Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/09/2021 Scarica PDF
Brevi note a margine della sentenza n. 20526 del 2020 Corte di Cassazione Civile Sez. II
Micaela Lopinto, Avvocato in BresciaIL CASO CONCRETO[1]
Con l’ausilio della sentenza, si vogliono brevemente ripercorre i fatti di causa, al fine di poter meglio comprendere alcune riflessioni che si andranno a svolgere a breve. Il sig. X convenne davanti al Tribunale Y i sig.ri Tizio e Sempronio per ottenere una sentenza di trasferimento ex art. 2932 cc. di un immobile sito in Velletri, di proprietà dei convenuti, che il sig. Tizio si era obbligato a vendergli con contratto preliminare, in ragione della mancanza, agli atti del processo, della documentazione attestante la regolarità urbanistica dell’immobile promesso in vendita, secondo il disposto degli artt. 17 della l. 47 del 1985 e 40 della stessa legge. La Corte d’appello di Roma, adita da entrambe le parti, confermò la sentenza di primo grado, in base, tuttavia, a diversa motivazione. Più precisamente, la Corte ritenne ammissibile la documentazione prodotta per attestare la conformità edilizia ed urbanistica dell’immobile promesso in vendita, ai sensi della l. n. 47/1985 e del d.p.r. n. 380 del 2001; nondimeno, disattese la domanda di trasferimento ex art. 2932 cc. in ragione del mancato allineamento catastale dell’immobile, risultando il medesimo ancora iscritto in catasto di proprietà del sig. Mevio, dante causa dei sig.ri Tizio e Sempronio. Avverso la sentenza di secondo grado il sig. X ha proposto ricorso per cassazione, censurando la statuizione di rigetto della sua domanda di trasferimento dell’immobile ai sensi dell’art. 2932 cc.
I MOTIVI DI RICORSO E LE SOLUZIONI OFFERTE DALLA CORTE
La sentenza in commento presenta delle argomentazioni particolarmente interessanti sotto il profilo della tutela – secondo alcune voci dottrinali reale, secondo altre opinioni giurisprudenziali personale (ex multis Tribunale di Teramo n. 912 del 2018) – ex art. 2932 cc. in materia di contratto preliminare. Più precisamente, il caso sottoposto all’attenzione della Corte di cassazione riguardava l’accoglimento di una domanda di trasferimento ex art. 2932 cc. di un immobile promesso in vendita. Gli ostacoli al predetto accoglimento derivavano dal contenuto dell’art. 19 comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, con legge 30 luglio 2010, n. 122, la quale, nell’aggiungere il comma 1 bis al testo dell’art. 29 della legge n. 52 del 1985 ha consentito di chiarire che “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Secondo il ricorrente, l’art. 29 poc’anzi riportato presta il fianco a tre principali considerazioni critiche:
1. In primo luogo, ci si chiede se la norma possa essere applicata alle fattispecie perfezionatesi prima della sua entrata in vigore. Al riguardo, il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere applicabile la disposizione dell’art. 29 comma 1 bis della legge n. 52 del 1985 nonostante il decreto legge introduttivo della disposizione fosse entrato in vigore non solo dopo la stipula del contratto preliminare ma anche dopo il termine fissato per la stipula del contratto definitivo e la stessa instaurazione del giudizio. Tuttavia, questo primo motivo è stato confutato. Sul tema si è sostenuto che, per quel che concerne l’anteriorità del contratto preliminare dedotto in giudizio ante decreto legge n. 78 del 2010, occorre evidenziare che la disposizione introdotta dall’art. 19 comma 14 del decreto si riferisce ai contratti traslativi e non ai contratti con effetti obbligatori. Pertanto, in assenza di disposizioni transitorie trova applicazione l’art. 11 delle preleggi a mente del quale la legge non dispone che per l’avvenire. Più precisamente, in assenza di disposizioni transitorie, la norma in questione trova applicazione in