Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/01/2022 Scarica PDF
Ordini sindacabili, ordini insindacabili ed ordini manifestamente criminosi. Cinque casi pratici tra tipicità, antigiuridicità ed elemento soggettivo
Micaela Lopinto, Avvocato in BresciaSommario: Abstract; 1. Premessa: perimetriamo l’indagine svolta; 2. La causa di giustificazione dell’adempimento del dovere in breve; 3. Segue: cenni sulla tipicità delle condotte di adempimento degli ordini; 4. Segue ancora: cenni anche sull’elemento soggettivo; 5. Appunti di giurisprudenza: cinque casi pratici a confronto; 6. Conclusioni; Giurisprudenza correlata; Dottrina ulteriore.
Abstract
Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di affrontare le criticità emergenti nel diritto penale nell’ambito dell’adempimento di ordini sindacabili, insindacabili e manifestamente criminosi. L’obiettivo del lavoro è non solo quello di offrire una visione d’insieme in ordine alle principali problematiche dottrinali e giurisprudenziali emerse sul tema, bensì anche quello di agevolare l’attività dei pratici del diritto penale. A tal fine si affronteranno cinque casi concreti, inclusivi dell’analisi del fatto (per come processualmente ricostruito), delle argomentazioni addotte dagli organi giudicanti, delle argomentazioni delle difese e delle formule assolutorie o di condanna di volta in volta utilizzate.
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1. Premessa: perimetriamo l’indagine svolta.
Ai sensi dell’art. 51 cp. “[Rubrica: Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere] L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”. La disposizione, nonostante sia dalla dottrina quasi unanime considerata espressione del principio di non contraddizione, in verità, se interpretata, ha un campo applicativo di gran lunga più ampio, capace di toccare quasi tutte le principali questioni del diritto penale generale. Non si tratta solamente di una norma che ricorda all’ordinamento di non contraddire il suo stesso essere, bensì di una norma che tocca il tema della disciplina dell’errore, della reità mediata di cui all’art. 48 cp ( norma interpretata, secondo l’orientamento preferibile, più che altro alla luce del concorso di persone nel reato), della tipicità del fatto, dell’elemento soggettivo dell’autore del fatto, della antigiuridicità o meno dello stesso, della sussistenza o meno dei presupposti della legittimità di un ordine e del margine di sindacabilità dello stesso. Non tutte, ma buona parte delle tematiche qui elencate saranno oggetto di analisi in cinque casi pratici. Prima di procedere all’esame delle fattispecie selezionate (che, com’è facile intuire, interessano più facilmente strutture prevalentemente gerarchiche come quelle militari, tra le poche rimaste dopo la scelta di abbracciare modelli organizzativi di coordinamento), appare opportuno riportare alla mente alcuni concetti basilari, inerenti all’art. 51cp. ed alle tesi che da essa si sono sviluppate in ordine alla sua utilizzabilità in ipotesi di esecuzione di un comando delle Autorità. Si offriranno poi delle sintetiche conclusioni per punti, che toccheranno, seppur in pochissime ma si spera efficaci righe, le restanti tematiche.
2. La causa di giustificazione dell’adempimento del dovere in breve.
Per condiviso pensiero della dottrina l’adempimento del dovere è invocabile solo se posto a fondamento dell’adempimento di un dovere giuridico e non di un dovere morale. Ancora, per largamente condiviso pensiero, l’ordine cui è subordinato l’ambito di operatività della norma deve derivare da una Autorità pubblica (discutendosi al più se la causa di giustificazione possa essere applicata qualora il caso riguardi incaricati di pubblico servizio o esercenti servizi di pubblica necessità). Tuttavia, la migliore dottrina avverte sempre come non siano mancate voci più inclini ad offrire una interpretazione estensiva, riconoscendo, in ipotesi di mancata consapevolezza della illiceità dell’ordine/del fatto da parte del lavoratore subordinato o in ipotesi di ordine mirante alla tutela di interessi collettivi e superindividuali, rilevanza anche alla cd. “Autorità privata”, coincidente con la figura del datore di lavoro. Individuato, seppur succintamente, il concetto di Autorità dal quale può promanare l’ordine, occorre allora descrivere i tre tipi di comando: 1.) legittimo/illegittimo, 2.) sindacabile/insindacabile, 3.) manifestamente criminoso. Si considera legittimo l’ordine emanato dalla Autorità competente nel rispetto delle forme imposte dalla legge; giocoforza la causa di giustificazione non opera se l’ordine è illegittimo, a meno che non si verta nell’ipotesi, legislativamente prevista, dell’errore di fatto o, ancora, non si verta in ipotesi di ordine insindacabile. Occorre, allora, comprendere quando l’ordine è sindacabile e quando no. Si definisce ordine insindacabile quello al cui adempimento il “sottoposto” (da qui il richiamo ai sistemi militari) non può sottrarsi. Consapevole dell’esistenza di siffatte situazioni, l’ordinamento ha posto a carico del superiore gerarchico/soggetto ordinante la responsabilità penale, escludendola in capo all’esecutore (da qui i richiami alle logiche della reità mediata, seppur, come si è detto, prevalga la tesi del concorso di persone). Viceversa, l’esecutore non va esente da responsabilità quando l’ordine poteva essere sindacato (es. mancano requisiti di legalità formale, come la firma sul documento contenente l’ordine) oppure è manifestamente criminoso. La criminosità dell’ordine, che ha trovato e trova terreno fertile nei sistemi militari in tempo di guerra, si suddivide in criminosità “manifesta” e criminosità “non immediata” o “non manifesta”. Se manifesta, la causa di giustificazione non trova applicazione; se non manifesta, ma comunque sussistente, entra ancora una volta in gioco la disciplina dell’errore ex art. 51 comma terzo cp. Trattandosi tutti i casi di ordini di autorità pubbliche (o, in poche ipotesi, private) giocoforza si disquisisce di doveri giuridici, non morali, coerentemente con quanto statuito nel § 2.
