pur a fronte del nuovo comma 7-bis all’art. 14-ter l. 3/2012 per cui “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili” allo stato risulta necessaria la proposizione da parte del socio illimitatamente responsabile di una propria procedura di liquidazione, quantomeno per la parte di debiti aventi natura personale, essendo detto strumento attivabile solo ad istanza del debitore stesso e mancando nell’art. 14 ter l. 3/2012 un rinvio alle disposizioni della legge fallimentare in tema di estensione del fallimento (attuali artt. 147 ss. l. fall., futuri artt. 256 ss. CCII). (Astorre Mancini) (Riproduzione riservata)
Sovraindebitamento – Liquidazione dei beni – Apertura della procedura ex art. 14 quinquies l. 3/2012 - Verifica dell’assenza di atti fraudolenti - Concetto di frode – Dolosa preordinazione - Necessità
Con riferimento agli atti in frode, la verifica di meritevolezza ancora testualmente prevista dall’art. 14 quinquies l. 3/2012 deve coordinarsi con l’introduzione della legittimazione attiva del liquidatore all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria nei confronti di eventuali atti dispositivi, assumendo perciò il concetto di frode un termine molto più lato e relativo alla sola dolosa preordinazione della procedura in danno dei creditori o esercizio abusivo del relativo diritto. (Astorre Mancini) (Riproduzione riservata)
*
Il provvedimento in rassegna[2] si segnala per entrambe le statuizioni di cui alle massime, che intervengono sulle recenti disposizioni introdotte dalla l. 176/2020 nella disciplina del sovraindebitamento.
1. Sull’estensione degli ‘effetti’ ai soci : quali?
Con la prima massima viene declinata la disposizione del nuovo comma 7-bis dell’art. 14-ter l. 3/2012 - per cui “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”- in senso contrario ad un precedente orientamento giurisprudenziale che, a fronte dell’istanza avanzata da una s.n.c. e solo da alcuni soci della stessa, aveva dichiarato l’apertura della procedura di liquidazione di tutti i soci illimitatamente responsabili [3].
Il giudice ravennate osserva che la liquidazione della società di persone non comporta l’automatica apertura della procedura dei soci illimitatamente responsabili che non ne hanno fatto richiesta, ostando a ciò l’iniziativa esclusiva di parte prevista dalla l. 3/2012, diversamente dal fallimento che può essere chiesto da soggetti diversi dal debitore.[4]
Inoltre, argomenta il tribunale nella decisione in commento, manca un rinvio esplicito, nell’art. 14-ter l. 3/2012, alle disposizioni in tema di estensione del fallimento, non potendo leggersi l’art. 14-ter come fosse l’art. 147 l. fall.[5]: già in altro contributo avevamo evidenziato che la formula del comma 7-bis in ordine all’inciso “produce gli effetti” appare, anche testualmente, di portata ridotta rispetto all’analoga formulazione di cui all’art. 147 l. fall., che non si limita a regolare gli effetti del fallimento sociale sulla compagine dei soci ma esplicita che esso “produce il fallimento dei soci”.[6]
Malgrado la liquidazione del patrimonio si caratterizzi per l’universalità dei beni che essa coinvolge, al pari della liquidazione fallimentare, il legislatore della miniriforma della l. 3/2012 pare aver strutturato la disposizione mutuandola dalla disciplina del concordato preventivo - procedura sempre promossa in via esclusiva dal debitore - laddove l’art. 184 l. fall. si limita a statuire l’efficacia del concordato della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, senza determinare l’apertura della procedura concordataria in capo agli stessi.
Peraltro, come noto, la l. 3/2012 prevede l’ingresso “forzato” nella liquidazione del patrimonio nei soli casi di conversione giudiziale delle altre procedure di composizione della crisi, ove si versi in ipotesi di cessazione dell’efficacia dell’accordo o piano per vicende inattuative determinate da cause imputabili al debitore[7], a dimostrazione che l’apertura della liquidazione - a prescindere dalla volontà del debitore - è prevista dal legislatore nella l. 3/2012 solo come soluzione sanzionatoria.
L’orientamento giurisprudenziale in commento - che a quanto ci consta viene inaugurato con la decisione in rassegna - porta con sé, tuttavia, la questione dell’individuazione in concreto degli effetti della procedura sociale sulla posizione del socio illimitatamente responsabile non ricorrente, problema che non si pone invece ove si ritenga che la liquidazione della società determini l’apertura automatica della liquidazione personale dei soci.
