Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/05/2021 Scarica PDF
Spunti di dottrina sull'art. 1153 CC.: una norma, molteplici sfaccettature a tutela della buona fede
Micaela Lopinto, Avvocato in BresciaSommario: 1.- Una possibile doppia veste
degli effetti del possesso ex art. 1153 cc. tra apparentia iuris e
manifestazione del possesso; 2.- L'art. 1153 cc. come ipotesi di apparentia
iuris; 3.- La qualificazione come manifestazione del possesso; 4.- Conclusioni.
Abstract.
The following paper wants to describe, in short, two possible way to read the
article 1153 civil code. By this article, the Italian State gives to purchesers
chance to become owners of chattels when the seller hasn't got the property of
chattels. As a matter of fact, if the purcheser is able to prove to judges he
had the chattel possession exactly on the delivery and he was in good faith, he
can obtain the chattel property. Despite the real owner position, the purcheser
can become the unique owner of the chattel. According to part of the doctrine,
the described situation could be considered as an other case of
"apparentia iuris" owing to the fact that the seller (to all
appearances) seems to be the real chattel owner. However, these few words could
contain a different shade. According to this different opinion, the article
1153 civil code could be read as an other way to protect the possession which
can be offered by the Italian State to purchesers due to the fact they can
demonstrate a good faith possession.
1.- Una possibile doppia veste degli effetti del possesso ex art. 1153 cc. tra
apparentia iuris e manifestazione del possesso.
"Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è
proprietario, ne acquista la proprietà mediante possesso, purché sia in buona
fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento
della proprietà. La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa,
se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente. Nello
stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno".
L'art.1153 cc., poc'anzi riportato, rubricato effetti dell'acquisto del
possesso, viene generalmente considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza
come uno dei modi di acquisto a titolo originario della proprietà.
La ratio di tale qualificazione può essere spiegata a mezzo dell'antico
brocardo nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet, il quale
chiarisce che nessuno può trasferire, mediante il semplice consenso ex art.
1376 cc., espressione del principio del consenso traslativo o principio
consensualistico che dir si voglia, la proprietà o altro diritto reale senza
esserne preventivamente titolare (fatte salve le ipotesi di rappresentanza e
salvi i relativi rapporti gestori che, tuttavia, esulano dalla sfera
applicativa della norma in esame, dal momento che la stessa presuppone non solo
una carenza di titolarità del non dominus ma anche una carenza di
legittimazione[1]). Ciò in quanto nessuno può, di fatto, trasferire più di
quello che possiede e, pertanto, se il bene non è posseduto dall'alienante in
qualità di proprietario[2] non potrà civilisticamente prodursi nessun effetto
traslativo nella sfera giuridica dell'acquirente[3].Tali conclusioni trovano
conferma ed ulteriore fondamento nello stesso comma secondo del sopra citato
articolo, il quale chiarisce che la proprietà del bene, da parte dell'acquirente,
si acquista libera da pesi e, dunque, priva dei vincoli ed oneri che
normalmente discendono dall'acquisto a titolo derivativo[4].
Pertanto e conseguentemente, appare logico annoverare l'acquisto
dell'acquirente dall'alienante non dominus (poiché non titolare del diritto
reale) nel genus dell'acquisto dei cd. "nuovi diritti[5]; diritti che
sorgono ex novo in capo ad un determinato soggetto in ragione dell'esistenza di
specifici requisiti di legge (in questo caso, il possesso di buona fede del
terzo al momento della consegna e l'esistenza di un titolo astrattamente
idoneo). La veste solo apparentemente derivativa cede il passo ad una sostanza
di acquisto a titolo originario, la quale consente, da un lato, di dirimere in
modo efficace il conflitto tra alienante non dominus possessore e dominus
reale[6] non possessore a vantaggio del terzo che - mediante il meccanismo
dello spossessamento del non dominus - acquista la proprietà per
cristallizzazione degli effetti del possesso di buona fede, possesso che lo
stesso terzo dovrà acquisire al momento della consegna in danno del reale
proprietario (il quale, al più, agirà nei confronti del non dominus alienante).