3. Segue: cenni sulla tipicità delle condotte di adempimento degli ordini.
Fino ad ora si è toccato il tema della antigiuridicità, coerentemente con il senso della norma oggetto di analisi. Ciò nonostante, appare doveroso ricordare che non sempre l’art. 51 cp è invocabile; ci sono circostanze in cui, più che escludere l’antigiuridicità, appare doveroso escludere la tipicità. E’ accaduto nel settore medico, quando si è iniziato a sostenere che la condotta (attiva? Forse solo naturalisticamente, ma giuridicamente omissiva – ex multis, trattandosi di opinione diffusa, G. FIANDACA, E. MUSCO) del medico che omette di curare il paziente nel cd. “fine-vita” interrompendo le cure e, dunque, materialmente staccando le apparecchiature, dopo i casi Welby, Englaro e Dj Fabo, sia in realtà non scriminata, bensì proprio non-tipica (prova ne è non solo la successiva giurisprudenza costituzionale sull’art. 580 cp. bensì anche l’idea del Referendum che si è andata formando in relazione a tali tematiche). Ebbene, lo stesso in alcuni casi può accadere anche nell’ambito dell’esecuzione di un ordine di un superiore. Pertanto, prima di invocare l’art. 51 cp. de plano nella risoluzione di un caso concreto, occorre non solo interrogarsi, in ipotesi di fatto costituente reato, in ordine alla sussistenza della perfezione e consumazione (per chi, come chi scrive, aderisce alla tesi che scinde i due momenti) o del tentativo della condotta incriminata dalla fattispecie astratta di parte speciale o disquisire riguardo alla sua tipicità apparente o offensività concreta, bensì anche valutare se, effettivamente, sussista o meno la tipicità della condotta omissiva (potendo l’art. 40 cp. essere considerato norma, a conti fatti, incidente sulla tipicità) e dunque valutare se, più che invocare l’adempimento del dovere, in verità si debba far riferimento ad una situazione (si pensi alle fattispecie omissive improprie o ai concorsi omissivi nei reati commissivi, potendo l’ordine anche essere di senso negativo ed intimare un non facere ed essere impartito contemporaneamente a più soggetti)in cui manca proprio la tipicità dell’omissione, nonostante il sistema gerarchico militare sia la culla dei poteri di controllo e dei poteri impeditivi e, più in generale, delle posizioni di garanzia.
4. Segue ancora: cenni anche sull’elemento soggettivo.
Ancora, una indagine accurata deve esser fatta in relazione all’elemento soggettivo, al fine di valutare se, in verità, non solo si verta in errore rilevante ai sensi dell’art. 51 cp., ma l’errore sia pure colposo o la condotta sia, a prescindere dall’errore, colposa, con quel che ne consegue ai fini del coordinamento tra gli artt. 42, 43 cp, 47 e 51 cp, e la norma di parte speciale di volta in volta oggetto d’esame. Il rapporto tra art. 51 cp ed elemento soggettivo sarà oggetto di maggiore approfondimento durante l’esame del caso n. 5.
5. Appunti di giurisprudenza: cinque casi pratici a confronto[1].
Forniti alcuni dati essenziali di impronta più che altro dottrinale, si può ora passare ad affrontare una serie di questioni giurisprudenziali a mezzo di cinque casi concreti, nei quali spesso si intrecceranno tra loro le nozioni sin qui richiamate, facendo così emergere un “territorio sommerso” in materia di rapporto tra “soggetto che impartisce l’ordine” e “soggetto che lo esegue” e “conseguenze penali scaturenti dal soggetto che pone in essere la condotta di esecuzione costituente reato”.
