Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/04/2019 Scarica PDF
Appunti in tema di accettazione dell'eredità
Giampaolo Morini, Avvocato in LuccaSommario: 1 Introduzione; 2 La qualità di erede; 3 Come si accetta l'eredità; 4 I legittimati all'acquisto dell'eredità; 5 I legittimati all'accettazione; 6 Accettazione dell'eredità: trascrizione; 7 Accettazione con beneficio di inventario; 8 Nullità del divieto di accettare con beneficio di inventario; 9 Eredità: esenzione dal pagamento dei debiti per il legatario Le ipotesi di ammissibilità di esenzione dal pagamento dei debiti per il legatario ex art. 756 c.c.
Nell'ordinamento italiano, con l'apertura della successione i beni e diritti ereditari sono offerti ai soggetti destinati a succedere, i quali, tuttavia, non divengono automaticamente eredi ma solo titolari di un diritto potestativo di accettarla.
Infatti, mentre in altri sistemi giuridici (come ad esempio quello francese e quello tedesco) vige il principio della saisine per cui il patrimonio del de cuius passa automaticamente in capo all'erede, nel nostro sistema giuridico l'eredità si acquista con l'accettazione (art. 459 c.c.) in virtù del principio per cui un soggetto diventa titolare di diritti ed obblighi solo con dopo avervi espressamente acconsentito[1].
Pertanto, in Italia, l'eredità, e quindi la qualità di erede, si acquista con l'accettazione, con effetto dal momento dell'apertura della successione (art. 459 c.c.); tale meccanismo esclude l'esistenza di una presunzione tale per cui il chiamato all'eredità possa essere automaticamente ritenuto erede.
Più tecnicamente, la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c..
Ciò comporta, ad esempio, che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede[2].
Come ha avuto modo di ribadire in più occasione la Cass. civ., sez. lav., 30-08-2018, n. 21436: In tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non e' di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, mediante "aditio" oppure per effetto di "pro herede gestio" oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'articolo 485 c.c.. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'articolo 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all'eredita', non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredita', espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità[3]
Detto questo, bisogna qualificare i soggetti legittimati ad agire, la Cass. civ. [ord.], sez. III, 26-06-2018, n. 16814, ha cosi chiarito: La legittimazione consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere (o subire) un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità di quel rapporto, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento; si tratta di una condizione dell'azione - necessaria per ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito - la cui sussistenza e' da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa.
La legittimazione ad agire, o a contraddire, è condizione dell'azione e si fonda sulla mera allegazione fatta in domanda, ne consegue che una concreta ed autonoma questione intorrno ad essa si delinea soltanto quando l'attore fa valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, o quando pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso.
La concreta titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, invece, si configura come una questione che attiene al merito della lite, concernendo la fondatezza (o l'infondatezza) della pretesa, l'accertamento in concreto se l'attore ed il convenuto siano, rispettivamente dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio.
Restano, ovviamente salve le seguenti ipotesi: - (art. 527 c.c.): i chiamati all'eredità, che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all'eredità stessa, decadono dalla facoltà di rinunziarvi [c.c. 519] e si considerano eredi puri e semplici nonostante la loro rinunzia [c.c. 459, 476, 494]. - (art. 586 c.c.): in mancanza di altri successibili, l'eredità è devoluta allo Stato [Cost. 42; c.c. 565].
Appare una ipotesi di interesse attuale e diffuso l’ipotesi del debito tributario del chiamato all’eredità. Secondo Cass. civ., sez. III, 26-05-2014, n. 11638: La trascrizione dell'acquisto mortis causa, che abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, va effettuata ai sensi dell'articolo 2648 cod. civ.. La norma prevede, al secondo comma, che, per quanto riguarda l'accettazione dell'eredità, essa si opera in base alla dichiarazione del chiamato contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. In questo caso l'accettazione dell'eredita' e' espressa, ai sensi dell'articolo 475 c.c.. La verifica, in sede esecutiva, avrà esito positivo, e non si porrà questione alcuna se l'accettazione sia stata trascritta prima della trascrizione del pignoramento sul bene pervenutogli per successione, da parte dell'erede, poi assoggettato ad esecuzione. Conseguenze identiche ha la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredita' che, consistendo, ai sensi dell'articolo 476 c.c., nel compimento di atti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare e che il chiamato non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, ben può essere effettuata dallo stesso erede ai sensi dell'articolo 2648 c.c., comma 3.
