Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/03/2025 Scarica PDF
Esdebitazione dell’incapiente: prime letture del criterio ex art. 283, co. 2, CCII (Breve nota a Tribunale di Ferrara 10 marzo 2025 e Tribunale di Rimini 6 febbraio 2025)
Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - BicoccaTribunale di Ferrara 10 marzo 2025, est. Ghedini
Esdebitazione dell’incapiente – Determinazione del limite di reddito – Interpretazione letterale del criterio ex art. 283, co. 2, CCII – Esclusione – Valutazione caso per caso delle eventuali eccedenze di reddito – Necessità
Il criterio indicato all’art. 283, co.2, CCII per la determinazione del limite di reddito ai fini dell’esdebitazione dell’incapiente, in realtà, impone al giudice un’interpretazione sistematica della disposizione, che gli consenta di valutare nella fattispecie concreta, se il debitore sia in grado di offrire qualche utilità ai propri creditori; diversamente, accedendo ad un’interpretazione letterale della norma si perverrebbe al distorto effetto di riconoscere come incapiente e potenziale beneficiario della esdebitazione, il soggetto che ha invece eccedenze di reddito, rispetto a quanto occorrente per il mantenimento suo e della sua famiglia, utilmente destinabili ai creditori, per cui il giudice è tenuto ad ovviare ad esiti che comportino un allontanamento dalle finalità tipiche dell’istituto. (Astorre Mancini) (Riproduzione riservata)
Tribunale di Rimini 6 febbraio 2025, pres. Miconi
Esdebitazione dell’incapiente – Limite di reddito per l’accesso al beneficio – Modifica normativa apportata dal ’Correttivo-Ter’ – Criterio codificato all’art. 283, co. 2, CCII – Interpretazione letterale – Necessità
Il tenore letterale dell’art. 283, co. 2, CCII, come innovato dal ’Correttivo-Ter’ è inequivocabile: il reddito annuo che, in assenza di altri beni, consente di considerare il debitore comunque incapiente, e quindi esdebitabile ex art 283 CCII, va calcolato al netto delle spese di produzione e delle necessità di mantenimento familiare, non potendo attribuirsi altro significato al termine ‘dedotte le spese...’, il quale significa ‘dopo aver dedotto, sottratto’, e non deve essere superiore all’assegno sociale aumentato della metà e moltiplicato per il parametro familiare ISEE. Con la conseguenza che va qualificato incapiente, ed esdebitabile una volta nella vita, anche il debitore che usufruisce di una eccedenza di reddito rispetto a quanto necessario per produrlo e per mantenere sé e la famiglia, eccedenza che deve però essere contenuta nel limite quantitativo sopra riportato. (Astorre Mancini) (Riproduzione riservata)
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Sommario: 1. La norma controversa. 2. Il risultato iniquo del criterio di calcolo. 3. Le pronunce in rassegna. 3.1. Il caso deciso dal Giudice ferrarese. 3.2. Il caso innanzi al Tribunale di Rimini. 4. Considerazioni conclusive. Una possibile lettura interpretativa.
1. La norma controversa.
Le pronunce in rassegna affrontano l’annosa questione - emersa in tutta la sua evidenza all’indomani della modifica normativa apportata dal d. lgs. 136/2024 (c.d. ‘Correttivo-Ter’) - della determinazione del limite di reddito alla stregua del criterio codificato al secondo comma dell’art. 283 CCII, limite al di sotto del quale il debitore è considerato ‘incapiente’ e può accedere al beneficio della esdebitazione immediata, in presenza degli ulteriori presupposti di legge.
Il secondo comma dell’art. 283 CCII, come riformato dal ’Correttivo-Ter’, prevede infatti che il debitore può accedere al beneficio dell’esdebitazione “anche quando è in possesso di un reddito che, su base annua e dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento suo e della sua famiglia, sia non superiore all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159”.
Per come è strutturata la norma, è apparso subito chiaro che la detrazione delle spese di mantenimento dal calcolo del limite di reddito avrebbe consentito l’accesso al beneficio anche al debitore non assolutamente incapiente.
Facciamo un esempio.
Se consideriamo che l'importo dell'assegno sociale per il 2025 è di € 538,68, pari a € 7.002,97 annuali, il criterio di cui all’art. 283, co. 2, CCII, ci impone di aumentarlo della metà (€ 3.501,49), per un totale di € 10.504,46 (€ 7.002,97 + € 3.501,49) e di moltiplicarlo per il parametro ISEE in base alla composizione familiare.
Ipotizzando che il nucleo del debitore sia composto da due persone - come nei casi decisi dalle pronunce in commento - il coefficiente del parametro ISEE è 1,57[2], per cui l’importo di € 10.504,46 va moltiplicato per tale cifra, il cui risultato corrisponde ad € 16.492,00 (€ 10.504,46 *1,57), somma che indica la soglia sotto la quale il debitore è qualificato come incapiente.
Fissata la soglia, il ‘sottraendo’ da considerare è ora il reddito annuo del debitore, da cui si detraggono, tuttavia, le spese per produrlo nonché le spese necessarie per il mantenimento dello stesso debitore e della sua famiglia, e si confronta il risultato con il valore-soglia prima determinato (€ 16.492,00).