Caso 1: “Cass. n. 38085 del 2012”
Fatto
Il caso concreto ha avuto un forte clamore mediatico. Gli avvenimenti, accaduti durante ilG8, hanno interessato gruppi di manifestanti (molti dei quali alloggianti presso istituti scolastici) contrari al processo di globalizzazione dell’economia, operazioni dei vertici della Polizia di Stato alla ricerca dei cd. “black bloc” responsabili delle devastazioni, ferimenti durante le operazioni, calunnie nei confronti delle persone arrestate, arresto illegale, danneggiamento, falso ideologico, lesioni lievi e gravi ed uso di arma da fuoco. Nei limiti di quel che interessa in questa sede, erano stati impartiti ordini dai “superiori” nei confronti di soggetti “gerarchicamente subordinati”, tra i quali anche l’esecuzione di perquisizioni nei plessi scolastici in cui alloggiavano i manifestanti, di dubbia validità, con difficoltà anche in ordine alla individuazione della provenienza stessa dell’ordine impartito (“[…]Così facendo, però - lamenta la difesa del ricorrente - la Corte di appello aveva conferito al Prefetto X una veste di assoluta estraneità ai fatti, del tutto distonica con la funzione svolta nel corso del "G8" e con quanto scaturito dal compendio probatorio posto a sostegno della motivazione emessa dal Tribunale di X, dal momento che in base al compendio probatorio relativo al primo intervento presso la scuola X alle ore XXX, emergeva la totale estraneità ai fatti del dott. X. e, inversamente, la responsabilità del Prefetto X, dal momento che le deposizioni dei funzionari di polizia partecipi, a diverso titolo, a quel primo intervento […] avevano illustrato il fallimento del primo tentativo di perquisizione e l'estraneità a quei fatti del dott. X e dello XXX, ed invece la responsabilità del Prefetto X, evidente anche nel secondo intervento presso il predetto istituto non dovuto all'iniziativa del dott. X, come confermato anche dal dott. XX, funzionario che aveva proceduto alla perquisizione, il quale aveva dichiarato di aver effettuato l'intervento su ordine dell'Operativo e di non aver ricevuto alcuna disposizione dal dott. X, a lui noto solo di nome[…]”).
Argomentazioni delle difese
Così perimetrato il caso concreto, qui solo parzialmente esposto ai fini dello svolgimento di più proficue riflessioni ed al fine di evitare eccessive ed irrilevanti divagazioni rispetto al nucleo dell’indagine, si può evidenziare come le difese ruotino attorno a due punti cardine: a.)sussistenza o meno della posizione gerarchica; b.)sussistenza o meno degli estremi per opporsi all’ordine impartito.“[…]La Corte territoriale avrebbe travisato le risultanze processuali quanto alla loro partecipazione alle operazioni di perquisizione della scuola [X] e quando, in seguito, aveva riportato l'indicazione che i due erano impegnati in Questura dove avrebbero collaborato alla stesura dell'atto di perquisizione e sequestro. Dal complesso dagli atti emergeva che vi erano state numerose telefonate del X con funzionari diversi, che stavano provvedendo alla redazione dell'informativa, e non con i ricorrenti che si trovavano presso l'Ospedale X, e non potevano "collaborare alla stesura" del verbale. Quanto alla sottoscrizione da parte loro del verbale di perquisizione e sequestro, sarebbe in errore la Corte territoriale nell'ascrivere la decisione dei due di apporre la sottoscrizione all'atto ad un atteggiamento "fiduciario", omettendo di considerare come i due dipendenti avevano in realtà eseguito un ordine ritualmente impartito dal loro Dirigente[quindi si deve parlare di vero e proprio rapporto gerarchico], che non poteva loro apparire illegittimo o costituente manifestamente reato[…]”.
Argomentazioni dell’organo giudicante
“[…]Può dirsi pacifico in causa che [il giorno XXX], allorchè la manifestazione ufficiale del vertice "G8" si era conclusa […], dal Capo della Polizia era giunta la direttiva di affidare al dott. X del Servizio Centrale Operativo il compito di effettuare perquisizioni, in particolare presso la scuola [XXX] - sospettata essere divenuto il rifugio di appartenenti al gruppo violento dei c.d. "black bloc" - e nel pomeriggio era giunto a [omessa la località], sempre inviato dal Capo della Polizia, il Prefetto [XXX] (originariamente co-indagato nel presente procedimento, poi deceduto) per predisporre i c.d. "pattuglioni" con il compito di perlustrare la città alla ricerca dei "black bloc". Era stato ben compreso sia dal Prefetto [sig. X] che da tutti gli altri protagonisti delle riunioni preparatorie dell'irruzione, tenutesi in Questura, che l'immagine della Polizia doveva essere riscattata, essendo apparsa inerte di fronte ai gravissimi fatti di devastazione e saccheggio che avevano riguardato la città di [località], e il "riscatto" sarebbe dovuto avvenire mediante l'effettuazione di arresti, ovviamente ove sussistenti i presupposti di legge. Si era resa pertanto necessaria una più incisiva attività e di conseguenza erano da [omessa la località] stati inviati funzionali apicali i quali – hanno del tutto correttamente ritenuto i giudici territoriali, sulla base anche delle deposizioni dei testi X e Y, quest'ultimo Questore di [omessa la località] - erano così subentrati ai funzionari locali[…]”.Con riguardo al profilo della “qualificazione dell’ordine di perquisizione”, si è evidenziato che “[…]Ribadita la sostanziale legittimità