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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/04/2021 Scarica PDF
Il diritto di famiglia alla luce delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 2021
Micaela Lopinto, Avvocato in BresciaSommario: Abstract; 1.- La disciplina dell’assegno divorzile post SSUU del 2018; 2.- I nuovi approdi nel diritto di famiglia dei minori: la maternità surrogata “solidale”; 3.- Le conseguenze delle nuove evoluzioni giurisprudenziali nel sistema del diritto di famiglia: verso una esaltazione del principio dell’affectio coniugalis.
Abstract Ita
Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di valutare l’incidenza delle più significative e recenti modifiche in materia di diritto di famiglia e, precisamente, in materia di criteri di quantificazione dell’assegno divorzile e di divieto di maternità surrogata, sul principio della affectio coniugalis.
Abstract Eng
This paper wants to value the impact of the main and recent developments issued in family law matter on the affectio coniugalis principle (using latin terms), discussing about the standards to quantify divorce allowance and the prohibition of surrogate motherhood.
1.-La disciplina dell’assegno divorzile post SSUU del 2018[1].
L’evoluzione che ha interessato il settore dei criteri di quantificazione dell’assegno divorzile è recentemente sfociata in una significativa pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite, della quale si vogliono commentare in questa sede alcuni passaggi, al fine di trovare tra queste righe e quelle emerse in una recente pronuncia della Corte Costituzionale dei punti di contatto che possono rappresentare la sintesi dell’attuale pensiero giurisprudenziale in materia di diritto di famiglia. Più precisamente, come ricordato nel corpo della sentenza, <<la dottrina prevalente e la giurisprudenza di questa Corte avevano ritenuto che l’assegno di divorzio, alla luce dell’art. 5, comma sesto, della Legge n. 898 del 1970 avesse una natura mista senza alcuna diversificazione e graduazione tra i criteri attributivi e determinativi. In particolare le Sezioni Unite, poco dopo l’entrata in vigore della norma affermarono che l’assegno previsto dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, aveva natura composita “in relazione ai criteri che il giudice per la legge deve applicare quando è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di corresponsione: assistenziale in senso lato, con riferimento al criterio che fa leva sulle condizioni economiche dei coniugi; risarcitoria in senso ampio, con riguardo al criterio che concerne le ragioni della decisione; compensativa, per quanto attiene al criterio del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla condizione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Il giudice, che pur deve applicare tali criteri nei confronti di entrambi i coniugi e nella loro necessaria coesistenza, ha ampio potere discrezionale, soprattutto in ordine alla quantificazione dell’assegno>>.
La stessa Corte, tuttavia, nell’emanare il principio di diritto ha chiarito che <<ai sensi dell’art. 5 comma sesto della l. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durate del matrimonio ed all’età dell’avente diritto>>. Dal “combinato disposto” dei seguenti passaggi ed argomentando a contrario, emerge che in assenza di inadeguatezza di mezzi di sostentamento e di condizioni di incapacità contributiva, nonché in assenza di apporti significativi che possono aver inciso (in modo processualmente dimostrabile) sul patrimonio dell’altro coniuge, può essere escluso il riconoscimento dell’assegno divorzile.
2.- I nuovi approdi nel diritto di famiglia dei minori: la maternità surrogata “solidale”.
