Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/07/2008 Scarica PDF
Mutui per abitare: dal velleitarismo del precedente al peronismo del governo attuale
Aldo Angelo Dolmetta, già Consigliere nella Prima sezione della Corte di Cassazione, già Professore ordinario di Diritto privato nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.1.- La
Convenzione stipulata il 24 giugno tra il Ministero dell'Economia e
l'Associazione delle banche, attuativa dell'art. 3 del decreto legge n. 93/2008
(come recante «disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto
della famiglia»), si inserisce in uno temi più caldi oggi proposti dalla
società civile - quello dei mutui per abitazione - e per più versi costituisce
una risposta politica dell'attuale governo all'azione del precedente, come reso
dai noti decreti Bersani. Non a caso, confronti e polemiche anche pesanti non
stanno mancando (cfr. il sito del «Popolo delle libertà»).
I punti di contatto tra le due serie di interventi paiono, in effetti, proprio
pochini. Di questi, uno risiede nel fatto che la Convenzione non dà vita al
«ripensamento» di alcunché; essa non sostituisce nulla, cioè, ma si limita ad
aggiungere alle preesistenti una nuova misura: così allungando la fila dei
provvedimenti e insieme fornendo una sensazione sgradevole di frammentarietà.
L'altro consiste nella tecnica normativa, che persiste nel restare di livello
davvero modesto. Se mitiche sono state le sgrammaticature dei Bersani (come
sulla surrogazione, figura chiave della c.d. «portabilità del mutuo»), non più
lievi imbarazzi è destinata a creare la convenzione Tremonti.
Basta pensare, tra gli esempi non maggiori, alle difficoltà che si incontrano
nel cercare di definire con esattezza il perimetro oggetto dell'intervento. Un
attento lavoro di elaborazione consente, con una qualche sicurezza, di fermare
solo una «fattispecie minima»: le nuove regole si rivolgono alla persona
fisica, che sia mutuatario (in toto a tasso variabile) e pure proprietario di
un immobile in cui il medesimo, o un suo stretto congiunto, risiede. Ogni
passo, ogni eventuale aggiunta ulteriore appare un azzardo. A complicare il
lavoro concorrono più elementi: indifferente, il testo trascorre dal
proprietario al mutuatario; lega all'abitazione in essere anche il mutuo per
costruire (oltre che per abitare e per ristrutturare); con chissà quali
pretese, dato il tenore del vigente art. 43 c. c., finisce pure per sostituire
alla nozione di residenza le parole «dimora abituale».
Pure è da constatare - sempre per limitarsi agli esempi a portata di mano -
come la Convenzione non si preoccupi affatto di regolare il ruolo che sarebbe
destinato ad assumere, nella decisione sull'eventuale rinegoziazione, il terzo
datore di garanzia. Ma per toccare un punto senz'altro nevralgico: a fronte di
un'unica vicenda sostanziale, per l'esito della rinegoziazione la Convenzione
ha programmato due rapporti, coesistenti e per sé distinti, quello di mutuo e
quello del «conto di finanziamento accessorio (su cui v. anche nel n. 4). La
disciplina di un simile programma, peraltro, è rimasta nella penna: con timore,
l'operatore si interroga, ad esempio, sugli ipotetici nessi tra questo conto
nuovo e la vecchia garanzia.
2.- Per il resto, la distanza che separa i provvedimenti in questione è
veramente grande, di spettro assai ampio: al di là della singolare circostanza
che vede la Convenzione appropriarsi in via negoziale di taluni dei risultati
portati in via legislativa dal governo precedente (con non poca ipocrisia,
così, essa passa a dichiarare: «nulla è innovato in materia di portabilità del
mutuo»; la richiesta di una simile precisazione non promanava nemmeno dal
contesto del decreto legge).
L'intervento di Tremonti, dunque, riguarda unicamente i mutui per abitazione a
tasso variabile e, tra questi, solo quelli attualmente in essere. Il segno
perseguito è quello della contingenza immediata, senza nessuna prospettiva
ulteriore. Diversamente, gli intendimenti di Bersani, seppure di tratto
asistematico, si sforzavano almeno di abbracciare l'intera area del mutui
bancari, sia a tasso fisso, che variabile; e per certi versi andavano anche
oltre il tema dell'abitazione (la portabilità, anzi, era - come ancor oggi
rimane - figura di fruibilità generale, per quanto il suo normale antecedente
pratico dell'estinzione anticipata e gratuita sia rimasto, non più lati di
disorganicità, vincolato all'immobile).
