Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/11/2007 Scarica PDF
Strutture rimediali per la violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa)
Aldo Angelo Dolmetta, già Consigliere nella Prima sezione della Corte di Cassazione, già Professore ordinario di Diritto privato nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.SOMMARIO: 1. Immissio. - 2. Il problema e le soluzioni prospettate. - 3. La sentenza di Cass. n. 19024/2005. - 4. L'ordinanza di Cass. n. 3683/2007. - 5. Qualche ulteriore riflessione sulla categoria degli obblighi legali di fattispecie e sulle strutture rimediali nelle operazioni di borsa.
1. Immissio
Nell'arco del variegato panorama di problemi che vengono oggi a presentare le
operazioni denominate - secondo una terminologia tradizionale, quanto ancora
oggi decisamente «comoda» - come «di borsa» un posto centrale occupa la
tematica inerente al c.d. «risparmio tradito». Com'è notissimo, gli anni a
cavallo del secolo hanno visto il verificarsi di più e importanti rovesci
finanziari, con titoli finiti per evaporare nel nulla: a ciò è seguita - è non
meno noto - la reazione di schiere di investitori (i «traditi», appunto) che
hanno cercato di recuperare i vanificati loro risparmi agendo (oltre che contro
gli emittenti, più o meno decotti, soprattutto) contro gli intermediari
finanziari, concretamente funti a tramite (in senso lato) delle operazioni poi
terminate in modo così malaugurato.
Il tema, in verità, per sua natura viene a involgere un numero di distinti
profili assai elevato: dal tipo di controlli esercitati (o non esercitati) su
comportamenti e attività degli emittenti; alla realtà fattuale del c.d. grey
market; al livello di diligenza tenuto dagli intermediari nel riscontro
«prodotti finanziari»; alla definizione dei contenuti puntuali degli obblighi
imposti (dall'art. 21 Tuf, come specificato e integrato dalla normativa del
Regolamento Intermediari n. 11522/'98) agli intermediari nei confronti dei
clienti investitori; all'effettiva rilevanza delle diversità «categoriali» e
non degli investitori (sul fronte, dunque, del ritaglio degli «operatori
professionali» di cui al citato Regolamento, come su quello del grado di
rilievo assegnato, a livello di singola fattispecie concreta, alle
caratteristiche proprie dei diversi investitori coinvolti). E così via.
Nella presente sede, peraltro, il compito assegnatomi è - per mia buona ventura
- più limitato. In sé più ridotto; pure, certamente non meno interessante: se
non altro, perché si tratta di dare conto di una delle polemiche più vive, in
materia, sotto il profilo (non solo) tecnico.
2. Il problema e le soluzioni prospettate
2.1.- Questa, dunque, la sostanza del problema qui da affrontare: per il caso
sia in concreto accertata la violazione degli obblighi comportamentali posti
dalla legge a carico degli intermediari finanziari (: di flusso informativo e
di positivo riscontro delle sole «operazioni adeguate»), occorre individuare -
in mancanza di espresse parole portate dalla legge - il tipo di vicenda
«rimediale» che a ciò viene a conseguire.
Alla giurisprudenza, pratica come teorica, si sono profilate, in particolare,
due classiche linee dell'orizzonte: - da una parte, quella data dal rimedio di
taglio risarcitorio per il danno sofferto dall'investitore (e al di là dei
criteri di quantificazione poi prescelti, secondo i modelli della
responsabilità contrattuale o precontrattuale); - dall'altra parte, quella -
concettualmente opposta e (nel rapporto immediato tipo di violazione/tipo di
rimedio) di più pronta tutela delle ragioni dell'investitore - di taglio
restitutorio (restituzione delle somme a suo tempo versate per l'esecuzione di
«ordini» di acquisto a seguito di dichiarazione di nullità o di annullamento
del contratto; v. meglio infra, nota 2).
Per entrambe le linee, comunque, con l'addizione degli interessi e della
rivalutazione[1].
2.2.- Sul fronte restitutorio si è speso un buon numero di tribunali, che si
sono andati ad attestare sulla linea della nullità (del contratto quadro e di
diversi ordini ovvero dei singoli ordini: alternativa, questa, che in sé pone
un problema delicatissimo, su cui v. un cenno in nota 2). Assai meno seguita,
in questo contesto, è stata la scelta dell'annullamento per vizio della volontà
dell'investitore: specie in ragione delle difficoltà di ordine probatorio, come
pure per l'atteggiamento tradizionalmente restrittivo che i nostri giudici
mostrano per l'errore incidente su meri profili di valutazione economica.