dell'iniziativa di p.g. volta a verificare la fondatezza del sospetto circa la presenza di armi all'interno del plesso scolastico [X], la correlata operazione di "messa in sicurezza" e di perquisizione dell'edificio è stata apprezzata dalla Corte X, sotto il profilo delle modalità esecutive, per la sua incoerenza e per l'assenza di direttive fornite agli operatori di polizia per lo svolgimento di tale incarico. Hanno evidenziato i giudici […], non certo illogicamente, come l'esortazione rivolta dal Capo della Polizia - a seguito dei gravissimi episodi di devastazione e saccheggio cui la città di X era stata sottoposta nei giorni precedenti - ad eseguire arresti, anche per riscattare l'immagine della Polizia dalle accuse di inerzia, aveva finito con l'avere avuto il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito della perquisizione stessa, per cui all'operazione erano state date caratteristiche denotanti un "assetto militare", con la conseguente incongruenza tra le modalità organizzative dell'operazione e le ipotesi legittimamente formulabili in riferimento ad una perquisizione ex art. 41 T.U.L.P.S., confinate alla possibile presenza di qualche soggetto violento all'interno della scuola e, quindi, forse anche di qualche arma. Elementi sintomatici della "militarizzazione" dell'operazione erano rappresentati - sottolinea la Corte di appello - dall'elevato numero di operatori […]; dalla manovra "a tenaglia" elaborata per avvicinarsi al plesso scolastico che, sito lungo la via X, era stato raggiunto dalle forze di polizia divise in due corpi, guidati dagli scout X e Y, provenienti dalle opposte direzioni […]; dalla mancata indicazione della modalità operativa alternativa al lancio dei lacrimogeni inizialmente proposta da X, Comandante del 1 Reparto Mobile di X della Polizia di Stato; infine, dalla accertata e incontroversa mancata indicazione delle "regole di ingaggio" impartite agli operatori di p.g.. Tanto ciò era vero che nessuno degli imputati […] aveva mai posto in dubbio che l'esito dell'operazione era stato l'indiscriminato e gratuito "pestaggio"[di tutti i manifestanti presenti nei plessi scolastici],preceduto dall'altrettanto gratuita aggressione portata dagli operatori di polizia nei confronti di cinque inermi persone che si trovavano fuori dalla scuola (il giornalista inglese X, che ha subito la frattura di otto costole e della mano, oltre l'avulsione di diversi denti, fino a perdere i sensi; X, Y, A, Z., i quali tutti hanno con sicurezza indicato gli autori delle condotte in loro danno in appartenenti alla polizia; X colpito con i manganelli dalla parte del manico, nonostante l'esibizione del pass, quale giornalista - pass strappatogli e non più rinvenuto -, finchè era riuscito a mostrare la tessera di consigliere comunale). Altrettanto certo in causa è stato l'esito dell'irruzione, [che ha condotto, all’interno ed all’esterno, all’arresto di 93 persone ed al ferimento, in alcuni casi grave, di alcuni arrestati]”.Tuttavia, pur essendo stato qualificato il comando come rispondente ad un ordine imposto da un superiore ad un inferiore gerarchico, le modalità di realizzazione della condotta sono apparse inaccettabili (con particolare riferimento a questo aspetto “[…]hanno sottolineato i giudici di primo e secondo grado […] che tutti gli operatori di polizia, appena entrati nell'edificio, si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (i c.d. "tonfa") e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di "non violenza" provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di "bastardi". Allora è del tutto condivisibile […] il giudizio espresso dalla Corte X di condotta cinica e sadica da parte degli operatori di polizia, in nulla provocata dagli occupanti la scuola, tanto che il Comandante [X]ha, con acrobazia verbale tanto spudorata quanto risibile, dapprima parlato di "colluttazioni unilaterali", per poi finire con l'ammettere la reale entità dei fatti, per descrivere i quali ha usato la significativa e fotografica espressione macelleria messicana[…].Modalità operative configgenti quindi con l'annunciato scopo di procedere a perquisizione ex art. 41 T.U.L.P.S. […] per l'individuazione di armi e di appartenenti ai "black bloc", ed estrinsecatasi - ha perspicuamente rilevato la Corte X - in quella condotta concorsualmente tenuta dai singoli agenti nella consapevolezza che altrettanto avrebbero fatto e stavano facendo i colleghi, senza alcuna preventiva o successiva forma di controllo da parte dei superiori gerarchici circa l'uso di tale forza, i dirigenti avendo organizzato e condotto l'operazione con le modalità fin qui indicate sì da concorrere direttamente con gli autori materiali delle lesioni, avendo "lanciato" una tale rilevante massa di uomini con il compito di irrompere nella scuola dove si riteneva potessero trovarsi anche i "black bloc", senza fornire alcun ragguaglio operativo per la cd. "messa in sicurezza" o per distinguere le diverse posizioni soggettive, certi quindi che vi sarebbe stata un'aggressione indistinta a tutte le persone che si trovavano all'interno dell'edificio scolastico, come poi era accaduto, e senza neppure che alcuno dei partecipanti mostrasse segni di sorpresa o rammarico per l'esito dell'operazione, esito unilateralmente violento ed in un certo senso previsto anche dal prefetto (e all'epoca indagato) […]”).