In teoria - ma solo in teoria, per quanto diremo - se il reddito netto (reddito lordo meno spese) risulta inferiore al valore-soglia, il debitore è considerato incapiente e dovrebbe accedere al beneficio dell’esdebitazione immediata ex art. 283 CCII, mentre se il reddito netto (reddito lordo meno spese) risulta superiore al valore-soglia allora il debitore non sarà immediatamente esdebitabile ma potrà accedere alla Liquidazione Controllata, differendo la propria esdebitazione alla chiusura della procedura, in presenza dei presupposti di legge.
Viene qui riassunto il metodo di calcolo, secondo lo schema di Excel adottato dall’OCC di Roma con la propria Circolare del luglio 2023, predisposto ai fini del calcolo delle utilità ‘rilevanti’ di cui all’art. 283 CCII all’epoca vigente, ma valevole anche nel nuovo scenario normativo introdotto dal ‘Correttivo-Ter’.
La prima ipotesi prevede un reddito mensile netto di € 1.200,00; la seconda, di € 1.400,00. Si badi bene: trattasi entrambi di quote di reddito destinabili ai creditori, ovvero determinate già al netto delle spese per produrlo e della somma che il debitore può trattenere mensilmente per il proprio sostentamento.
Vedremo come entrambe le fattispecie concrete conducano a criticità e problemi di tenuta sistematica.
Esempio n.1
Esempio n.2
(L'articolo completo è consultabile nel file pdf allegato.)
Per ulteriore chiarezza, negli schemi proposti la “eccedenza di reddito” di cui al rigo G, in realtà, è un’eccedenza rispetto ad altra eccedenza: abbiamo visto, infatti, che il “reddito annuo netto” (rigo F) sconta, a sua volta, quanto necessario al mantenimento del debitore, per cui esso indica la quota di reddito effettivamente destinabile ai creditori.
2. Profili di iniquità del criterio di calcolo.
Se il metodo di calcolo sopra esposto è correttamente inteso, in sede di applicazione della norma emergono alcune evidenti criticità, tali da condurre a risultati iniqui e non in linea con il sistema:
a) mentre il valore-soglia (rigo E) è fissato da parametri legali certi, il reddito del debitore da porre a confronto (rigo F) è al netto delle spese di mantenimento del debitore e della sua famiglia, determinato, peraltro, caso per caso dal giudice, per cui il soggetto è incapiente - come nel caso di cui all’esempio n.1 - ove il dato netto del reddito risulti anche di poco inferiore al valore-soglia.
La conseguenza di ciò è che il debitore:
- ottiene così l’esdebitazione immediata senza corrispondere alcunché ai creditori;
- mantiene a propria disposizione, per ciascuno dei tre anni dal decreto di esdebitazione, il surplus di reddito eccedente quanto necessario per il proprio mantenimento.
In altre parole, il reddito (rigo F) posto a confronto con il valore-soglia integra già un’eccedenza rispetto a quanto necessario al debitore per vivere, per cui andrebbe ai creditori, mentre alla luce del criterio ex art. 283, co. 2, CCII, esso viene in considerazione solo come dato di raffronto: con il risultato paradossale che nell’esempio n.1 il debitore ottiene il decreto di esdebitazione immediata trattenendo per sé l’eccedenza, mentre nell’ambito di una Liquidazione Controllata detto surplus sarebbe appreso dalla procedura a beneficio dei creditori.
Detto ancora diversamente, nella Liquidazione Controllata l’art. 268, co. 4, lett b), CCII, si esclude dalla procedura il reddito “nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia”, devolvendo però l’eccedenza in favore dei creditori; invece, alla stregua dell’art. 283, co.2, CCII, tale eccedenza - nell’esempio n.1 pari a € 15.600,00 – resta al debitore esdebitato, essendo inferiore al valore-soglia.
Nel successivo triennio, il debitore esdebitato ex art. 283 CCII si trova, dunque, a beneficiare:
- della somma annua determinata dal Giudice per il sostentamento suo e della propria famiglia;
- dell’ulteriore importo netto di reddito annuo (nell’esempio n.1 pari a € 15.600,00), in quanto inferiore al valore-soglia.
A riprova dell’iniquità del risultato, basti dire che nella medesima fattispecie, ove a carico del debitore, invece, fosse aperta la Liquidazione Controllata, la procedura avrebbe al suo attivo la somma di € 46.800,00 (15.600,00 x 3), quale eccedenza rispetto alla quota di reddito già assegnata al debitore per il suo mantenimento.
b) Nel caso concreto esposto nell’esempio n.2, ove il reddito del debitore, al netto delle spese per produrlo e delle spese di mantenimento, risulta superiore al valore-soglia - così impedendo al debitore l’accesso al beneficio immediato dell’esdebitazione ex art. 283 CCII - lo cose sembrano tornare a posto.
Invero, se il predetto reddito netto è superiore al valore-soglia, al debitore è precluso il decreto ex art. 283 CCII, ma egli potrà accedere alla Liquidazione Controllata, nella misura in cui l’OCC attesti “che è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori”, anche mediante l’esercizio di azioni giudiziarie.