Peraltro, … quest'ultima norma consente che, in mancanza di trascrizione dell'accettazione proveniente dall'erede, se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell'eredita', chiunque possa richiedere la trascrizione di quell'atto, qualora risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Non vi sono dubbi che la richiesta di trascrizione possa provenire anche dal creditore di colui che abbia assunto la qualità di erede accettando tacitamente mediante atto che rivesta le forme anzidette. Ed, invero, mentre si deve escludere che i creditori personali dell'erede possano compiere essi stessi atti di accettazione dell'eredita' mediante l'esercizio dell'azione surrogatoria ex articolo 2900 c.c., diversa e' l'ipotesi in cui l'atto di accettazione esista e ne manchi la trascrizione, da effettuarsi ai sensi dell'articolo 2648 c.c., comma 3.
L'acquisto opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia [c.c. 459, 519]. - (art. 485 c.c.): il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione [c.c. 456] o della notizia della devoluta eredità.
In giurisprudenza si è ormai affermato il principio (Cass. civ. [ord.], sez. VI, 06-03-2018, n. 5247)[4]secondo cui la semplice delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non èdi per sé sufficiente per l'acquisto della qualità di erede, ma diventa operativa soltanto se il chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una dichiarazione di volontà (aditio), oppure in dipendenza di un comportamento obiettivamente acquiescente (pro herede gestio), laddove, in ipotesi di chiamato che sia nel possesso dei beni, l'accettazione ex lege dell'eredita' e' determinata dall'apertura della successione, dalla delazione ereditaria, dal possesso dei beni e dalla mancata tempestiva redazione dell'inventario.
Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi [c.p.c. 749].[5]
Ai sensi dell'art. 474 c.c. esistono due modi mediante i quali manifestare la volontà di accettare l'eredità, uno espresso e l'altro tacito[6].
A tale proposito va innanzitutto detto che l'accettazione con beneficio d'inventario non conosce tale tipo di distinzione ma può essere solo espressa (art. 484 c.c.)[7].
Come ha ribadito la Cass. civ. [ord.], sez. II, 22-08-2018, n. 20971, … il legittimario pretermesso non e' chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento. Ne consegue che la condizione della preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio d'inventario, stabilita dall'articolo 564 c.c., comma 1, per l'esercizio dell'azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede, e non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore (Cass. n. 28632 del 2011). Ora, una totale pretermissione del legittimario può aversi tanto nella successione testamentaria, quanto nella successione ab intestato e, precisamente: a) nella successione testamentaria, se il testatore ha disposto a titolo universale dell'intero asse a favore di altri, in base alla considerazione che, a norma dell'articolo 457 c.c., comma 2, questi non e' chiamato all'eredita' fino a quando l'istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti; b) nella successione ab intestato, qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell'intero suo patrimonio con atti di donazione, sul rilievo che, per l'assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l'azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce (Cass. n. 19527 del 2005; Cass. n. 13804 del 2006; Cass. n. 28632 del 2011; Cass. n. 16635 del 2013).
Dunque, il legittimario totalmente pretermesso che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria, che nella successione ab intestato, in qualità di terzo e non in veste di erede, la cui qualità acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, e non è, come tale, tenuto alla preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio di inventario (Cass. n. 16635 del 2013; in senso conf., Cass. n. 12496 del 2007). Viceversa, se si tratta di azione di simulazione relativa proposta da chi già e' erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del de cuius stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validità del negozio dissimulato (come una donazione in favore di un altro erede), l'ammissibilità dell'azione, proposta esclusivamente in funzione dell'azione di riduzione prevista dall'articolo 564 c.c., e' condizionata dalla preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio d'inventario (Cass. n. 15546 del 2017, in motiv.: "l'azione di simulazione relativa proposta dall'erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del "de cuius" stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validità del negozio dissimulato (nella specie una donazione in favore di un altro erede), deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell'azione di riduzione prevista dall'articolo 564 c.c., con la conseguenza che l'ammissibilità dell'azione e' condizionata dalla preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio d'inventario"): tale condizione non ricorre, infatti, soltanto quando l'erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l'accertamento della realtà effettiva consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto.