Formula utilizzata: Condanna
“[…] Queste essendo risultate le condotte volontariamente poste in essere precipuamente da comandanti, capi squadra e uomini del 7 Nucleo, gruppo scelto di addetti alle operazioni antisommossa, correttamente per il reato di lesioni sub H) sono stati ritenuti responsabili […] tutti gli odierni ricorrenti i quali hanno agito nella piena consapevolezza di cagionare lesioni agli occupanti la scuola, sia direttamente che tramite gli uomini alle loro dipendenze, al fine di assicurare con ogni mezzo la "messa in sicurezza" dell'edificio, e tra essi anche X, il quale, benché formalmente privo di squadra alle proprie dipendenze, ha operato allo stesso modo degli altri appartenenti al 7 Nucleo, autore - come già detto - della maggior parte delle lesioni, accettando tutti i capi squadra, nonché il Comandante [X] ed il [X], preventivamente le conseguenze che sarebbero derivate dalla programmata irruzione, senza che venisse esperita la condotta esigibile, sia preventiva (attraverso le cd. regole di ingaggio) che sul campo mediante l'indicazione delle modalità di esercizio della forza. Condotta che, invece, non è stata posta in essere e tutta l'operazione si è caratterizzata per il sistematico ed ingiustificato uso della forza da parte di tutti gli operatori che hanno fatto irruzione nella scuola X e la mancata indicazione, per via gerarchica (da X a Y e da questi ai capi squadra, fino agli operatori), di ordini cui attenersi, correttamente è stato ritenuto dai giudici […] "forte indice" della consapevolezza che l'uso della forza era connaturato all'esecuzione dell'operazione, sì da tradursi in una sorta di "carta bianca", preventivamente assicurata sin dalla fase genetica dell'operazione che successivamente sul campo, di cui hanno usufruito tutti i capi squadra in assenza appunto di alcuna programmazione strategica sia da parte di X che, soprattutto, di Y […], in seno al quale era stato costituito il Nucleo X, il quale, benché presente sul campo ed in grado di apprezzare anche l'evolversi degli eventi, sì da poter intervenire ove avesse voluto […]ha invece lasciato liberi tutti gli operatori di usare la forza ad libitum. Per le considerazioni sin qui esposte, dunque, tutti gli imputati dei reati di lesioni personali lievi e gravi[…] correttamente sono stati ritenuti responsabili, a titolo commissivo e/o omissivo, senza che vi sia stata violazione dell'art. 521 c.p.p., la quale ricorre solo allorché vi sia quella modifica radicale della struttura della contestazione, con sostituzione del fatto tipico, del nesso di causalità e dell'elemento psicologico del reato, e, per conseguenza di essa, l'azione realizzata risulti completamente diversa da quella contestata, al punto di essere incompatibile con le difese apprestate dall'imputato per discolparsene[…]”.
Caso 2: “Cass. n. 18896 del 2011”
Fatto
Il caso concreto riguarda un ufficiale dei carabinieri. Siamo, dunque, all’interno di strutture gerarchiche ed in presenza di esecuzione di un ordine manifestamente criminoso, che di per sé, ammette giustificazione solo in ipotesi remote, quasi esclusivamente in ipotesi “grigie”, ai confini tra il manifestamente criminoso ed il “non manifestamente” criminoso.
Argomentazioni delle difese
La difesa sostiene l’applicabilità della esimente putativa ex art. 51 cp anche in presenza di ordine manifestamente criminoso.
Argomentazioni dell’organo giudicante
L’organo giudicante ha escluso, specie in ipotesi di ordine manifestamente criminoso, la sua applicazione, sostenendo che la stessa si tradurrebbe in un error iuris inescusabile.
Formula utilizzata: Condanna
Soprattutto in presenza di rapporti di subordinazione che impongano ad esponenti della polizia giudiziaria l’esecuzione di ordini manifestamente criminosi, costituisce una evidente forzatura dell’art. 5 cp., anche a seguito della sua rilettura post. sentenza n. 364 del 1988, l’applicazione dell’art. 51 cp., specie nella forma proposta dall’imputato.
Caso 3: “Cass. n. 888 del 2008”[2]
Fatto
Il caso concreto (nascente da una assoluzione nei gradi precedenti perché il fatto non costituisce reato) riguarda un delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale connesso ad un ordine di accelerare e ridurre la distanza di sicurezza proveniente da un superiore gerarchico, considerato ordine palesemente illegittimo e non rientrante nella categoria degli ordini “non immediatamente sindacabili” ed, in ogni caso, carente dei requisiti di legittimità esteriore/formale.
Argomentazioni delle difese
Sono invocate le ragioni di necessità e di urgenza di cui all’art. 177 C.d.S. ovvero la possibilità di azionare le segnalazioni acustiche e luminose.