relazione a tutti i contratti di trasferimento (quindi contratti produttivi di effetto reale) conclusi dopo la sua entrata in vigore, senza che acquisisca rilievo la distinzione tra contratti naturalmente traslativi e contratti conclusi dopo l’assunzione di un obbligo di contrarre (ovvero dopo la stipula di un preliminare che obbliga alla stipula di un definitivo ad effetto reale), pertanto non assumerebbe rilievo la circostanza secondo la quale l’obbligo di contrarre sia stato assunto in epoca anteriore alla entrata in vigore della novella (considerando anche che si verte in tema di esecuzione in forma specifica, che produce un effetto identico a quello discendente dal contratto e che, per l’appunto, era anche decorso il termine per la stipula del definitivo, tale da giustificare la richiesta coattiva di produzione dell’effetto traslativo). Si è scelto, su tali basi, di cui si discuterà in modo più approfondito nel prossimo §, di disattendere il primo motivo dedotto dal ricorrente, aderendo ad un consolidato orientamento (Cass. n. 4522 del 2008) a mente del quale “nel caso di contratto preliminare di compravendita, l’effetto traslativo è determinato soltanto dal contratto definitivo, sicché la ricorrenza dei requisiti di forma e sostanza necessari ai fini della validità del contratto traslativo non possono che fare riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo”. Ancora, la stessa Suprema Corte, in passato, ha avuto modo di chiarire che “la sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 cc. non può essere emanata in assenza della dichiarazione – contenuta nel preliminare o successivamente prodotta in giudizio – avente ad oggetto gli estremi della concessione edilizia; dichiarazione che costituisce requisito richiesto a pena di nullità del contratto traslativo dai già menzionati articoli 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 e, ora, art. 46 d.p.r. n. 380/2001. Tale orientamento […] implica, come corollario, che la presenza della dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia integra una condizione dell’azione ex art. 2932 cc. e non un presupposto della domanda, cosicché la produzione di tale dichiarazione può intervenire anche in corso di causa e altresì nel corso del giudizio d’appello, purché prima della relativa decisione, giacché essa è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti”. Ci si è domandato, ancora e nonostante gli orientamenti giurisprudenziali appena citati, se effettivamente la tematica della retroattività sia compatibile con il dettato costituzionale o con i sistemi della Corte europea dei diritti dell’uomo. Più precisamente, ci si è interrogati in ordine alla compatibilità dell’art. 29, comma 1 bis, l. n. 52/1985 (ritenuto applicabile al caso concreto) con gli artt. 3, 24, 111 e 117 primo comma Cost. e con gli artt. 6 e 13 Cedu. Con particolare riferimento a questo ultimo profilo, il ricorrente sostiene che il legislatore non sia legittimato ad incidere sulla possibilità di ottenimento del bene della vita poiché tale posizione si porrebbe in irrimediabile contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale e sarebbe lesivo del principio di “parità delle armi” tra le parti in causa e costituirebbe un’indebita interferenza nell’attività giurisdizionale e, con riguardo ai profili internazionali, vi sarebbe una evidente interferenza tra diritto all’ottenimento della proprietà fondiaria e ius superveniens e, più precisamente, un incidenza del secondo sul primo. Entrambe le perplessità, per quanto apprezzabili, sono tuttavia destinate a soccombere se si pensa alla circostanza secondo la quale non è oggetto di discussione una errata interpretazione della novella normativa più volte citata, bensì un principio generale che è connesso all’art. 11 delle preleggi. Pertanto il problema non si pone.