La Cass. n. 15546 del 2017 ha stabilito che: l'esigenza del rispetto di tale condizione non ricorre quando l'erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l'accertamento della realtà effettiva dell'atto consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, in realtà mai usciti dal patrimonio del defunto[8].
Occorre inoltre chiarire che la distinzione appena fatta porta ad escludere la non condivisa costruzione dell'accettazione presunta negli artt. 485 (Cass. civ., sez. lav., 30-08-2018, n. 21436[9]) e 527 c.c., ipotesi sopra cennate[10].
Secondo la Cass. civ., sez. II, 09-10-2014, n. 21348: Va altresì rammentato, sul piano sostanziale, che l'articolo 527 c.c. dispone che i chiamati all'eredità che hanno sottratto o nascosto i beni a questa spettanti, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia. La fattispecie in esame si differenzia da quella dell'accettazione tacita dell'eredita', prevista dall'articolo 476 c.c.. E infatti, mentre l'accettazione tacita dell'eredita' e' basata sulla volontà del chiamato, effettiva o presupposta, nella ipotesi prevista dall'articolo 527 c.c., al contrario, il legislatore prescinde completamente, ai fini dell'acquisto dell'eredita', dalla concreta volontà del chiamato.
Non è condivisa la tesi che identifica in un medesimo tipo negoziale i modi di accettazione dell'eredità: la tesi prevalente esclude la natura unitaria per il distinto modo di manifestazione della volontà e per la differente struttura dell'atto; sono privi di distinzione gli effetti giuridici prodotti.
Peraltro, bisogna tener presente che la rinuncia all’eredità produce effetti retroattivo.
Infatti, la Cass. civ. [ord.], sez. trib., 30-05-2018, n. 13639, ha avuto modo di spiegare che, … - atteso che la responsabilità per il debito tributario del de cujus presuppone l'assunzione della qualità di erede e, inoltre, che la rinuncia all'eredita' produce effetto retroattivo ex articolo 521 c.p.c. - il chiamato rinunciante non risponde di tale debito, ancorché quest'ultimo sia portato da un avviso di accertamento notificato dopo l'apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione. In tale evenienza, legittimamente il rinunciante può far valere, in sede di opposizione alla cartella di pagamento, la propria mancata assunzione di responsabilità per il debito suddetto.
All’uopo, la Corte precisa che: Non vale obiettare, come sostenuto dalla commissione tributaria regionale, che gli opponenti si sarebbero limitati a rimarcare l'efficacia retroattiva della rinuncia, senza farsi carico della intervenuta definitività degli avvisi di accertamento, in quanto non impugnati. Va infatti considerato che proprio nella deduzione in giudizio da parte degli intimati della rinuncia all'eredita', e della sua efficacia retroattiva, era insito il fondamentale e dirimente motivo di opposizione alla cartella. In quanto basata su avvisi di accertamento notificati allorquando essi assumevano veste di chiamati all'eredita', e non di eredi. E la cui definitività, conseguentemente, non poteva intaccare (e ciò non per ragioni fattuali necessitanti di specifica deduzione, ma nella applicazione del regime giuridico del caso, ex articolo 521 cit.) la loro personale estraneità alla responsabilità tributaria facente capo al de cujus; ne', pertanto, produrre un titolo esecutivo ad essi opponibile.
Sia chiaro che una dichiarazione verbale di accettare l'eredità non configura, sotto il profilo giuridico, alcuna accettazione, perché nel caso di accettazione espressa verrebbe comunque a mancare la forma scritta e nell'ipotesi dell'accettazione tacita manca il carattere tacito, essendo pur sempre espressa.