Tenendo a mente le coordinate poc’anzi tracciate, si vuole ora porre l’accento su una recentissima pronuncia. La Corte Costituzionale, nell’affrontare una così delicata tematica, ha ribadito con forza il “principio inderogabile” a mente del quale è indispensabile garantire il rispetto della dignità della donna, alla cui tutela è preposto il divieto di maternità surrogata. Pur tuttavia, la stessa ha circoscritto il divieto, evidenziandone la ratio cautelativa delle donne economicamente e socialmente più deboli, chiarendo che <<a tale prospettiva si affianca l’ulteriore considerazione – su cui pongono l’accento anche l’Avvocatura generale dello Stato e una parte degli amici curiae - che gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita. Tali preoccupazioni stanno verosimilmente alla base della condanna di qualsiasi forma di maternità surrogata ai fini commerciali, espressa dal Parlamento europeo nella propria Risoluzione del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea nel 2015[…]. Le questioni ora sottoposte a questa Corte sono però focalizzate sugli interessi del bambino nato mediante maternità surrogata, nei suoi rapporti con la coppia (omosessuale, come nel caso che ha dato origine al giudizio a quo, ovvero eterosessuale) che ha sin dall’inizio condiviso il percorso che ha condotto al suo concepimento e alla sua nascita nel territorio di uno Stato dove la maternità surrogata non è contraria alla legge; e che ha quindi portato in Italia il bambino, per poi qui prendersene quotidianamente cura>>. Così circoscrivendo il proprio pensiero, ha stabilito che <<[…]non v’è dubbio, in proposito, che l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita (nel caso oggetto del giudizio a quo, ormai da quasi sei anni) da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata.[…].Sotto un secondo e non meno importante profilo, non è qui in discussione un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino. Ciò che è qui in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Proprio per queste ragioni, del resto, l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte EDU afferma la necessità, al metro dell’art. 8 CEDU, che i bambini nati mediante maternità surrogata, anche negli Stati parte che vietino il ricorso a tali pratiche, ottengano un riconoscimento giuridico del «legame di filiazione» (lien de filiation) con entrambi i componenti della coppia che ne ha voluto la nascita, e che se ne sia poi presa concretamente cura (sentenza Mennesson). La Corte EDU riconosce, in particolare, che gli Stati parte possano non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al “genitore d’intenzione”[…].Tuttavia, la stessa Corte EDU ritiene comunque necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e il “genitore d’intenzione”, al più tardi quando tali legami si sono di fatto concretizzati (Corte EDU, decisione 12 dicembre 2019, C. contro Francia ed E. contro Francia, paragrafo 42; sentenza D. contro Francia, paragrafo 67); lasciando poi alla discrezionalità di ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all’adozione del minore. Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore […][2]>>. La Corte, pertanto, invita ad una modifica normativa (anche) della legge sulla procreazione medicalmente assistita (L. n. 40 del 2004). Dal tenore complessivo dei passaggi estrapolati dalla sentenza si evince chiaramente l’intento di garantire una apertura dell’ordinamento, perfino da un punto di vista normativo, verso un innalzamento della tutela del minore, improntato alle logiche del “best interest dei nati dai progetti di maternità surrogata” fortemente voluti dalle coppie che hanno deciso di fare ricorso a tale tecnica, con quel che ne consegue anche sotto il profilo della disciplina degli atti di riconoscimento presso l’Ufficiale di Stato Civile.
3.- Le conseguenze delle nuove evoluzioni giurisprudenziali nel sistema del diritto di famiglia: verso una esaltazione del principio dell’affectio coniugalis.
Operando un ulteriore ed ultimo “combinato disposto”, appare evidente che i brani, appositamente scelti, se letti insieme, costituiscono una perfetta sintesi del pensiero giurisprudenziale in tre settori: minorile, di crisi della coppia, di coppia. Sotto il primo profilo, l’obiettivo, da diversi anni, sembra essere quello della esaltazione del “best interest del minore”, a prescindere dal contesto genitoriale in cui lo stesso è inserito, a condizione che il predetto contesto sia fortemente “voluto” e il nucleo familiare rappresenti un luogo armonico in cui il minore possa sviluppare la propria personalità. Tale esaltazione della dimensione familiare ed altruistica è oggi avallata pienamente anche dalla giurisprudenza che, nel sottolineare l’uguaglianza tra coniugi, circoscrive i criteri di liquidazione dell’assegno divorzile, qualora quel luogo armonico non possa più essere ricostruito, evitando che lo scioglimento del matrimonio possa tradursi - qualora la posizione dei coniugi sia effettivamente economicamente paritaria ed equilibrata - in una fonte di danno per uno di essi. L’insieme dei doveri e dei diritti coniugali e, dunque, la comunione materiale e spirituale di vita, infine, costituisce il leitmotiv dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di riconoscimento di atti di matrimonio esteri di coppie omosessuali prima della legge Cirinnà nonché della riforma stessa delle unioni civili. L’intero sistema del diritto di famiglia, dunque, sembra essersi indirizzato verso una più netta esaltazione del principio dell’affectio coniugalis (che, pur non richiedendo un reale stato sentimentale, comunque si basa sul rispetto reciproco degli obblighi che discendono dalla scelta di vita comune e, perciò, scaturenti dal matrimonio) qualora le condizioni dei coniugi siano di assoluta parità e possano costituire anche un luogo consono di crescita del minore, a condizione che tale crescita non arrechi danno alcuno e non rappresenti, per la coppia, una situazione di vantaggio in danno della madre biologica.
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