2. In secondo luogo e conseguentemente, ci si chiede se sia possibile applicare la disciplina prevista per la cd. “difformità catastale oggettiva” anche alle ipotesi di cd. “difformità catastale soggettiva” o se, per contro, tra le due difformità sussistano delle differenze idonee ad incidere non solo sotto il profilo della validità del contratto (la carenza di contenuto necessario del contratto produce nullità, a differenza della difformità soggettiva, che è foriera di responsabilità notarile) bensì, e soprattutto, visto il caso concreto, sotto il profilo della valida esecuzione in forma specifica. Con particolare riferimento a questi profili, il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’emissione di una sentenza traslativa ex art. 2932 cc. preclusa dal fatto che l’immobile promesso in vendita risultava ancora intestato a livello catastale al dante causa degli effettivi ed attuali proprietari (difformità catastale soggettiva). La censura, tuttavia, è stata facilmente confutata partendo dal presupposto che l’art. 29 comma 1 bis, qui oggetto di interesse, contiene delle disposizioni che disciplinano tanto le ipotesi di “difformità catastale oggettiva” (ovvero di mancata corrispondenza tra lo stato materiale effettivo dell’immobile oggetto del contratto e la sua rappresentazione catastale), quanto le ipotesi di “difformità catastale soggettiva”, di cui si è già fornita una descrizione. Pertanto e per rispondere al quesito posto in apertura, la problematica, prospettata dal ricorrente, inerente alla possibilità di trasporre la disciplina dettata dall’art. 2932 cc., pone problemi molto diversi per entrambe le ipotesi di difformità.
Per quanto concerne la conformità oggettiva, si pone il problema di stabilire se ed in quali termini la norma che sancisce la nullità del contratto privo di dichiarazione o attestazione di conformità catastale oggettiva possa divenire strumento volto a precludere la possibilità di pervenire al trasferimento con sentenza ex art. 2932 cc. dell’immobile oggetto di interesse pur non essendo presente in atti/in giudizio e, nell’ipotesi in cui la risposta consenta di superare il nodo della questione, si pone il consequenziale problema di stabilire in quali termini possa dirsi viziata una sentenza ex art. 2932 cc. che sia stata emessa in difetto di detta acquisizione o che non dia atto della dichiarazione o attestazione di conformità catastale oggettiva che pure sia stata acquisita in giudizio. Al fine di fornire una possibile soluzione alle due problematiche si è scelto di far uso di alcuni principi espressi in una recente sentenza (Cass. n. 12654 del 2020) con la quale si è chiarito che “la presenza delle menzioni catastali (l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto) costituisce condizione dell’azione di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 cc. e, pertanto, deve sussistere al momento della decisione; che la produzione delle suddette menzioni catastali – ove non risultino già dal contratto preliminare dedotti in giudizio – può intervenire anche in corso di causa; che il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 cc., della sussistenza della condizione dell’azione [che, si può aggiungere, in quanto tale, deve sussistere al momento della decisione e non della domanda] costituita dalla presenza in atti delle suddette menzioni catastali costituisce un error in judicando censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza”.
Ancora, per quanto concerne la conformità soggettiva, non sorgono ostacoli per la tutela “in forma specifica” ex art. 2932 cc. che consente di dare “esecuzione coattiva” al preliminare e di attuare il trasferimento della proprietà poiché manca una norma idonea a fondare una pronuncia di nullità dei contratti aventi ad oggetto immobili la cui intestazione catastale risulti difforme rispetto a quella risultate dai registri immobiliari. Tale convincimento trova conferma in un’altra recente pronuncia (Cass. n. 3089 del 2020), la quale, nell’esaminare l’art. 29 comma 1 bis l. n. 52/1985, ha chiarito che “nell’ultimo periodo è previsto il controllo di conformità dei dati catastali a quelli contenuti nel registro delle iscrizioni e trascrizioni immobiliari da parte del notaio ma non è prevista la sanzione di nullità in mancanza di questa ulteriore verifica”. Applicando tale assunto al