Se non si apre la liquidazione del socio illimitatamente responsabile non ricorrente, dunque, quali effetti concreti si producono nella sua sfera negoziale e patrimoniale in conseguenza dell’apertura della procedura in capo alla società?[8]
Può affermarsi - come sembrano evocare alcuni primi commentatori della miniriforma - che l’estensione di detti effetti ai soci illimitatamente responsabili, nella volontà del legislatore, significa, in sostanza, la possibilità per il socio di beneficiare di effetti esdebitanti, con riferimento, ovviamente, ai soli debiti sociali? [9].
La questione non è, tuttavia, di facile soluzione e segna forse una criticità di ordine sistematico: a ben vedere, ove non si acceda all’interpretazione del comma 7-bis nel senso dell’art. 147 l. fall. (per cui la liquidazione sociale apre la liquidazione personale di tutti i soci illimitatamente responsabili), l’unico altro schema normativo mutuabile dal diritto concorsuale - e rappresentato, come già osservato, dal disposto dell’art. 184 l. fall. in tema di concordato preventivo (per cui l’omologazione del concordato sociale “ha efficacia” sui soci illimitatamente responsabili, determinando l’esdebitazione degli stessi in riferimento ai debiti sociali) - non appare esattamente applicabile alla liquidazione del patrimonio ex l. 3/2012.
In primo luogo il risultato finale della liquidazione del patrimonio sociale non è l’esdebitazione della società, se è vero che non è previsto in tal senso alcun effetto automatico e che l’ente non accede allo speciale provvedimento di cui all’art. 14 terdecies l. 3/2012 riservato alle sole persone fisiche[10]: la ratio dell’istituto della liquidazione del patrimonio per le persone giuridiche non fallibili si rinviene non già nell’esdebitazione, quanto piuttosto nella maggior tutela dei creditori sociali, che possono così beneficiare delle garanzie della par condicio e, quindi, di meccanismi concorsuali nel riparto dell’attivo societario, ove esistente.
In altri termini, mentre nel concordato preventivo l’omologa determina certamente l’esdebitazione in favore della società e in forza dell’art. 184 l. fall. tale effetto si estende ai soci illimitatamente responsabili, la liquidazione dei beni della società ex art. 14-ter non comporta di per sé l’esdebitazione finale, per cui gli effetti sui soci dovranno per forza essere altri.
In secondo luogo, il concordato con efficacia obbligatoria verso tutti i creditori anteriori, sottoposto alla approvazione della maggioranza di questi, è una procedura concorsuale con elementi di evidente “negozialità”, che si conclude con un formale provvedimento di omologazione che salda i suoi effetti alla domanda introduttiva: la liquidazione del patrimonio è invece una procedura assimilabile al fallimento, priva di una formale proposta al ceto creditorio e che termina dopo quattro anni con il decreto di chiusura[11], a cui la legge, peraltro, non ricollega particolari effetti, se non in riferimento al debitore persona fisica, come detto, che potrà accedere alla esdebitazione con ricorso “entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione”, ove meritevole.
In terzo luogo, è noto che l’omologa del concordato preventivo modifica l’obbligazione originaria determinandone la falcidia nei termini della proposta omologata, con effetti vincolanti su tutti i creditori anteriori: l’art. 184 l. fall., nello statuire l’efficacia del concordato omologato sui soci illimitatamente responsabili, ne modifica ex lege il rapporto di garanzia; di tutto ciò non vi è traccia nella liquidazione del patrimonio ex art. 14 ter l. 3/2012, per cui appare forzato ipotizzare l’abrogazione implicita della responsabilità solidale dei soci in assenza di alterazione delle obbligazioni sociali.
Un ulteriore argomento critico verso una lettura del comma 7-bis in analogia all’art. 184 l. fall., è dato dalla formulazione letterale delle due disposizioni; mentre l’art. 184 l. fall. statuisce che ciò che spiega efficacia verso i soci illimitatamente responsabili è “il concordato della società”, inteso evidentemente il concordato ‘omologato’, nel caso della liquidazione dei beni ex l. 3/2012 -volendo attenersi al dato letterale del comma 7-bis - gli effetti sui soci illimitatamente responsabili sono anticipati al “decreto di apertura della liquidazione della società”: è fuor di dubbio, tuttavia, che all’apertura della procedura non si determina alcun effetto esdebitante, come pure, per le ragioni viste, detto effetto non consegue neppure, a rigore, al decreto di chiusura della liquidazione dei beni dell’ente.
