Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/04/2011 Scarica PDF
Prescrizione e «operazioni bancarie in conto corrente»: sul comma 61 della legge n. 10/2011
Aldo Angelo Dolmetta, già Consigliere nella Prima sezione della Corte di Cassazione, già Professore ordinario di Diritto privato nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.SOMMARIO: 1. I fatti. - 2. «Contesto» del comma 61. - 3. Interpretazione del primo periodo del comma 61. - 4. Interpretazione del secondo periodo del comma 61. - 5. Palese incostituzionalità del secondo periodo. - 6. Incostituzionalità (alquanto) ipotetica del primo periodo. - 7. Per una lettura critica della sentenza delle Sezioni Unite. - 8. Profili «funzionali». - 9. Decorrere della prescrizione dall'estratto conto successivo al versamento. - 10. Cenno bibliografico.
1. I fatti
I fatti sono noti. Risolvendo una questione valutata «di particolare
importanza» e che trova allo stato divisa la giurisprudenza di merito, le
Sezioni Unite della Cassazione stabiliscono che - ove il cliente, agente per la
nullità della clausola di interessi anatocistici, chieda altresì la ripetizione
dei relativi pagamenti indebiti - il termine decennale di prescrizione decorre,
trattandosi di apertura in c/c e quando i versamenti compiuti hanno «avuto solo
funzione ripristinatoria della provvista», dalla «data in cui è stato estinto
il saldo di chiusura del conto» (Cass. n. 24418/2010: per il caso di versamento
su conto scoperto - decide la Corte - la prescrizione, per contro, parte
subito). Il deposito in cancelleria cade il 2 dicembre.
La sentenza fa molto rumore. E, naturalmente, viene a preoccupare parecchio le
banche: non solo per la frequenza della prassi di protrarre i rapporti
contrattuali di c/c per lunghissimi, indefiniti tratti temporali. Secondo un
accorgimento già altre (e più) volte sperimentato (tra gli altri) da questo
milieu imprenditoriale, allora, un senatore del partito di maggioranza relativa
- vicino (pure per ragioni di parentela) agli ambienti bancari - propone
l'introduzione di una apposita norma di legge: nell'intento specifico di
cancellare, appunto, il dictum della Cassazione.
Nonostante l'opposizione parlamentare (che si traduce anche in una
interpellanza assai corposa, formulata da esponenti di Italia dei Valori, primo
firmatario il Presidente dell'ADUSBEF), la norma - che si compone di due
separati periodi - passa: a mezzo della fiducia che il governo pone per
l'approvazione dell'intero maxi-emendamento del c.d. decreto milleproroghe
(legge di conversione 26 febbraio 2011 n. 10, art. 2, comma 61).
Corrono pochi giorni - undici, per l'esattezza (essendo la norma nuova entrata
in vigore il 27 febbraio) - e il Tribunale di Benevento viene a promuovere «di
ufficio, per violazione degli art. 3, 24, 41, 47, 102 della Costituzione»
un'apposita questione di legittimità costituzionale: con distinto riferimento a
ciascuno dei (due) periodi in cui la norma è stata articolata. Già la settimana
prima, peraltro, la Corte d'Appello di Ancona si era soffermata su questa nuova
legge: per prendere in effettiva considerazione il suo solo periodo iniziale e
per negarle seccamente ingresso in un processo pendente.
E più tribunali - nei giorni subito successivi all'ordinanza di rimessione (poi
ribadita dal Tribunale di Brindisi sez. dist. Ostuni, 14 marzo 2011, che alla
norma ha ascritto anche la violazione degli artt. 111, 117, comma 1, e 104) -
rifiutano l'applicazione del comma ai processi in corso, anche preso atto della
sollevata questo di illegittimità costituzionale. Si veda, in specie, il
Tribunale di Ferrara, 29 marzo 2011, il quale - dopo avere tra l'altro
richiamato che la norma del comma 61 «è già stata oggetto di rimessione alla
Corte Costituzionale» - è andato ad affermare che comunque «appare doverosa una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma ..., che ne escluda
quantomeno la applicazione ai rapporti instaurati prima della sua entrata in
vigore, come quello di cui è causa» (nonché Trib. Brescia, 24 marzo 2011, che
aggiunge: la norma del comma 61 non ha «innovato la disciplina codicistica
dell'art. 2033 c.c., né ... intaccato il ragionamento posto alla base della
recente pronuncia delle Sezioni Unite»). Si viene insomma a delineare una
tendenza al rifiuto: e di sicuro non inconsistente, per quanto, è naturale, non
sia nota la rappresentatività del (relativo) campione.
Ora, sul piano del fatto - e del valore sociale - la riassunta vicenda si
commenta da sola: meglio, innegabile, si autodenuncia il troncone di vicenda
sin qui compiutosi, nell'attesa dei futuri sviluppi. Certi nell'an, nel
concreto rimane incerto lo scrutinio del loro segno.
Sul piano del diritto - già nel tempo dell'oggi -, invece, le cose paiono un
poco più complicate.
2. «Contesto» del comma 61
2.1.- Per venire dunque a prendere in considerazione le disposizioni contenute
in questo comma 61, quasi in via preliminare è da rilevare la densità dei
commenti e interventi che vi si dedicano, pur nella forte immediatezza che sta
adesso trascorrendo. Il tema è davvero importante per la pratica. Ciò
nonostante la questione - valutata di particolare importanza dalla Cassazione -
si fissi su pagamenti anatocistici anteriori all'ottobre (grosso modo) 1999: in
un modo o nell'altro, l'avvenuta introduzione della norma dell'art. 120 comma 2
nel Testo unico, e la successiva delibera CICR (qualunque cosa si pensi dell'una,
come dell'altra), hanno alquanto allontanato - nei fatti - le successive
clausole di capitalizzazione dal vaglio del giudice ordinario (seppure qualcuno
sostenga occorresse, per potere sfruttare la delibera CICR di «conseguente»
liberazione delle banche dal divieto, accendere proprio dei nuovi rapporti di
conto corrente).
Su questa linea è da notare, poi, che, secondo quanto sembra, ad attirare la
prevalente attenzione - e preoccupazione - dei lettori è la regola del primo
periodo. Per quanto pur essa fatta oggetto di non benevola accoglienza, per ora
la seconda pare rimanere più sullo sfondo: corrono voci (per nulla confortate
dal testo di legge) che l'idea del contingente legislatore sia stata quella di
escludere un «contenzioso di recupero» da parte delle banche. Anche se, per la
verità, già a una prima, rapida lettura è il secondo periodo a manifestarsi per
intero votato al pregresso, non il primo (cfr. infra, in fine del n. 2.2.).
2.2.- Venendo al merito: corrente nelle prime letture del comma appare il
giudizio per cui l'intento del legislatore - di «salvare le banche» (la formula
ricorre nei lavori parlamentari) - sarebbe stato mancato. Lo stesso Tribunale
di Benevento, nel sindacare la costituzionalità del periodo iniziale, non va
oltre una segnalazione che resta, tutto sommato, alquanto generica: la «portata
innovativa» di detta formula «si presta a varie interpretazioni, alcune delle
quali in palese contrasto con i principi costituzionali». Non è proprio
spiegato, insomma, come il testo di questo periodo potrebbe essere ricostruito
e interpretato in maniera da risolvere i problemi delle banche.