E in ogni caso gli sforzi del passato governo tendevano a progettare delle
regole (sì troppo «piccole» e «isolate» ma per lo meno) volte al futuro.
3.- Tra loro lontanissime si manifestano poi, di netto, le filosofie che
improntano i rispettivi provvedimenti. I decreti Bersani miravano al dichiarato
obiettivo di migliorare il prodotto mutuo: come mezzo a tale fine cercando di
aumentare il livello di effettiva concorrenza tra le banche. Anche se - non si
può non sottolineare - gli strumenti concretamente predisposti in proposito
venivano a palesare una forte e intrinseca dose di velleità del disegno: perché
l'intervento toccava solo qualche rotella degli ingranaggi; e pure perché lo
stesso si nutriva della pretesa di affidarsi in toto alla libera scelta del
cliente, ritenuto in grado di ergersi, e in tale ruolo eletto, arbitro della
competizione che avrebbe dovuto tenersi tra le banche. Al di là di ogni (ovvio)
rilievo sulla pretesa centralità della domanda a governare i termini
dell'offerta imprenditoriale, è noto che i meccanismi di costruzione
quantitativa dei debiti a soluzione differita (quali appunto quelli da mutuo)
soffrono di dense tecnicalità, difficilmente decifrabili per la media degli
utenti.
Comunque sia di ciò, la convenzione Tremonti resta del tutto estranea a ogni
ipotetica tematica di concorrenza. Ci si muove qui su un piano (concettuale,
prima di ogni altra cosa) affatto diverso: per ricorrere a un'espressione di
sintesi e pure dotata di vigore espressivo, la filosofia perseguita è di
impronta peronista. Gli stessi portavoce del Ministro affermano che la
Convenzione, se «non è la bacchetta magica», però «costituisce una boccata di
ossigeno salutare per quanti, e sono tanti, si trovano al limite della
disperazione». Il punto è di individuare quale e quanta aria venga contenuta in
una «boccata» simile.
Dall'inizio e ancora oggi i sostenitori della Convenzione dichiarano che la
stessa porta risparmi: meglio, porta a «minori esborsi», che su «un mutuo
ventennale di 80.000 ... ammonterebbero a circa 850 su base annua». Si trascura di far cenno, tuttavia, del numero degli
anni per cui tale «beneficio» verrebbe a durare. In realtà, la simulazione, che è comparsa sulle colonne del «Sole - 24 Ore», ha già mostrato che
la «convenienza» della Convenzione è un puro effetto ottico. Sia perché tende a
spostare verso l'infinito il tempo di estinzione finale del mutuo, sia perché
cede senz'altro alle ipotesi basate sulla figura della portabilità. La voce del
«minore esborso» alimenta, in effetti, una mera illusione.
4.- Sotto il profilo strutturale, il mutuo toccato dalla Convenzione non
diventa a tasso fisso, restando per contro a tasso variabile. Fisse divengono
solo le singole rate che via via bisogna pagare: in modo corrispondente, tale
mutuo comporta un obbligo di pagare per più tempo. Questo allungamento del
periodo della durata, peraltro, non è gratuito: e, nei fatti, non solo in
ragione degli interessi corrispettivi (che sono lasciati a tasso variabile in
punto di produzione temporale) alla spalmatura nel tempo delle rate ulteriori.
Riempiendo un «buco» lasciato dal decreto legge, la Convenzione stabilisce che
i surplus delle somme non richieste alla scadenza delle singole rate sono
«addebitati su di conto di finanziamento accessorio» che «produce interessi,
capitalizzabili annualmente». Ora, per la verità non è detto che la previsione
di tale anatocismo sia davvero legittima: come è noto, da qualche anno le
banche sono state sottratte al regime comune della materia (seppure a mezzo di
una disposizione la cui tenuta costituzionale continua manifestarsi quanto meno
improbabile) e affidate a una delibera amministrativa che, in tema di mutuo,
consente l'anatocismo solo per le somme rimaste inadempiute (mentre, nel caso
nostro, si tratterebbe di somme solo scadute, ma non già esigite).