Ricercando, dunque, per altra via gli ‘effetti’ sui soci determinati dall’apertura della liquidazione del patrimonio della società, occorre capire se possono essere rinvenuti in quelli espressamente indicati dall’art. 14-quinquies c. 2 l. 3/2012[12], eventualmente alla stregua di un’interpretazione necessariamente restrittiva, che tenga conto che la liquidazione non coinvolge il patrimonio del singolo socio non richiedente.
A ben vedere, tuttavia, nessuno degli effetti tipici del decreto di apertura della procedura potrà prodursi in capo al socio illimitatamente responsabile non richiedente: non potrà ritenersi operante sui soci la disposizione che prevede la nomina del liquidatore (c. 2 lett. a); l’automatic stay delle azioni esecutive e conservative sul patrimonio dei soci non richiedenti (c. 2 lett. b); la norma che equipara il decreto di apertura al pignoramento (c. 3) o che dispone la trascrizione del decreto sui predetti beni (c. 2 lett. d) e ne ordina la consegna o il rilascio (c. 2 lett. e).
Tali disposizioni riguardano, infatti, i beni sociali ovvero il patrimonio incluso nel perimetro della procedura, da cui, tuttavia, restano sicuramente estranei i beni dei soci non richiedenti, che costituiscono la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. a tutela, anche, dei creditori particolari del socio.
Una possibile lettura dell’introduzione del comma 7-bis muove dalla considerazione che il legislatore della miniriforma della l. 176/2020 - spinto più da ragioni di contenimento degli effetti sociali della crisi pandemica che non da esigenze di riordino sistematico della disciplina della l. 3/2012 – ha voluto “anticipare”, e mutuare in modo pedissequo, la disposizione contenuto all’art. 270 c.1 CCII, per cui, in tema di società sovraindebitata non fallibile, “il tribunale dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata. La sentenza produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 256”.
Con detta anticipazione si è sostituito alla ‘sentenza’ il ‘decreto di apertura della liquidazione’ ipotizzando erroneamente lo stesso impatto sistematico, ovvero senza tenere in debito conto che nell’architettura del CCII, diversamente dalla l. 3/2012, all’apertura della liquidazione disposta con sentenza, consegue, quantomeno, un effetto ulteriore e diretto, anche per le società, rappresentato dall’esdebitazione automatica e di diritto decorsi tre anni dall’avvio della procedura.
Ove si consolidasse l’orientamento avviato dal tribunale ravennate - nei pochi mesi che ci separano dall’entrata in vigore del nuovo CCII - gli advisors ed OCC chiamati ad impostare l’accesso di società di persone alla procedura di liquidazione del patrimonio, dovranno necessariamente coordinare l’istanza di liquidazione della società con la situazione debitoria e patrimoniale dei soci, essendo oltremodo variegati gli scenari di definizione dei debiti sociali per i quali sussiste la responsabilità sussidiaria dei soci illimitatamente responsabili.
A meno di non ritenere che gli effetti protettivi del decreto di apertura ex art. 14-quinquies l. 3/2012 si producano anche sui beni dei soci, è infatti ragionevole ipotizzare che a seguito dell’ingresso della società in procedura liquidatoria, il patrimonio del socio illimitatamente responsabile non richiedente sarà esposto alle aggressioni dei creditori sociali (fermo il beneficio di escussione), ogni qualvolta risulti evidente l’incapienza patrimoniale della società rispetto alle consistenze personali del socio.
Il socio dovrà valutare l’accesso in proprio ad una procedura di sovraindebitamento, valutando attentamente gli strumenti disponibili - e, ove possibile, in stretto coordinamento con la società - potendo presentare contestualmente un piano del consumatore per definire la propria debitoria personale (e non sociale o derivante da attività professionale, artigianale o imprenditoriale, ex art. 6 l. 3/2012) ovvero un accordo di composizione della crisi proponendo di definire il proprio debito c.d. promiscuo (consumeristico e non) e lasciando, per esempio, parte dei propri beni a disposizione dei creditori sociali, con cui rispondere in via sussidiaria delle obbligazioni dell’ente.