Ora, subito si vedrà che il giudizio di inefficienza del comma (rispetto
all'intenzione dei suoi conditores) si manifesta corretto: questo, tuttavia,
con riferimento esclusivo al primo dei periodi di cui esso si compone. Per
contro, l'altro periodo risulta porre, in sé, una pietra davvero tombale sul
problema: meglio, sul dictum formulato dalle Sezioni unite. Come pure si palesa
senz'altro affetta questa frase terminale del comma, e in termini gravi, dal
vizio dell'illegittimità costituzionale.
Il che, però, non vuole a sua volta dire che la soluzione accolta dalla citata
sentenza della Cassazione sia - a livello di diritto vigente, e anche di legge
ordinaria non incostituzionale - esatta. Nell'ipotesi in cui il futuro
rivelasse che la Consulta passi realmente a sigillare il comma 61 con pronuncia
dell'incostituzionalità, in effetti, la questione potrebbe (e dovrebbe) venire
a riaprirsi. Fino a ritornare, in relazione al diritto immediatamente
applicato, alle Sezioni Unite: per il tramite di apposita rimessione
proveniente da una sezione semplice del Supremo Collegio che stimi corretto non
condividere il principio affermato nel dicembre dello scorso anno (art. 374,
comma 3, c.p.c.).
2.3.- Nell'accostarsi un poco più da vicino alle frasi normative di cui al
comma 61, ma pur sempre in via preliminare, viene opportuno notare che sul
piano oggettivo né il primo, né il secondo periodo fanno alcun richiamo
esplicito alla figura dell'anatocismo. Anzi, per essere più precisi, è da
osservare che - nella lettera del comma 61 - latitano proprio i riferimenti di
segno soggettivo. In positivo, entrambe le formule si richiamano alla (sola)
materia delle operazioni bancarie in conto corrente (tale, in effetti, dovrebbe
essere il senso dell'incipit del periodo conclusivo). Sono questi, a quanto
pare, i tratti comuni alle distinte disposizioni del comma 61. Le quali, per il
resto, risultano invece discontinue.
La formula iniziale si occupa di «prescrizione» di diritti; l'altra si ferma,
per contro, sul punto della «restituzione» di somme. D'altro canto, mentre la
prima pone al suo centro l'«annotazione», l'approdo della seconda sta nel
«versamento» di importi.
Solo il primo periodo si autodefinisce, poi, quale «norma interpretativa»: il
che vorrebbe significare, in termini per così dire di promessa (ovvero di
minaccia), che detto primo periodo intenderebbe occuparsi sia dell'esistente -
anche sui processi in corso, è presumibile - sia pure del futuro. Il secondo
proietta per intero il suo sguardo, per contro, su quanto è accaduto prima
dell'entrata in vigore della legge: sia attualmente in essere, oppure no, un
qualunque itinerario processuale. Come dire: se la prima formula potrebbe
essere considerato pure come norma de futuro, la seconda rimane inevitabilmente
chiusa sul passato.
3. Interpretazione del primo periodo del comma 61
3.1.- Stante il tenore della sua formulazione (e al di fuori à di ogni
ipotetica contingenza di cronaca, su cui v. sopra nel n. 2.1.), risulta che
tratto di base del periodo finale del comma 61 è di riguardare e coprire tutti
i «versamenti di importi»: per sé, tanto se effettuati dal cliente alla banca,
quanto pure se compiuti dalla banca al cliente (su questo aspetto cfr. pure
infra, nel n. 4.2.); e quale che sia, comunque, il tempo in cui gli stessi sono
avvenuti purché anteriori al 27 febbraio 2011. Per tutti questi versamenti,
dunque, la norma pretenderebbe di escludere ogni possibile «restituzione».
Ora, che la stessa comunque soffra - e proprio sul piano della sua confezione -
di una generalizzazione inopportuna è evidente. Vero è pure, però, che essa
scavalca ogni problema di eventuale prescrizione; va proprio oltre: senza
discriminazioni colpendo ogni versamento. Per sé, l'osservazione è assorbente:
data la dimensione del periodo finale del comma - che, tra mille altri, nel suo
seno ricomprende anche i versamenti di non dovuto anatocismo - quella del
periodo iniziale non può venire a riguardare questi stessi indebiti pagamenti.
3.2.- Comunque sia di quanto appena sopra rilevato, non si potrebbe ritenere -
in via autonoma - che la disposizione del primo periodo costituisca una replica
minore e parziale del secondo. Il rilievo è in effetti corrente nell'ambito dei
primi commenti: l'annotazione in conto, a cui risoluta viene a riferirsi la
detta regola, non è un pagamento del cliente. E non solo perché l'annotazione è
- per sua propria definizione - attività esclusiva della banca (cfr., per pura
abbondanza, la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 1835 c.c., con diretto
riguardo all'annotazione su libretto).
Ma altresì perché, naturalmente, un'annotazione non produce spostamenti
patrimoniali; né mai potrebbe produrli. Può essere - è normale, anzi - che a
un'annotazione corrisponda (= faccia riscontro) il verificarsi di uno
spostamento patrimoniale: quando, per l'appunto, un versamento alla banca
ovvero un prelievo dalla banca vi sia stato; non diversamente è normale anche
che la fatta annotazione risponda all'esistenza di un debito e, dunque, di un
credito. Resta incontestabile, insomma, che l'annotazione dichiara (se
corretta), non costituisce.
Il che, per la verità, sembrerebbe pure aprire lo spazio per una possibile
interpretazione in positivo di questa formula del primo periodo. Constatata la
natura contabile dell'annotazione, contabili non possono non essere - per la
necessaria coerenza che accompagna l'effetto alla fattispecie - pure i
«diritti» (i.e.: rettifica) che dalla stessa vengano, nel caso, a «nascere»:
diritti tanto del cliente, quanto della banca, perché legati alla «verità» (per
dirla in breve) dell'annotazione.
Pertanto, il terreno di riferimento del primo periodo del comma 61 sta negli
«errori di scritturazione o di calcolo», nelle «omissioni» e nelle
«duplicazioni» cui allude la norma del comma 2 dell'art. 1832, come poi
richiamato dall'art. 1857 (la sostanza del richiamo alla disposizione dell'art.
1832 si ritrova anche nell'interpellanza composta dai senatori di Italia dei
Valori: «probabilmente [per] la fretta e l'assenza di lavori preparatori» la
norma ha «spazio e ... portata ben ridotta»; l'«interpretazione sulla portata
della prescrizione, relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto, può
solo completare la normativa già esistente in materia di decadenza dalla
contestazione della singola appostazione in conto corrente»).