Sotto il profilo processuale, (Cass. civ., sez. trib., 29-03-2017, n. 8051). Il ricorso per riassunzione ad opera della parte non colpita dall'evento interruttivo, notificato individualmente nei confronti dei chiamati all'eredita', e' idoneo ad instaurare validatamente il rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore della parte deceduta (Cass. 21227 del 2014). Infatti, la parte che procede in riassunzione ha l'onere di individuare i chiamati all'eredità rispetto ai quali sussistono, in tesi se non dispone di precisi riscontri documentali, le condizioni legittimanti l'accettazione dell'eredità. Ne consegue che, in caso di riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva può essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta, o, conoscibile con l'ordinaria diligenza, alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare, quale rinuncia, indegnità, premorrienza ecc.
Il Giudice tributario, inoltre, con Cass. civ., sez. trib., 26-11-2014, n. 25116, ha ribadito che, Questa Corte a Sezioni Unite ha già affermato (Cass. 467/2000) che "il giudice tributario ha il potere di risolvere - senza efficacia di giudicato questioni attribuite alla competenza giurisdizionale di altro giudice, quando da tale risoluzione dipenda la decisione sull'oggetto del giudizio, ma non quello di decidere tali questioni, con efficacia di giudicato, su espressa domanda di parte, in applicazione dell'articolo 34 c.p.c.. Pertanto, il riconoscimento al giudice tributario del potere di decisione su questioni pregiudiziali, attribuite alla competenza del giudice civile, non priva la parte privata della possibilità di ottenere, sulle stesse questioni, una decisione del giudice civile con efficacia di giudicato" (in particolare, in detto giudizio, la domanda aveva ad oggetto l'accertamento della qualità di eredi beneficiati e si e' affermato che le Commissioni tributarie hanno il potere di decidere sull'esistenza di tale qualità o sull'avvenuto compimento o non compimento, da parte degli eredi, di atti che comportavano l'acquisto puro e semplice dell'eredita').
Già con la sentenza Cass. 7792/2005, era stato chiarito che la giurisdizione tributaria, avendo ad oggetto sia l'"an" che il "quantum" della pretesa tributaria, comprende anche l'individuazione del soggetto tenuto al versamento dell'imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato; ne consegue che, qualora tra i debiti ereditari rientri un debito di imposta (nella specie, imposta di registro ed INVIM) e l'erede abbia accettato con beneficio di inventario, spetta alle commissioni tributarie conoscere dell'impugnazione dell'avviso di liquidazione con cui esso erede con beneficio d'inventario, adducendo la propria responsabilità per il debito fiscale ereditario nei limiti di valore dei beni a lui pervenuti ("ex" articolo 490 c.c., comma 2, n. 2), faccia valere il vizio proprio di tale atto impositivo, ad esso destinato, in quanto volto a conseguire il pagamento dell'intera imposta, e non in quanto possibile per effetto della accettazione beneficiata. Del resto, se così non fosse, qualsiasi forma di tutela, concernente la ridotta responsabilià dell'erede accettante con beneficio di inventario per il debito d'imposta imputabile al "de cuius", sarebbe, nella sede ordinaria, preclusa dalla definitività dell'avviso di liquidazione.
In definitiva, per i giudici tributari, in sede di impugnazione dell'iscrizione a ruolo di un debito fiscale ereditario, erano competenti a vagliare, sia pure incidenter tantum, la sussistenza o meno della qualità dei contribuenti, obbligati passivi, di eredi accettanti con beneficio d'inventario, ai fini della corretta quantificazione del debito d'imposta.
Secondo la Suprema Corte non spetta all'Amministrazione finanziaria dimostrare la decadenza degli eredi dall'accettazione con beneficio per mancata tempestiva redazione dell'inventario nel termine di legge, ma agli stessi ricorrenti i quali dovranno dimostrare di possedere tutti i requisiti per godere della qualità di eredi accettanti con beneficio d'inventario, comportando l'omessa redazione dell'inventario un omesso acquisto della suddetta qualità di erede e non una causa di decadenza
Anche secondo la Cass. 11030/2003: Il creditore che, agendo contro l'erede accettante con beneficio d'inventario, intenda farne valere la responsabilità ultra vires per il mancato compimento dell'inventario stesso nei termini previsti dagli articoli 485 e 487 c.c., non ha alcun onere di provare la dedotta omissione o ritardo, dovendo per converso, l'erede in accettazione beneficiata provare, in positivo, la circostanza de qua, rappresentando la tempestiva formazione dell'inventario un elemento costitutivo del relato benefici.