La giurisprudenza successiva al ’Correttivo-Ter’ ha chiarito che tale formula è da intendersi “nel senso che deve esserci un attivo realizzabile da distribuire - acquisibile nell’arco di un massimo di tre anni - e un concorso di più creditori su tale attivo, al netto dei creditori prededucibili”[3].
Nell’esempio n.2, come visto, l’eccedenza di reddito è pari a € 1.708,01 (rigo G) (ciò che impedisce l’emissione del decreto di esdebitazione ex art. 283 CCII), ma non è in base a tale dato numerico che si determina l’attivo del debitore ai fini dell’attestazione di legge: il dato decisivo per l’apertura della Liquidazione Controllata è rappresentato dal reddito annuo netto del debitore indicato al rigo F (nell’esempio n.2 pari a € 18.200,00), perché, appunto, detto importo sconta già le spese per produrlo e quelle di mantenimento stabilite dal Giudice e, dunque, essa rappresenta la somma effettivamente destinabile per intero ai creditori (esattamente, € 18.200,00 x 3 anni = € 54.600,00) dentro la procedura liquidatoria [4].
Per concludere sul punto, la verifica delle condizioni di accesso alla Liquidazione Controllata piuttosto che all’Esdebitazione dell’Incapiente evidenzia l’iniquità del criterio empirico codificato dal legislatore del ’Correttivo-Ter’ con il metodo di calcolo di cui all’art. 283, co. 2, CCII.
Gli esempi formulati ne danno conto, assunto il caso di un debitore con il medesimo nucleo familiare (2 persone) e, dunque, con lo stesso dato contabile del rigo E:
- con una quota di reddito mensile a disposizione dei creditori, pari a € 1.200,00 (già al netto delle spese di mantenimento), il sistema accorda al debitore la qualifica di Incapiente, con il beneficio del decreto immediato di esdebitazione, e lo legittima a trattenere per sé, nel triennio, la somma di € 46.800,00 (15.600,00 x 3) in aggiunta alle spese di mantenimento;
- con una quota di reddito mensile a disposizione dei creditori, pari a € 1.400,00 (già al netto delle spese di mantenimento), il sistema non accorda l’esdebitazione al debitore ma solo l’accesso alla Liquidazione Controllata nel cui ambito egli dovrà devolvere ai creditori la somma di € 54.600,00 (18.200,00 x 3), quale eccedenza di reddito già al netto delle spese di mantenimento.
3. Le pronunce in rassegna.
Le pronunce in rassegna, consapevoli delle criticità sopra evidenziate, risolvono differentemente la questione ermeneutica sottesa alla lettura dell’art. 283, co. 2, CCII.
3.1. Il caso deciso dal Giudice ferrarese
Il Tribunale di Ferrara muove dalla considerazione per cui il criterio di calcolo di cui all’art. 283, co. 2, CCII, ove rigorosamente applicato, condurrebbe al travisamento dell’istituto la cui ratio è esplicitata al comma 1, alla stregua del quale il debitore è incapiente se non è “in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”.
Si propone, quindi, di non accedere ad un’interpretazione letterale della norma, per evitare che si determini “un corto circuito inverosimile e irragionevole, posto che induce a estendere il beneficio anche a colui che, pacificamente, non è incapiente”; viene proposta, così, una lettura sostanzialmente abrogatrice della disposizione, dovendosi “a questo punto ricorrere a uno sforzo interpretativo che consenta il rispetto del sistema e delle norme costituzionali”[5].
Detto sforzo interpretativo, osserva il Giudice ferrarese, impone un’indagine del caso concreto, con il risultato che dovrà essere di volta in volta il Giudice, “a valutare se il debitore sia in grado di offrire qualche utilità ai propri creditori, tenuto conto delle spese e della durata della procedura liquidatoria di riferimento, ovvero della liquidazione controllata: con ciò rispettando il parametro di uguaglianza sostanziale che impone al giudice di non fermarsi alla eguaglianza formale ma di trattare in maniera diversa situazioni diverse”.
Nel caso deciso, il Gestore della crisi aveva concluso ritenendo integrato il presupposto soggettivo della incapienza, alla stregua del criterio di cui all’art. 283, co. 2, CCII, considerato il reddito mensile della debitrice e il nucleo familiare composto da due persone.
Il Tribunale, rettificando il calcolo operato dal Gestore, ha invece respinto la domanda di esdebitazione immediata osservando che la ricorrente è titolare di un reddito destinabile ai creditori, al netto delle spese di mantenimento, “non consistente” ma idoneo a giustificare l’apertura di una procedura di Liquidazione Controllata.
Argomenta, infatti, il Tribunale che “la ricorrente gode di un reddito di € 1800 mensili, da cui vanno detratte spese di mantenimento per € 1400 mensili (aumentata prudenzialmente la cifra proposta dal gestore di € 1322). La percezione di € 400 mensili per 36 mensilità (senza contare il rateo di tredicesima che andrebbe tutto versato alla procedura) consentirebbe la maturazione in tre anni di un attivo di € 14.400, cui andrebbe sommato il ricavato della vendita del veicolo: si tratta di attivo non consistente ma che supera le spese della procedura stessa e che consentirebbe una, sia pure minima, soddisfazione del ceto creditorio”.