caso concreto, occorre allora risolvere il quesito inerente al tipo di vizio riscontrabile nella sentenza che, pur in presenza di difformità di intestazione, renda possibile il trasferimento. In altri termini e provando in questa sede ad approfondire, ci si chiede se a monte sussista un obbligo per l’organo giudicante di verificare la conformità soggettiva dell’immobile tramite individuazione degli intestatari catastali e la verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari, tanto che, in caso di inadempimento la sentenza risulti viziata. La Corte, al riguardo, ha ritenuto di dover esprimere parere negativo per due principali motivazioni. In primo luogo, l’art. 29 comma 1 bis l. n. 52/1985 rende evidente che la voluntas legis è (e l’indicativo è d’obbligo) indirizzata verso l’emersione di ogni tipo di vizio inerente alle diversità catastali, al fine di garantire non solo la trasparenza ma anche l’efficienza nel funzionamento dell’Anagrafe immobiliare integrata. Pur tuttavia, il dato normativo presenta degli evidenti limiti, poiché limita l’obbligo di accertamento della regolarità soggettiva al momento anteriore alla stipula del contratto, ma non richiede anche un “allineamento attivo”; in altri termini, non sembra che dalla verifica “ante stipula” discenda anche un obbligo di svolgimento di voltura necessaria ai fini di un allineamento del “dato catasto” con il “dato registro immobiliare”. Ne discende, conseguentemente, che l’autonomia negoziale dei soggetti privati non è intaccata dall’obbligo di verifica pre-stipula imposto dalla norma, pertanto l’efficacia dell’azione ex art. 2932 cc. non viene meno in ipotesi di mancato “allineamento attivo”, per come poc’anzi descritto. Pertanto, in ultimissima analisi, si può affermare che “nel giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare di un fabbricato già esistente – mentre la conformità catastale oggettiva costituisce condizione dell’azione e, pertanto, deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice – la conformità catastale soggettiva, per contro, non costituisce condizione dell’azione e, pertanto, la sua mancanza non impedisce l’emissione di una sentenza costitutiva di trasferimento del fabbricato ex art. 2932 cc”.
3. In terzo luogo ed in conclusione, ci si chiede se l’art. 29, comma 1 bis, l. n. 52/1985, quando fa riferimento alla difformità catastale “oggettiva” (ovvero il difetto del contenuto necessario del contratto, la cui assenza è, per espressa previsione della norma, sanzionata con la nullità), per come precedentemente descritta, precluda la possibilità di trasferire la proprietà di un immobile privo di conformità catastale mediante sentenza ex art. 2932 cc. Nel caso concreto tale ultima questione è stata dichiarata inammissibile per carenza di interesse, dal momento che la controversia verte sulla conformità soggettiva e non oggettiva. Pur tuttavia, la Corte ha richiamato, al fine di offrire una soluzione ed, implicitamente, di valutare comunque incidentalmente i rapporti tra nullità espressa del contratto e domanda ex art. 2932 cc., la sentenza n. 12654 del 2020, della quale si è già dato conto nel punto 2 (rif.; pp. 10 ed 11 della sentenza in commento).
FOCUS SUI PUNTI CRITICI DELLA PRONUNCIA
Le argomentazioni della Corte, che in questa sede si è cercato di riassumere nel modo più fedele possibile al testo della sentenza, meritano, in due punti, alcuni approfondimenti. La tematica dei profili di diritto intertemporale acquisisce da sempre rilievo non solo nel diritto penale, terreno nel quale viene meglio sviscerato il problema, bensì anche nel diritto civile. Basti pensare alle recenti sentenze sul leasing finanziario, sia sotto il profilo della applicabilità o meno dell’art. 72 quater della legge fallimentare prima dell’intervento legislativo (l. n. 124 del 2017), sia sotto il profilo della, recentemente statuita, insussistenza di validità autonoma delle clausole di indicizzazione nel leasing (in estrema sintesi, nei limiti di quello che qui interessa e con l’aggiunta di considerazioni personali, con sentenza n. 4659 del 2021, si è definito il leasing semplicemente “indicizzato” in ragione della sussistenza di un clausola di indicizzazione interna ma priva di autonomia strutturale e causale, inidonea pertanto a mutare oggetto e causa del contratto, così consentendo di confermare