Questa tesi della nullità è venuta, per la verità, a «scandalizzare» il milieu
dei giuristi di carattere tradizionalista. Scontato, per ogni opinione, il
carattere imperativo delle norme impositive degli obblighi agli intermediari;
astrattamente riconosciuto non indisponibile lo strumento della nullità
virtuale, il dissenso si è focalizzato, soprattutto, sulla struttura degli
obblighi imposti agli intermediari rispetto alla fattispecie contratto. E cioè
su un punto, per così dire, «fortemente» dogmatico.
Per condurre alla nullità - si è detto -, la contrarietà a norme imperative
deve concernere la struttura o il contenuto del contratto e non già obblighi
comportamentali (come invece sono - e non v'è dubbio al riguardo - quelli in
questione); questi ultimi per loro natura stanno fuori dalla fattispecie: o
nella fase delle trattative stanno o in quella dell'esecuzione. Da ciò, al
fondo, la scelta di un cospicuo numero di decisioni per la strada segnata dal
rimedio risarcitorio.
2.3.- Ciò riferito, non sembra inopportuno adesso notare che - sul punto del
rapporto in sé tra violazione di norma comportamentale e tipologia di rimedio -
il fronte risarcitorio propone una lettura critica dell'opposto orientamento
che si manifesta non poco datato, per un verso, e non centrato, per un altro
verso. Come indicano gli ordini di ragioni qui in appresso accennati.
La tesi risarcitoria sembra affrontare la materia in termini, ancor più che di
logica astratta, addirittura ontologici. Per constatarlo, basta considerare la
seguente formula cardine: «la nullità del contratto postula che la violazione
della norma imperativa attenga ad elementi intrinseci della fattispecie
negoziale». In realtà, sembra chiaro che il nostro tema abita la più modesta
veste del problema di livello legislativo: e qui si ferma. Come non esiste in
natura un monolite disciplinare, tout court designabile quale disciplina
generale dell'azione di nullità ex art. 1418 ss. c.c. (si pensi anche solo al
settore del diritto societario ovvero a quello delle nullità per protezione di
determinate categorie); così non si vede perché dovrebbe esistere - sempre in
natura - un solo ordine, e tipico, delle (possibili) cause di nullità.
D'altra parte, bisogna pure rilevare che, essendo le norme imperative anche
inderogabili, è sicuramente nullo il patto che esoneri l'intermediario dal
rispetto dei detti obblighi [per fare un esempio, si pensi alla regola di
divieto delle «operazioni non adeguate» (art. 29 Regolamento Intermediari) e a
un ipotetico patto di esonero dell'intermediario dal divieto stesso; è
manifesto, invero, il circolo vizioso cui darebbe luogo (oltre a tutto il
resto) sostenere la validità di una simile convenzione: questa non potrebbe non
risultare - a priori, e cioè prima del compimento di una qualunque operazione
di investimento - patto «non adeguato» alla tipologia di rischi conformi alle caratteristiche
dell'investitore]. La tesi della nullità dunque non appare, in sé, così
peregrina: un indizio di coerenza sistematica (seppure non decisivo) viene ad
alimentarla; in ogni caso, cioè, un profilo di coerenza complessiva del sistema
viene per forza a delinearsi (ma v. pure, infra, nel n. 5.2.).
Appare un po' semplicistico, d'altro canto, chiudere l'alternativa di
collocazione strutturale di questi obblighi comportamentali degli intermediari
tra il lato delle trattative e il lato dell'esecuzione del contratto. In
effetti, gli obblighi in questione - pour cause da definire nei termini propri
di «obblighi legali di fattispecie» - paiono collocarsi (non in un quadro di
trattative, in fatto per di più inesistenti, bensì) nell'ambito della
costruzione della fattispecie contrattuale, come momento proprio della stessa
(: la «formazione del contratto», per riprendere la nota formula normativa
dell'art. 1337 c.c.). La dichiarazione dell'investitore (il c.d. «ordine»)
viene cioè a seguire, dipendendone, dalla dichiarazione di informazione e di
adeguatezza che l'intermediario è tenuto a compiere (più articolata, ma nella
sostanza omologa, la fattispecie di ordine on line).