Il Giudice ferrarese, dunque, respinge la domanda ex art. 283 CCII di fatto omettendo l’utilizzo del criterio di calcolo ivi previsto, ma accertando nel caso concreto l’esistenza di un attivo, al netto di quanto occorre al debitore per vivere.
Ove applicato, detto criterio avrebbe dato un risultato inequivoco: con spese mensili di mantenimento di € 1.400, la quota di reddito destinabile ai creditori, pari a € 400 mensili, conduce ad un risultato complessivo - nel triennio - di € 14.400 comunque inferiore al valore-soglia.
Riproduciamo lo schema del caso ferrarese:
Come si vede, la debitrice avrebbe dovuto beneficiare dell’esdebitazione immediata, sulla base del mero raffronto tra dati annuali.
Mentre il Giudice moltiplica il dato annuale per tre[6], corrispondenti ai tre anni di durata della Liquidazione Controllata, per un importo totale di € 14.400 risultato comunque inferiore al valore-soglia, qualificando così come non irrisoria la somma complessivamente destinabile ai creditori, al netto delle spese di procedura (non quantificate).
Considerato che, all’interno di una procedura di Liquidazione Controllata, nel caso specifico le spese di procedura ammonterebbero indicativamente a € 4.000 / € 5.000, è chiaro, dunque, che la somma di € 9.000 circa è stata ritenuta idonea a superare anche il vaglio richiesto dall’art. 268, co.3, ult. periodo, CCII, se è vero che l’OCC deve attestare che “è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori, anche mediante l’esercizio di azioni giudiziarie”.
In conclusione, svalutando di fatto il contenuto precettivo della norma, il Tribunale di Ferrara riserva al Giudice, caso per caso, la verifica in concreto della sussistenza di utilità per i creditori idonea a giustificare l’apertura di una procedura liquidatoria o, in alternativa, la condizione di incapienza del debitore che legittima l’esdebitazione immediata.
Il pregio di tale approccio interpretativo, ad avviso di chi scrive, risiede nel considerare l’alternatività dei due strumenti a disposizione del debitore persona fisica non imprenditore, per cui occorre intendere “gli istituti della liquidazione controllata e dell’incapiente come speculari ed alternativi: il primo destinato a chi abbia utilità da distribuire ai creditori, tenuto conto delle spese della procedura e della sua durata, e il secondo dedicato a chi non abbia alcuna utilità da distribuire ai creditori”.
Diversamente, come osserva il Giudice ferrarese, dovrebbe ipotizzarsi un sistema prevedente “due strumenti parzialmente sovrapponibili di cui solo uno con prospettiva di soddisfacimento dei creditori: con il che ovviamente il debitore capiente, ma solo con redditi da lavoro o da pensione, sarebbe comprensibilmente portato a optare per il beneficio dell’incapiente che gli consente di trattenere per sé la eccedenza distribuibile”[7].
Ma è proprio il confine netto di accesso che dovrebbe sussistere tra le due procedure - sul presupposto della non sovrapponibilità degli strumenti - che rende condivisibile la scelta del legislatore di prevedere un criterio di calcolo di determinazione di detto limite, criterio che, però, è stato evidentemente mal formulato con l’art. 283, co.2, CCII, non avendo il legislatore ben compreso il risultato a cui si perviene in sede applicativa.
La criticità dell’opzione ermeneutica prescelta dal Tribunale di Ferrara, tuttavia, risiede non solo nella sostanziale svalutazione del dato normativo (per cui viene da chiedersi se sia un’operazione consentita all’interprete il considerare la norma tamquam non esset), piuttosto nella indeterminatezza del quantum di reddito disponibile che dovrebbe segnare il confine tra le due procedure, per cui - come nel caso concreto - all’operatore non è dato di comprendere quale sia il limite quantitativo minimo che determina il passaggio dall’una all’altra procedura, criticità non da poco ove si consideri che l’OCC deve rendere una vera e propria attestazione, assistita dalla sanzione penale di cui all’art. 344, comma 3, CCII, circa l’esistenza di attivo da distribuire ai creditori.
In altri termini, nel caso de quo il Giudice ha ritenuto la somma di € 14.400 (al lordo delle spese di procedura indeterminate) idonea per l’apertura della Liquidazione Controllata, ma viene da chiedersi quale sia il limite inferiore di reddito disponibile che lo avrebbe determinato, invece, ad accordare l’esdebitazione immediata[8].
3.2. Il caso al vaglio del Tribunale di Rimini
Il tribunale riminese, consapevole che sia gravosa per il sistema l’apertura e la gestione di procedure liquidatorie triennali che ripartiscono ben poco ai creditori, prende atto che, per scelta espressa del legislatore, è incapiente “anche chi possiede una certa entità di eccedenza di reddito”, per cui - sulla base del principio in claris non fit interpretatio - non vanno accreditate interpretazione sostanzialmente abrogatrici del criterio fissato dall’art. 283, co. 2, CCII.