In alternativa all’accesso ad una procedura, il socio potrebbe considerare l’opportunità di anticipare l’iniziativa dei creditori sociali, manifestando la volontà di concorrere alla liquidazione della società, a titolo esemplificativo, mediante la costituzione di un vincolo di destinazione, su uno o più beni personali, ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., strategia spesso adottata nelle procedure di concordato preventivo avviate dalle società di persone.
La prassi suggerirà numerose altre variabili soluzioni, in relazione alle consistenze patrimoniali dei soci e della società ed alla concrete situazioni di sovraindebitamento da definire, nella ricerca di un non facile equilibrio relativo, anche, al potenziale conflitto di interessi tra le varie categorie di creditori.
In conclusione, lasciando alla prassi giurisprudenziale ed all’elaborazione dottrinale l’individuazione in concreto dell’ambito oggettivo del disposto del nuovo comma 7-bis, è forse ragionevole convenire che la formulazione della norma per cui “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili” appare imprecisa e fuorviante, almeno ove si accede all’interpretazione per cui la liquidazione della società non determina automaticamente l’apertura della liquidazione personale dei soci.
2. Sul concetto di frode nella liquidazione del patrimonio
Con la seconda massima il tribunale in rassegna prende posizione in ordine all’intervento del legislatore della miniriforma in tema di ‘atti in frode’.
La l. 176/2020 ha, infatti, introdotto l’art. 14-decies l. 3/2012 il cui secondo comma prevede che “il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile”.
Al contempo, tuttavia, non è intervenuto sull’art. 14-quinquies per cui “il giudice, se la domanda soddisfa i requisiti di cui all'articolo 14-ter, verificata l'assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni, dichiara aperta la procedura di liquidazione”.
Pochi giorni dopo l’entrata in vigore della l. 176/2020, un primo commento aveva evidenziato che l’espressa previsione della facoltà del liquidatore di esercitare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., di cui all’art. 14-decies (avente ad oggetto, evidentemente, atti dispositivi posti in essere dal sovraindebitato in pregiudizio delle ragioni dei creditori), presuppone proprio il compimento di atti pregiudizievoli da parte del debitore che pertanto non può vedersi negato, per ciò solo, l’accesso alla procedura di liquidazione; conseguentemente, dovrebbe ritenersi implicitamente abrogato il primo comma dell’art. 14-quinquies l. 3/2012 che, ai fini dell’apertura, impone la verifica giudiziale dell’“assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni”[13].
Una primissima giurisprudenza aveva statuito nello stesso senso, aderendo alla tesi dell’”abrogazione implicita”, in parte qua, del primo comma dell’art. 14-quinquies[14].
Il tribunale ravennate, con la decisione in rassegna, osserva invece che la verifica di meritevolezza è “ancora testualmente prevista dall’art. 14-quinquies l. 3/2012” per cui si impone il coordinamento di detta disposizione con l’introduzione della legittimazione attiva del liquidatore all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria.
In adesione ad un orientamento giurisprudenziale che annovera, peraltro, numerosi precedenti[15], il giudice osserva che, ai fini dell’ammissione alla procedura di liquidazione del patrimonio, “il concetto di frode assume un termine molto più lato e relativo alla sola dolosa preordinazione della procedura in danno dei creditori o esercizio abusivo del relativo diritto”.
Detta interpretazione, idonea a mantenere sostanzialmente operanti entrambi i disposti normativi, muove dalla diversa ampiezza dell’atto in frode rispetto all’atto meramente pregiudizievole delle ragioni creditorie, come tale soggetto a revocatoria ordinaria; il primo evoca indubbiamente una condotta positiva, caratterizzata dal quid pluris del carattere “fraudolento” della disposizione patrimoniale[16], ben diverso dall’atto che reca semplicemente un pregiudizio, anche solo potenziale, alle ragioni dei creditori.
