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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/03/2022 Scarica PDF
Note a sostegno della natura di negozio unilaterale di accertamento dell'atto di riconoscimento di figlio
Micaela Lopinto, Avvocato in Brescia(Anche alla luce della sentenza della Cassazione Civile del 3 Luglio 2018, n. 17392, Est. Falabella[1])
Sommario: Riassunto/Abstract; 1. Premessa: le difficoltà dottrinali nella ricostruzione della natura giuridica dell’atto di riconoscimento del (l’ormai ex) figlio naturale. Focus sulla evoluzione normativa; 2. La sentenza della Corte di cassazione civile del 3 Luglio 2018, n. 17392; 3. Conclusioni.
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Riassunto
Scopo di questa ricerca è quello di ripercorrere nel modo più breve ma, allo stesso tempo, approfondito possibile, le principali problematiche connesse all’evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinale che ha interessato l’atto di riconoscimento di figlio.
Abstract
The main aim of this research is to sum up shortly the heated debate about the articles nos. 250 – 254 of the Italian Civil Code.
1. Premessa: le difficoltà dottrinali nella ricostruzione della natura giuridica dell’atto di riconoscimento del (l’ormai ex) figlio naturale. Focus sulla evoluzione normativa.
Il codice civile, a seguito dell’emanazione del Decreto Legislativo 28 Dicembre 2013, n. 154, ha visto mutare la rubrica del paragrafo 1 – Del riconoscimento dei figli naturali – della Sezione I del Capo II del Libro I, nella seguente denominazione “Capo IV – Del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio”. L’unificazione dello stato di figlio avvenuta con la cd. Riforma Bianca[2] ha certamente inciso in modo profondo su tutto l’impianto del diritto di famiglia, per come disciplinato dal codice del 1942, già reduce di una precedente e consistente riforma del 1975. Lo stesso passaggio dall’espressione ‘figli naturali’ all’espressione ‘figli nati fuori del matrimonio’ è sintomatico di una approfondita ricerca operata soprattutto a livello dottrinale che, in un certo senso, contribuisce ad acuire il dibattito sviluppatosi in ordine alla natura giuridica dell’atto di riconoscimento del figlio “naturale”.L’evoluzione normativa, riassumibile nelle tre date 1942 – 1975 – 2013, ha indotto ad operare, soprattutto prima del biennio 2012/2013, una scissione tra le modalità di accertamento della filiazione legittima e le modalità di accertamento della filiazione naturale, la quale è ictu oculi meno immediata e fondata sulla volontà dei genitori o di chi ambisce a possedere tale status[3]. Più precisamente, il primo riconoscimento avverrebbe automaticamente su “base legale”; il secondo su “base volontaria”[4]. Questa prima dicotomia apre la strada ad un secondo binomio: l’atto di riconoscimento è una dichiarazione di scienza[5] o un negozio unilaterale di accertamento? Ebbene, pur essendo state sostenute entrambe le tesi, si può affermare che l’evoluzione normativa, in un certo senso, agevola la risposta, e, più nel dettaglio, il primo binomio risolve automaticamente il secondo, espresso in forma interrogativa. La scissione “riconoscimento del figlio legittimo – riconoscimento del figlio naturale” è stata certamente superata dalla riforma Bianca, datata 2012 – 2013, e, più precisamente, dalla stessa unificazione dello stato di figlio[6]. Pur tuttavia, l’attuale formulazione dell’art. 250 cc. comunque fa riferimento ai figli nati fuori del matrimonio[7] e, pertanto, mantiene in piedi quella base volontaristica del riconoscimento che si traduce nell’uso del termine “può” nel primo periodo del comma primo (“il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto”) e che induce, pertanto, a preferire (forse senza escludere categoricamente la tesi della dichiarazione di scienza ma declassandola, in questa sede di commento, al rango di tesi minoritaria) la qualificazione di atto negoziale di accertamento. Il nostro ordinamento giuridico, infatti, non solo attribuisce un potere/facoltà e non un obbligo di procedere al riconoscimento, bensì anche chiarisce che “il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso”. La propensione per la tesi dell’atto di riconoscimento con valenza di atto negoziale di accertamento emerge, infine, anche tenendo conto del fatto che esiste una copiosa produzione dottrinale che annovera l’azione in questione nell’elenco di atti paragonabili al negozio (causale e non astratto, con struttura indifferentemente unilaterale o bilaterale, non riconducibile ad una mera prova legale, distinto dalla dichiarazione di scienza e, secondo alcuni, perfino dispositivo ed idoneo ad innovare l’ordinamento) di accertamento[8].