Dall'altro consente, mediante il suo meccanismo, di garantire una più rapida
circolazione dei crediti cartolarizzati e di agevolare la probatio diabolica
nell'azione di rivendica ex art. 948 cc.[7]. Nonostante tali indicazioni
lascino da sole intendere una portata notevole della norma, una parte della
dottrina arricchisce il suo significato, annoverandola nell'elenco delle
ipotesi di apparentia iuris[8]. Al fine di comprendere il senso della predetta
affermazione, che rappresenta il punto di partenza per l'individuazione di due
possibili versioni della norma in esame, qui oggetto di attenzione, può essere
utile evidenziare come il nostro ordinamento giuridico identifichi l'istituto
della apparentia iuris come strumento di tutela del legittimo affidamento dei
terzi e, dunque, come strumento di garanzia della circolazione dei diritti. Più
precisamente, dottrina e giurisprudenza sono solite riconoscere l'esistenza di
due tipi di apparenza: l'apparenza pura, ancorata al dato normativo e
l'apparenza colposa, di creazione pretoria.
Brevemente e nei limiti di quel che più interessa - e, soprattutto, mettendo da
parte le pure peculiari ipotesi di società apparente e le ipotesi, tutte
amministrativistiche, di utilizzo del predetto istituto al fine di preservare
gli effetti favorevoli per il terzo che discendano dai provvedimenti
amministrativi emanati dal funzionario di fatto[9] - la prima forma di
apparentia iuris trova espresso riconoscimento in alcune disposizioni
codicistiche, ovvero, esemplificativamente, negli artt. 1189 cc.[10], 1415 cc.
e 534 cc.[11]. L'art. 1189 cc., rubricato pagamento al creditore apparente,
dispone che il debitore, che esegue il pagamento a chi appare legittimato a
riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato
in buona fede. La norma, dunque, tutela il legittimo affidamento (incolpevole)
che il debitore fa nella qualifica del creditore a mezzo dell'istituto in
esame. Ai fini dell'operatività della predetta tutela, l'ordinamento giuridico
richiede che sussista una buona fede del terzo/debitore[12] nonché richiede il
requisito della univocità delle circostanze.
Tale ultimo requisito - esplicitato solo nel caso del creditore apparente, ma,
implicitamente, estendibile anche alle altre due ipotesi che si esamineranno a
breve - può essere identificato nell'esistenza di una complessa serie di
circostanze che lasciano presupporre l'apparenza di legittimazione del
creditore e nella insussistenza di comportamenti specificamente colposi del
titolare effettivo del diritto, posti in essere, in questo caso, in danno del
terzo/debitore, al fine di indurlo esplicitamente in errore. Alla presenza dei
predetti requisiti oggettivi, il debitore sarà liberato, con conseguente
estinzione dell'obbligazione. Il creditore, invece, sarà tenuto alla
restituzione verso il vero creditore del pagamento ricevuto. L'istituto,
pertanto, ingenera un effetto benefico nella sfera giuridica del terzo; un
effetto negativo, per contro, nella sfera giuridica di chi, a conti fatti, ha
ingenerato lo stato di apparenza. Più articolata è la portata dell'art. 534 cc.
La norma è posta a tutela dell'acquirente dal creditore apparente e chiarisce,
al comma primo, che l'erede può agire anche contro gli aventi causa da chi
possiede a titolo di erede o senza titolo. Al comma secondo, fa salvi i diritti
acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede
apparente[13], dai terzi i quali provino di aver contrattato in buona fede.
Anche in questo caso, per la tutela dell'avente causa dall'erede apparente, si
rende necessaria la buona fede. Tuttavia, diversamente rispetto alla norma
precedentemente esaminata, si verifica non una estinzione dell'obbligazione,
bensì un acquisto di un diritto reale da parte dell'avente causa, a condizione
che sussista sempre anche quella situazione di apparenza "non indotta dal
titolare del diritto", esplicitata nella precedente norma a mezzo del
requisito della "univocità" delle circostanze, che in questa sede è
omessa.
Ancora, l'apparentia codicistica trova estrinsecazione nel sopra citato art.