Così, ancorché in decisioni rese anteriormente alla miniriforma, la giurisprudenza ha aperto la liquidazione del debitore pur in presenza di un atto di donazione in favore di un parente avente ad oggetto un terreno di esiguo valore (Tribunale di Latina 18.1.2020), ovvero a seguito della istituzione di un trust autodichiarato, attesa la disponibilità del debitore di destinare alla liquidazione i beni vincolati in trust (Tribunale di Benevento 23.4.2019), non rinvenendo nel disponente alcun intento fraudolento, pur in presenza di atti dispositivi astrattamente soggetti ad azione revocatoria.
Si osserva peraltro che nella liquidazione controllata disciplinata dal CCII il legislatore ha espunto dai compiti del gestore l’indagine sugli “atti in frode” compiuti dal debitore, mantenendola nella sola fattispecie dell’incapiente, ex art. 283 CCII. Sulla possibilità di interpretare l’attuale art. 14 quinquies l. 3/2012 alla luce delle nuove norme che, appunto, riducono l’ambito dell’indagine ai fini dell’apertura della procedura, si è, tuttavia, osservato che “anche se ci si ponesse in un'ottica evolutiva non si potrebbe mai pervenire alla totale obliterazione del requisito sancito a chiare lettere dall'art. 14-quinquies, comma 1, legge 3/2012, che impone al giudice di verificare, già in sede di scrutinio dell'ammissibilità della domanda di apertura della liquidazione del patrimonio, l'eventuale compimento di “atti in frode ai creditori”[17].
[1] La decisione è in corso di pubblicazione in questa Rivista.
[2] Tribunale di Ravenna 29 aprile 2021, est. dr. Farolfi.
[3] Tribunale di Forlì 7 gennaio 2021, est. dr.ssa Vacca, in questa Rivista.
[4] Anche se non si evince dal provvedimento, nella fattispecie decisa dal Tribunale di Ravenna un socio illimitatamente responsabile non figurava tra i ricorrenti; il G.D. non ha, quindi, aperto a suo carico la procedura personale di liquidazione, statuendo come in massima.
[5] Tribunale di Roma 19 aprile 2021, in questa Rivista, ritiene invece esplicitamente che “il nuovo comma 7 bis è riproduttivo del dettato dell’art. 147 l. fall.”.
[6] A. MANCINI, “L’apertura della liquidazione del patrimonio in estensione ai soci illimitatamente responsabili (Nota a Trib. Forlì, 7 gennaio 2021)”, 14.1.2021, in questa Rivista.
[7] Di recente Tribunale di Ancona 16 marzo 2021, in questa Rivista.
[8] Come noto, tale questione è stata oggetto di un lungo dibattito dottrinale e di vari orientamenti giurisprudenziali succedutisi nel tempo con riferimento al concordato preventivo - ed in particolare proprio circa l’art. 184 l. fall. ed il tema degli “effetti” del concordato sociale sulla posizione dei soci - i cui esiti hanno consolidato l’opinione che nega l’apertura automatica del concordato preventivo in capo ai soci (stante l’eccezionalità ed inapplicabilità al concordato dell’art. 147 l. fall.) e ritiene inammissibile l’estensione al patrimonio dei soci degli effetti del concordato sociale, come pure degli effetti sostanziali di questo sulla sfera negoziale dei soci; di recente ha riassunto i termini del confronto P.F. CENSONI in “Concordato preventivo di s.n.c. e apporto personale di un socio”, Il Fallimento, Ipsoa, n.6/2021, p. 840.
[9] Lo stesso tribunale ravennate sembra far riferimento implicito all’effetto dell’esdebitazione, nel decreto in commento, quando osserva che occorre “la proposizione da parte dell’interessato socio illimitatamente responsabile di una propria procedura di liquidazione, quantomeno per la parte di debiti avente natura personale”.
Così anche S.LEUZZI, “La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati tra presente e futuro”, in questa Rivista, marzo 2019, ancorché a commento della norma analoga contenuta nel CCII, ha osservato che “la decozione accertata in capo all’ente comporterà l'attuazione coattiva della responsabilità patrimoniale del socio, nel mentre la propagazione del discharge nei confronti di quest’ultimo implicherà la fruizione da parte sua degli effetti liberatori connessi alla procedura, in uno con la società”.
