Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/03/2015 Scarica PDF
Sul transito dell'anatocismo bancario dal vecchio al nuovo regime
Aldo Angelo Dolmetta, già Consigliere nella Prima sezione della Corte di Cassazione, già Professore ordinario di Diritto privato nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.SOMMARIO. 1. I problemi del transito. – 2. Sul ruolo della delibera CICR: non serve per l’abrogazione del vecchio regime e nemmeno per l’applicazione del nuovo. – 3. Il nuovo regime si applica anche al futuro dei contratti in essere. – 4. (Segue). L’applicazione è di tratto automatico.
1. I problemi del transito
L’evoluzione legislativa, che la legge di stabilità per il 2014 (l. 27 dicembre 2013, n. 347)[1] ha portato nella materia dell’anatocismo bancario, registra – sotto il profilo del diritto intertemporale – la presenza di due ordini di problemi.
Si tratta, da un lato, di capire quando sia effettivamente cessato il vecchio regime (d.lgs. 4 agosto 1999, n. 142), nonché quando la nuova disciplina entri in reale applicazione (sull’apertura di questa distinzione v. nel prossimo n. 2): se subito o se, per contro, dopo l’emanazione di un’apposita delibera attuativa da parte del CICR. Si tratta, dall’altro, di definire l’arco dei rapporti interessati dalla nuova disciplina: se unicamente quelli tratti da contratti stipulati dopo la stessa oppure anche quelli già in essere a tale momento (pro tempore, va da sé). Questo secondo problema prende consistenza concreta, naturalmente, solo dopo che il primo abbia trovato la sua soluzione: per il limen così individuato, meglio; a parte questo, però, i due temi rimangono tra loro indipendenti, nel senso appunto che la risposta al primo non condiziona, per sé, l’esame del secondo.
La rilevanza della problematica così appena sbozzata è grande, com’è appena il caso di rimarcare. Perché è passato più di anno dall’emanazione della legge innovativa e ancora latita la delibera del CICR[2]; ormai è da chiedersi se una delibera sarà mai emanata in proposito. Perché la pratica della predisposizione bancaria non si è proprio data per intesa della legge nuova, restando incardinata sulla riserva di anatocismo che il precedente regime la consegnava. Perché, e soprattutto in fondo, la problematica indicata sottende – o esprime, se si preferisce - questioni alte, di livello apicale: di gerarchia di poteri (dell’amministrativo rispetto al legislativo, ma pure rispetto al giudiziario, a ben vedere), il primo; di gerarchia delle fonti (tra etero e autonomia), il secondo.
2. Sul ruolo della delibera CICR: non serve per l’abrogazione del vecchio regime e nemmeno per l’applicazione del nuovo
2.1.- La questione per prima indicata - sul ruolo che nel contesto assume la delibera CICR a cui fa riferimento il testo normativo (nuovo come vecchio) - risulta frequentata in letteratura. Ed è, nell’oggi, di soluzione dibattuta.
Gli autori che stimano la nuova disciplina dell’anatocismo bancario non ancora entrata in vigore, perché subordinata all’emanazione della delibera, anche ritengono che tuttora viga la riserva bancaria di anatocismo segnata dal precedente regime di legge con la connessa delibera CICR del 9 febbraio 2000[3]. Per contro, l’altra opinione sostiene che la nuova normativa sia entrata in applicazione sin dall’1 gennaio per il 2014, che è appunto il primo giorno di vigenza della legge di stabilità 2014 (cfr. il comma 729 dell’art. 1), pur vacante la delibera attuativa; e tale linea pure si nutre, oltre che del parere di parte della dottrina, di un obiter espresso da un provvedimento dell’App. Genova, 17 marzo 2014, nonché della «Relazione riunione sezione 6.2.2014» del Tribunale di Milano, VI sezione civile[4].
Com’è naturale, questo secondo orientamento anche ritiene (prima di tutto, rectius) che il precedente regime di riserva sia ormai venuto a cessare: in effetti, in detto ambito si tratta di un passaggio oggettivamente non evitabile. Invece, nel seno della prima e opposta tesi sarebbe sicuramente ipotizzabile - di per sé, almeno (v. in 2.3.) - una dissociazione tra abrogazione della vecchia norma ed entrata in vigore della nuova; una simile eventualità, tuttavia, non risulta presa in alcuna considerazione dai menzionati autori: il punto è comunque trattato, insomma, come un «blocco unico».