Non poi così utilmente, in definitiva, la regola del primo periodo del comma 61
viene a inserirsi nella disciplina ordita dalla seconda parte del capoverso
dell'art. 1832: completando sul piano della prescrizione quanto quest'ultima
detta sul piano della decadenza. Che poi lo stesso abbia natura
«interpretativa», ovvero conti unicamente de futuro, si manifesta a questo
punto questione davvero minore; e direi da risolvere sulla falsariga della
constatazione che, durante il corso dei primi suoi settanta anni di vita, della
questione medesima il codice, se non sbaglio, non era riuscito ad avvertire la
sussistenza: o solo a fatica, al più, l'aveva percepita.
3.3.- Come si vede, la distanza tra i desiderata dei costruttori della norma
(per il primo periodo di questa) e il risultato raggiunto sul piano oggettivo è
molto ampia, se non eclatante. Ci si può legittimamente interrogare sulla
ragione di tanto.
La mia impressione è che si tratti di un fraintendimento delle Sezione Unite
(al di là della fretta; al di là degli assenti lavori preparatori). Di una
lettura fraintesa delle relativa pronuncia: lettura, peraltro, che potrebbe
pure essere stata un po' «provocata», forse, da quella venatura di ambiguità
che le Sezioni Unite non mancano di mostrare.
Vero è che - nel corso della spesa motivazione - la sentenza sottolinea chiara:
l'«annotazione in conto ... in nessun modo si risolve in un pagamento».
Tuttavia, proprio lì vicino la stessa viene ad affermare che l'«annotazione ...
comporta un incremento del credito ... o un riduzione del credito», così
sembrando assegnare alle scritturazioni un tratto di costitutività, che queste
sono ben lungi, per contro, dal possedere.
D'altro canto, nell'avviare la motivazione la sentenza indica un corno del
proprio interrogativo nei termini specifici del «quando è stato annotato in
conto ciascun addebito per interessi». Soprattutto, nel chiudere il discorso,
viene enunciato un principio di diritto in cui la prescrizione decorre - per i
versamenti eseguiti «in pendenza del rapporto»- dalla «data in cui è stato
estinto il saldo di chiusura del conto» (cioè, così almeno parrebbe di
comprendere, da un dato contabile; i corsivi sono aggiunti).
4. Interpretazione del secondo periodo del comma 61
4.1.- Fermata sopra l'irrilevanza del fatto che sia o meno intervenuta una
prescrizione per l'applicazione del secondo periodo del comma 61, si tratta
adesso di portare a compimento il discorso su questa disposizione rivolta al
passato.
Sembra, di per sé, che la dimensione oggettiva delle «operazioni bancarie in
conto corrente» - dalla norma volute in applicazione - sia molto ampia. Il
cerchio riguarderebbe, infatti, tutto ciò che non è stato «restituito» (: «in
ogni caso non si fa luogo a restituzione») ... ma che avrebbe dovuto - o
dovrebbe - essere «restituito». Tutti i crediti e i tutti debiti di sostanza
bancaria, quindi: com'è noto, quella di «restituzione» è espressione tecnica
per chiamare i debiti derivanti da causa creditizia (artt. 1813 e 1845, comma
2, c.c.) e quelli frutto di deposito irregolare (artt. 1782 e 1834, comma 1,
c.c.).
A rigore, anzi, fuori potrebbero rimanere proprio (e solo) gli indebiti: nella
misura in cui si ritenga che l'azione di ripetizione non abbia natura
coincidente con quella restitutoria. Ma un simile rilievo mi sembrerebbe,
comunque, oggettivamente superabile: il sistema non manca di mostrare, talora,
l'azione di restituzione come genus comprensivo anche della ripetizione (e il
pensiero va - sia pur in via di sostanziale semplificazione tematica - diretto
alla norma dell'art. 2037 c.c., per la restituzione «ripetitoria» di cosa
determinata).
Certo in ogni caso è che, così, la norma risulta impressionante per portata:
quanto assurda. Né, davvero, v'è bisogno di verificarlo ulteriormente. Una
cieca furia distruttiva.
4.2.- Ciò posto, gli ulteriori cenni di ordine interprativo, che qui stendo,
possiedono dichiarata natura ipotetica. Per ridurre una così grottesca - e
tremenda - portata, si potrebbero ipotizzare due distinti ordini di
considerazioni.
Fermo il resto, si potrebbe violentare il canone dell'interpretazione oggettiva
della legge per dire, naturalmente, che plus lex dixit quam voluit. Insomma, il
legislatore avrebbe voluto parlare della sola azione di ripetizione, senza
arrivare alla materia fisiologica dell'attività bancaria (anche così facendo -
è opportuno peraltro avvertire - comunque non si potrebbe arrivare a
circoscrivere la norma in via ulteriore: dal più piccolo cerchio dell'indebito
a quello minore ancora dell'indebito anatocistico).
Oltre a ciò - ma anche indipendentemente -, si potrebbe ipotizzare l'eventuale
assegnazione di un significato specifico all'espressione versamento di
«importi». Come è noto, il codice civile considera le dazioni di danaro
correnti tra banca e cliente sotto l'angolo prospettico del cliente (artt.
1834, comma 2, e 1843, comma 2, c.c.): è questi, appunto, che versa e che
preleva. Così stando le cose, «bloccati» resterebbero, all'evidenza, solo le
prestazioni effettuate dal cliente e non anche quelle compiute dalla banca.
5. Palese incostituzionalità del secondo periodo
Ciò posto, a me pare che comunque - in tutte e tre le sue ipotetiche «versioni»
prospettate appena sopra, come appena sopra prospettate - la norma sul passato
sia senz'altro incostituzionale. E anche al di là della pur evidente carica
innovativa che le è propria: jus superveniens con piena ed esclusiva efficacia
retroattiva [veramente, il dubbio di incostituzionalità attraverserebbe la
disposizione persino ove essa si limitasse a negare la eventualità di un
«contenzioso di recupero» da parte delle banche (come allegato da talune voci,
ma negato dal testo normativo; cfr. sopra, nel n. 2.1.): con riguardo non ai
giudizi già passati in giudicato, va da sé, bensì a quelli ancora non chiusi].
Per quanto enfatici, sul punto non si può in nessun modo dare torto ai verba
stesi dal richiamato provvedimento del Tribunale di Benevento: la «norma fa
strage non solo delle principali regole giuridiche e costituzionali ... ma
anche dei più elementari canoni di logica e avvedutezza nella regolamentazione
normativa dei rapporti tra consociati».
Più da vicino, il periodo finale del comma 61 introduce un profilo di
astrattezza degli spostamenti patrimoniali riferiti all'ambito delle operazioni
bancarie in conto corrente: più o meno grande, all'evidenza, a seconda del
cerchio applicativo che le si intenda conferire. Un profilo, si deve precisare,
decisamente illogico secondo i canoni primari del pensiero giuridico. E che
comunque comporta - in tutte e tre le varianti - ingiustificate disparità di
trattamento: tanto sulla linea della trama, quanto sulla linea dell'ordito.
Oltre a manifestarsi di intrinseca irragionevolezza, com'è trasparente.