2. La sentenza della Corte di cassazione civile del 3 Luglio 2018, n. 17392.
Evidenziati alcuni profili teorici interessanti, riconducibili alla azione di riconoscimento del (l’ex, ma, visto il nuovo Capo IV, non troppo ex) figlio naturale, si può ora passare ad esaminare una pronuncia del 2018 in materia di azioni di stato. In particolare, si può subito evidenziare l’esistenza di un ulteriore accostamento di concetti, un ulteriore binomio quindi, legato da un vincolo di pregiudizialità: la pronuncia in commento chiarisce, infatti, che “l’accertamento con cui viene rimosso (o mantenuto) lo stato di figlio legittimo è pregiudiziale rispetto a quello con cui viene rivendicata altra paternità”. Più precisamente, le ricorrenti lamentavano che il giudizio di disconoscimento della paternità instaurato dalla controparte non potesse costituire l’antecedente logico-giuridico dell’accertamento della paternità naturale. La Corte, per contro, si è mostrata di ben diverso parere ed avviso. In particolare ed in primo luogo, la stessa ricorda che “[…] il Tribunale ha ritenuto, in proposito, che la paternità possa essere dichiarata giudizialmente nei soli casi in cui è ammesso il riconoscimento e che il riconoscimento del figlio naturale non è ammesso ove esso risulti in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova […]”. Devono, pertanto, ritenersi esistenti gli estremi per la sospensione ex art. 295 c.p.c in quanto “[…] la sentenza che accoglie l’azione di disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio, avendo natura di pronuncia di accertamento, travolge con effetti ex tunc ed erga omnes lo stato di figlio legittimo del disconosciuto [… e, una volta pronunciata, consente di procedere a diverso accertamento]”. Ad avvalorare la tesi della applicazione dell’art. 295 c.p.c si pone la stessa considerazione a mente della quale “[… se si valutasse la] rimozione dello status di figlio legittimo [alla stregua di] un presupposto processuale della domanda – insuscettibile, come tale, di sopravvenire nel corso del giudizio, e tale da imporre, in conseguenza, una pronuncia di inammissibilità della domanda stessa […] dovrebbe [giungersi alla irragionevole conclusione secondo la quale] il giudizio volto alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità debba essere dichiarato inammissibile ove, al momento della sua proposizione, non sia stata accolta, con sentenza passata in giudicato, la domanda di disconoscimento: e questo [riportando ancora testualmente i passaggi della pronuncia] anche se successivamente all’introduzione di quel giudizio, ma prima della pronuncia che lo definisca, la res judicata in questione si sia formata”.
