Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/02/2009 Scarica PDF
Stabilità delle banche e misure governative
Aldo Angelo Dolmetta, già Consigliere nella Prima sezione della Corte di Cassazione, già Professore ordinario di Diritto privato nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.Con la odierna
legge «anti-crisi» (n. 2/09) il Governo ha incrementato le misure di «garanzia
della stabilità del sistema creditizio», dando vita a una nuova iniezione di
strumenti di salvataggio che si aggiunge a quelli, di ricapitalizzazione nonché
di liquidità, predisposti con la prima ondata di provvedimenti di fine dello
scorso anno (cfr. la legge di conversione n. 190/08). Il nuovo strumento
consiste, dunque, nella disciplinata possibilità che il Ministero dell'economia
e delle finanze («MEF») vada a sottoscrivere degli «ibridi di partecipazione»,
così chiamati perché la loro struttura mescola insieme tratti di capitale di
rischio e del credito.
Data questa caratteristica, la nuova figura si trova ad accostarsi e
confrontarsi in via segnata con lo strumento della ricapitalizzazione azionaria
di cui ai primi provvedimenti. Nei fatti, tuttavia, il confronto viene a
evidenziare soprattutto differenze e diversità. Il disallineamento appare
netto. Basta pensare che l'aiuto a mezzo azioni presuppone uno stato di
«inadeguatezza patrimoniale» della singola banca interessata; il sostegno per
ibridi, invece, resta a ciò del tutto indifferente, imperniandosi piuttosto sul
«livello di patrimonializzazione del sistema bancario» (che appunto si predica
non congruo). E come pure indica, se non altro, la circostanza che l'intervento
azionario richiama l'idea di un preventivo procedimento, anche con attività di
accertamento della Banca d'Italia; quello per ibridi, per contro, si affida
sbrigativamente a un contratto (con lessico retrò chiamato «protocollo
d'intenti»), che viene concluso tra banca aiutata e MEF.
L'effetto complessivo, che ne sorte, non può non lasciare perplessi: vengono a
coesistere, e potenzialmente a convivere, filosofie che tra loro risultano
lontanissime. Ma le singolarità, per così dire, dell'intervento governativo non
finiscono qui.
Per segnalarne una importante, e di continuità tematica rispetto a quanto
sopra: entrambi i detti strumenti di patrimonialità sono attivabili - salva una
particolare sorta di «eccezione» - solo dietro apposita richiesta di una
specifica banca. Come dire: se scoppia un incendio, i pompieri stanno a
guardare, aspettando che qualcuno lanci l'allarme. Siamo ben oltre, cioè,
l'idea (già in sé assai discutibile) della c.d. sussidiarietà dell'intervento
statale. E la prevista «eccezione» segue, del resto, a un iter molto complesso.
Nel peculiare caso di banca che attraversi una crisi insieme patrimoniale e di
liquidità, a sua volta implicante la potenzialità di un «pregiudizio» alla
stabilità sistemica, il Ministro può sottoporre l'ente a una procedura
concorsuale di taglio amministrativo (nel concreto, peraltro, di incerta
individuazione); in tale caso, i Commissari straordinari (nominati dalla Banca
d'Italia) possono, se ritengono, chiedere l'attivazione della
ricapitalizzazione (azionaria): restando comunque il MEF libero se aderire o
meno.
In uno scenario del genere non stupisce, tra le tante altre cose, che il focus
dell'intervento statale sia localizzato unicamente sul punto della stabilità
(specifica e/o sistemica, ma sempre) senza addizione alcuna.
L'eventualità di procedere a una selezione degli interventi, ancorata su un
dato passato (: le cause della crisi) ovvero su un possibile futuro (:
l'efficienza prospettica della banca coinvolta), quindi a criteri di merito
dell'aiuto, non è stata proprio presa in considerazione. Ma neppure si è dato
un peso al pur oggettivo collegamento corrente tra sistema bancario ed economia
reale. Ciò nonostante le Autorità CE abbiano non poco insistito su
quest'aspetto.
In specie la Commissione e il Vertice di ottobre dei Paesi della «zona euro»
sono venuti a fissare - quali senso proprio e principio-guida dell'azione
richiesta agli Stati - la stabilità del sistema bancario non come valore a sé
stante, bensì perché servente l'economia reale; e pure a richiedere che la
positiva disciplina sia organizzata in regole a ciò coerenti. In altri termini,
la prospettiva data dalla Comunità è nella direzione di «bilanciare» la
stabilità strutturale delle banche con la loro funzione di servizio
all'economia reale.
Ora, di ciò non si rinviene nessuna traccia nello spirito e nel contesto della
prima serie di provvedimenti, di fine 2008. E in quelli appena approvati si
trova solo (s'intende, per il limitato punto degli ibridi) qualche sparsa
formuletta, affatto non impegnativa: nell'ambito del «protocollo d'intenti» col
Ministero, la banca potrà prendere non meglio definiti impegni sulle condizioni
di credito «da assicurare» all'orbe di «piccole e medie imprese, famiglie,
creditori delle pubbliche amministrazioni». Né, per vero, saprei dire quanto
possa essere utile, o consolatoria per risparmiatori e investitori, la
previsione ora introdotta dalla legge anticrisi, e che pur la Comunità ha
mostrato di apprezzare: quella di un «codice etico contenente previsioni (!)»
sulle «politiche di remunerazione dei vertici aziendali».
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