Osserva il Tribunale, pertanto, che si deve prendere atto che il legislatore del ‘Correttivo -Ter’ ha voluto adottare un sistema secondo cui non solo in sede di valutazione delle sopravvenienze (come era prima delle modifiche) ma già “in sede di prima definizione dell’incapienza e, per converso, di valutazione di ammissibilità di una Liquidazione Controllata, si deve considerare non utile, non adeguatamente fruttuosa, rispetto alla durata, ai costi, all’impegno degli organi pubblici, una procedura liquidatoria che non consenta di distribuire - quando il debitore è munito di solo reddito - più dell’importo annuo dell’assegno sociale aumentato della metà e moltiplicato per il parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza ISEE di cui al DPCM 159/2013”.
Nel caso deciso, il Tribunale di Rimini ha respinto la domanda del debitore di apertura della Liquidazione Controllata, ritenendo integrato il presupposto di accesso all’esdebitazione immediata ex art. 283 CCII.
Il debitore risultava inoccupato e privo di beni, mantenuto dal coniuge, con nucleo composto da due persone. La richiesta di apertura della Liquidazione Controllata si fondava sulla giacenza bancaria del debitore, frutto di risparmi, pari a € 18.500, che il liquidatore avrebbe appreso per intero e distribuito ai creditori, al netto delle spese di procedura quantificate in circa € 5.500.
Il Tribunale ha ritenuto che l’importo di € 18.500 andasse depurato delle spese di procedura della eventuale Liquidazione Controllata, per cui la somma effettivamente ripartibile ai creditori, pari € 13.000, essendo inferiore al valore-soglia avrebbe consentito al debitore l’esdebitazione immediata, non l’apertura della procedura liquidatoria, secondo il ragionamento qui riprodotto [9]:
Si è definito il rigo F come ‘risorse distribuibili del debitore’ piuttosto che ‘reddito netto annuo’ perché, come già osservato, nel caso di specie trattavasi di giacenze bancarie già presenti nel patrimonio della debitrice, in assenza di occupazione lavorativa.
Il Giudice perviene al rigetto della domanda di Liquidazione Controllata in considerazione del principio di alternatività dei due strumenti posti dal legislatore, ancorchè in base ad un criterio normativo sicuramente discutibile ma certo[10].
Il Tribunale, peraltro, osserva che detto criterio è applicabile anche in presenza di un patrimonio del debitore caratterizzato da beni mobili, non solo redditi, idonei ad essere valutati complessivamente, così da consentire all’OCC - ai fini dell’accesso alla Liquidazione Controllata - di attestare l’esistenza di un “attivo distribuibile”, “in tal modo allineando l’ipotesi di liquidazione controllata della persona fisica con solo reddito a quella della persona fisica con solo bene mobile o immobile di scarso valore”.
Il Tribunale di Rimini, peraltro, è consapevole che l’applicazione letterale del criterio di calcolo può condurre il debitore ad ottenere l’esdebitazione immediata trattenendo un’eccedenza di reddito (per scelta del legislatore, “una sola volta nella vita”), per questo si premura di precisare che il contemperamento può essere operato determinando nel minimo la quota di reddito riservata al debitore per il mantenimento [11].
4. Considerazioni conclusive. Una possibile lettura interpretativa.
Gli approcci interpretativi a cui si è fatto brevemente cenno, riguardanti la controversa disposizione di legge, muovono da una formulazione della norma oggettivamente infelice, destinata ad essere censurata innanzi alla Corte Costituzionale per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., considerato che il dato testuale dell’art. 283, co. 2, CCII, conduce ad accordare al debitore il beneficio dell’esdebitazione immediata mantenendo a sua disposizione il surplus di reddito, mentre nella Liquidazione Controllata, paradossalmente, l’esdebitazione del debitore con risorse da distribuire ai creditori è differita alla chiusura della procedura.
Entrambe le opzioni ermeneutiche su cui ci siamo soffermati non convincono appieno, se è vero che, da un lato, la voluntas legis appare chiara e non può essere frustrata da un’interpretazione sostanzialmente abrogatrice della norma, e dall’altro lato, che l’applicazione letterale del criterio di calcolo - che lascia in tasca al debitore l’eccedenza di reddito - contrasta con la ratio dello stesso istituto come esplicitata al comma 1, che accorda l’esdebitazione alla persona fisica meritevole “che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità”[12].
Si dica peraltro che, un ulteriore profilo di criticità della disposizione, attiene alla totale carenza di un preventivo confronto con i creditori, del tutto pretermessi dal legislatore rispetto alle dinamiche valutative di cui si è dato conto[13].
Tornando al criterio di calcolo, in dottrina sono emerse letture diverse, volte a rendere più equa l’applicazione di detto criterio, a cominciare dall’interpretazione del termine “dedotte” di cui al comma 2 dell’art. 283 CCII.
Il Tribunale di Rimini, nella decisione in rassegna, osserva che il reddito annuo “va calcolato al netto delle spese di produzione e delle necessità di mantenimento familiare, non potendo attribuirsi altro significato al termine “dedotte le spese“, il quale significa “dopo aver dedotto, sottratto”.