3. Conclusioni.
Il collegamento tra parte “teorica” e parte “giurisprudenziale” di questo breve scritto consente di spezzare una lancia a favore della tesi che legge l’azione di riconoscimento di figlio naturale/nato fuori del matrimonio alla stregua di un negozio di accertamento, negando la tesi della mera dichiarazione di scienza. Il passaggio motivazionale a supporto di questa posizione è il seguente: il riconoscimento del figlio naturale non è ammesso ove esso risulti in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova, rendendo così opportuna la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. (da preferire alle declaratorie di inammissibilità de plano)[9]. Se si parte dal presupposto che la dichiarazione di scienza coincide con la mera comunicazione all’esterno di un fatto o, secondo altra definizione, con la mera esternazione dell’essere a conoscenza di un fatto giuridico, ha molto meno senso porsi il dubbio circa la possibilità di procedere o meno ad una sospensione di un giudizio il cui esito confligge con un altro giudizio avente sempre ad oggetto azioni di stato. Non ha senso porsi il problema semplicemente perché, dinanzi ad uno status di figlio legittimo, la dichiarazione di scienza non si sarebbe potuta manifestare non avendo la stessa natura negoziale e non essendo la stessa frutto della volontà delle parti: che senso avrebbe comunicare all’esterno qualcosa di dubbio o asserire di essere a conoscenza di qualcosa di cui per stessa propria ammissione si dubita, essendo consapevoli dell’esistenza di una diversa situazione che potrebbe confliggere con la propria dichiarazione ed in presenza della quale la propria dichiarazione perderebbe valore? E’ principalmente il negozio giuridico a porre il problema della divergenza tra voluto e realizzato, tra volontà della parte e realtà fattuale oggettiva, dicotomia che è posta alla base della stessa disciplina dell’errore. A nulla vale ad impedire o minare siffatto ragionamento la considerazione secondo la quale si tratterebbe pur sempre di actus legitimus, cui non possono accedere termini o condizioni, dal momento che ciò che si evidenza è la possibilità, tipica solo del negozio giuridico e non della dichiarazione di scienza, di mettere in dubbio il processo di formazione della volontà e la possibilità che la stessa produca legittimamente o meno effetti. Tale ragionamento non è minato neppure dal rapporto tra natura dell’atto di riconoscimento tout court (svincolato dalle aule di un tribunale) e dimensione “processuale” con conseguente analisi della natura della sentenza di accoglimento dell’azione di stato e della tipologia di effetto da essa scaturente, dal momento che: a.) ai sensi dell’art. 277 cc. la sentenza che dichiara la filiazione produce gli effetti del riconoscimento, quindi è si dichiarativa, ma comunque comporta la produzione degli stessi effetti retroattivi riconosciuti, ad esempio e coerentemente con le argomentazioni che si stanno esponendo, alla sentenza che dichiara la nullità, pertanto il binomio processo-atto di riconoscimento non osta alla qualificazione dell’atto come atto negoziale; b.) ciò che si intende evidenziare è, più che altro, la connessione tra natura negoziale e logica esigenza, perché la stessa volontà della parte possa produrre validamente i suoi effetti nell’ordinamento, che non sussistano presupposti ostativi come un precedente status di figlio legittimo. Il collegamento tra sospensione pregiudiziale del giudizio avente ad oggetto azioni di stato e la natura negoziale dell’atto di riconoscimento giustifica anche la peculiare veste di atto negoziale per l’appunto di “accertamento”. A ciò si aggiunga: a.) la possibilità che l’accertamento venga operato separatamente dai genitori e non solo congiuntamente, oltre alla già indicata rilevanza attribuita all’assenso del figlio; b.) la possibilità che il riconoscimento venga impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimento (consentendo quasi un interessante parallelismo con il negozio unilaterale di testamento[10] che, per esempio, può essere impugnato per falsità, situazione questa che, pur essendo differente, comunque parte da presupposti logici che si prestano ad uno studio comparato[11]) o, ancora, la stessa possibilità di impugnazione per violenza. La pronuncia, pertanto, implicitamente conferma la tesi che si è individuata come preferibile in questo paper, in un certo senso, “di parte”, poiché volto a sostenere una tesi in particolare a scapito dell’altra[12].
[1] La sentenza è stata pubblicata sulla Riv. ilcaso.it, www.ilcaso.it, al seguente indirizzo internet https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/20444, consultato nel mese di Febbraio 2022.
[2] Riferimenti normativi: L. 10 Dicembre 2012, n. 219 e Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154. Si riporta in questa sede, in ragione dell’importanza della questione e per completezza, anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 2015, consultabile in versione full text all’indirizzo web: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/07/15/T-150146/s1, riguardante il giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 104, commi 2 e 3, del Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219): “[…] con riguardo al principio di irretroattività delle leggi in materia civile - sancito dall'art. 11 delle preleggi, e che non ha valenza costituzionale a differenza di quanto espressamente previsto in materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost. - questa Corte ha reiteratamente chiarito come al legislatore non sia, quindi, precluso di emanare norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale" ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU (sentenze n. 156 del 2014 e n. 264 del 2012). Nella specie, la normativa denunciata dal rimettente è volta alla tutela di un valore di rilievo costituzionale - quello della completa parificazione dei figli naturali ai figli nati all'interno del matrimonio - specificamente riconducibile all'art. 30, primo comma, Cost.: un valore coerente anche con il bene della vita familiare, di cui all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, nel senso della sua tutelabilità anche con riguardo alla famiglia costruita fuori dal matrimonio (sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, e successive conformi). E ciò, appunto, esclude la violazione dei parametri evocati dal rimettente”.