Sotto la prima linea, il confronto si pone alla radice con tutte le operazioni
diverse da quelle bancarie in conto corrente: appena il caso di segnalare, poi,
l'enormità di una disparità distinta tra quella della banca e quella del
cliente. Sotto la seconda linea, non risulta oggettivamente possibile
immaginare una ragione plausibile per cui la data del 27 febbraio 2011 possa
ragionevolmente ergersi a spartiacque di una differenza corrente tra
l'astrattezza degli spostamenti patrimoniali (prima) e la loro (ritornata)
causalità (dall'ultimo giorno di febbraio in poi).
Prima di ogni altra cosa, la contrarietà alla Costituzione del secondo periodo
del comma 61 si pone, quindi, in relazione all'art. 3, comma 1: per compiuta
irragionevolezza dei suoi contenuti precettivi e per l'ingiustificata disparità
di trattamento che viene a produrre.
6. Incostituzionalità (alquanto) ipotetica del primo periodo
6.1.- Accogliendo la modesta - quanto inevitabile, a me pare - interpretazione
sopra fornita (nel n. 3.2.), la regola del primo periodo sicuramente non
manifesta problemi di incostituzionalità. Diversamente starebbero le cose, ove
invece si intendesse - contra rationem e contro ogni canone ermenuetico - dare
a questa disposizione un significato più o meno prossimo alle psichiche
intenzioni dei suoi contingenti legislatori. Ma qui, secondo me, occorre
cominciare a distinguere: avanti ogni altra cosa, all'interno della generica
eventualità di una prescrizione corrente già prima di una sopravvenuta chiusura
del conto.
Se la tesi consistesse nel fare decorrere la prescrizione dal giorno
dell'annotazione dal giorno dell'annotazione in conto del debito di interessi
anatocistici (è questa, si ricorderà, il corno alternativo preso in esame dalla
sentenza delle Sezioni Unite: cfr. nel n. 3.3.), l'incostituzionalità mi pare
sarebbe ugualmente sicura. In buona sostanza, per un ordine di ragioni assai
vicino a quelli appena sopra addotti. Non ha senso in sé fare correre la
prescrizione del diritto di ripetere l'indebito prima che l'indebito sia
compiuto; e ancora meno ha senso sparigliare per un solo tipo di situazioni.
Se la tesi rivoluzionaria del testo del primo periodo del comma 61 fosse per
contro formulata nei termini di prescrizione decorrente dal compimento di un
versamento effettivo, allora, a mio giudizio, occorrerebbe ulteriormente
distinguere. Un conto è il «come» storico dell'avvenuta introduzione di questa
norma; un altro è la valutazione del «cosa» sarebbe stato così introdotto.
6.2.- Se si scorre la motivazione dal Tribunale di Benevento, si coglie con
facilità che una metà delle ragioni di incostituzionalità lì rilevate
concernono proprio il «come». L'ordinanza viene così a segnalare, al riguardo,
il «principio della tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti
per l'effetto nomofilattico delle pronunce della Corte di Cassazione», quello
della «coerenza e ... certezza dell'ordinamento giuridico», quello - ancora -
del «rispetto e ... non invasione delle funzioni costituzionalmente riservate
al potere giudiziario».
Nel suo insieme, quest'ordine di rilievi mi pare senz'altro centrato. In
diversi termini: la dinamica relativa alla questione della prescrizione
anatocistica solleva una vera e propria questione istituzionale. La molla
dell'intervento legislativo è scattata proprio quando la giurisprudenza
ordinaria ha espresso la decisione del suo vertice superiore. Come è noto, in
effetti, in materia di prescrizione e c/c l'orientamento del Supremo Collegio
era già consolidato. D'altra parte, di ripetizione di pagamenti anatocistici si
parla quanto meno dalla fine del millennio scorso.
Ciò posto, il nocciolo della questione istituzionale sollevata dal comma 61
risulta ormai netto. E' noto che il principio della separazione dei poteri tra
funzione legislativa e funzione giurisdizionale si muove tra due opposti poli
teorici: quello per cui l'interpretazione è affare esclusivo del legislatore e
quello invece l'interpretazione autentica gli è sempre negata. Nella realtà,
però, tra questi due poli si articola tutta una fila di diverse sfumature. E
quando l'intervento legislativo - condotto che sia o meno per la via esplicita
dell'interpretazione (una vera finzione!) - viene in concreto a costituire un
sostanziale attentato al potere interpretativo dei giudici, non risulta
azzardato, bensì ragionevole profilare il dubbio degli artt. 101 comma 2 e 102
comma 1 (il compito della Consulta venendo allora ad attestarsi sul momento di
retroattività determinato dalla norma implicitamente o esplicitamente
interpretativa).
Il richiamo all'art. 102 è effettuato pure dall'ordinanza del Tribunale di
Benevento, seppure in guisa e ottica diverse: «diritto di tutela dei propri
diritti davanti agli organi giurisdizionali ordinari». E da riscontrare è il
Tribunale di Brindisi, sempre in ragione dell'art. 102 («violazione delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario): «si tratta ... di
stabilire se la statuizione contenuta nella norma censurata integri
effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa ... ovvero sia
diretto ad incidere su concrete fattispecie sub judice».
6.3.- Diverso discorso credo si debba fare, per contro, in relazione al
contenuto di una soluzione normativa che si muova nell'ordine di idee di fare
correre la prescrizione in correlazione al tempo di compimento dei singoli ed
effettivi pagamenti. In sé stessa, l'idea non mi sembra affatto
incostituzionale.
Svolgere gli assunti a questo profilo relativi, peraltro, significa in parte
«giustificare» la tesi che, in buona sostanza, a me sembra corretta in punto di
ricostruzione - per diritto positivo (e non incostituzionale) - del dies a quo
dell'azione di ripetizione di pagamenti indebiti come affluiti in conto
corrente di corrispondenza (ho scritto «in parte» perché, in realtà, ritengo
soluzione senz'altro preferibile quella che - come linea di massima - fa
decorrere la prescrizione dalla data dell'estratto conto successivo
all'avvenuto versamento).
Ora, indirizzarsi verso questa direzione, in verità, quasi inevitabilmente
comporta farsi carico della diversa tesi svolta dalle Sezioni Unite (e anche,
incidentalmente, del diverso argomento su cui si basavano le pronunce delle
sezioni semplici). In effetti, la tesi delle Sezioni Unite si sostanzia nel
ritenere che - prima della chiusura del conto - non si presenta (se il conto è
affidato) nessun pagamento; e se questo fosse vero, ogni tesi diversa da quella
della Cassazione risulterebbe incostituzionale: si veda, infatti, quanto appena
sopra rilevato nel penultimo capoverso del n. 6.1. (: è incostituzionale ogni
norma di legge che faccia correre la prescrizione dell'azione di ripetizione da
un momento antecedente a quello del pagamento).