Altri, tuttavia, hanno inteso il “dedotte” sostanzialmente al lordo, non al netto delle spese, considerato che ‘dedurre’ significa anche ‘trarre’, ‘derivare’, ‘ricavare’.
Un’altra opinione ha osservato che se il criterio di calcolo, nella sua formulazione letterale, è difficilmente superabile, tuttavia resta appannaggio del Giudice la determinazione in concreto delle spese di mantenimento del debitore e della sua famiglia, importo che rappresenta il ‘sottraendo’, ovvero il dato numerico (rigo F) che va sottratto al dato fisso di legge (rigo E): il Tribunale ben potrà contenere al massimo tale somma, fissando il limite non già nella cifra necessaria al debitore per una vita dignitosa, bensì nella misura del mantenimento minimo e vitale, così da ridurre i casi di debitori esdebitati con eccedenza di reddito[14].
Meritevole di segnalazione, infine, è la riflessione di chi ha cercato di armonizzare il criterio di calcolo del seconda comma con il disposto principale di cui al prima comma del medesimo articolo, offrendo così una peculiare lettura interpretativa.
Tale opinione[15] muove dall’assunto per cui il legislatore ha inteso affermare un principio di alternatività tra le due procedure, cui consegue la necessità che il concetto di incapienza sia declinato nello stesso modo in entrambi gli strumenti.
In particolare, il raffronto è tra i corrispondenti criteri posti dal legislatore: il criterio del primo comma dell’art. 283 CCII (“in grado di offrire ai creditori alcuna utilità”) che apre all’esdebitazione immediata, e il contenuto dell’attestazione dell’OCC ex art. 268, co.3, ult. periodo, CCII, per cui, ai fini dell’apertura della Liquidazione Controllata, deve essere “possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori”.
Se il discrimen è quello fissato da tali disposizioni di legge (assenza di utilità o presenza di attivo da distribuire), allora il criterio di calcolo codificato al secondo comma dell’art. 283 CCII non può essere inteso come espressione di un’autonoma nozione di incapienza, fissata sulla base di un mero criterio aritmetico, ma deve essere letto in conformità al combinato disposto di cui ai citati art. 283, co.1, CCII, e art. 268, co.3, ult. periodo, CCII.
Alla luce di ciò, una possibile lettura prevede che il disposto dell’art. 283, co.2, CCII, sia declinato come soglia massima fissata dal legislatore, superata la quale il debitore è qualificabile ex lege come capiente, mentre qualora il reddito sia inferiore a detta soglia la capienza o incapienza del debitore va accertata caso per caso alla stregua della definizione di incapienza di cui al primo comma dell’art. 283 CCII, corrispondente alla definizione di capienza presupposto per l’accesso alla Liquidazione Controllata, ex art. 268, co.3, ult. periodo, CCII.
In tal senso, l’avverbio ‘anche’ di cui al secondo comma dell’art. 283 CCII (“Ricorre il presupposto di cui al comma 1, primo periodo, anche quando il debitore è in possesso di un reddito […]”) potrebbe essere inteso come ‘fino a quando’, per cui sotto tale soglia il Giudice sarà chiamato a vagliare caso per caso la presenza di utilità per i creditori, mentre sopra detta soglia tale discrezionalità è impedita e il debitore non potrà mai essere ritenuto incapiente.
In attesa dell’auspicato vaglio del Giudice delle Leggi, ancora una volta è affidata al diritto vivente l’individuazione di una via interpretativa di buon senso che eviti risultati iniqui.
[1] L’Autore è avvocato in Rimini, gestore della crisi presso l’OCC del CoA di Rimini e Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all’Università degli Studi di Milano - Bicocca. Le pronunce oggetto del presente contributo sono in corso di pubblicazione in questa Rivista.
[2] Scala di equivalenza ISEE
Questi sono i parametri da applicare in base alla composizione del nucleo familiare.
Numero componenti |
Parametro |
1 |
1,00 |
2 |
1,57 |
3 |
2,04 |
4 |
2,46 |
5 |
2,85 |
Sono inoltre applicate le seguenti maggiorazioni:
- 0,35 per ogni ulteriore componente;
- 0,5 per ogni componente con disabilità media, grave o non autosufficiente;
- 0,2 in caso di presenza nel nucleo di tre figli, 0,35 in caso di quattro figli, 0,5 in caso di almeno cinque figli;
- 0,2 per nuclei familiari con figli minori, elevata a 0,3 in presenza di almeno un figlio di età inferiore a tre anni compiuti, in cui entrambi i genitori o l’unico presente abbiano svolto attività lavorativa per almeno sei mesi nell’anno di riferimento dei redditi dichiarati. La maggiorazione si applica anche in caso di nuclei familiari composti esclusivamente da un solo genitore non lavoratore e da figli minorenni.
[3] Così Tribunale di Ascoli Piceno 8 novembre 2024, in questa Rivista.
[4] È appena il caso di osservare che gli esempi proposti prevedono l’esistenza di un flusso reddituale del debitore: nulla impedisce, tuttavia, che il debitore risulti titolare di beni mobili o partecipazioni sociali valorizzabili dentro il medesimo schema di calcolo (rigo F), in aggiunta o in sostituzione della quota di reddito mensile, come nel caso deciso in rassegna dal Tribunale Rimini.