Insomma, il tema propone effettivamente più angoli di serietà problematica.
3. La sentenza di Cass. n. 19024/2005
3.1.- Quale che sia il valore dei rilievi appena sopra formulati, non si può
non tenere conto che, per altro, il fronte del rimedio risarcitorio viene a
presentare - sul piano del diritto applicato - un ragguardevole atout: esso
conta, tra le sue fila, l'unica sentenza della Corte di Cassazione che sia
stata emessa propriamente in termini (Cass., 29 settembre 2005, n. 19024.
Talvolta, viene richiamata in materia anche la pronuncia di Cass., 9 gennaio
2004, n. 111; in realtà, l'apporto di tale decisione non va oltre questa frase:
«è appena il caso di aggiungere che ... la doglianza del ricorrente circa la
pretesa violazione, da parte della banca, dell'obbligo di fornire
preventivamente adeguate informazioni al cliente non è in nessun modo
riconducibile ad un'ipotesi di nullità dei contratti e non può certo trovare
ingresso per la prima volta nel giudizio di legittimità»).
Ora, a proposito di tale orientamento generale è ora da notare come, nel
concreto, esso venga poi a dividersi - nella prospettiva per cui degli obblighi
comportamentali non potrebbero partecipare alla struttura della fattispecie
contrattuale (che lo stesso orientamento è venuto, si è appena sopra accennato,
ad «autoimporsi») - nell'affermare, taluni, una situazione di inadempimento
contrattuale e, altri, una situazione invece di violazione di tipo
precontrattuale.
Per potersi reggere, il primo sub-indirizzo (per cui la violazione degli
obblighi di informazione e adeguatezza dà luogo a un inadempimento) è costretto
a dare un valore pregnante e, anzi, decisivo al c.d. contratto quadro, con cui
l'investitore apre sì il rapporto con l'intermediario, ma non lo rende ancora
realmente operativo. In tale prospettazione, cioè, il contratto quadro - lungi
dal risolversi in un semplice negozio normativo - non può (per contro) non
assumere il ruolo di elemento fondante e costitutivo dell'intera vicenda: e
così relegare al rango di atti di mera esecuzione i singoli ordini, nei quali
pur si concreta la struttura decisoria dei singoli, effettivi investimenti.
Un'antinomia abbastanza scoperta, in definitiva.
E' (forse) per questa ragione che la citata pronuncia della Cassazione è andata
a orientarsi nel senso della responsabilità precontrattuale: inevitabilmente
ponendo l'accento, in tal modo, sul momento degli ordini operativi. E
inevitabilmente venendo a trovarsi - però - su una linea cosparsa di «porte da
aprire».
3.2.- Così facendo (è importante notare anche a riscontro della reale
dinamicità propulsiva delle operazioni denominate «di borsa»), in effetti, la
detta sentenza si è consapevolmente trovata a sconvolgere le linee portanti di
un istituto generale del diritto civile quale quello della responsabilità ex
art. 1337 c.c., così come costruito dalla precedente e consolidata
giurisprudenza.
Per la prima volta (a quanto consta, almeno; e, comunque, tra le prime), essa
ha dichiarato applicabile tale responsabilità anche all'ipotesi in cui,
nonostante tutto, il contratto sia poi stato concluso (ipotesi confinaria
invero mi parrebbe quella della responsabilità per «ritardo nella conclusione
del contratto», sancita da Cass., 16 ottobre 1998, n. 10249). La sentenza ha
ritenuto, inoltre, la natura contrattuale di tale responsabilità (contro il
tradizionale pensiero dei giudici, che le assegna natura aquiliana). Ha
affermato, infine, che il danno risarcibile ex art. 1337 non si arresta al
segno dell'interesse negativo, ma va invece ragguagliato al «maggior aggravio
economico» causato dal contegno lesivo tenuto dal danneggiante.