Dall'altro lato, a seguire la tesi delle Sezioni Unite - si deve ancora
aggiungere -, bisognerebbe pure affermare per coerenza di tesi che, prima della
chiusura del conto, nessuna azione di ripetizione sarebbe anche solo
ipotizzabile (: nessun indebito essendosi ancora verificato). A pensare
altrimenti, è evidente che - nella sostanza delle cose - si verrebbe a
enfatizzare in termini abnormi (e costituzionalmente non corretti, vista la non
giustificatezza della disparità di trattamento così realizzata) l'effettiva
durata del periodo di prescrizione relativo ai versamenti del conto.
Nel volgersi all'ultima fase della sua parabola, dunque, il discorso va a
muovere dall'ipotetico presupposto che la Corte Costituzionale venga a fare
«piazza pulita» del comma 61 (per quanto, in ogni caso, conta). E che per la
nostra materia si apra, quindi, una fase ancora ulteriore: quella, appunto,
relativa la questione dei limiti concreti del c.d. «dovere di fedeltà» dei
giudici nei confronti dei dicta delle Sezioni Unite (cfr. anche sopra, nel n.
2.1.). E del connesso «onere motivazionale» occorrente per riportare la
questione avanti le Sezioni Unite della Cassazione.
7. Per una lettura critica della sentenza delle Sezioni Unite
7.1.- Come già sopra si è sottolineato, l'opinione di fare partire la
prescrizione dalla chiusura del conto è ricorrente nella giurisprudenza del
Supremo Collegio. La sentenza delle Sezioni Unite, peraltro, viene a prendere
le distanze dai relativi precedenti: nel senso dell'abbandono del tradizionale
argomento sinora addotto e consistente nell'unitarietà del rapporto di c/c.
Correttamente, la decisione annota che tale rilievo si manifesta per nulla
decisivo.
«Ogni qual volta un rapporto di durata impliche prestazioni in danaro ripetute
e scaglionate nel tempo - si pensi alla corresponsione dei canoni di locazione
... - l'unitarietà del rapporto contrattuale ed il fatto che lo esso sia
destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare indebito
ciascun singolo pagamento»; così essa puntualizza. E, in effetti, nel vigente
sistema la prescrizione dei crediti alla corresponsione dei canoni locatizi
(per esempio) si trova scadenziata lungo il corso di un perdurante rapporto e
ordinata per la via progressiva: cfr. la norma dell'art. 2948 c.c.
7.2.- Per altro verso, è tuttavia da rimarcare l'estraneità sostanziale alla
materia in specifico interesse (: la prescrizione dell'azione di ripetizione di
pagamenti indebiti affluiti su un c/c) del nuovo argomento che, in cambio, la
decisione delle Sezioni Unite ritiene di addurre per sciogliere la questione.
La sentenza muove la enunciazione della sua tesi dalla distinzione tra conto
scoperto e conto passivo, ma assistito da apertura di credito; fa leva, cioè,
sul distinguo tra versamento che risponde a erogazione di somme rientranti nel
limite di disponibilità dell'apertura concessa (: la prescrizione decorrere
dalla chiusura del conto) e versamento su «anticipazione del mandatario» (la
prescrizione parte subito).
In realtà, ai fini del discorso sulla prescrizione tale distinzione - nata nel
ben diverso contesto della revocatoria fallimentare (delle rimesse in c/c) -
non appare di nessuna rilevanza. Né le Sezioni Unite spiegano per quali
ragioni, invece, la stessa dovrebbe rilevare. L'impressione della
giustapposizione è davvero evidente.
Ma sul punto è forse conveniente formulare - subito qui - parole ancor più
esplicite. Nella stagione della revocatoria delle rimesse in c/c (v. meglio
subito infra, nel n. 7.3.), la distinzione tra conto passivo e conto scoperto
rispondeva, tra l'altro (ché, in fondo, si trattava di una soluzione
politicamente di compromesso), a due profili funzionali. Il primo stava nel
discriminare tra un'azione bancaria (potenzialmente) rispettosa delle regole e
quella del «fido di fatto», che certamente azione rispettosa delle regole non
era (e non era, per dimensione concreta, sotto l'immediato riscontro della
Banca d'Italia). Il secondo dipendeva dalla precarietà del «fido di fatto», che
puntava diritto l'indice verso la scientia (ed è distinzione che i timidi
tentativi di revocatoria post-riforma del diritto fallimentare tendono a
respingere, per farne un tutt'uno: cfr. Trib. Udine, 24 febbraio 2011, secondo
oggi l'unico criterio rilevante è quello di una riduzione che sia consistente e
durevole). Oggi, invece, la funzione della distinzione tra conto passivo e solo
scoperto sembrerebbe essere unicamente quella di agevolare la posizione del
cliente.
7.3.- Nel merito, non è vero che i versamenti intrafido abbiano natura
esclusivamente ripristinatoria, come sostengono invece le Sezioni Unite. Come
si è appena ricordato sopra, la questione si pose con insistenza negli anni
settanta e divise, allora, la giurisprudenza di legittimità (mentre la dottrina
dell'epoca in grande prevalenza seguiva la tesi oggi non seguita dalle Sezioni
Unite). Nel corretto senso che la rimessa intrafido ha natura (prima) solutoria
e poi ripristinatoria (per l'effetto dell'avvenuto pagamento venendo a riespandere
il fido) cfr. Cass., 18 marzo 1975, n. 1043 e Cass., 20 ottobre 1975, n. 3415.
La capostipite dell'orientamento opposto è Cass., 18 ottobre 1982, n. 5413 (ove
pure l'affermazione chiave per cui «perché difetta l'esigibilità del credito,
il versamento non può essere considerato pagamento»).
In effetti, la tesi oggi ripresa dalle Sezioni Unite è contraddetta dal dato
strutturale: non si comprende come si possa «riespandere la misura
dell'affidamento utilizzabile in futuro» senza che risulta precedentemente
estinto il montante di debito precedente. Non lo si comprende proprio sul piano
della causa delle attribuzioni patrimoniali: dato un limite di fido (la «somma
di danaro a disposizione»), che in parte o in toto sia stato utilizzato, un
nuovo e corrispondente utilizzo (perché la disponibilità è ripristinata) può
avvenire solo o in ragione di un incremento negoziale del detto limite o per
effetto di uno spostamento patrimoniale a favore della banca.
Le Sezione Unite dicono che i versamenti intrafido non hanno - pendente il
rapporto - lo «scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale a favore della
banca». Pensano forse le Sezioni Unite che le somme ricevute siano trattenute
dalla banca a titolo di «cauzione» o altra «garanzia»? «Non vi è alcuna
incompatibilità logica nell'affermare che le rimesse abbiano un effetto
solutorio ... ed abbiano altresì un effetto ripristinatorio della
disponibilità» (Bonelli, p. 714)
Oltretutto, se i versamenti fossero solo ripristinatori, come vorrebbero le
Sezioni Unite, sul montante «non pagato» correrebbe ancora il tasso degli
interessi passivi, mentre la provvista depositata sarebbe corredata dal pour
boire prestabilito per quelli attivi. Un assurdo svantaggio per il cliente.