Comunque, l'intendimento della Convenzione è chiaro: in questo momento il mutuo
toccato dal provvedimento risulta essere più caro, anche se non sono certo da
escludere contenziosi in proposito (comunque non decisivo mi parrebbe al
riguardo il cenno che il decreto legge dedica al tema: nel contesto di una
prescrizione di rinegoziazione in sé diretta a favore del cliente, invero, non
si comprende se lo stesso vorrebbe ripristinare il generale divieto di
anatocismo anche per le banche o se, all'opposto, allargarne le maglie della
libertà). Un'altra illusione, insomma, è destinata a cadere.
Anche perché a contare sono pure i silenzi lasciati dalla Convenzione. Questi
spazi in bianco, difatti, vengono a tradursi in altrettanti spazi di
autodeterminazione per le banche che alla medesima pur vorranno aderire. In
nessuna parte di questa si trova una disciplina per i costi e le spese
afferenti al «conto accessorio»: spese di costituzione, di tenuta, ricarico di
costi fiscali e quant'altro non difficilmente troveranno cittadinanza tra le
voci di composizione del debito complessivo. Soprattutto, nessuna norma della
Convenzione si occupa della importantissima materia della imputazione dei
pagamenti, come pure si sarebbe dovuto. Non vi è dubbio che, nella misura in
cui le somme destinate a rifluire sul «conto accessorio» vengano imputate alla
linea capitale (e non a già quella per interessi), la quantità del debito
complessivo venga progressivamente a crescere.
5.- Tornando al confronto tra i decreti Bersani e la convenzione Tremonti, non
si può non sottolineare, altresì, la diversità delle metodologie di intervento
governativo rispettivamente adoperate. Il precedente governo cercava di imporsi
dall'alto: con scarsi risultati pratici, a stare almeno alla polemica tra
l'Autorità dell'Antistrust e l'ABI di fine dell'anno scorso. Il governo attuale
ricerca, invece, il consenso delle banche: già il decreto legge prevedendo
l'adozione dello strumento della «convenzione ... aperta all'adesione delle
banche».
Almeno a prima vista, non pare peraltro che il vincolo per le banche in
concreto aderenti alla Convenzione sia poi così stringente. Le differenze tra
banche aderenti e banche non aderenti non sembrano poi così grandi (al di là di
una oscura «schedatura» compiuta, secondo quanto promesso dal «modulo di
adesione» dal Ministero dell'Economia).
Sintomatico è, in proposito, che la rinegoziazione possa essere attivata e
condotta unicamente dalle (singole) banche: nessuna iniziativa è consentita al
cliente, nessuna sua possibilità di rilancio (verso mete migliori). Ciò
esclude, senza incertezze, l'eventualità di predicare un diritto del cliente
alla prestazione nei confronti diretti della banca interessata: la Convezione
non è proprio un contratto a favore di terzi. Altrettanto difficile (e anche in
via correlata) risulta pensare che il cliente sia dotato del rimedio
dell'esecuzione forzata in forma specifica: l'impegno della banche aderenti
trova il proprio titolo nella Convenzione; e a questa, per l'appunto, i clienti
restano senz'altro estranei.
D'altronde, anche l'ipotesi di una semplice tutela risarcitoria del cliente a
fronte della banca (che, pur avendo aderito, in certi casi rifiuti di procedere
alla rinegoziazione) appare improbabile: dove sarebbe ad esempio l'ingiustizia
del danno, necessaria per la tutela extracontrattuale del cliente? E a conferma
di una simile lettura sta, per di più, la constatazione che il testo della
Convenzione non prevede sanzioni di sorta. Non solo: sarebbe veramente da
considerare inadempiente (alla Convenzione in genere) la banca che, di fronte a
un cliente in forte difficoltà economica, condizionasse la sua proposta alla
prestazione di una garanzia ulteriore?
In un simile contesto, di debole vincolo per le banche aderenti (oltre che di
insufficiente tecnica normativa), non stupisce l'ulteriore constatazione che la
Convenzione omette del tutto di regolare il caso del cliente inadempiente al
pagamento delle nuove rate: in particolare, se e quando un simile inadempimento
venga a travolgere l'intero impianto dell'avvenuta rinegoziazione (conto
accessorio compreso). Anche se va pure rilevato che l'eventualità appena
considerata non avrebbe mai potuto essere ritenuta così marginale in fatto da
potere essere senz'altro trascurata: se non altro, per definire la misura della
«boccata di ossigeno» che la Convenzione Tremonti avrebbe inteso dare alle
«famiglie più in difficoltà».
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