Ora, quest'ultimo anello della catena risulta, all'evidenza, profilo
determinante per le operazioni di «risparmio tradito»: ché, altrimenti, la
tutela dell'investitore rimarrebbe deprivata di ogni significato reale [così la
sentenza si esprime su questo punto specifico: «il risarcimento, ... pur non
potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione
del contratto posto in essere (il c.d. interesse positivo) ... deve essere
ragguagliato al "minor vantaggio o al maggiore aggravio economico" determinato
dal contegno sleale di una delle parti, ... salvo la prova di ulteriori danni
che risultino collegati a tale comportamento "da un rapporto rigorosamente
consequenziale e diretto"»].
3.3.- Per cercare di sintetizzare: una pronuncia della Cassazione in sé
importante. Su un piano generale, a una battuta di chiusura (: gli obblighi di
fattispecie non esistono) ha fatto riscontro una serie di aperture in punto di
responsabilità precontrattuale.
Sul piano pratico delle operazioni di borsa, si tratta di una decisione che
certamente rifugge gli estremi. Ma non per questo può essere definita come
decisione davvero mediana (tra rimedio risarcitorio e rimedio restitutorio). Al
di là di ogni problema di ordine probatorio, caratteristico della vicenda
risarcitoria (e invece blando assai nella prospettiva restitutoria), resta
anche il punto della definizione del danno in sé risarcibile; questo, nella
soluzione data dalla pronunzia in questione, rimane senz'altro circoscritto:
sia rispetto al quantum recuperabile in via restitutoria, sia rispetto al pieno
risarcimento dell'interesse positivo. Seppure, per la verità, non proprio
chiarissimi appaiono i reali termini quantitativi della relativa limitazione.
4. L'ordinanza di Cass. n. 3683/2007
4.1.- In ogni caso, sembrava ragionevole ipotizzare - sul piano del diritto
applicato - che la detta sentenza della Corte venisse a mettere un punto fermo
(o quasi) nella materia in esame. E, in effetti, più decisioni di merito
cominciavano a uniformarsi ai dettati della medesima, con motivazione di
espresso rinvio all'autorità del precedente: questo, in via segnata, in
relazione all'alternativa base «restitutoria/risarcitoria» (assai meno lineare,
parrebbe, il punto della quantificazione dell'obbligo risarcitorio).
Ma non è stato davvero così; meglio, lo è stato solo per un breve periodo di
tempo. Com'è noto, infatti, con l'ordinanza del 16 febbraio di quest'anno la
Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione di un ricorso in materia:
rilevando la sussistenza di un «contrasto giurisprudenziale interno a questa
Corte», ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c. («questione di diritto già
decisa in senso difforme») e per gli effetti del «quasi precedente» di cui
all'art. 374, comma 3, c.p.c. (per sé, in relazione diretta con la legge n.
1/1991, cui fa riferimento la fattispecie concreta oggetto del giudizio).
Dicono che la pronuncia delle Sezioni Unite sia ormai prossima (alla data del
30 novembre 1007, nel sito della Cassazione la questione relativa non compare
più tra quelle pendenti, ma non risulta tra quelle decise). Nell'attesa, non si
può non rilevare che più cose dell'ordinanza di rimessione riescono a colpire.
4.2.- Da segnalare sono, anzitutto, composizione e contenuti dell'orientamento
«diverso» da quello formato dalla Cass. n. 19024/2005. In concreto vengono
richiamate le sentenze del 7 marzo 2001 n. 3272 (da cui sono riprese le
successive citazioni), del 15 marzo 2001, n. 3753, del 5 aprile 2001, n. 5052.
Si tratta di tre fattispecie quasi del tutto uguali (semplificando un poco, nel
senso che nell'ultima di esse rileva anche un problema di jus superveniens).
Ora, i citati interventi della Cassazione prendono origine da opposizioni allo
stato passivo del fallimento della s.p.a. Gestival. Nella sostanza, tre clienti
(privi dei panni dei risparmiatori individuali) avevano concluso con la Società
poi fallita dei contratti di swap. In tutti i tre gradi di giudizio (tribunale
e appello di Firenze), le insinuazioni venivano respinte in ragione della
decisa nullità dei detti contratti di swap. Con questa motivazione: la Gestival
era società non iscritta all'albo delle SIM; il mancato rispetto del requisito
dell'iscrizione comporta la nullità dei relativi contratti, che siano stipulati
dall'operatore abusivo, pur in assenza di una precisa prescrizione di legge al
riguardo; tale nullità va qualificata, inoltre, come assoluta e non relativa.