Così fornito il quadro di riferimento, si tratta adesso di manifestare il mio avviso; soprattutto, di esporre le ragioni che stanno a sorreggerlo e giustificarlo. A me pare, dunque, che l’absentia del provvedimento del CICR, se va deprecata sul piano del diritto vivente – per la molta confusione e incertezze che su questo piano, dell’operatività appunto, la stessa sta venendo oggi a produrre[5] -, tuttavia non determina nessun arresto applicativo della nuova legge.
2.2.- In positivo, le ragioni che sostengono l’idea del compiuto mutamento legislativo sono semplici; di tratto, si può dire, prima di tutto testuale. L’avvio del comma 629 dispone, deciso, che il testo della vecchia legge è «sostituito» dalla nuova disposizione: l’abrogazione della riserva bancaria, dunque, è formale, espressa. Del resto - si può pure aggiungere (per scrupolo di completezza del discorso) – il testo sostitutivo si manifesta oggettivamente incompatibile con quello sostituito: la lett. b. della sopraggiunta norma è nel senso eliminativo della riserva bancaria di anatocismo; per contro, la direzione della norma precedente risulta(va) propriamente rivolta alla costituzione della medesima.
Che la nuova disciplina entri in applicazione senza bisogno di stampelle amministrative, poi, è assicurato se non altro dal fatto che la prescrizione relativa dispone, in modo affatto univoco, che il divieto degli interessi di «produrre interessi ulteriori» si applica «in ogni caso»: comunque e in via automatica, pertanto. Su questo punto di base, insomma, manca proprio lo spazio materiale perché una delibera amministrativa possa venire a esplicarsi.
2.3.- A supporto della tesi che nega invece abrogazione della legge vecchia ed entrata in vigore della nuova - tesi che appunto si risolve, nel concreto di chi la sostiene, nel predicare una diuturna permanenza della riserva bancaria di anatocismo – sono stati portati numerosi ordini di distinti argomenti: per la precisione, quattro ordini, almeno secondo quanto mi consta. Nessuno di questi argomenti, peraltro, si manifesta in una qualche misura condivisibile o convincente.
Un primo argomento viene individuato nella «formulazione letterale della norma», nel senso che questa avrebbe un «contenuto (fin troppo) programmatico» e non sarebbe, quindi, «immediatamente precettiva». Sembra chiaro, tuttavia, che tale affermazione taglia, se non altro, un pezzo della nuova legge: precisamente, la parte iniziale del comma 629 che, si è appena visto, è nitido e, per la verità, non ha proprio nulla di programmatico (: «all’articolo 120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il comma 2 è sostituito dal seguente …»).
Un secondo argomento, per certi versi collegato al primo, si sostanzia nell’affermare che la norma della lett. b. non sarebbe, a ben vedere, completa (: «nulla è detto in punto di tempi e modalità di pagamento degli interessi maturati e scaduti»). Com’è evidente, però, un simile rilievo potrebbe valere – a tutto volere concedere – solo ad escludere l’applicazione della legge nuova, non anche a sostenere una mancata abrogazione della preesistente riserva bancaria; in effetti, a ipotizzare una «sospesa» applicazione della norma nuova, la materia dell’anatocismo bancario non verrebbe affatto a cadere nel vuoto, bensì nell’alveo del sistema generale, che resta imperniato sui dettami dell’art. 1283 c.c. A parte questo, l’argomento sembra procedere dall’idea che il CICR abbia – in quanto tale (ovvero per sua propria, necessaria natura) – un potere completativo del contenuto precettivo delle norme di legge: idea, questa, che non pare fondata sui dati positivi del vigente sistema[6].
Si è affermato, ancora, che la norma della lett. b. non avrebbe un significato limpido, chiaro e univoco; così allegando una necessaria attività di chiarificazione da parte del CICR. Pure la sostanza di questo rilievo, però, non ha proprio nulla a che vedere con la permanenza di una riserva bancaria, che nel contempo pure si vorrebbe pretendere e che per contro rimane, come si vede, appesa solo a sé stessa. Del resto, l’argomento in questione suppone, a me pare, la sussistenza nel CICR di un potere interpretativo delle norme di legge tale da vincolare (persino) l’attività dei giudici: cosa neppure questa conforme al nostro sistema attuale (cfr. anche solo la norma dell’art. 101, comma 2, Cost.).