7.4.- La tesi delle Sezioni Unite si trova contraddetta, del resto, anche dal
diretto riscontro del positivo dato di legge. Se non altro, sotto due profili.
Prima di tutto, il riferimento va - diretto - alla norma dell'art. 1185 comma 2
c.c., volta appunto a disciplinare l'ipotesi della solutio ante diem.
L'inesigibilità (da parte della banca, caratteristica propria del c/c, e sino
alla chiusura del rapporto, ex art. 1852 c.c.) non è condizione di inesistenza
del debito: nel nostro sistema vigente il c.d. «pagamento spontaneo e
anticipato» è considerato come vero e proprio pagamento. E in termini davvero
univoci: oltre l'indebito. Basta pensare che l'interusurium assume rilevanza
solo nell'eventualità di un «errore scusabile» da parte del solvens (nei fatti,
la regola espressa dalla prima parte del comma 2 dell'art. 1185 costituisce uno
dei pochissimi casi in cui il sistema vigente trascura il principio secondo il
quale nemo cum alinea iactura locupletari potest, di cui all'art. 2041 c.c.).
Il secondo riferimento è legato al comma 2 dell'art. 1844 c.c., proprio nella
materia specifica dell'apertura di credito. Per quanto non vincolante sul piano
della qualificazione, il tenore di questa disposizione appare senza dubbio
univoco: «prima della fine del rapporto» conseguente all'apertura, il cliente
può «cessa[re] di essere debitore della banca».
7.5.- Vero è, quindi, solo che - pendente il rapporto di c/c - la banca non può
esigere prestazioni dal cliente: la regola di inesigibilità non va proprio
oltre una simile soglia. Per esprimersi con il lessico proprio del piano
dell'obbligazione: un pactum de non petendo. Altrimenti detto, si tratta del
comma 1 dell'art. 1185 c.c.
Ciò posto, per scrupolo di completezza del discorso conviene ancora una nota
con riferimento diretto alla tematica anatocistica e alla relativa dinamica
strutturale. La chiusura «contabile» del conto (: quella, per tradizione,
trimestrale) comporta la scadenza degli interessi di periodo; la persistente
permanenza del rapporto di c/c comporta, però, pure la non esigibilità
immediata dei medesimi da parte della banca (è un caso in cui non può proprio
trovare applicazione la regola per cui «dies interpellat pro homine»).
Da qui - per convenzione e attraverso lo scavalcamento del divieto anatocistico
fissato dalla legge comune - l'applicazione del meccanismo della
capitalizzazione, con il collegato passaggio del debito da interessi a debito
di capitale (si ricordi che - nella stessa descrizione fatta dall'art. 1283
c.c. - il meccanismo anatocistico passa unicamente attraverso la scadenza, non
anche una momentanea esigibilità del credito «capitalizzando»).
8. Profili «funzionali»
8.1.- Il versamento intrafido è, dunque, un vero e proprio pagamento (che solo
produce un effetto in più dei normali atti solutori: il ripristino appunto
della disponibilità). Fermato questo punto, occorre ora chiedersi se la
pendenza del rapporto bancario - per definizione sussistente al momento del
pagamento qui considerato - possa in una qualche misura incidere sul correre
della prescrizione: se per un verso o per altro, cioè, si presentino delle
condizioni ostative all'esercizio dell'azione di ripetizione durante la vita
del c/c.
Ora, può essere che in concreto la persistenza del rapporto possa anche
risultare, per un certo verso, fattore di coazione del cliente: indotto a non
esercitare l'azione di ripetizione per timore di una chiusura improvvisa del
rapporto da parte della banca; e spinto così ad attendere la chiusura del
rapporto. Può essere, si diceva.
Peraltro, non si può trascurare che l'ipotesi così rappresentata suppone la
conoscenza - al momento del versamento o giù di lì - del cliente che sta
effettuando dei pagamenti indebiti. D'altro canto, mi sembra assai più facile
che una eventualità del genere finisca per rappresentare, più che questo, il
caso del cliente tendente a transitare, ogni qualche passare del tempo, da una
banca all'altra banca.
Soprattutto, però, è da sottolineare che il nostro sistema - per fare
«slittare» il dies a quo della prescrizione - ritiene necessario il ricorrere
di una vera e propria situazione di «vizio del consenso» (cfr. l'art. 1442
comma 2, sub specie tanto di violenza, che dolo o errore; ma si consideri
questa norma anche nel confronto con l'art. 2941 n. 8, in punto di sospensione
della prescrizione per «doloso occultamento dell'esistenza del debito» da parte
del debitore).
8.2.- Ora, mi parrebbe difficile che - nelle situazioni-tipo riconducibili alla
fattispecie di indebito qui in concreto interesse - ricorrano davvero
circostanze così forti ed estreme [per la verità, la corrente giurisprudenza
sembra stringere un po' troppo la citata fattispecie sospensiva, posto che
questa esisterebbe solo nell'ipotesi di condotta ingannatrice e fraudolenta
tale da comportare una vera e propria impossibilità di agire per il creditore:
non manca però qualche crepa (: ai fini della sospensione, l'omissione di
informazione rileva «se sussista un obbligo di informare»); e, del resto, anche
il c.d. dogma di tassatività delle cause di sospensione sembrerebbe in procinto
di venire a incrinarsi, per l'inquinamento del canone di buona fede oggettiva).
E tuttavia la riserva, dal punto di vista teorico (= di quadratura del
sistema), si manifesta oggettivamente importante. E spiace, d'altra parte, che
la decisione delle Sezioni Unite non abbia divisato di spendere neanche un rigo
di motivazione sulla eventuale differenziale funzionale che possa correre tra
le diverse decorrenze (in effetti, la motivazione è tutta girata sui profili
strutturali della materia).
In ogni caso, stimerei sicuro che - con il detto «caveat» (cui si aggiunge,
peraltro, anche quello ulteriore, ma sostanzialmente connesso, che viene
formulato nell'ambito del prossimo n. 9.2.) - restino superate le perplessità
di merito costituzionale richiamate dall'ordinanza del Tribunale di Benevento:
sul principio di uguaglianza, come sul principio di ragionevolezza, su quelli
di tutela dei propri diritti, e ancora sul principio di libertà di iniziativa
economica e infine sul principio di tutela del risparmio.
In effetti, la specie sembra rappresentare niente di più e/o di diverso di
quanto è proprio - e per ogni genere di rapporto - dell'istituto della
prescrizione, così come fisiologicamente condotto dal nostro diritto positivo.
9. Decorrere della prescrizione dall'estratto conto successivo al versamento
9.1.- In verità, sotto il profilo della lettura degli interessi coinvolti, vi è
propriamente un profilo su cui occorrerebbe interrogarsi: profilo che, seppure
di livello subcostituzionale, rimane comunque di primaria importanza.