Come si vede, proprio non siamo di fronte a obblighi comportamentali di
fattispecie (sul punto specifico compare solo un passaggio astratto,
incidentale e obliquo: «la circostanza che la vigilanza della Consob e della
Banca d'Italia sia finalizzata al rispetto di regole di comportamento
...conferma che la natura degli interessi tutelati trascende quelli della
clientela»).
I contenuti espressi nei passaggi motivi di tali sentenze, d'altra parte, non
paiono del tutto coordinati tra di loro. Si ritrovano insieme, così:
un'importante affermazione sulla funzionalizzazione dell'autonomia privata ai
fini sociali (: «la valutazione della nullità del negozio si è ... giovata del
criterio del riscontro della utilità sociale, influenzato da scelte
sociopolitiche, che è diventato indice del giudizio di meritevolezza degli
interessi delle parti, rispetto ai valori perseguiti dalla comunità»); un compiuto
fraintendimento della figura della nullità relativa [che da strumento massimo
di protezione solidaristica di una categoria sociale, qual è, diventa una
sottospecie di annullabilità (: «l'argomento che abilitato sia solo il
risparmiatore, in quanto unico interessato a far valere la nullità, costituisce
una petizione di principio»; la sottolineatura costituisce un'aggiunta)]; il
singolare accostamento per cui sarebbe «doppiamente incongruente» escludere la
nullità dei contratti stipulati dall'intermediario abusivo di fronte alla certa
e dichiarata nullità dei contratti stipulati dagli operatori abilitati non in
forma scritta (quasi si trattasse di svolgere un argomento a fortiori).
Non si può trascurare, ancora, che le dette sentenze risultano - considerate
rispetto alle caratteristiche delle fattispecie concrete decise - fortemente
punitive per la posizione dei clienti (: la nullità va a vantaggio della
procedura; viene esclusa anche una qualunque responsabilità risarcitoria ex
art. 1338; anche la soluzione del punto del jus superveniens è contraria alla
posizione del cliente).
Insomma, si deve proprio dire che, nella specie, i termini del «contrasto
giurisprudenziale» in seno alla Corte rivestono toni di una forte, spiccata
«peculiarità».
4.3.- Nell'ordinanza in questione colpisce, altresì, la circostanza che essa
non si limiti a richiamare contenuti e termini degli orientamenti in contrasto,
bensì espliciti in via dichiarata una serie di sue argomentazioni: contro le
tesi svolte dalla Cass. n. 19024. E ciò sia con rilievi diretti (: 8.4.), sia
indiretti (: n. 8.3.).
In questa seconda direzione, in particolare, si afferma: «in realtà frequenti
sono i casi giurisprudenziali di dichiarazioni della nullità del contratto per
violazioni di norme imperative non attinenti al contenuto del negozio, oppure
concernenti la mancata attuazione di adempimenti preliminari o le modalità
esecutive del rapporto contrattuale». E segue un'articolata casistica: dal
contratto di agenzia, alla normativa valutaria, alla circonvenzione di
incapace, alla normativa antimafia in materia di appalti pubblici, ecc.
In definitiva, pur non utilizzando la relativa terminologia, l'ordinanza ha
cura di mostrare - essa - la sussistenza, nel nostro ordinamento, di più
ipotesi e situazioni di obblighi legali di fattispecie (viene in modo esplicito
«messo in discussione il principio di non interferenza delle regole di
comportamento con le regole di validità e ammesso che il comportamento della
parte possa rilevare ai fini della nullità del negozio»).
4.4.- Nel contesto di queste positive e proprie indicazioni, l'ordinanza passa
poi a rilevare anche delle ragioni che, a suo avviso, potrebbero condurre alla
soluzione della nullità con riguardo al diretto campo degli obblighi gravanti
sugli intermediari finanziari.
In proposito, è tuttavia da segnalare che le osservazioni svolte dal
provvedimento si pongono tutte come indici (solamente) esterni, non più che
tali. Il punto è palese: si richiama la normativa sui contratti a distanza,
sull'abuso di dipendenza economica, sulla data dei pagamenti. L'ordinanza non
scende nello specifico della materia. E certo non lo fa neppure quando afferma
che «le norme di comportamento previste in un regolamento contrattuale
prefigurato ex lege possono costituire regole di protezione imposte
all'intermediario non solo per colmare l'asimmetria informativa ... ma anche
per attuare la trasparenza del mercato» (: la disciplina sull'intermediazione
come normativa di ordine pubblico economico).