1415 cc., norma operante in materia di simulazione. Con essa, si dispone che la
simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi
causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi in buona fede. Ancora
una volta, dunque, a prevalere è l'acquisto del terzo di buona fede che,
facendo legittimo affidamento sulla posizione dell'alienante simulato -
anch'essa non meglio definita dal dato codicistico - vede fatto salvo il
proprio diritto. Diversa, ancora, è l'ipotesi di apparentia colposa. La stessa
non risiede nelle norme del codice, come precedentemente indicato, bensì trova
conferma nella volontà giurisprudenziale, rivolta a far prevalere il legittimo
affidamento del terzo nella specifica ipotesi in cui lo stesso sia stato
vittima non di una situazione di univoca apparenza, poc'anzi tre volte esaminata,
bensì di un colposo e voluto atteggiamento della controparte o, più
precisamente, del rappresentato. L'apparentia colposa, infatti, trova terreno
fertile nell'istituto della rappresentanza. Come si è avuto modo di accennare,
l'effetto traslativo può essere ricollegato anche ad un mandato unito ad una
procura e, dunque, può sussistere una scissione tra parte sostanziale e parte
formale del contratto, tanto da poter parlare di rappresentato che aliena a
mezzo del rappresentante. In siffatti contesti, in assenza di valido rapporto
gestorio o procura, il contratto concluso tra rappresentante e terzo è, secondo
l'orientamento prevalente, non nullo e neppure giuridicamente irrilevante,
bensì inefficace[14].
Ciò in quanto il rappresentante non può essere vincolato da un contratto di cui
non è parte ed il rappresentato non può divenire parte sostanziale senza
apposito rapporto gestorio. Tale principio, tuttavia, non vale nell'ipotesi in
cui sia stato proprio il rappresentato ad aver ingenerato colposamente (e,
dunque, non sulla sola base di complesse circostanze univoche, come richiedono,
in alcuni casi esplicitamente, in altri implicitamente, le norme codificanti
ipotesi di apparentia pura) la convinzione dell'esistenza di un valido rapporto
di rappresentanza. In tali contesti, per volere giurisprudenziale, il legittimo
affidamento del terzo sarà oggetto di tutela da parte dell'ordinamento a mezzo
della salvezza di effetti contrattuali, in danno del rappresentato che sarà
costretto a divenire parte sostanziale del contratto. La distinzione sin qui
operata consente di comprendere per quale ragione una parte della dottrina
annoveri l'art. 1153 cc., inizialmente descritto, come una ulteriore ipotesi di
apparentia pura[15].
Secondo questa visione, la norma celerebbe in sé una ipotesi di tutela
dell'affidamento codicistico dal momento che: a. l'alienante non dominus si
atteggerebbe alla stregua di un titolare apparente, ovvero di un soggetto
apparentemente titolare del diritto reale oggetto di ipotetico - ma civilisticamente
non possibile, per le ragioni prima esposte - trasferimento; b. l'avente causa
- a condizione che sussista un titolo astrattamente idoneo (ovvero di un
contratto viziato solamente dalla insussistenza di legittimazione/titolarità ad
alienare del non dominus) - farebbe salvo il proprio acquisto in ragione del
proprio stato di buona fede, presente in tutte le ipotesi di apparentia.
Diversa, per contro, è la posizione di altra parte della dottrina[16]. Aderendo
a tale visione, si sarebbe di fronte ad una ipotesi di manifestazione degli
effetti del possesso. Tale orientamento consente di ritenere che, pur volendo
ipotizzare l'esistenza di una "titolarità apparente", in assenza di
possesso (sempre di buona fede) dell'avente causa dal non dominus non si
verrebbe a creare nessuna posizione giuridicamente tutelabile, a differenza
delle ipotesi di apparentia pura precedentemente illustrate, le quali, nel caso
del creditore apparente, non prevedono nessun acquisto e, ancora, nel caso del
simulato alienante o erede apparente, non richiedono nessun atto di
spossessamento (sia il simulato alienante sia l'erede apparente, di fatto, il
possesso possono anche non averlo[17].
2.-L'art. 1153 cc. come ipotesi di apparentia iuris.