Argomentazioni dell’organo giudicante
Anche in presenza delle condizioni di cui all’art. 177 C.d.S., comunque non ci si può esimere dal rispettare le regole di normale prudenza che impongono in ogni circostanza di rispettare una distanza minima di sicurezza. Qualora si disquisisca in ordine agli ambiti applicativi di cui all’art. 51 cp., occorre pur sempre ricordare che non vi è mai ragione alcuna per dimenticare il bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e le finalità cui mira la causa di giustificazione; e tale obbligo di bilanciamento sussiste più che mai quando il prezzo da pagare per l’applicazione della scriminante è il bene “vita”, irrimediabilmente leso dal reato, istantaneo ma con effetti permanenti, di omicidio.
Formula utilizzata: Condanna
Alla luce delle considerazioni svolte, è evidente che non può considerarsi scriminata la condotta dell’agente appartenente alle forze di polizia che, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità a lui riconosciuto dall’ordine di recarsi con urgenza in un determinato luogo (con attivazione dei dispositivi acustici) cagioni lesioni a terze persone in conseguenza della sua condotta di guida, palesemente contraria ad ogni regola di normale prudenza.
Caso 4: “Tribunale Supremo militare n. 747 del 1954”
Fatto
Il caso concreto si inserisce, a differenza dei precedenti, in un contesto prettamente militare e di guerra. Lo stesso implica una indagine sulla legittimità o meno degli ordini impartiti, ma in un contesto cronologico e temporale di particolare rilievo.
Argomentazioni delle difese
Situazione storica: “tempo di guerra”.
Argomentazioni dell’organo giudicante
L’organo giudicante affronta argomenti particolarmente delicati con una dissertazione sulla differenza tra “militare regolare” e “partigiano” e, forte della necessità di dover toccare tematiche e differenze di questo tipo e, successivamente, superato il peso delle suddette argomentazioni, ricorda come la Corte di cassazione abbia ammesso, pur nelle peculiari circostanze di cui trattasi, la possibilità di disquisire di adempimento del dovere, carattere putativo delle esimenti, errore di fatto, legittimità o illegittimità dell’ordine.
Formula utilizzata
Anche in un contesto storico singolare e significativo come quello in cui è maturata la motivazione della pronuncia esaminata (in relazione alla quale, in questa sede, si è scelto di non svolgere alcun approfondimento, in quanto superfluo ai fini dell’indagine), è stato possibile affrontare il tema della legittimità/illegittimità degli ordini e della applicabilità o meno della causa di giustificazione.
Caso 5: “Corte Militare di Appello di Roma 1998”
Fatto
Come quello poc’anzi esaminato, anche questo è un vero e proprio “caso storico”, conosciuto più che con il numero della sentenza, con l’espressione “Cave Ardeatine”. Lo stesso riguarda la condanna di X alla pena della reclusione per anni dieci e mesi otto e di Y alla pena della reclusione per anni quindici, per esser stati ritenuti penalmente responsabili del reato ascritto loro di concorso in violenza con omicidio aggravato e continuato in danno di cittadini italiani “[…] (artt.13 e 185, commi 1 e 2 c.p.m.g., in relazione agli artt. 81, 110, 575 e 577, nn. 3 e 4, nonché 61, n.4, c.p.) […]”.In particolare, l’imputazione è formulata “[…]per avere, quali appartenenti alle forze armate X, nemiche dello Stato X, in concorso con Z ed altri militari […] (alcuni dei quali già giudicati), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed agendo con crudeltà verso le persone, cagionato la morte di 335 […] persone per lo più cittadini italiani, militari e civili, che non prendevano parte alle operazioni belliche, con premeditata esecuzione a mezzo colpi di arma da fuoco[…]”.Assodata, visto il contesto palesemente militare, la presenza di strutture gerarchiche e, dunque, il rapporto di subordinazione, l’attenzione si sofferma, anche in questo contesto di guerra, anch’esso, come il precedente, “singolare”, sul tipo di ordine impartito e sul suo contenuto. “[…] L'ordine del Generale X era un ordine concreto di mettere a morte trecentoventi persone, quelle indicate nelle liste di cui Y aveva riferito e che il Generale aveva approvato in rapporto ai criteri seguiti nella scelta delle persone. La tassatività dell'ordine circa il numero di trecentoventi persone era insita nella portata logica del suo contenuto, in rapporto alla competenza propria del Generale X nel corso della procedura eseguita, in rapporto alla possibilità, in concreto manifestatasi, che fossero diversi gli organi competenti rispettivamente alla formazione delle liste e all'esecuzione della rappresaglia, in rapporto, infine, alla prassi militare, secondo la quale gli ordini impartiti agli organi esecutivi sono tassativi, diversamente da quelli che vengono impartiti agli organi direttivi e di comando. La tassatività dell'ordine circa il numero di trecentoventi persone importava, ovviamente, l'esclusione della facoltà di Y di aumentare il numero delle persone da condannare a morte, ciò che, invece, si verificava nelle circostanze che subito si espongono. […] Gli esecutori erano stati riuniti […] dal Capitano Z, che aveva spiegato le modalità da seguire ed aveva affermato che coloro che non si sentivano di sparare non avevano altra via che porsi al fianco dei fucilandi […]”.