Il doppio ruolo di una tutela orientata verso il cliente è noto da tempo: a
quello della categoria solidaristica aggiungendosi, appunto, la ricerca di una
migliore efficienza e correttezza del mercato. Ma tale discorso verte, per sua
natura, su qualità e quantità degli obblighi caricati sull'intermediario. Nella
nostra specie, per contro, non si discute di posizione di obblighi, ma dei
rimedi connessi alla violazione degli obblighi che, comunque, risulta siano
stati posti [salvo il caso in cui si intenda predicare una manifesta
velleitarietà degli obblighi imposti (e non sembrerebbe questa l'ipotesi),
fondamentale per l'ordine pubblico economico è il contenuto effettivamente
assegnato all'obbligo, non le conseguenze civilistiche che vengano tracciate
per la violazione del medesimo].
5. Qualche ulteriore riflessione sulla categoria degli obblighi legali di
fattispecie e sulle strutture rimediali nelle operazioni di borsa
5.1.- L'imminenza (ipotetica) dell'uscita della pronunzia delle Sezioni Unite
inevitabilmente dà alla materia un senso di accentuata precarietà, di
provvisorietà. In questa situazione sembra opportuno limitarsi a fermare
qualche appunto ulteriore.
Un poco a sintesi, per la verità, del percorso che il diritto vivente ha sin
qui condotto. E senza proporre pronostici (tanto meno, va da sé, giudizi) sulla
soluzione che verrà data allo specifico problema della definizione del rimedio
da dare alla violazione - nell'ambito della materia denominata delle operazioni
di borsa - degli obblighi comportamentali in capo agli intermediari. Casomai
provando a portare, in proposito, un rilievo di ordine metodologico.
5.2.- A me sembra da dare, prima di ogni altra cosa, come acquisita e certa la
sussistenza degli obblighi legali di fattispecie; preciso: in termini di
categoria autonoma e generale, a sé stante. Restringere la possibilità di
obblighi comportamentali alle sole fasi della dialettica delle trattative e
della esecuzione significa pensare alla fattispecie contrattuale come evento
retto unicamente dall'autonomia delle parti, senza la possibilità di nessun
intervento di tipo eteronomo. Il che è sicuramente errato: per constatarlo,
basta pensare alla disciplina di cui all'art. 1341, comma 1 (meccanismo di
definizione di non rilevanza del consenso); ovvero - e sempre rimanendo al
livello della pura esemplificazione - al disposto dell'art. 1339 c.c.
(meccanismo di sostituzione automatica).
Data la legittima sussistenza della categoria, si pone dunque il problema di
individuare la tipologia di rimedi per la violazione degli obblighi di questo
tipo. Problema che, a mio giudizio, si pone - in sé - come spazio propriamente
aperto; e come tale va affrontato. Non è necessario, così, che la soluzione
rimediale sia unica, costante per la violazione di ogni obbligo (seppure nell'avvertenza
di cui al precedente n. 2.3.): in fondo, la qualificazione di obbligo legale di
fattispecie indica solo una posizione strutturale (non anche un rilievo
funzionale).
Non è improbabile, poi, che - ad affrontare seriamente e con la mente libera il
problema - le sorprese non vengano a mancare. E lo spunto che segue, invero,
solo in parte intende essere provocatorio.
Si è già richiamata sopra la norma dell'art. 1337 c.c. (in fine del n. 2.3.).
Pare a me chiaro che essa codifichi, tra l'altro, la sussistenza generale di
questa categoria degli «obblighi legali di fattispecie»: là dove essa predica,
per l'appunto, che «le parti, ... nella formazione del contratto, devono
comportarsi secondo buona fede». Non è un caso, io credo, che questa norma generale
taccia del tutto - non si occupi proprio - sulle conseguenze e rimedi legati
alla violazione in concreto degli obblighi di buona fede nella fase di
costruzione del contratto. Né, d'altro canto, potrebbe risultare veramente
utile al riguardo la norma dell'art. 1338, come pure tante volte la letteratura
ha sostenuto. La singolarità e la particolarità di questa disposizione - anche
sotto il profilo in questione - appaiono trasparenti: nel caso dalla stessa
contemplato, in sé la fattispecie contrattuale, cui potrebbero afferire degli
obblighi di costruzione, è già invalida; è difficile pensare che la legge -
smentendo sé stessa - la possa eventualmente sanare: resta, allora, il rimedio
risarcitorio (rispetto al quale la limitazione al solo interesse negativo si
manifesta, sempre più a me pare, una mera sovrastruttura interpretativa, non un
dato normativo).