Pervero, l'articolo 484 c.c., nel prevedere che l'accettazione con beneficio d'inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell'inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sona elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti, cosicche', se, da un lato, la dichiarazione di accettazione con beneficio d'inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualita' di erede, da parte del chiamato, che subentra percio' in "universum ius defuncti", compresi debiti del "de cuius", d'altra canto essa non incide sulla limitazione della responsabilita' "intra vires" che e' condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, in mancanza del quale l'accettante e' considerato erede puro e semplice (articoli 485, 487 e 480 c.c.) non perche' abbia perduto "ex post" il beneficio ma per non averlo mai conseguito (cfr. Cass. 16739/2005). Le norme che impongono il compimento dell'inventario in determinati termini non ricollegano mai all'inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza, ma sanciscono sempre come conseguenza che l'erede viene considerato accettante "puro e semplice", mentre la decadenza èchiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell'inventario.
Il decreto con il quale il competente giudice ordinario ordina la formazione dell'inventario, designando a tal fine un cancelliere o un notaio, ai sensi dell'articolo 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità' del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'articolo 763 c.p.c.; ne consegue che laddove tali provvedimenti, non contengano alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono, riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la conseguenza che non sono da ritenersi impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione al sensi dell'articolo 111 Cost. (Cass. 922/2010 e 10446/2012).
Va infine precisato che può ancora accettare anche colui che abbia già rinunciato all'eredità, ma solo nei limiti previsti dall'art. 525 c.c.[11].
Come ha avuto modi ribadire la Cass. civ., 04-07-2016, n. 13599: …. nel sistema delineato dagli articoli 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all'eredità - la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni) (Cass. 29 marzo 2003 n. 4846; Cass. 12 ottobre 2011 n. 21014; Cass. 20 febbraio 2013 n. 4274), senza possibilità di equipollenti.
In linea con il citato orientamento, si è espressamente escluso che la rinuncia all'eredità possa essere fatta mediante scrittura privata autenticata; in tal senso questa Corte[12] si e' già espressa affermando (in motivazione): "del tutto infondata risulta la tesi in diritto del ricorrente, secondo cui la rinuncia all'eredità' può anche essere fatta con scrittura privata autenticata, sia perché contraria alla disciplina di cui agli articoli 519 e 525 c.c., come statuito da questa Corte (tra le altre, Cass. n. 4846 del 2003 cit.), sia perché atto di notevole incidenza in tema di successione ereditaria, riguardo, in particolare, ai chiamati all'eredita' e ai creditori". E' stato aggiunto che "la rinunzia all'eredita' non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'articolo 525 c.c. e non e', pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella specie, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di erede e riportandosi alle difese già svolte dal "de cuius") sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria (v. Cass. 18 aprile 2012 n. 6070).
4. I legittimati all'acquisto dell'eredità
Legittimati all'acquisto dell'eredità sono tutti coloro chiamati o destinatari ex lege della delazione, vale a dire di una offerta di patrimonio ereditario al momento del decesso del de cuius.
Costoro sono chiamati testamentari o legittimi e possono agire anche per rappresentazione di un soggetto premorto o assente (art. 70 c.c.) o se istituiti sotto condizione risolutiva[13].
Può verificarsi l'ipotesi in cui un soggetto non è subito destinatario di una delazione operativa: questi potrà accettare solo dopo che l'eredità sia divenuta attuale; è l'ipotesi del chiamato istituito sotto condizione sospensiva, il sostituito nella sostituzione ordinaria o fedecommissaria, i nascituri concepiti o non concepiti, i chiamati in subordine[14].