Argomentazioni delle difese
Natura giuridica dell’atto (atto di guerra).
Argomentazioni dell’organo giudicante
Le argomentazioni offerte dall’organo giudicante sono particolarmente interessanti e ricomprendono una “sotto-tesi” che collega all’esecuzione dell’ordine la carenza dell’elemento soggettivo: “[…]Per quanto concerne, comunque, la regola della normale scusabilità dell'esecuzione di un ordine vincolante, essa prendeva in considerazione le situazioni in cui l'ordine impartito al militare, o comunque alla persona soggetta ad altrui potestà o soggezione, comportava per costui la primaria necessità giuridica di dover eseguire quanto richiesto anche se si fosse trattato di alcunché di illecito. Ora, sul presupposto che in queste situazioni non sembrava potersi "esigere" dal militare un comportamento diverso da quello tenuto, l'ordinamento consentiva che il fatto illecito materialmente realizzato o agevolato non venisse imputato al soggetto a titolo di dolo. Questa essendo la disciplina dell'esecuzione dell'ordine come causa di esclusione del dolo, applicabile all'epoca dei fatti, occorre verificare la ricorrenza, nella specie, di quella situazione di inesigibilità di un comportamento diverso da parte degli esecutori capace di condurre alla conclusione della mancata integrazione della fattispecie soggettiva. Essa suppone che sul subordinato gravi un conflitto di doveri dall'esito soggettivamente scontato, data l'impossibilità giuridica di agire diversamente, che il subordinato è costretto a subire, proprio in quanto soggetto chiamato "soltanto" e semplicemente ad eseguire l'ordine: la sua condotta apparirà allora non riprovevole, e quindi non meritevole di pena, perché la forte pressione psicologica nella quale egli agisce - al medesimo non rimproverabile - non autorizza a ritenere che la sua volontà si sia formata seguendo un normale processo motivazionale. Questo riconoscimento, tuttavia, suppone che l’esecutore si sia previamente rappresentato il confliggente dovere di agire diversamente ed abbia ritenuto di non dovervi ottemperare per la preponderante cogenza del dovere di eseguire l'ordine: l'incombenza dell'ordine lo costringe a tenere un comportamento presumibilmente contrario a quello che egli avrebbe tenuto se fosse stato libero di scegliere se agire o non agire in quel determinato modo. Conferma di ciò si ricava dallo stesso tenore dell’art. 51 c.p., nel cui alveo, come accennato, si sviluppa la disciplina dell'art. 40. Infatti, la situazione descritta nel comma 4, relativa a colui che legalmente non ha alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine, suppone l’inapplicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui al precedente comma 3, relativa a colui che per errore abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo; suppone, cioè, nell’esecutore l’avvenuta percezione del carattere illegittimo dell’ordine, o, perlomeno di una tale. Del resto, l’esclusione legale del potere del “sindacato” non significava annullamento della possibilità di fatto di formulare ogni valutazione sulla legittimità o illiceità dell’ordine e quindi alla cancellazione della sua rilevanza; significava più esattamente esclusione della possibilità giuridica di disobbedire a fronte di un ordine illegittimo o illecito, o anche soltanto di discutere sulla sua esecutività […]”.
Formula utilizzata
Tenendo bene a mente l’interessante teoria inerente all’elemento soggettivo, utilissimo oggetto di dibattito in ogni caso concreto, sia che si sia perpetrato a mezzo di armi da fuoco o mediante condotte dotate di particolare crudeltà sia che abbia avuto ad oggetto condotte perpetrate a mezzo dell’uso di forza feroce, non sorprende la scelta dell’organo giudicante di bilanciare la tesi dell’elemento soggettivo con la natura manifestamente criminosa dell’ordine (specie se si pensa all’ingiustificato implemento di n. 15 condannati, arbitrariamente predisposto dopo la scelta di procedere all’esecuzione). “[…] La norma dell’art. 51, comma 4, come sviluppata dall’art. 40 c.p.m.p. mirava, del resto, a salvaguardare sopra ogni altra l’esigenza dell’obbedienza agli ordini militari, conferendo all’inferiore la più ampia garanzia di impunità in parallelo con l’esclusione del suo potere-dovere di disobbedire. Il previsto limite della manifesta criminosità dell’ordine verificandosi il quale l’inferiore aveva, invece, il dovere di disobbedire, non si fondava tanto - come talvolta si crede - sulla “riconoscibilità” esterna della illegittimità anche per chi sarebbe legalmente “cieco”, come il militare. Se fosse stato così, infatti, si sarebbe ammessa una responsabilità più colposa che dolosa, ravvisandosene il fondamento, evidentemente, sul fatto che l’esecutore non avrebbe prestato attenzione alla criminosità dell’ordine, pur essendo essa manifesta e quindi percepibile all’uomo medio. Senonché, anche in questo caso avrebbe operato, in assenza di espressa deroga, il terzo comma dell’art. 51 c.p., che rende rilevante l’errore, e salva eventualmente la punibilità per colpa, sempre che si fosse potuto richiamare in materia il disposto dell’art. 59, comma 4, ultima parte, c.p.[…]La punibilità dell’esecutore che abbia agito nonostante la manifesta criminosità dell’ordine stava ad indicare che la pretesa all’obbedienza non poteva spingersi oltre un certo limite, quello dell’incoercibilità dei doveri della coscienza. Stante la manifesta “criminosità” e quindi l’altissimo livello di “illegittimità” dell’ordine, non potendosi più imporre l’obbedienza comunque a causa dell’intollerabile grado di compressione richiesto dei doveri della coscienza, la legge imponeva la disobbedienza comunque, eliminando in radice la configurazione di un conflitto di doveri in capo al subordinato e rendendo così perfettamente esigibile il comportamento astensivo. La mancata astensione, in una situazione di assenza di conflitto, eclissava la problematica dell’esecuzione dell’ordine, giacché l’esecutore consapevole, il quale, dovendo disobbedire, invece si attivava, agiva al di fuori della rilevanza giuridica obiettiva dell’ordine, così divenendo pienamente corresponsabile al pari del superiore. Non si trattava, dunque e a ben vedere, di una regola di imputazione soggettiva del reato, ma di una norma che tracciava il limite obiettivo della vincolatività dell’ordine […]”.