[10] Lo stesso Tribunale di Ravenna nella decisione in commento osserva che “l’effetto esdebitativo non consegue automaticamente all’adempimento della presente procedura (a differenza di quanto previsto per il caso di accordo del debitore non fallibile sovra indebitato e del piano del consumatore) ma discende da un futuro, eventuale ed autonomo procedimento di cui all’art. 14 terdecies L. 3/2012”. Nello stesso senso, anche Tribunale di Udine 20 febbraio 2021, est. Zuliani, inedita.
[11] L’art. 14 novies l. 3/2012 prevede al quinto comma : “Accertata la completa esecuzione del programma di liquidazione e, comunque, non prima del decorso del termine di quattro anni dal deposito della domanda, il giudice dispone, con decreto, la chiusura della procedura”.
[12] L’art. 14 quinquies l. 3/2012 in tema di apertura della liquidazione al secondo comma statuisce che : “ 2. Con il decreto di cui al comma 1 il giudice:
a) ove non sia stato nominato ai sensi dell'articolo 13, comma 1, nomina un liquidatore, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; si applicano gli articoli 35, comma 4-bis, 35.1 e 35.2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
b) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore;
c) stabilisce idonea forma di pubblicità della domanda e del decreto, nonche', nel caso in cui il debitore svolga attività d'impresa, l'annotazione nel registro delle imprese;
d) ordina, quando il patrimonio comprende beni immobili o beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura del liquidatore;
e) ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore ad utilizzare alcuni di essi. Il provvedimento e' titolo esecutivo ed e' posto in esecuzione a cura del liquidatore;
f) fissa i limiti di cui all'articolo 14-ter, comma 5, lettera b).
3. Il decreto di cui al comma 2 deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento”.
[13] Così FABIO CESARE, in “L’atto in frode non frena la liquidazione del patrimonio”, pubblicato su ‘Il Sole 24 Ore’, con argomentazioni poi sviluppate in “Il nuovo sovraindebitamento modificato dalla legge di conversione del Decreto Ristori”, ilFallimentarista, 5.1.2021,
[14] Così Tribunale di Lecco, 16 gennaio 2021, est. Tota, in questa Rivista, ha statuito che “Il requisito dell’“assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni” non costituisce più requisito di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, attesa l’abrogazione implicita dell’art. 14-quinquies, comma 1, della l. 3/2012 nella parte in cui prescriveva la verifica di tale presupposto, ad opera dell’art. 4-ter, comma 1, lett. l), del d.l. 2020/137, convertito con l. 2020/176, avendo quest’ultima disposizione sostituito l'articolo 14-decies della l. 3/2012 il cui comma 2 introduce ora espressamente la facoltà del liquidatore, autorizzato dal giudice, all’esercizio delle azioni revocatorie ai sensi dell’art. 2901 c.c., ciò che presuppone implicitamente l’irrilevanza, ai fini dell’accesso alla procedura, degli “atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori”. Di recente, nello stesso senso, Tribunale di Sondrio, 28 maggio 2021, est. Posio, in corso di pubblicazione in questa Rivista.
Contra, TOMMASO NIGRO, in “Gli atti in frode nell’accordo di ristrutturazione e nella liquidazione del patrimonio”, giugno 2021, in questa Rivista, ha osservato che “l’ardita tesi dell’abrogazione implicita non pare essere dotata di particolare rigore, tanto più che se davvero il legislatore avesse voluto incidere in tal senso ben avrebbe potuto modificare l’art. 14-quinquies, eliminando il presupposto ostativo”.
[15] Prima della riforma, in tema di requisito di meritevolezza per l’apertura della liquidazione ex art. 14-quinquies l. 3/2012, si veda l’ampia ed articolata decisione Tribunale di Benevento 23 aprile 2019, est. dr. Monteleone, per cui l’inammissibilità si impone solo in presenza di un carattere marcatamente fraudolento dell’atto. Nello stesso senso, tra le più recenti, Tribunale di Reggio Emilia 1° marzo 2021, Tribunale di Pescara 25 settembre 2020, Tribunale di Nola 22 giugno 2020, Tribunale di Latina 18 gennaio 2020.
[16] In tema di atto in frode nel concordato, si veda Cass. n. 13817/2011 e Cass. n. 23387/2013.
[17] Tribunale di Ivrea 10 aprile 2020, citata da TOMMASO NIGRO, in “Gli atti in frode nell’accordo di ristrutturazione e nella liquidazione del patrimonio”, in questa Rivista, cit.
Scarica Articolo PDF