L’ultimo argomento fa richiamo alla disposizione dell’art. 161, comma 5, TUB[7]. Sin troppo disinvolto, lo stesso viene a leggere, in tale disposizione, l’assegnazione al CICR di un libero potere di bloccare a tempo indeterminato l’entrata in vigore di una qualunque riforma bancaria (all’unica condizione che la stessa comunque preveda un intervento dell’Autorità amministrativa), come pure di concedere spazi sempiterni di ultrattività a norme di legge ormai venute meno. In realtà, la norma del comma 5 dell’art. 161 ha portata circoscritta, priva dell’ambizione di dettare (in modo assurdo) un regime generale di diritto transitorio bancario[8]. A pensare diversamente, tra l’altro, la disposizione del comma 5 dell’art. 161 sarebbe incostituzionale ex artt. 70, 76, comma 1, 77 Cost.[9].
Ma, per la verità, il rifiuto dell’argomento in questione discende già da un più specifico riscontro: come è stato puntualmente rilevato, la nuova normativa dell’anatocismo «è destinata a riflettersi sulle operazioni bancarie in corso a vantaggio del correntista e non si può ritenere legittimo che una norma regolamentare possa protrarne nel tempo l’entrata in vigore, a danno del correntista nel cui interesse la norma di legge è stata emanata»[10].
Anche un’analisi effettuata secondo la «controluce» negativa viene, in definitiva, a confermare che il contributo del CICR non risulta per nulla necessario perché si realizzi il trapasso evolutivo della regolamentazione bancaria dell’anatocismo, che è stato apportato dalla legge di stabilità per il 2014[11].
3. Il nuovo regime si applica anche al futuro dei contratti in essere
3.1.- A differenza dell’altro, il problema relativo alla sorte dei rapporti pendenti al momento dell’entrata in vigore del nuovo regime non risulta, allo stato, particolarmente frequentato dall’ambiente: forse anche perché quello della definizione del tempo della vigenza finisce per assorbirne un po’ la prospettiva; pur se tanto vale, per la verità, solo per la linea del fatto e solo per chi accede alla soluzione che qui si è ritenuto di non potere che respingere.
Comunque sia di ciò, la soluzione della positiva soggezione – solo ex nunc, non è inopportuno sottolineare di nuovo - è stata sostenuta, con proposizione di taglio assertivo, dalla citata Relazione del Tribunale di Milano[12]. E questa, a mio avviso, è la soluzione da stimare corretta.
Nel merito, per motivarla, è bene muovere dall’oggettiva constatazione che, nel contesto concretamente in questione, manca una diposizione che, specifica, vada a regolare il punto dei rapporti pendenti. Il tema si volge diretto, di conseguenza, verso l’insieme delle regole codificate nel sistema generale. Prescrive la norma dell’art. 11 preleggi che la legge nuova «dispone per l’avvenire». Di per sé, dispone del futuro senza eccezione: non può valere, dunque, la vecchia opinione che vorrebbe far salvo tutto quanto connesso a un «fatto (già prima) compiuto». Ma è bene, a questo punto, scendere a espressioni di un qualche maggior dettaglio[13].
3.2.- Ancor oggi si trova formulata – pure con specifico riferimento alla materia bancaria - l’idea che «nelle materie in cui predominano l’autonomia della volontà privata e l’interesse dei singoli» il fatto compiuto, «in sé e negli effetti futuri che ne derivano», dovrebbe essere governato dalla «legge imperante nel tempo in cui esso si è verificato»; e tanto proprio «a norma dell’art. 11 delle preleggi»[14]. Un simile ragionamento, in realtà, non può in ogni caso convincere.
In proposito è da notare, prima di tutto, che predicare la permanente applicazione della legge vecchia anche con riferimento agli effetti temporalmente successivi alla sua abrogazione – secondo il nucleo forte della tesi appena riferita – non vuole dire applicare la regola d’irretroattività, come per contro la stessa vorrebbe fare intendere. Significa, all’opposto, assegnare alla legge vecchia una pretesa di ultrattività; significa lasciarla governare, cioè, anche post mortem.