5.3.- Passando dal tema in generale allo specifico problema del rimedio per la
violazione degli obblighi delle fattispecie di borsa, poi, a me pare che lo
stesso sia stato trattato, in linea di massima, un poco troppo sulle linee
esterne (astratte e generiche, per così dire).
E questo vale, anzitutto, per l'eventualità di una soluzione di taglio
risarcitorio: finché ci si dibatte tra contratto quadro e ordini operativi, è
chiaro che non si entra nel vivo del fenomeno, posto che, per definizione, il
fenomeno non sta né ante, né post la fattispecie contrattuale. Ma in punto di
genericità si considerino pure i due principali argomenti che parte della giurisprudenza
di merito ha svolto contro la tesi della restituzione. Si è detto, così, che la
sanzione di nullità costituisce il più severo dei rimedi civilistici;
applicarla nei casi di violazione di norme comportamentali generali, in quanto
prive di specificità, sarebbe contrario al principio di legalità; la violazione
di tali norme, di conseguenza, non può non restare confinata ai limiti del
rimedio risarcitorio: ora, a parte la constatazione che è contraddetto da tutta
l'esperienza delle cc.dd. «clausole generali», il trascritto rilievo prova
troppo: il principio di legalità vale ugualmente - per forma, spessore e
quantità - tanto per il rimedio risarcitorio, quanto per quello della nullità
negoziale. L'altro argomento esposto in replica all'orientamento della nullità
si condensa nella sottolineatura di un argomento letterale, che sarebbe
ritraibile dall'art. 23, comma 6, T.U.f., laddove l'inversione dell'onere
probatorio è riferita ai «giudizi di risarcimento dei danni cagionati a clienti
nello svolgimento dei servizi»; è agevole notare, in merito, che il riportato
rilievo si rivela propriamente scentrato: la norma dell'art. 23 comma 6, se si
occupa effettivamente di giudizi risarcitori, non ha alcuna pretesa, né
intendimento, né potenzialità di affermare che - nel settore
dell'intermediazione finanziaria - sono concepibili, ovvero risultano
ammissibili, solo dei giudizi risarcitori.
Ma la valutazione di astrattezza vale - e non di meno - anche per la soluzione
della nullità. Questa non risulta sia stata fondata su argomenti specifici e
puntuali (v. sopra, spec. numeri 4.2. e 4.4.), come pure apparirebbe
necessario: un conto è rilevare che la stessa è in sé possibile, un altro conto
è dimostrarne la ricorrenza in concreto. Occorrono degli addentellati precisi.
Per cercare di meglio spiegarmi su questo ultimo punto, provo ad aiutarmi con
un esempio. Sia il T.U.f. (art. 23 comma 1), che il T.U.b. (art. 117, commi da
1 a 3) dispongono che «i contratti sono stipulati per iscritto e un esemplare è
consegnato al cliente». Il testo normativo prosegue poi stabilendo che la
Consob e - rispettivamente - il CICR possono, per dati motivi, prevedere la
stipulazione in «altra forma» dei contratti. Ora, nessuna ragione può
autorizzare a considerare la locuzione «altra forma» come riferibile solo a un
pezzo del dettato precedente: si tratterebbe, indubbiamente, di uno
smembramento gratuito; per sua propria natura, invero, l'«altra forma» è
nozione che viene a misurarsi e a dimensionarsi sull'unitaria previsione
formulata dalla parte precedente del testo normativo. A chiudere il cerchio del
discorso sta, poi, l'ultima parte della disposizione: «nel caso di inosservanza
della forma prescritta il contratto è nullo», dove la «forma prescritta» altro
non può essere - evidentemente - che quella indicata dai due precedenti
tronconi della regola (fenomeno di attrazione della consegna nell'orbita della
forma).