Con'abrogazione dell'art. 600 c.c. ad opera della l. 22.6.2000, n. 192, gli enti non riconosciuti possono accettare immediatamente, con beneficio di inventario (art. 473 c.c.), senza più attendere autorizzazioni o richiedere riconoscimenti[15].
Infatti, Cass. civ., sez. II, 12-04-2017, n. 9514: L'idea che il mancato assolvimento all'onere di redigere l'inventario costituisca motivo di decadenza dalla già acquisita soggettiva posizione di erede trova radici in valutazioni interpretative assai remote (n. 329 del 1977, Rv. 383874; n. 11084 del 1993, Rv. 484254; n. 3842 del 1995, Rv. 491585) e da tempo a ragione abbandonate.
Quindi, L'articolo 484 cod. civ.,nel prevedere che l'accettazione con beneficio d'inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell'inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti; infatti, sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancata previsione di una distinta disciplina dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l'attribuzione all'uno dell'autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell'altro. (Sez. 2, n. 16739 del 09/08/2005 - Rv. 584307 -; ma già, n. 11030 del 2003 - Rv. 565061 -).
È stato ulteriormente chiarito che l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario integra una eccezione in senso lato, poiché il legislatore non ne ha espressamente escluso la rilevabilità d'ufficio e tale condizione non corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo, ma rileva quale fatto da solo sufficiente ad impedire la confusione del patrimonio dell'erede con quello del defunto (S.U., ord. n. 10531, 7/5/2013, Rv. 626195).
È opportuno agiungere che nel caso di accettazione con beneficio d'inventario, liberamente scelta dalla persona fisica, il mancato assolvimento dell'onere di far luogo all'inventario nei termini e modi di legge produce l'effetto, escluso il perfezionamento della procedura di legge, dell'accettazione pura e semplice; nel mentre nel caso che l'accettazione con beneficio d'inventario costituisce l'unico modo di accettazione previsto dalla legge, come nel caso in esame, il mancato perfezionamento del modulo legale non può che importare il non conseguimento dello agognato status di erede.
Secondo la decisione del 15 luglio 2003, n. 11030, l'accettazione col beneficio d'inventario si fa mediante dichiarazione... " e che questa "deve essere preceduta o seguita dall'inventario", "chiaramente delinea una fattispecie a formazione progressiva, per la cui realizzazione i due adempimenti sono entrambi indispensabili, come suoi elementi costitutivi: sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune loro configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancanza di distinte discipline dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l'attribuzione all'uno dell'autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell'altro.
La Cass. civ., sez. II, 09-08-2005, n. 16739, poi ha ulteriormente spiegato che Va, invero, evidenziato che la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario ha bensì una propria immediata efficacia, poiché comporta il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato e quindi il suo subentro in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, ma non incide sulla limitazione della relativa responsabilità intra vires hereditatis, che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, mancando il quale l'accettante "è considerato erede puro e semplice" (art. 485, 487, 488 cod. civ.), non perché abbia perduto ex post il beneficio, ma per non averlo conseguito ab initio.
Anche le organizzazioni di volontariato, prive di personalità giuridica, iscritte negli appositi registri regionali o provinciali, possono accettare, con beneficio d'inventario, lasciti testamentari (art. 5, 2° co., l. 11.8.1991, n. 266).
Coloro che non sono immediati destinatari della delazione si trovano in una situazione di "aspettativa di delazione" dalla quale derivano alcuni poteri: - richiesta di apposizione di sigilli (art. 753, n. 2, c.p.c.) e di loro rimozione (art. 763, 1° co., c.p.c.); - richiesta di formazione dell'inventario (art. 769, 1° co., c.p.c.) o di nomina di un curatore dell'eredità giacente (art. 528, 1° co., c.c.); - richiesta di fissazione di un termine per l'accettazione (art. 481 c.c.)[16].
Riguardo all'ipotesi di un atto di accettazione compiuto prima che la delazione divenga attuale, è discusso se esso sia viziato da invalidità o sia solo privo di effetti.