Delineate così succintamente le due posizioni, può essere utile provare ad
esaminare alcuni risvolti positivi dell'una e dell'altra sfumatura. Volendo
cominciare ad esaminare la teoria dell'apparentia iuris, occorre considerare
come l'incardinamento dell'art. 1153 cc. tra le ipotesi di apparenza del
diritto appare coerente con la considerazione secondo la quale tanto il
simulato alienante quanto l'erede ed il creditore apparenti ingenerano una
situazione diversa da quella reale senza alcuno specifico comportamento. Non
sussiste, infatti, in relazione all'art. 1153 cc. nessuna estrinsecazione o
chiarificazione in ordine alla posizione del non dominus: egli può essere di
buona o di mala fede, la norma non lo indica[18]. Si limita, analogamente a
quanto avviene nelle altre fattispecie di apparentia pura, ad evidenziare
l'assenza della titolarità effettiva del diritto reale e, dunque, l'assenza di
legittimazione. Tale assunto ben si concilia con il prima ricordato requisito
della sussistenza del titolo astrattamente idoneo al trasferimento, richiesto
dalla norma ai fini dell'acquisto da parte dell'avente causa dal non dominus,
in assenza del quale la fattispecie acquisitiva non si perfeziona.
3.- La qualificazione come manifestazione del possesso.
Il momento perfezionativo della fattispecie di acquisto a titolo originario,
tuttavia, e volendo proseguire il precedente ragionamento, si sposta in avanti
e richiede la prova del possesso di buona fede ovvero l'atto di spossessamento.
In assenza di tale atto gli effetti del possesso non si cristallizzano, a
differenza delle fattispecie di cui agli artt. 1189 cc., 534 cc. e 1415 cc., le
quali, come detto, non solo non richiedono lo spossessamento ma, nel caso del
creditore apparente, neppure presuppongono necessariamente un acquisto. Tali
considerazioni inducono a porre l'accento più che altro sulla situazione
possessoria ingenerata dalla norma. Tale tesi avrebbe, inoltre, il pregio di
raccordare l'art. 1153 cc. all'art. 1159 cc. che, com'è noto, prevede una
ipotesi di acquisto della proprietà mediante usucapione abbreviata a condizione
che l'acquirente (di buona fede) dal non dominus possa vantare un possesso
decennale sul bene unitamente alla trascrizione dell'atto di acquisto, che, in
questo frangente, si atteggia ad elemento costitutivo della fattispecie.
Inoltre, lo stesso nomen iuris con il quale si identifica la fattispecie
acquisitiva - "possesso vale titolo" - induce ad apprezzare tale
ragionamento.
4.- Conclusioni.
La propensione per l'una o per l'altra visione di dettaglio, per quanto sempre
interessante a livello teorico, perde rilievo se posta su un piano strettamente
pratico. Da un lato, l'esaltazione della tutela dell'affidamento del terzo di
buona fede, il quale, sulla base di circostanze univoche, non sempre
estrinsecate ma pur sempre presenti, vede tutelato il proprio diritto alla
liberazione dall'obbligazione o diritto di proprietà che sia. Dall'altro, la
tutela di una situazione possessoria al momento della consegna che prescinde
dalla qualificazione della posizione del non dominus, il quale, che sia di
buona o di mala fede, non importa, deve semplicemente privarsi di un possesso
che è tale e dunque svincolato dal titolo di proprietà che appartiene al
dominus reale, il quale, di fronte al terzo possessore (o al terzo che, tra tanti,
acquisisce per primo il possesso ex art. 1155 cc.[19]), risulta soccombente.
L'effetto è ugualmente ed in entrambi i casi quello di garantire tutela dei
traffici giuridici e certezza nella circolazione della ricchezza, producendo
una cristallizzazione di una sola realtà giuridica; dunque, certezza del
diritto[20].
[1] La norma, infatti, secondo l'orientamento dottrinale di gran lunga
maggioritario, si riferisce alla figura del ladro/venditore, al soggetto che,
pochi minuti prima di procedere alla alienazione, aveva già alienato il
medesimo bene ad un terzo, a chi aveva a sua volta acquistato il bene in
precedenza in base ad un titolo nullo. Così, tra tanti, A. TORRENTE, P.
SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffré, 2007, p. 324 e ss.
[2] O di rappresentante, dotato a tal fine di valida procura e stipulante un
contratto che lo leghi al rappresentato e lo obblighi ad adempiere.
[3] Così anche MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, 1994, p. 74 e ss.