Sarebbe dunque da chiedersi che significato possa oggi avere - nel
contemporaneo della nostra civiltà - la differente disciplina normativa tra
azione di nullità e azione di ripetizione, così come stabilita dall'art. 1422
c.c. E l'interrogativo - è forse il caso di precisarlo - viene realmente a
trovarsi dibattuto tra più di una sponda: posto un ipotetico pareggiamento di
tempi, non è affatto detto, cioè, che il termine debba essere portato verso il
tempo infinito (personalmente, continuo a pensare che il baratto di una
prescrizione ragionevole dell'actio nullitatis con l'introduzione della c.d.
azione popolare gioverebbe assai al sistema).
9.2.- Al di sotto (e al di là) di questo profilo di elevata - e importante -
densità dogmatica, si tratta adesso ritornare alla nostra fattispecie-tipo:
così da completare il discorso volto alla precisa individuazione il dies di
decorrenza dell'azione di ripetizione dei diversi pagamenti che siano affluiti
in un c/c.
Ora, nel contesto di questa tipologia di operazioni, il fatto del versamento
del cliente alla banca si pone come fatto per sé neutro: ancora da qualificare.
A differenza di quanto avviene invece per la banca, che è il soggetto in via
esclusiva obbligato - secondo la stessa economia fisiologica del rapporto - a
tenere la relativa contabilità (cfr., ma solo a livello esemplificativo, le
disposizioni dell'art. 119 Tub).
La valenza del versamento del cliente - come somma a deposito ovvero come
pagamento - viene a dipendere, insomma dall'equilibrio volta a volta esistente
(sul piano contabile, il saldo): che è circostanza esterna al versamento
medesimo. In concreto, soprattutto, è compito proprio dell'estratto conto di
periodo a rivelare - ove corretta rappresentazione contabile di una dato di
realtà - se il versamento è venuto a sortire un effetto estintivo di un debito
o invece costitutivo di un credito.
Per queste ragioni, mi sembra corretto individuare il dies a quo della
decorrenza dell'azione di ripetizione nel tempo in cui il cliente risulta
sicuramente a conoscenza del valore dei relativi versamenti: e cioè una volta
trascorsi 60 giorni dal ricevimento dell'estratto di periodo ex art. 119, comma
3, Tub.
Questo - mi sembra opportuno ancora precisare - non perché l'estratto possegga
una ipotetica natura costitutiva: che sarebbe sicuramente assunto non vero.
Quanto piuttosto perché l'estratto (se corretto) dà una «prova» sicura, per
così dire: .- dell'essere avvenuto il versamento; .- del valore concreto del
versamento medesimo; e pure .- della conoscenza/conoscibilità di questo valore
da parte del cliente solvens (ciò che mi pare in linea, tra l'altro, sia con
una interpretazione «utile» dell'art. 2935 c.c., sia con i rilievi svolti
sopra, nel n. 8.1.). Nulla esclude, naturalmente, che in casi concreti queste
tre circostanze vengano raggiunte - in modo ugualmente sicuro - anche prima
dell'estratto (ad esempio, in esito a una lettera di contestazioni specifiche
da parte del cliente): con conseguente «anticipazione» (assolto l'onere della
prova dal soggetto interessato) del dies di partenza.
9.3.- Un'ultima notazione. Di per sé, nulla vieta che il cliente, nel versare
delle somme, le imputi a un titolo, piuttosto che a un altro. Di ciò
naturalmente, occorrerà tenere conto a livello di fattispecie concreta: anche
nel confronto con eventuali clausole seriali predisposte dalla banca, che
disciplinano l'imputazione (nella misura in cui, peraltro, le stesse siano da
ritenere valide).
In assenza di imputazioni specifiche da parte del cliente, peraltro, il
pagamento colpirà, tra le altre somme, anche quelle anatocistiche e indebite.
Come sopra si è già visto (n. 7.5.), a seguito della capitalizzazione il debito
transita dagli interessi al capitale. Ed è noto che la corretta tesi del
Supremo Collegio ritiene operante - fuor dal caso di sopravvenuta esigibilità
del debito per capitale e del debito per interessi - una regola opposta a
quella scritta appunto dalla norma dell'art. 1194 c.c.: l'imputazione va
direttamente al capitale, quindi.
10. Cenno bibliografico
10.1.- Sulla vicenda fattuale di cui al testo, nonché a primo commento sulla
norma del comma 61, v. Greco, Anatocismo bancario e prescrizione: le Sezioni
Unite e la difficile applicabilità del decreto milleproroghe. Continua il match
tra correntisti e banche, su www.ilcaso.it, 2011; Marcelli, Prescrizione e
anatocismo negli affidamenti bancari. Principi giuridici stabiliti dalla
sentenza della Cassazione S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418: quelli enunciati e
quelli impliciti, su www.ilcaso.it, 2011; Tanza, Sull'irrilevanza
dell'art. 2 quinquies, comma 9, del disegno di Legge n. 2518 ovvero il c.d.
maxiemendamento al decreto Milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2010 n. 225) nelle
cause di ripetizione dell'indebito pagamento per anatocismo, interessi
ultralegali, cms, valute fittizie e spese forfettarie, su www.studiotanza.it,
2011; Dell'Anna Misurale, L'impostazione della
consulenza etcnica d'uffico in materia di anatocismo, relazione al Convegno
organizzato da Paradigma, «Novità in tema di anatocismo ed implicazioni per le
banche», Milano, 5 aprile 2011. L'interpellanza dei senatori di Italuia dei
Valori del 26 febbraio 2011 si trova anche in allegato a Marcelli, op. cit.
L'ordinanza di rimessione alla Consulta del Tribunale di Benevento, 10 marzo
2011, si legge su www.ilcaso.it; ivi è pubblicato il provvedimento
della Corte d'Appello di Ancona 3 marzo 2011, sempre ivi sono reperibili Trib.
Brescia, 24 marzo 2011 e Trib. Brindisi, sez. Ostuni, 14 marzo 2011 (che ha
ribadito il sollevamento della questione di incostituzionalità). Per e.mail da
parte di Cesynt s.r.l. (del 30 marzo 2011) mi è giunta, poi, la notizia della
presenza di ulteriori pronunce che hanno negato al comma 61 l'ingresso nei
processi in corso: Tribunale di Treviso (sez. dist. Conegliano Veneto), 1 marzo
2011; Tribunale di Taranto, 3 marzo 2011, n. 445; Tribunale di Palmi, 4 marzo
2011; Tribunale di Brindisi (sez. dist. Ostuni), 10 marzo 2011; Tribunale di
Ferrara, 29 marzo 2011 (che si trova allegata alla citata e.mail; non vidi le
altre).
10.2.- Prima della vicenda che muove dalle Sezioni Unite, il punto della
definizione del dies a quo della prescrizione trovava, come si è detto, divisa
la giurisprudenza di merito: cfr., tra le altre, nel senso più favorevole alla
banca Tribunale di Mantova, 2 febbraio 2009, in www.ilcaso.it; Tribunale di
Genova 18 ottobre 2006, in Foro pad., 2007, I, p. 493; Tribunale di Mantova, 20
gennaio 2009, in Corr. giur., 2010, p. 387; Tribunale di Torino 30 ottobre
2003, in Giur. it., 2004, p. 102; Tribunale di Monza 12 dicembre 2005, in
Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, p. 204. Nel versante opposto v., sempre tra
le altre, Tribunale di Isernia, 29 giugno 2005, in Riv. giur. mol., 2005, fasc.