Per la soluzione dell'inefficacia, in un caso di accettazione dei chiamati ulteriori, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 13-07-2000, n. 9286) si è espressa affermando che, … in tema di successioni legittime, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell’eredità per i primi chiamati, sono abilitati ad esercitare una accettazione (espressa o tacita) valida, ma con efficacia subordinata al venire meno, per rinuncia o per prescrizione - eventi i quali configurano una "condicio iuris" - del diritto dei primi chiamati[17].
Inoltre, posto che il termine di prescrizione del diritto di accettare l'eredità decorre dal giorno dell'apertura della successione, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati in subordine, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell'eredità per i primi chiamati, sono legittimati a manifestare una accettazione (espressa o tacita) dell'eredità, con efficacia subordinata al venir meno, per rinuncia o prescrizione, del diritto dei designati di grado anteriore. [18]
Un'altra decisione ha ammesso anche per i chiamati ulteriori la possibilità di effettuare un'accettazione anche tacita, in pendenza del termine di accettazione dell'eredità per i primi chiamati, sancendo che "in tema di successioni legittime, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell'eredità dei primi chiamati, sono abilitati ad effettuare una accettazione, anche tacita, dell'eredità".[19].
5. I legittimati all'accettazione
Ai sensi degli artt. 320, 3° co., e 374, n. 3, c.c., previa autorizzazione giudiziale, l'accettazione dell'eredità può essere effettuata anche dal rappresentante legale.
Per la rappresentanza volontaria è necessaria una procura speciale ad hoc, oppure una procura generale con l'espressa indicazione del potere di accettare eredità, ex art. 1708, 2° co., c.c. poiché atto che eccede l'ordinaria amministrazione.
Non è ammissibile la c.d. rappresentanza indiretta, ovvero la possibilità di accettare nell'interesse di altri, ma in nome proprio.
L'accettazione compiuta da un falsus procurator può essere ratificata dal chiamato entro il termine di prescrizione decennale e l'atto compiuto dal falsus procurator non interrompe la decorrenza della prescrizione; sul punto si deve tuttavia segnalare una sentenza della Cassazione di segno opposto, che ha affermato che "nell'ipotesi di accettazione di eredità realizzata da manifestazioni di volontà del falsus procurator, successivamente ratificate dal chiamato, la ratifica, per poter determinare acquisizione all'erede degli effetti dell'attività compiuta dal rappresentante senza poteri, deve intervenire entro il termine di prescrizione del diritto di accettare, peraltro decorrente, non già dalla data di apertura della successione, bensì dal momento in cui fu realizzato l'atto compiuto dal falsus procurator, di accettazione dell'eredità, valevole, di per sé, a determinare l'interruzione della prescrizione".[20]
Vi sono inoltre incertezze sul potere del negotiorum gestio di perfezionare l'accettazione dell'eredità: tali dubbi sono legati alla natura dell'istituto, ovvero se esso possa riguardare solo atti di amministrazione o anche di disposizione, e se quindi sia eventualmente necessaria una ratifica del chiamato per divenire erede.
La giurisprudenza ha risposto così: "L'accettazione tacita di eredità può avvenire anche per mezzo di negotiorum gestio concernente i relativi beni, ove intervenga la ratifica del chiamato a norma dell'art. 2032 c.c., in quanto tutte le ragioni che si oppongano alla configurabilità di un'accettazione tacita di eredità per effetto della gestione di affari nell'interesse del chiamato e relativa ad atti di amministrazione - tra cui, in particolare, la necessità che essa sia desumibile da un comportamento del successibile, che potrebbe rifiutare l'eredità oltre che per ragioni economiche anche per motivi di ordine normale - sono superate dalla successiva ratifica del medesimo, cosicché gli effetti del negozio posto in essere dal gestore si esplicano nella sfera del dominus con efficacia retroattiva".[21] Secondo parte della dottrina, i creditori del chiamato non sono legittimati ad accettare in via surrogatoria (art. 2900 c.c.), essendo loro tutelati con il diritto di impugnare la rinunzia all'eredità del chiamato (art. 524 c.c.) mediante l'actio interrogatoria (art. 481 c.c.)[22].