Nei fatti, per dare corpo a una tesi di siffatto taglio bisognerebbe fissare lo spartiacque temporale della valutazione di retroattività al tempo – e al fatto - della conclusione del contratto. Sennonché, una simile opzione cadrebbe diretta nel pregiudizio di dare all’autonomia privata una forza che la stessa non ha e che, per vero, nemmeno potrebbe avere: quella, per l’appunto, di essere autosufficiente e quindi bastante – da sé sola – a produrre l’arco degli effetti negoziali. In altre parole, la tesi in questione assume l’autonomia privata come qualcosa che sta prima e a monte (strutturalmente) dell’intervento dello Stato.
La tesi è frutto, dunque, di una concezione se non altro irrealistica. E che si mostra, soprattutto, concezione errata anche per il diritto positivo. Dato che è in ogni caso la legge a dispiegare – tempo per tempo – la produzione degli effetti: secondo quanto indica, a tacer d’altro, la norma cardine dell’art. 1374 c.c.; e come pure inter alia ribadisce - nel suo agganciarsi in modo costitutivo al precetto della «conformità all’ordinamento giuridico» - la disposizione dell’art. 1173 c.c., di quell’altra non meno primaria.
Sotto altro versante, una volta inquadrato il perdurante dominio della legge del tempo dell’atto come fenomeno di ultrattività, sembra poi agevole rilevare come lo stesso venga a concretizzare una disparità di trattamento tra vicende di per sé omologhe: tra gli effetti delle fattispecie nate prima del mutamento legislativo e quelli delle situazione nate dopo e in relazione alle frazioni di tempo successive all’entrata in vigore della legge nuova. Disparità che, in principio, non sembra ricevere giustificazione[15]. La preferenza del legislatore verso la legge nuova, d’altro canto, è criterio orientativo che non ha, evidentemente, bisogno di particolare illustrazione[16].
4. (Segue). L’applicazione è di tratto automatico
Sempre con riferimento immediato ai rapporti in corso di esecuzione al tempo dell’entrata in vigore della nuova normativa sull’anatocismo bancario, rimangono ancora due ordini di osservazioni da svolgere, brevissimi entrambi.
Il primo si sostanzia nella constatazione che il transito dal vecchio al nuovo regime dovrebbe avvenire in modo automatico, senza bisogno di formalità o di procedimenti formativi di consenso presunto. E non tanto, o solo, perché si tratta di modifica legislativa a vantaggio del cliente (sì che la fattispecie resta in sé stessa estranea al meccanismo progettato nella norma dell’art. 118 TUB)[17]. Quanto prima di tutto perché le clausole di anatocismo correnti nella prassi della predisposizione bancaria sono oggi nulle e inefficaci [18], trattandosi di patti consentanei alla stipulazione dell’accordo fonte del debito e per di più a cadenza anatocistica infrasemestrale, secondo un risultato decisamente vietato dalla norma imperativa dell’art. 1283[19]. In sintesi: è sufficiente (quanto indispensabile) «non applicare» le clausole in attualmente previste dai contratti.
L’altro rilievo riguarda l’arco dei rapporti (da considerare) in essere. In proposito si suole distinguere – è ben noto – tra rapporti correnti (dove è tuttora in essere la fase fisiologica del rapporto), chiusi (compiutasi la fase fisiologica, il rapporto è ancora capace di effetti futuri) ed esauriti (tutto è stato compiuto)[20]. Affatto esterni alla norma normativa rimangono – è appena il caso di puntualizzare - solo quelli di quest’ultimo tipo: il discrimine si pone, cioè, tra i rapporti obbligatori (in un qualunque modo) estinti entro l’1 gennaio 2014 e quelli in tale momento non ancora estinti.
[1] Art. 1, comma 629, il cui testo è andato a sostituire - nel comma 2 dell’art. 120 TUB – la riserva di anatocismo bancario fondata dal decreto legislativo del ‘99.
[2] Anche non volendo contare lo spazio temporale provvisoriamente occupato dal non convertito d.l. 24 giugno 2014, n. 91 (su cui v. pure nella prossima nota 7).