l’unità strutturale e causale sancita con legge del 2017, nonostante il caso concreto fosse risalente ad epoca notevolmente anteriore e dunque, potesse in concreto essere possibile la prospettazione di un collegamento negoziale tra patto atipico di indicizzazione e contratto di leasing, idoneo a mutarne perfino la causa). Basti pensare, ancora, ai profili di diritto intertemporale che hanno interessato la sentenza n. 28987 del 2019 con la quale si è posto il problema delle quantificazioni risarcitorie in caso di esperimento di azioni di rivalsa, nell’ambito dei rapporti medico – struttura sanitaria, prima dell’intervento normativo. Si pensi ancora, e guardando ad un’epoca più risalente, alle questioni di diritto intertemporale che hanno interessato la riforma Bianca in materia di stato di figlio [si riportano alcuni passaggi salienti della sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 2015, consultabile, in versione full text, all’ indirizzo internet qui di seguito riportatohttps://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/07/15/T-150146/s1: “[…]con riguardo al principio di irretroattività delle leggi in materia civile - sancito dall'art. 11 delle preleggi, e che non ha valenza costituzionale a differenza di quanto espressamente previsto in materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost. - questa Corte ha reiteratamente chiarito come al legislatore non sia, quindi, precluso di emanare norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), «purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale" ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU» (sentenze n. 156 del 2014 e n. 264 del 2012). Nella specie, la normativa denunciata dal rimettente è volta alla tutela di un valore di rilievo costituzionale - quello della completa parificazione dei figli naturali ai figli nati all'interno del matrimonio - specificamente riconducibile all'art. 30, primo comma, Cost.: un valore coerente anche al bene della «vita familiare», di cui all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, nel senso della sua tutelabilità anche con riguardo alla famiglia costruita fuori dal matrimonio (sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, e successive conformi). E ciò, appunto, esclude la violazione dei parametri evocati dal rimettente”]. Pur tuttavia, a differenza delle ipotesi qui citate a titolo esemplificativo, il caso in esame presenta delle peculiarità. Normalmente le questioni di diritto intertemporale si esauriscono nella scelta tra l’applicabilità o meno di una norma ad un determinato caso concreto, in mancanza di norme transitorie come quelle di cui all’art. 4, l. 219 del 2012, rubricato disposizioni transitorie, il quale recita che “1. Le disposizioni di cui all'articolo 3 si applicano ai giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. 2. Ai processi relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non coniugati pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile e il comma 2 dell'articolo 3 della presente legge”. Il caso oggetto di esame, invece, ha imposto all’organo giudicante un doppio lavoro: di interpretazione della norma ai fini della comprensione della sua portata e, successivamente, di scelta in ordine alla sua applicabilità o meno alla fattispecie effettivamente verificatasi. Più precisamente, nonostante il richiamo all’art. 11 delle preleggi, considerato come risolutivo della questione, la parte motiva della sentenza tradisce comunque un intrinseco bisogno di sezionare una norma, forse, poco cristallina. La stessa scissione tra ipotesi di difformità oggettiva ed ipotesi di difformità soggettiva in rapporto alla trasferibilità del diritto ex art. 2932 cc. è sintomatica della difficoltà di risoluzione della questione di diritto intertemporale. La legge non dispone che per l’avvenire e la scissione tra contratto ad effetti reali (che pure può produrre effetti anche obbligatori, come insegna, ad esempio ma in via non esclusiva, una autorevole dottrina, V. Roppo) e contratto ad effetti obbligatori potrebbe apparire risolutiva e, pertanto, potrebbe apparire un errore considerare attinente al profilo intertemporale anche la questione della classificazione delle difformità; e potrebbe apparire un errore anche tenendo conto del fatto che la norma ha certamente suscitato delle difficoltà in