[3] Con particolare riferimento al concetto di status: V. CORRIERO – E. CAPOBIANCO, Figli naturali (parte giuridica), in Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica, Vol. VI, diretta da E. Sgreccia e A. Tarantino, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2013, pp. 368 – 385, i quali, nel far evidentemente riferimento allo status formale di figlio, per come distinto dallo status sostanziale, così chiariscono “[…] malgrado emerga dal testo costituzionale un’equiparazione sostanziale tra figli di genitori coniugati e naturali, il codice civile del ‘42 ha concentrato la sua attenzione sugli aspetti formali dell’accertamento della filiazione anziché sul rapporto genitori-figlio”.
[4] M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, III Ed., 2017, Giappichelli, pp. 16 e 17.
[5] Volendo usare la definizione tratta da “Nuovo dizionario giuridico” (a cura di Federico Del Giudice), Simone, 2008, p. 326, “atto giuridico lecito diretto a comunicare ad altri la conoscenza di un atto o di una situazione”; spesso ci si limita a definire la dichiarazione di scienza come atto giuridico con cui un soggetto dichiara di essere a conoscenza di un determinato fatto giuridico (ex multis, Enciclopedia Giuridica, http://www.enciclopedia-juridica.com/).
[6] C. M. BIANCA (con la collaborazione di MIRZIA BIANCA), Istituzioni di diritto privato, Giuffré, 2014, pp. 770 e ss., in cui si chiarisce che “[…]la legge non conosce più figli legittimi e figli naturali ma conosce solamente figli”.
[7] Oltre al già citato lavoro di CORRIERO – CAPOBIANCO, p. 371, anche M. SESTA, L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, in Riv. Famiglia e diritto – Mensile di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 5/2014, il quale ricorda che “[…] Ovviamente, dopo la riforma non è più prospettabile […] la contrapposizione tra azioni di stato legittimo - che nel precedente assetto normativo avevano ad oggetto il conseguimento o la perdita dello stato di figlio legittimo - e azioni di stato riferite alla filiazione naturale. Tuttavia, da una semplice disamina delle nuove norme è agevole convincersi del fatto che […] la dicotomia richiamata nella sostanza perduri”. Ancora, sul tema: G. BONILINI, L’abrogazione della norma contenente il diritto di commutazione, in Riv. Famiglia e diritto – Mensile di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 5/2014, pp. 518 e ss., il quale, nel ricordare come sin dal 1975 fosse in fase di avvio quel giusto processo di parificazione dei figli, chiarisce che “[...il] processo di parificazione sarebbe dovuto venire a definitivo compimento con la legge n. 219/2012, che, per un verso, stabilisce come le parole figli legittimi e figli naturali, ovunque ricorrano, debbano essere sostituite dalla parola “figli” (art. 1, comma undecimo), delegando, però, al Governo, il compito di adeguare, al principio di unicità dello stato di figlio, la disciplina delle successioni e donazioni (art. 2, lett. l), e, per altro verso, dispone di mantenere le denominazioni di ‘figli nati nel matrimonio’ e di ‘figli nati fuori del matrimonio’, allorché si tratti di disposizioni agli stessi specificamente relative (art. 2, lett. a)”. Ancora, sulle modifiche terminologiche, per completezza di indagine (che ciò nonostante resta superficiale, vista la vasta produzione scientifica sul tema), P. PITTARO, La riforma della filiazione: gli effetti sul sistema penale, in Riv. Famiglia e diritto – Mensile di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 5/2014, pp. 549.