[3] Morera e Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120 comma 2, TUB, in Banca e borsa, 2015, I; Petraglia, Usura, anatocismo e altre patologie dei contratti bancari, relazione al «Convegno Convenia», Milano, 3-4 febbraio 2015; Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in dirittobancario.it, 2014, luglio; Mucciarone, La trasparenza bancaria, in Tratt. Contratti diretto da Roppo, V, Milano, 2014. P. 689 ss.; Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Roma, 2014, p. 97 s.
[4] Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sula delibera CICR 9 febbraio 2002, in dirittobancario.it, 2014, ottobre; Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera CICR 9/2/00. Dall’anatocismo sfilacciato al divieto dell’art. 1283 c.c.: nell’indifferenza dell’Organo di Vigilanza, l’intermediario bancario persevera nella capitalizzazione degli interessi, con oltre € 2 mil.di di ricavi illegittimi nell’anno in corso, in IlCaso.it, 2014, dicembre; Tanza, Anatocismo bancario: le novità introdotte dalla Legge di Stabilità, in Altalex, 2014, febbraio; Quintarelli, Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione; prescrizione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell’onere della prova e saldo zero, in IlCaso, 2015, gennaio; Mazzola, La nuova disciplina dell’anatocismo bancario nella legge di stabilità: prime note, in dirittobancario.it, 2014, gennaio; Fiorucci, Diritto Bancario. Pillole informative sulle questioni di diritto bancario, 9 marzo 2015. A questa opinione ho già prestato adesione in adesione in Sole-24 ore.Plus, 15 marzo 2014 e in Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole «da inadempimento»), in dirittobancario.it., 2015, gennaio.
Ampi stralci della Relazione del Tribunale di Milano, che viene richiamata nel testo, sono tra l’altro leggibili nel citato lavoro di Marcelli e pure in dirittobancario.it, 2014, novembre. Ivi si trova pure pubblicata l’ordinanza della Corte di Appello di Genova menzionata nel testo.
[5] Con conseguente, e grave, aumento del contenzioso tra banche e clienti per gli anni a venire. Sul punto v. pure Sartori, Deviazioni del bancario e dissociazione dei formanti: a proposito del (diritto al) credito, in Nuova giur. civ. comm., 2015.
[6] Sui limiti ristrettissimi in cui può (in genere) ritenersi consentita un’eccezionale posizione di delegificazione v., per tutti, Paladin, Diritto costituzionale, ed. 3, Padova, 1998, p. 229 s.
[7] A completamento del comma 2 (che elenca una serie specifica di norme abrogate, ma ultrattive sino a successivo provvedimento dell’Autorità amministrativa), nonché del comma 4 (che ritiene opportuno richiamare l’attenzione sul genere dell’abrogazione per incompatibilità con le norme nuove introdotte nel 1993) dell’art. 161 TUB, il comma 5 di questo indica genericamente l’ultrattività delle norme abrogate per incompatibilità con quelle in tal modo introdotte sino a successivo provvedimento dell’Autorità amministrativa (ove previsto, naturalmente).
La non «credibilità» del richiamo all’art. 161 comma 5 si delinea già, per vero, dalla circostanza che il testo dell’art. 31 d.l. 24 giugno 2014, n. 91 – che provvisoriamente ha sostituito il comma 629 della legge di stabilità (non essendo stato convertito il decreto sul punto, l’accennata disposizione si è trovata caducata ab imo) – prevedeva in modo apposito (nello stabilire cadenze anatocistiche bancarie «non inferiori a un anno») che «fino all’entrata in vigore della delibera CICR … continua ad applicarsi la delibera CICR del 9 febbraio 2000». Di tale decreto si occupa, in particolare, Maimeri, .
[8] Come emerge dal testo del comma 5, e pure dal contesto dell’intero articolo 161, la portata di tale disposizione è limitata alle norme «abrogate o sostituite» dal decreto legislativo istitutivo del testo unico (n. 185/1993, mentre la riserva bancaria di anatocismo è stata eliminata dalla legge di stabilità per il 2014) e trova la sua ragion d’essere nell’ampiezza ed eccezionalità del rinnovamento normativo avvenuto in quella circostanza. In via ulteriore (e cioè aggiuntiva), la portata di detto comma 5 finisce per riguardare – nel detto contesto – solo i casi di abrogazione per incompatibilità, come si indica nella parte iniziale della precedente nota 7 (nel caso che qui interessa, l’abrogazione è prima di tutto formalizzata da apposita espressione: cfr. n. 2.1.).