ragione della sua non precisa formulazione (forse per la estrema tecnicità e capillarità della materia, che rende molto difficile riassumere in poche righe questioni che di “generale” hanno assai poco), specie nella parte in cui si occupa della “verifica” dei dati “prima della stipula”, la quale è stata considerata foriera, almeno nella difformità soggettiva, solamente di un controllo ex ante ma non di un obbligo di allineamento. Eppure, forse, la posizione del ricorrente potrebbe apparire non così tanto “peregrina” e “facilmente risolvibile” se si pensa alle diverse tesi che hanno caratterizzato la struttura e la causa del contratto preliminare, delle quali, prontamente, seppur in modo incidentale e con rinvio ad altra giurisprudenza, la pronuncia ha dato conto. Se la norma chiave distingue tra contratto ad effetti obbligatori e contratto ad effetti reali, allora occorrerebbe specificare che la questione del diritto intertemporale è facilmente risolvibile solo se si aderisce alla (attuale e preferibile) tesi secondo la quale il contratto definitivo ed il contratto preliminare, pur essendo “tenuti insieme” da un unico scopo consistente nella funzione di controllo delle sopravvenienze, sono ciascuno strutturalmente ma soprattutto causalmente autonomo rispetto all’altro; pertanto, pur essendo vero che il contratto preliminare è propedeutico al trasferimento della proprietà, lo stesso deve essere considerato produttivo di effetti solo obbligatori, idonei ad imporre alle parti (o alla parte, in ipotesi di contratto preliminare unilaterale) l’obbligo di stipulare un contratto successivo, ma non anche idoneo a produrre un effetto reale, neppure in ipotesi di consegna immediata del bene, dal momento che anche il cd. “preliminare ad effetti anticipati” si risolve in un semplice collegamento negoziale con un comodato, contratto anch’esso, per definizione, ad effetti obbligatori. La soluzione al problema, pertanto, per quanto sia stata (giustamente) fornita dalle Corti in modo rapido, non è poi così semplice in linea astratta e, se svincolata dalle peculiarità del caso concreto (e, dunque, svincolata dalla specifica pendenza di una domanda ex art. 2932 cc., vero fulcro della sentenza in commento), risente anche di eventuali ed ipotetici profili di qualificazione degli effetti dei contratti stipulati. Sotto il profilo del caso concreto, ancora, se il contratto fosse stato ad effetto reale (o si fosse aderito ad una tesi differente nella ricostruzione dei rapporti tra preliminare e definitivo, specie, approfondendo ancora, se si fosse qualificato il definitivo come atto adempitivo con causa esterna nel preliminare) l’esito della controversia sarebbe stato completamente diverso. Proseguendo nell’esame delle questioni, altro aspetto “critico”, per così dire, è quello attinente alla difformità oggettiva. Come si è avuto modo di accennare, le soluzioni possibili al problema, effettivamente, possono essere due. O si opta de plano per una ripetizione delle stesse argomentazioni offerte nella sentenza ed illustrate nel punto 2, con richiamo alla sentenza n. 12654 del 2020 (che ha anche il notevole pregio di uniformarsi alla giurisprudenza più recente, ad esempio si veda Cass. civ., sez. VI., ord., 15 settembre 2020, n. 19123, secondo la quale gli atti di pignoramento sono validi anche in caso di dato catastale errato, ma solo a condizione che il bene sia perfettamente identificabile) oppure si opera una scissione più profonda, magari prendendo spunto da alcune considerazioni civilistiche generali. Più precisamente, il nostro ordinamento giuridico conosce molto facilmente delle divergenze “soggettive”. Conosce la differenza tra parte sostanziale e parte formale del contratto, conosce il contratto per conto di chi spetta, il contratto per persona da nominare, conosce l’apparentia iuris ed il principio possesso vale titolo. Ancora, conosce la simulazione, l’interposizione oppure, spostando l’attenzione su un secondo nucleo di ipotesi, conosce il negozio fiduciario, il trust o, ancora, il contratto a favore di terzo o ad effetti protettivi nei confronti del terzo. In altri termini, è certamente più facile glissare sulla intestazione del bene, specie se la domanda è rivolta a dare esecuzione ad un contratto preliminare in relazione al quale, ad esempio, si è fortemente discusso sulla ravvisabilità