[8] Il negozio di accertamento è stato oggetto di innumerevoli contrasti. Pertanto, anche la qualificazione dell’atto di riconoscimento alla stregua di un negozio unilaterale di accertamento richiederebbe di specificare a quale concezione di negozio di accertamento si intende aderire. Per un efficace riassunto delle problematiche emerse sul tema, oltre ad un saggio in questa rivista (Sugli interessi nel contratto – presupposizione, causa, motivi e negozi di accertamento nonché Cass. I Sez. 14618 del 24 Agosto 2012, il quale, pur soffermandosi sui rapporti tra causa e motivi e sulla spinta verso un almeno parziale recupero della dimensione soggettiva della causa, da intendersi non come ritorno alle teorie soggettive pure, bensì come esaltazione dell’interesse individuale che si oggettivizza nella causa, affronta le principali problematiche in materia di negozio di accertamento), anche M. GIORGIANNI, Accertamento (negozio di), in Enciclopedia del diritto, I, Milano 1958, il quale chiarisce che: “[…]i principi che presiedono alla valutazione delle dichiarazioni dei soggetti nell’ordinamento giuridico privato, dovrebbero consentire di respingere l’idea che le manifestazioni delle parti in ordine ai fatti ed alle situazioni giuridiche in cui sono interessati, abbiano il valore di giudizi o di semplici dichiarazioni di scienza o di verità. Il giudizio appartiene al terzo, giudice o arbitro, chiamato ad accertare i fatti […]. L’accertamento dei fatti o dei rapporti effettuato dalle parti costituisce invece proiezione del potere ad esse spettante in ordine alle situazioni giuridiche di loro pertinenza”.
[9] Sotto un profilo processuale, oltre che sotto il profilo della evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale mirante alla parificazione dello stato di figlio fuori del matrimonio a quello nato in costanza di matrimonio, può essere utile ricordare la questione dell’impugnazione del riconoscimento del figlio recentemente sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale n. 133 del 25 Giugno 2021, affrontata anche in questa rivista: F. DE CARLO, Il termine per l’impugnazione del riconoscimento del figlio: note intorno alla sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 25 giugno 2021, in Riv. Ilcaso.it, www.ilcaso.it, Il termine per l'impugnazione del riconoscimento del figlio: note intorno alla sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 25 giugno 2021 - Blog ilCaso.it.
[10] Che pure ha suscitato e suscita dibattito in ordine alla corretta qualificazione giuridica, essendoci anche sostenitori di tesi non negoziali. Pur tuttavia, sembra che la prevalente dottrina abbracci la tesi del negozio giuridico.
[11] Art. 254 cc.: “Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è fatto nell’atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento qualunque sia la forma di questo”; (Modifiche normative rilevanti: Articolo sostituito dall’art. 106, L. 19 maggio 1975, n. 151, riforma del diritto di famiglia; la parola “naturale” è stata così sostituita dalle attuali: “nato fuori del matrimonio” dall’art. 25, comma 1, lett. a), del D.L.vo 28 Dicembre 2013, n. 154). Ancora, Cassazione Civile, Sez. II, n. 169 del 5 Gennaio 2018.
[12] La tesi del negozio unilaterale di accertamento è stata considerata preferibile e maggiormente aderente alle caratteristiche della fattispecie da G. BALLARANI, Voce, Riconoscimento del figlio naturale, nell’Enc. Il diritto, Vol. XIII, il sole 24 ore, 2008, p. 490 e ss. (scritto disponibile full text in rete). Contra: M. SANTISE, op. cit., p. 17, il quale, nel riassumere le posizioni dottrinali sul tema classifica la tesi della dichiarazione di scienza come tesi più accolta. Ancora, si soffermano sulla natura giuridica dell’atto di riconoscimento: V. CORRIERO – E. CAPOBIANCO, op. cit. o ancora (e nuovamente), M. SESTA, op. cit., p. 462, il quale chiarisce che “[…] risulta confermato l’assunto per cui il riconoscimento è da annoverare entro la categoria degli atti di accertamento e ogni valutazione che lo riguarda deve essere condotta escludendo la rilevanza degli stati soggettivi di buona fede o mala fede”. Ancora, sul tema M. DOGLIATTI, La nuova filiazione fuori del matrimonio: molte luci e qualche ombra, in Riv. Famiglia e diritto – Mensile di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 5/2014, pp. 483 e ss. “[…] Sulla natura giuridica dell’atto di riconoscimento le dispute dottrinali sono assai risalenti. Così esso fu considerato, volta a volta, dichiarazione di scienza, di volontà, ovvero equiparato ad una confessione; è stato talora ritenuto atto d’autonomia privata, talora atto non negoziale”.
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