[9] Manifestando, allora, un’evidente abdicazione del potere legislativo a favore di quello amministrativo.
Osserva Farina, op. cit., p. 4 che le prescrizioni della «delibera CICR 9 febbraio 2000 non hanno più alcuna valenza normativa. Il relativo atto amministrativo, in cui la delibera si concreta, privo dell’originaria norma delegante, oramai abrogata e in contrasto con la generale previsione di cui all’art. 1283 c.c., è da ritenersi affetto da illegittimità, sia pur sopravvenuta, dovendosi registrare allo stato l’assenza di qualsivoglia disciplina transitoria».
[10] La frase per prima virgolettata nell’ambito di questo n. 2.2. è di Colombo, op.loc. citt.; la seconda è di Petraglia, op. cit.; la terza è di Morera e Olivieri, op. cit.; l’ultima è della pure citata Relazione del Tribunale di Milano, che pure sottolinea, tra le altre cose, come «sia indubbia l’intenzione legislativa di abolire» la riserva bancaria di anatocismo.
[11] Non richiesto per il trapasso della regolamentazione bancaria dell’anatocismo, non per questo però il richiamo all’opera del CICR – di cui al testo della legge nuova – si manifesta come cosa «inutile» nello specifico contesto della norma attuale dell’art. 120 coma 2 TUB. Sul tema v. il mio Sopravvenuta abrogazione del potere bancario di anatoismo, in Banca e borsa, 2015, I.
[12] Il «divieto di anatocismo … si reputa operante … sia per i contratti in corso, sia per i contratti futuri».
[13] Sul tema in generale v. adesso il mio Operazioni bancarie sopravvenienze legislative, in AA.VV., I contratti bancari, nel Tratt. contratti diretto da Rescigno e Gabrielli, in corso di stampa.
[14] Le frasi di cui al testo sono tratte, in via esemplificativa, dalla decisione dell’ABF, Collegio di Napoli, 30 settembre 2011, n. 2011.
Per indicazioni critiche su questa teorica v., tra gli altri, Furgiuele, Diritti acquisiti, in Dig. ed. 4. Disc. priv. Sez. civ., V, Torino, 1989, 378 (così, sotto il profilo strutturale: può «dirsi che, se un fatto è giuridico in forza degli effetti che ad esso conseguono, non solo ogni modifica di questi ultimi equivalga a modifica della rilevanza giuridica del fatto, ma, al tempo stesso, risulti oggettivamente impossibile distinguere tra effetti al fine di selezionarne uno o più idonei, contrariamente ad altri, a far sì che … la disciplina giuridica del fatto generatore rimanga immutata»).
[15] Salva l’individuazione di particolarità oggettive: come eventualmente quella di consentire un breve periodo per l’adeguamento (ove occorrente) delle situazione vecchie alla legge nuova.
[16] Per il puntuale rilievo che la giurisprudenza tende (non diversamente dal legislatore, del resto) a «favorire l’applicazione della normativa più recente», v. Furgiuele, op. cit. loc. cit.
[17] Sull’estraneità del meccanismo progettato in tale disposizione alla modifiche comunque in melius del cliente v. Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, nell’ambito del cap. 7.
[18] Non intendo qui formare un’endiadi, quanto piuttosto tenere conto del fatto che spesso la letteratura preferisce discorrere – in luogo di nullità sopravvenuta – di inefficacia tout court. Ma in difesa della categoria della nullità sopravvenuta – categoria nell’oggi di primaria importanza anche sul piano operativo – v. il mio lavoro citato nella nota precedente, 361.
[19] Il nostro sistema – come costruito, in specie, attorno alla norma dell’art. 1283 c.c. – non conosce un divieto assoluto e compiuto di anatocismo, quanto piuttosto si preoccupa, in modo vario e penetrante, di limitare e contenere la relativa pratica.
[20] Su tale distinzione v. Briolini, Fideiussioni omnibus non «esaurite» e legge sulla trasparenza, in Banca e borsa, 1996, I, 685 ss.
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