[5] Lo stesso Tribunale, con la decisione 5 novembre 2024, aveva evidenziato per primo l’aporia del c.d. “falso incapiente”, ovvero “del debitore con utilità che può destinare al soddisfacimento dei creditori ma che, ciò nonostante, può accedere alla esdebitazione”, per cui è doveroso interpretare la norma di cui all’art. 283 CCII “in senso complessivo e avuto riguardo al sistema unitario degli istituti del sovraindebitamento, non fermandosi al dato puramente letterale disegnato dal secondo comma, ma valorizzando la definizione che il primo comma dà dell’incapiente e il sistema dell’alternatività tra esdebitazione dell’incapiente e liquidazione controllata”.
Aderisce all’orientamento del Giudice ferrarese anche Tribunale di Ancona 20 dicembre 2024, in corso di pubblicazione in questa Rivista.
[6] In realtà, la norma parla di “reddito che, su base annua e dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento suo e della sua famiglia, sia non superiore …”, per cui il raffronto con il valore-soglia di cui al rigo E, che infatti esprime un dato annuale, dovrebbe essere compiuto con il reddito netto annuale.
[7] Prosegue il Tribunale di Ferrara osservando che “ciò sarebbe irragionevole e asistematico e ingiustamente deteriore per i creditori. Dall’altro lato infatti la opzione della sovrapponibilità dei due istituti comporterebbe una irragionevole compressione del diritto, avente rango costituzionale, dei creditori concorsuali che si vedrebbero espropriati del loro diritto, sia pure nella forma della inesigibilità, pure a fronte della possibilità, se si ricorresse all’istituto “concorrente” della liquidazione controllata, di essere almeno parzialmente soddisfatti”.
In tema di alternatività degli strumenti, peraltro, resta sullo sfondo la questione della possibilità del debitore incapiente, ma chiaramente immeritevole, di accedere comunque ad uno strumento liquidatorio, allo stato ipotizzabile solo nella formula della procedura familiare ex art. 66 CCII. Mentre riguardo il debitore capiente, ma altrettanto immeritevole, la giurisprudenza maggioritaria l’accesso alla Liquidazione Controllata, essendo sempre consentito al debitore di regolare con modalità concorsuali la propria debitoria. La dottrina sul punto non ha sviluppato sufficientemente la riflessione ma è ragionevole ritenere che tale possibilità sussista, anche alla stregua di una cesura posta dal legislatore tra fase liquidatoria (art. 268 CCII) e fase di esdebitazione (art. 282 CCII), essendo sempre preferibile per l’ordinamento, anche in termini di economia del procedimenti altrimenti molteplici e caratterizzati da singole iniziative individuali, una gestione concorsuale del patrimonio del debitore.
[8] Basti dire, come vedremo, che il Tribunale di Rimini, nella decisione 6 febbraio 2025, ha ritenuto idoneo per l’esdebitazione immediata, quale importo destinabile ai creditori, la somma di € 18.500, ridotta ad € 13.000 al netto delle spese di procedura quantificate in € 5.500. Dunque, se il Tribunale di Ferrara ha ritenuto ‘economica’ una liquidazione controllata sulla base di € 14.400 lordi destinabili ai creditori, il Giudice riminese ha dichiarato inammissibile la stessa procedura ritenendo ‘antieconomico’ l’importo di € 18.500 lordi.
È chiaro che ciò è frutto del diverso approccio interpretativo dell’art. 283, co.2, CCII, tuttavia ben si comprende come il carattere irrisorio o meno della somma “distribuibile ai creditori”, in assenza di criteri certi, resta appannaggio di una valutazione del tutto discrezionale, financo arbitraria, da parte del Tribunale.
[9] Non convince, peraltro, la valorizzazione delle spese di procedura operata dal Tribunale nella determinazione delle risorse disponibili per i creditori (rigo F): il confronto con il valore-soglia (rigo E), va forse operato con l’intera somma a disposizione dei creditori, pari ad € 18.500, senza alcuna detrazione per spese, perché il criterio di calcolo codificato all’art.283, co.2, CCII, non sconta oneri di procedura, per cui, nel caso di specie, il risultato di € 13.000,00 (€ 18.500 meno € 5.500) vale nell’ambito della Liquidazione Controllata ai fini dei riscontro dell’attivo per i creditori ex art. 268, co. 3, ult. periodo, CCII, ma non può valere quale dato di raffronto per valutare l’accesso diretto all’esdebitazione.
[10] Peraltro, la non sovrapponibilità dei due strumenti, e dunque l’alternatività degli stessi, sembra trovare una conferma nella speciale previsione dell’art. 66 CCII dettato in tema di procedura familiari, per cui “la domanda di apertura della liquidazione controllata può essere proposta anche se uno o più debitori si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 283, se per almeno uno di essi sussistono i presupposti di cui all’articolo 268, comma 3, quarto periodo”. La norma sembra dire che un debitore incapiente può accedere alla Liquidazione Controllata solo in via eccezionale e nell’ambito della speciale composizione familiare, in presenza dei presupposti.