o meno di un litisconsorzio necessario del coniuge in regime di comunione legale dei beni. Inoltre, è la stessa norma ad essere “sfuggente” nella parte in cui definisce la difformità soggettiva, per la quale, non a caso, non è prevista nullità. Lo stesso non può dirsi per la difformità oggettiva. L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o, al più determinabile; al più, nell’arbitraggio, si devolve al terzo la sua determinazione (art. 1349 cc.). Perfino il contratto preliminare, con il decreto legislativo n. 122 del 2005, presenta una definizione più precisa quando si tratta di immobile rispetto a quella scarna, per non dire assente, offerta dal codice civile (ad es. artt. 1351, 2645 bis, 2932 cc.), pertanto potrebbe essere facile aspettarsi una maggiore rigidità anche da parte dell’organo giudicante in ordine alla possibilità di “eludere” la “verifica” sulla difformità catastale, anche in pendenza di giudizio di esecuzione in forma specifica. Proviamo a spiegare meglio. Con pronuncia del 2020, più volte ripresa, si è statuito che la presenza delle menzioni catastali costituisce condizione dell’azione di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 cc. e, pertanto, deve sussistere al momento della decisione; che la produzione delle suddette menzioni catastali – ove non risultino già dal contratto preliminare dedotti in giudizio – può intervenire anche in corso di causa; che il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 cc., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle suddette menzioni catastali costituisce un error in judicando censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza. Pur tuttavia, potrebbe essere opportuna una verifica della entità della difformità oggettiva. Se la predetta difformità consiste nella mancata corrispondenza tra lo stato materiale effettivo dell’immobile oggetto del contratto e la sua rappresentazione catastale, non è detto che un diverso organo giudicante, in presenza di difformità evidenti, possa seguire una linea più dura nella risoluzione del caso concreto. D’altronde, ed argomentando in modo diverso rispetto a quanto fatto solo poche righe fa in relazione al caso dell’atto di pignoramento con dato non corretto, un dato catastale errato è perfino sufficiente, se impedisce l’identificazione del bene, ad evitare che una pronuncia diventi titolo esecutivo (e se si pensa che il giudizio ex art. 2932 cc. rappresenta una forma di esecuzione “forzosa” di un contratto atta a trasferire la proprietà di un bene specifico – ed ecco compresi i dubbi sulla sua natura giuridica già esposti – il problema si accentua, non poco). Non dovrebbe, pertanto ed in conclusione, suscitare troppo stupore una eventuale futura pronuncia volta a prospettare una soluzione differente e più restrittiva in questa seconda ipotesi, differente anche rispetto alla scissione tra error in judicando – motivo di nullità della sentenza già prospettata nel punto 2.
CONCLUSIONI
In conclusione, la Corte ha statuito che: “il disposto dell’ultimo periodo del comma 1 bis dell’art. 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, aggiunto dall’art. 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, con la legge 30 luglio 2010, n. 122, (“Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”), concernente la cd. “conformità catastale soggettiva”, non è riferibile all’attività del giudice investito di una domanda ex art. 2932 cc. di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare di un fabbricato già esistente; né la cd. “conformità catastale soggettiva” dell’immobile – vale a dire l’allineamento tra l’intestazione dell’immobile risultante dal catasto e l’intestazione dell’immobile risultate dai registri immobiliari – costituisce condizione dell’azione ex art. 2932 cc.; la sua mancanza, pertanto, non impedisce l’emissione di una sentenza costitutiva di trasferimento del fabbricato ex art. 2932 cc.”
[1] Sentenza n. 20526 del 2020 - Relatore Cosentino Antonello, data di pubblicazione 29/09/2020, pubblicata in Foronews di Foro Italiano, www.foroitaliano.it consultato nel mese di dicembre 2020, nonché pubblica, accessibile a tutti e visibile per esteso su www.laleggepertutti.it o ancora su Wiki Jus www.e-glossa.it. Il presente contributo, inoltre, è stato inserito su www.academia.edu, in data 27/08/2021.
Scarica Articolo PDF