[4] "Salvo che l'acquirente non fosse a conoscenza della esistenza [dei
predetti pesi], o non dovesse esserne a conoscenza, risultando essi dal titolo
o da altra fonte conoscibile con quel minimo di diligenza che è implicito nel
concetto di buona fede". Così, F. GALGANO, Trattato di diritto civile,
Cedam, 2015, p. 505.
[5] O.T. SCOZZAFAVA, Studi sulla proprietà, Giappichelli, 2014, p. 227 e ss.
[6] In verità, la norma viene più comunemente annoverata come strumento di
risoluzione del conflitto tra proprietario reale non possessore e terzo che
diviene possessore del bene al momento della consegna, con vantaggio per
quest'ultimo, dal momento che ne acquista il relativo diritto/titolo di
proprietà.
[7] Così, A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffré,
2007, p. 326.
[8] Principio che parte della dottrina considera un principio generale
acquisito nel nostro ordinamento (ex multis, CHINÉ, ZOPPINI, FRATINI, Manuale
di diritto privato, Nel diritto editore, 2016/2017, p. 1403 e ss., mentre altra
parte della dottrina (F. GALGANO, Sul principio generale dell'apparenza del
diritto, in Contratto ed impresa, 2009, p. 1137 e ss.) considera "un
principio generale [che] ha la illusoria consistenza di un fantasma".
[9] Si escludano dall'indagine, inoltre, le ipotesi di "presunta"
situazione di apparenza nel condominio, oggetto ancora oggi di numerose
sentenze. Si veda, a titolo esemplificativo, Tribunale civile Treviso, Sez.
III, 19 febbraio 2019, n. 387.
[10] Al riguardo, si legga Corte di cassazione civile, sez. V., 30 Ottobre
2019, n. 27795.
[11] CHINÉ, FRATINI, ZOPPINI, Manuale di diritto civile, VIII Ed., Nel diritto
editore, p. 2097 cc. nota n. 386, riferita all'opera di TASSONE, Principio
dell'apparenza del diritto, concorso di colpa e responsabilità civile, in www.ipsoa.it. Con tale nota si è
precisato che se, da un lato, è pacifica la riconducibilità degli artt. 534 e
1189 cc. al fenomeno dell'apparentia iuris, lo stesso non può dirsi per le
altre fattispecie codicistiche.
[12] Da intendersi come assenza di una colpa priva di giustificazione del
debitore stesso.
[13] Viene considerato erede apparente, giova ricordarlo "chiunque, in
buona o in mala fede, anche senza essere nel possesso dei beni ereditari, con
il suo comportamento abbia ingenerato la legittima convinzione di essere
successore a titolo universale". La distinzione tra buona e mala fede
rileva in punto di effetti negativi che l'erede apparente p chiamato a
sopportare. In caso di alienazione di beni ereditari, se l'erede apparente di
buona fede, è tenuto alla restituzione all'erede reale del prezzo e del
corrispettivo ricevuto. Se di mala fede, per contro, è chiamato addirittura al
recupero del bene alienato per restituirlo in natura o a pagarne il relativo
valore. Così, M. FRATINI, Il sistema di diritto civile, Vol. 4, p. 221.
[14] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane,
Ed. 2015, p. 1065.
[15] Ex multis, V. ROPPO, Il contratto, 2° Ed., Giuffré, p. 290 e ss. In
particolare, l'Autore, preso come esempio tra tanti, chiarisce che "il
contratto del falso rappresentante dovrebbe essere inefficace perché concluso
da soggetto non legittimato: l'apparenza surroga la legittimazione mancante. La
regola si fonda su una ratio di forte tutela dell'affidamento del terzo
contraente, che proprio per l'apparenza ha indotto a confidare nell'esistenza
del potere e, dunque, nell'efficacia del contratto. E' la stessa ratio che
presiede alle fattispecie legali in cui si attribuisce rilievo a situazioni di
apparenza, ugualmente considerate idonee a surrogare una legittimazione
mancante: così il pagamento al creditore apparente - in realtà soggetto non
legittimato a riceverlo - ha lo stesso effetto liberatorio che se fosse fatto
al vero creditore, legittimo destinatario del pagamento (art. 1189 cc.), e chi
acquista da un soggetto non legittimato a trasferire, ma apparentemente fornito
della legittimazione in quanto erede apparente (art. 534 cc.) o titolare
apparente per avere il possesso del bene mobile non registrato".