3, p. 32; Trib. Pescara, 27 ottobre 2004, in P.Q.M., 2005, fasc. 1, p. 69;
Tribunale di Brescia, 23 aprile 2008, in www.ilcaso.it; Trib.
Cassino, 29 ottobre 2004, in www.altalex.it. Per ulteriori riferimenti
nell'una e nell'altra direzione v. ora Dell'Anna Misurale, op. cit. (ove pure
delle prime indicazioni dottrinali).
L'orientamento del Supremo Collegio - la cui soluzione è stata confermata dalla
sentenza di Cass. SS. UU. 2 dicembre 2010, n. 24418 (pubblicata per estratto da
Guida al diritto, 2011, n. 2, p. 11; ma, naturalmente, il testo integrale della
decisione è reperibile sul Repertorio informatico del Foro) - è espresso in via
segnata da Cass. 9 aprile 1984, n. 2262; Cass. 14 maggio 2005, n. 10127; Cass.
14 aprile 1998, n. 3783; Cass. 23 marzo 2004, n. 5720.
10.3.- Sul punto della natura (anche) solutoria, ovvero (solo) ripristinatoria
dei versamenti in conto, le sentenze sopra citate sono Cass. 18 marzo 1975, n.
1043, in Banca, borsa tit. cred., 1975, II, p. 160 ss.; Cass., 20 ottobre 1975,
n. 3415, in Dir. fall., 1976, II, p. 33; e Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413, in
Giur. it., 1983, I, 1, c. 42 ss. Il tema ha raccolto contributi innumerevoli:
delle primissime indicazioni v., ad esempio, Mangano, Nuove tendenze della
revocatoria delle rimesse bancarie?, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, p.
344 ss.
Il passo di Bonelli citato sopra è tratto da Revocatoria fallimentare delle
rimesse in conto corrente bancario, in Le operazioni bancarie, a cura di
Portale, II, Milano, 1978, p. 697 ss.; sempre di Bonelli v. inoltre La
revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario: la
giurisprudenza della Cassazione a partire dal 1982, in Giur. comm., 1987, I, p.
213 ss., sia perché offre un quadro sintetico e chiaro del dibattito di allora,
sia perché bene argomenta il motivo del disfavore, che al tempo si viveva nei
confronti della «illegittima prassi degli sconfinamenti» (p. 218; non mi pare,
peraltro, che da quest'angolo visuale vi siano ragioni per mutare divisamento).
Quanto poi, alla pronuncia di Trib. Treviso, 21 febbraio 2011, relativa alla
revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie dopo il sopravvento delle
relativa riforma, essa si trova pubblicata su www.ilcaso.it.;
l'irrilevanza attuale della distinzione tra rimessa intrafido ed extrafido,
comunque, è affermata dalla prevalente letteratura: cfr. Arato, I primi
orientamenti sulla revocatoria delle rimesse bancarie dopo la riforma della
legge fallimentare, in Fallimento, 2008, p. 1220 s. (ivi, nella nota 30, ampie
indicazioni ulteriori).
10.4.- Qualche minima indicazione, infine, su taluni de(gl)i altri temi toccati
dal lavoro. Sul tema del conflitto tra poteri dello Stato e (riflessi sulla)
interpretazione delle leggi (n. 6.2.) v., in via segnata, Guastini, Teoria e
dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da
Cicu e Messineo, Milano, 1998.
Quanto alla tematica delle cause di sospensione della prescrizione, il dictum
forse deviante è di Cass., 29 gennaio 2010, n. 2030, ord. Sulla crisi del dogma
della tassatività v. gli spunti di Panza, Prescrizione, in Dig. Disc. priv.
Sez. civ., XIV, Torino, 1997, p. 234 e p. 230. Con riferimento alla specifica
materia della ripetizioni in ambito bancario contempla - in termini peraltro
affatto tradizionali - l'aspetto delle cause di sospensione Maffeis, Banche,
clienti, anatocismo e prescrizione, in www.ilcaso.it.
Per la considerazione della basica differenza tra esistenza e semplice
esigibilità del credito v. Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto
privato a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991, p. 513 s. Sulla ulteriore
differenza concettuale tra scadenza del credito ed esigibilità del medesimo v.
negli ultimi tempi Mucciarone, Sulla omessa presentazione della cambiale al
pagamento in termini, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, I, p. 285 ss. La
notazione che l'interusurium di cui al comma 2 dell'art. 1185 c.c. configura
una «richiesta di indennizzo ai sensi dell'art. 2041 c.c.» è di Natoli,
L'attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile e
commerciale diretto da Cicu e Messineo, II, Milano, 1984, p. 141 ss.
Quanto all'orientamento della Corte di Cassazione in punto di applicabilità
della regola di cui all'art. 1194, richiamato nel n. 9.3., cfr. di recente
Cass., 21 aprile 2006, n. 9356; Cass. 27 ottobre 2005, n. 20904; Cass. 16
aprile 2003, n. 6022. In effetti, l'applicazione di questo art. 1194 presuppone
la presenza di un adempimento parziale ex art. 1181 c.c. (cfr. sempre Natoli,
op. cit, spec. p. 149): ove il pagamento copra l'intero, all'evidenza non si
pone nessun problema di distinguere all'interno; la stessa in via correlata
presuppone, quindi, la sussistenza di un parziale inadempimento: già questo
comporta la sicura irriferibilità della norma ai pagamenti compiuti dal
correntista durante la svolgimento del c/c, posto che qui - sino alla chiusura
del rapporto - non risulta evidentemente possibile discorrere di inadempimenti
del cliente. D'altro canto, che l'entrata in applicazione dell'art. 1194
suppone che siano scaduti ed esigibili tanto il credito per linea capitale,
quanto quello per interessi discende pure dalla constatazione che, altrimenti,
non potrebbe mai occorrere il consenso di un creditore per l'appunto non
(ancora) abilitato a richiedere, in quanto tale, l'adempimento al debitore, che
è quanto appunto avviene, per il lato della banca, durante lo svolgimento del
c/c (su questi punti v. anche le mie Lezioni di diritto bancario, Milano,
2010).
Sui rapporti tra tempo disponibile per l'azione di nullità e azione del p.m. il
riferimento di cui al precedente n. 9.1. rinvia, in specie, al mio saggio su I
rimedi per la violazione delle norme imperative nel diritto societario prima
del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Un frammento di storia delle idee, in Vita
notarile, 2003, I, p. 99 ss. La soluzione al problema della decorrenza della
prescrizione, che qui si è in particolare dibattuto, si trova già affacciata da
Salanitro, Gli interessi bancari anatocistici, in Banca, borsa, tit. cred.,
Suppl. 2004, p. 15.
* Per maggiore comodità, si trascrive qui il relativo testo di legge: «in
ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del
codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti
nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno
dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di
importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto legge».
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