Va chiarito, altresì - ciò si dica quale opinione di chi scrive - che l’incapiente ‘familiare’ non ottiene il decreto immediato di esdebitazione ex art. 283 CCII ma in capo allo stesso si apre una procedura di Liquidazione Controllata ex art. 268 CCII che si somma alle procedure liquidatorie dei ‘familiari’, destinata ad essere chiusa, in presenza dei presupposti di cui all’art. 272, co. 3, CCII.
A tale conclusione si dovrebbe pervenire considerato che l’art. 66, co.1, CCII consente ai membri della stessa famiglia di familiari di “presentare un’unica domanda di accesso ad una delle procedure …”, chiarendo poi che “la domanda di apertura della liquidazione controllata può essere proposta …”, formula che dovrebbe chiudere la possibilità di presentare domande eterogenee.
Altri hanno, invece, ritenuto che l’incapiente ‘familiare’ possa beneficiare del decreto ex art. 283 CCII.
[11] Osserva opportunamente il Tribunale che “lo sbilanciamento della norma a favore degli interessi del debitore ed a detrimento dei diritti dei creditori può trovare un adeguato correttivo, in sede giudiziale, nella fase della determinazione della misura annua del mantenimento personale e familiare: misura che ben può essere contenuta nei limiti del reddito impignorabile, a norma dell’art 545 c.p.c., salvo situazioni specifiche, particolari e dimostrate, che comportino una esigenza superiore; e che deve comunque essere scrutinata con particolare cautela”.
[12] Peraltro, a fronte del risultato oggettivamente iniquo di un debitore esdebitato con eccedenze di reddito rimaste a propria disposizione, una modalità di tutela ‘a valle’ del ceto creditorio, potrebbe rinvenirsi nel disposto del comma 9 dell’art. 283 CCII.
Esso impone all’OCC, nei tre anni successivi al deposito del decreto che concede l’esdebitazione, di “compiere le verifiche necessarie per accertare l’esistenza di utilità ulteriori”, per cui “se l’OCC verifica l’esistenza o il sopraggiungere di utilità ulteriori, previa autorizzazione del giudice, lo comunica ai creditori i quali possono iniziare azioni esecutive e cautelari sulle predette utilità”. Nulla esclude, pertanto, che l’OCC segnali ai creditori l’esistenza dell’eccedenza trattenuta dal debitore esdebitato.
[13] Tale criticità è stata posta giustamente in rilievo da chi ha osservato che “l’aspetto che desta maggiore difficoltà nella disciplina dell’art. 283 CCII è costituito dall’assenza preventiva dell’instaurazione del contraddittorio con i creditori, a cui è consentito solo il reclamo ex art. 124 CCII (che peraltro richiederebbe, ai sensi dell’art. 9, comma 2, CCII, il patrocinio legale di un difensore). È auspicabile che la pratica applicativa si faccia carico di forme di instaurazione del contraddittorio preventivo e deformalizzate con i creditori, tanto più che l’art. 283, comma 3, lett. a), CCII, prevede il deposito dell’elenco di tutti i creditori […] Di conseguenza è sicuramente possibile instaurare, ex ante, il contraddittorio con i creditori, consentendo l’eventuale proposizione di osservazioni sulla domanda del debitore, sebbene non sia (formalmente prevista e, quindi, non sia) ammissibile alcuna opposizione all’emissione del decreto di esdebitazione” (R.BROGI, “Le modifiche del d. lgs. 136/2024 alla disciplina del sovraindebitamento”, Procedure concorsuali e crisi d’impresa (già Il Fallimento), 1/2025, pag. 144).
Sempre sul piano delle tutele, lo stesso A. ha osservato che neppure la revoca del beneficio dell’esdebitazione immediata pare correttamente normata: “essa è prevista per la sola ipotesi del mancato deposito della dichiarazione annuale da parte del debitore per i tre anni successivi all’emissione del decreto di esdebitazione; in tal modo si sanziona solo il dato formale relativo all’omesso deposito delle relazioni e non eventuali dichiarazioni mendaci contenute al loro interno […] per cui non trovano alcuna sanzione eventuali atti di frode in danno dei creditori compiuti dal debitore prima della presentazione della domanda ex art. 283, co.3, CCII, e non scoperte prima della pronuncia dell’esdebitazione. Tale omessa previsione segna, invero, un punto di equilibrio assai fragile tra l’opportunità di assicurare una seconda opportunità al debitore incapiente e il sacrificio imposto ai creditori” (R.BROGI, “Il Sovraindebitamento nel Codice della Crisi”, Wolters Kluwer, 2024, pag. 538).
[14] Come già osservato nella nota n.10, è il ragionamento seguito dal Tribunale di Rimini nella pronuncia in rassegna, per cui detto mantenimento andrà determinato dal Giudice nella ”misura che ben può essere contenuta nei limiti del reddito impignorabile, a norma dell’art 545 c.p.c., salvo situazioni specifiche, particolari e dimostrate, che comportino una esigenza superiore; e che deve comunque essere scrutinata con particolare cautela”.
[15] Emersa nel corso del seminario di aggiornamento per Magistrati organizzato a Scandicci dalla SSM il 25 febbraio 2025.
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