Ora, lo svolgimento di un simile ragionamento consente di potere affermare con
una qualche tranquillità che, nei detti casi, l'inosservanza dell'obbligo di
fattispecie costituito dalla consegna di un esemplare del testo contrattuale
comporta la nullità della fattispecie.
5.4.- L'esempio appena condotto viene a ribadire, per la verità, un profilo che
più volte è affiorato nel contesto della presente esposizione. La questione non
può essere risolta sulla base di considerazioni solamente di genere o solamente
generali. La questione dei rimedi tende, per sua natura, a misurarsi sul piano
della tipologia contenutistica dei diversi obblighi di fattispecie. La
soluzione relativa all'obbligo di consegna di esemplare del contratto al
cliente potrebbe non valere per altri obblighi di fattispecie, quali quello
attinente al flusso informativo ovvero quello dell'adeguatezza delle operazioni
compiute.
Secondo quanto emerge, evidentemente, dagli «addentellati specifici» volta per
volta reperibili: o nel senso del rimedio risarcitorio o nel senso, invece, del
rimedio restitutorio. D'altra parte, in mancanza di indicazioni specifiche
decisive nell'una o nell'altra direzione, non potrebbe che rendersi disponibile
- mi pare - il criterio del rapporto di coerenza tra struttura e funzione
(altrimenti detto, il principio di c.d. economicità dei mezzi giuridici).
Di conseguenza: la posizione di un rimedio restituorio risulta coerente - di
per sé - con una funzione sanzionatoria della violazione dell'obbligo della
legge imposto all'intermediario [2]; la posizione del rimedio risarcitorio si
coniuga per contro con una funzione eliminatoria della perdita concretamente
subita dall'investitore, che (proprio per questa ragione, peraltro) comunque si
situa sul filo del nesso di causalità tra comportamento e danno, senza
l'introduzione di limitazioni che per la loro natura potrebbero risultare solo
arbitrarie e aprioristiche.
(*) Relazione al Convegno «I contratti di negoziazione di strumenti
finanziari», organizzato dal Consiglio Superiore della magistratura -
Formazione Decentrata dei Magistrati del Distretto di Brescia in collaborazione
con l'Ordine degli avvocati di Mantova, tenutosi in Mantova, 30 novembre 2007.
[1] Quanto all'eventualità della risoluzione [che, teoricamente, consentirebbe
il risultato di ottenere un mix di restituzione e di risarcimento (a seguito,
va da sé, della sommatoria di due distinte domande processuali)] è ben noto che
- di fronte alla situazione tipo qui in discorso - la stessa incontra dei
problemi gravissimi di realizzabilità. Esclusa la possibilità di una
risoluzione del contratto quadro, per sua natura incapace di proporre una
struttura dinamica di risoluzione/restituzione, la risoluzione del singolo
ordine incontra insormontabili difficoltà nell'ipotesi - normale - in cui
l'intermediario si limiti a fungere da mandatario (occorrerebbe un intervento
di legge al riguardo). Per il caso in cui l'intermediario si renda controparte
diretta col cliente (c.d. operazioni in conto proprio), poi, non si può non
considerare (al di là di ogni stortura sistematica) che - nella specie in esame
- lo stesso non si trova inadempiente a un obbligo di prestazione,
sinallagmatico, bensì di tipo diverso (secondo la terminologia tradizionale
«accessorio») e per di più con fonte diretta e immediata nella legge (anche a
tale proposito, insomma, si dovrebbe passare attraverso una esplicita prescrizione
di legge).
[2] Le cose cambiano, in realtà, a seconda che nullo sia stimato l'intero
plesso contrattuale intercorso tra intermediario e cliente ovvero solo dei
singoli ordini: in questo secondo caso ci si trova di fronte a una sanzione
civilistica molto più forte, in quanto preclude ogni utilizzabilità sostanziale
(e, se si vuole, di «fatto») del principio della compensatio lucri cum damno
(come avviene, per contro, a predicare la nullità di tutto e come è coerente -
mi pare - con la funzione assegnabile al rimedio risarcitorio).
La sanzione della nullità, comunque, non precluderebbe - mi pare - la salvezza
di eventuali soluzioni transattive; e neppure di altri (magari anche meno
formalizzati e più «brevi») accordi tra intermediario e cliente su modi e
contenuti della restituzione dei beni (titoli e somme) investiti.
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