[16] Così, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Vol. I, p. 450 e ss. In
particolare, l'Autore - pur non occupandosi, in alcuni suoi scritti, expressis
verbis della tematica dell'apparenza dell'acquisto a non domino - ricorda come
alle volte si rinviene la considerazione secondo la quale il possesso crea una
apparenza di proprietà. "Si trova talvolta la proposizione secondo la
quale il possesso fa presumere la proprietà; talaltra quella per cui il
possesso crea una apparenza di proprietà. Si intende, con l'una o con l'altra,
ad accreditare la conclusione che gli effetti giuridici del possesso e la sua
protezione giurisdizionale siano, in tutto o in parte, spiegati da quella
presunzione o da quell'apparenza". Tuttavia, fuori dal particolare campo
offerto dall'art. 1157 cc., il possesso non fonderebbe alcuna presunzione di
proprietà: esso produrrebbe effetti e sarebbe protetto in quanto tale, non in
quanto proprietà presunta. Infatti, si chiarisce che "[...]d'altro
canto, i principi dell'apparenza del diritto non hanno nulla in comune con la
disciplina del possesso: è segnalato a suo luogo che l'apparenza, in quanto è
rilevante, è trattata allo stesso modo della realtà (il socio apparente, ad
esempio, è trattato alla stregua del socio reale), mentre la disciplina del
possesso è una disciplina differenziata da quella della proprietà; senza dire
che l'apparenza produce conseguenze svantaggiose per chi l'ha determinata [...]
mentre al possesso si collegano conseguenze vantaggiose per il possessore
(abilitato a difendere il possesso nei confronti di chiunque)". Ancora,
l'Autore non annovera l'art. 1153 cc. nell'elenco delle singole norme dalle
quali può estrapolarsi il principio dell'apparentia pura (Trattato di diritto
civile, Vol. II, p. 467 e ss.). Sul punto, si legga che F. GALGANO, Sul
principio generale dell'apparenza del diritto, in Contratto ed Impresa, op.
cit.. L'Autore, in tale scritto, nell'affermare l'evanescenza, tipica di un
fantasma, del principio dell'apparenza del diritto, chiarisce che "emerge
allora a) che tutte le fattispecie a proposito delle quali è invocato il
principio dell'apparenza altro non sono se non fattispecie corrispondenti alla
simulazione, che i già citati art. 1415, comma 1°, e 1416 , comma 1°, rendono
in opponibile a chi abbia in buona fede acquistato diritti dal titolare
apparente ed ai suoi creditori; b) nelle fattispecie non riconducibili alla
simulazione l'enunciazione del principio generale è solo un preambolo premesso
ad una decisione basata su tutt'altra ratio decidendi". Tuttavia - si può
precisare in questa sede - pur volendo porre l'accento sulla vicinanza
giuridica tra simulato alienante e alienante non dominus, resterebbe la
considerazione che l'acquisto a non domino richiede un quid pluris rispetto
alla sola buona fede e parvenza di titolarità. L'Autore - ancora e tornando
allo scritto - considera anche la procura apparente come procura tacita
simulata, nonché la cessione d'azienda non pubblicizzata, riconducendo
anch'essa nelle maglie dell'istituto della simulazione. Rinviene, ancora, il
principio dell'apparenza, nel cd. "contratto apparente" asserendo che
la tutela dell'apparenza, in tutti i casi nei quali è stata ammessa dalla
giurisprudenza, protegge i terzi che hanno in buona fede fatto affidamento
sull'esistenza di un contratto solo apparente.
[17] Così M. FRATINI, Il sistema del diritto civile, Vol. IV, Dike, p. 82.
[18] Si pensi, al riguardo, a chi aveva precedentemente acquistato da contratto
nullo senza saperlo.
[19] Fermo restando che l'ipotesi di cui all'art. 1155 cc. differisce da quella
di cui all'art. 1153 cc., in quanto l'art. 1155 cc. si riferisce al caso in cui
il "dante causa" sia stato inizialmente proprietario. Sul punto anche
F. GALGANO, op. cit., p. 505.
[20] Sul punto si legga anche M. FRATINI, Il sistema di diritto civile, Vol.
IV, Dike, p. 106.
Scarica Articolo PDF