6. Conclusioni.
L’insieme di cenni dottrinali e giurisprudenziali qui offerto rende evidente l’esigenza di una capillare analisi di cinque elementi principali, che rappresentano una costante dotata di valenza generale e, dunque, una sorta di regola generale applicabile in ogni caso concreto, perfino in contesti singolari quali quelli verificatisi nei tempi di guerra, qualora si sia chiamati a risolvere questioni giuridiche riguardanti queste complesse e cavillose tematiche, che, come si è detto, pur essendo spesso sottovalutate e poco approfondite anche dagli esperti del settore, sono in grado di abbracciare in una sola volta tutto il diritto penale:
- Analisi della tipicità del fatto e della sussistenza dell’elemento soggettivo, non solo in linea generale con riferimento a quella che può definirsi la condotta materiale del cd. “reato presupposto”, passaggio obbligato per ogni atto giuridico, bensì anche in relazione ai rapporti tra fattispecie omissive ed adempimento del dovere;
- Esclusa la rilevanza nel caso concreto di dubbi inerenti alla tipicità ed alla colpevolezza, per come emersi nella attività interpretativa della norma in esame, analisi della tipologia di rapporto giuridico (privato o pubblico e, se “pubblico”, di che tipo) e sua rilevanza ai fini della applicazione della norma, tenendo conto delle aperture giurisprudenziali nei confronti delle Autorità private;
- Tipologia di ordine: 1.) morale/giuridico, 2.) legittimo/illegittimo, 3.) sindacabile/insindacabile, 4.) manifestamente criminoso;
- Sussistenza o meno degli estremi per la configurazione dell’error facti;
- Individuazione dei rapporti tra la situazione concreta e valutazione delle differenze esistenti tra questa e le ipotesi classiche di concorso di persone nel reato e di reità (rectius: concorso) ex art. 48 cp., in quest’ultimo caso, al fine di comprendere quando effettivamente trovi applicazione l’art. 51 cp e quando, per contro, sia preferibile, per le modalità subdole o artificiose della condotta, toccare il tema della “induzione” al compimento di un atto rilevante ai fini della applicazione della disciplina dell’errore determinato dall’altrui inganno.
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Giurisprudenza correlata
Corte di cassazione Sezioni Unite Civili, 22 Ottobre 2021, n. 29556, Pres. Raimondi – Est. Mancino, disponibile al seguente indirizzo internet http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/26152.pdf, oppure all’indirizzo http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime_pubblicate/26152/Tutte?Giurisdizione-e-disciplina-applicabile-al-rapporto-di-lavoro-prestato-in-Italia-da-personale-civile-italiano-presso-una-base-militare-USA-e-alle-dipendenze-delle-forze-armate-americane#gsc.tab=0;
Dottrina ulteriore
R. PETRUCCI, R. PEZZANO, Diritto penale – Parte generale, XX Edizione, 2010.
[1] Si precisa che le cinque sentenze oggetto di analisi sono state rielaborate e, in alcuni casi, adattate alle finalità dell’indagine con numerosi tagli ed omissioni, pertanto la ricostruzione offerta può presentare delle variazioni rispetto al testo originale. Si rinvia, dunque, alla lettura anche dei testi e delle parti motive originali e per esteso.
[2] Corte di cassazione n. 888 del 2008, testo disponibile, tra tanti, all’indirizzo internet di seguito riportato, ultima consultazione avvenuta nel mese di Dicembre 2021: http://www.ficiesse.it/public/1528_Cass.%20pen.%20Sez.%20IV,%20%2010-01-2008,%20n.%20888.pdf.
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