La Suprema Corte - Cass. civ. [ord.], sez. VI, 29-04-2016, n. 8519 - ha in più occasioni affermato che: Per l'esercizio dell'impugnazione della rinunzia ad un'eredita da parte dei creditori e' richiesto un unico presupposto di carattere oggettivo, ossia che la rinunzia all'eredita da parte del debitore importi un danno per i suoi creditori, in quanto il suo patrimonio personale non basti a soddisfarli e l'eredita presenti un attivo.
Relativamente, invece, alla richiesta di risarcimento danni, … presupposto del danno, basta che al momento della proposizione dell'azione di cui all'articolo 524 c.c., il danno sia sicuramente prevedibile, nel senso che ricorrano fondate ragioni per ritenere che i beni personali del debitore possano non risultare sufficienti per soddisfare del tutto i suoi creditori[23].
Altra dottrina, tuttavia, osserva che, in mancanza di dichiarazione nel termine fissato, l'art. 481 c.c. prevede che "il chiamato perde il diritto di accettare", per cui non potrebbe trovare spazio il richiamato art. 524 c.c. e quindi andrebbe negata ai creditori del chiamato l'azione surrogatoria, in quanto i creditori resterebbero privi di una adeguata tutela. I creditori del legittimario possono comunque agire in riduzione in via surrogatoria[24].
Pervero, la Cass. civ., sez. II, 22-02-2016, n. 3389, ha chiarito che, il creditore non può surrogarsi nell'accettazione dell'eredità, in nome e in luogo del suo debitore, se prima non rende inefficace la rinuncia all'azione di riduzione posta in essere dal debitore stesso, in qualità di legittimario totalmente pretermesso.
La Cass., sez. II, sentenza n. 20562 del 2008, chiarito che l'azione esercitata dal creditore ai sensi dell'art. 524 c.c., per essere autorizzato ad accettare l'eredità in nome ed in luogo del debitore rinunciante ha una funzione strumentale per il soddisfacimento del credito, in quanto mira a rendere inopponibile al creditore la rinuncia ed a consentirgli d'agire sul patrimonio ereditario[25]; tale azione ha quindi natura recuperatoria, poichè permette al creditore di soddisfarsi sui beni ereditari che, per il chiamato all'eredità, si sono ormai perduti in conseguenza della sua rinuncia.
La rinuncia, quindi, preclude l'acquisto dell'eredità in favore del chiamato, costituendo il necessario presupposto logico -giuridico per l'esperibilità dell'azione ex art. 524 c.c., occorrendo che, per effetto di essa, si verifichi un pregiudizio dei diritti del creditore del rinunciante.
Tale circostanza non ricorre invece, nell'ipotesi del legittimario totalmente pretermesso, che invero non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del "de cuius"[26], e che acquista tale qualità solo all'esito della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione, rimuovendo l'efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie[27]; il legittimario totalmente pretermesso quindi non ha acquisito la sua quota di riserva per non essere stato chiamato all'eredità e non per l'eventuale rinuncia a quest'ultima.
In definitiva, senza l’ esperimento dell'azione di riduzione, la rinuncia da parte del legittimario pretermesso è priva di effetto, non essendovi alcuna quota ereditaria che resti non acquisita a seguito della rinuncia stessa, atteso che nell'ipotesi di legittimario pretermesso non sussiste delazione dell'eredità in suo favore.
Il curatore fallimentare, con l'autorizzazione del Tribunale, può accettare eredità devolute al fallito.
6. Accettazione dell'eredità: trascrizione
Ai sensi dell'art. 2648 c.c., l'accettazione di eredità è soggetta a trascrizione per l'effetto non di dirimere conflitti ex art. 2644 c.c., ma solo di assicurare la continuità delle trascrizioni ex art. 2650 c.c. e di regolare la fattispecie dell'erede apparente (artt. 534 e 2652, n. 7, c.c.).
Come ha avuto modo di precisare la Commiss. trib. prov. Pisa, 04-03-2016.
Ai sensi di quanto previsto dal 3º comma dell'art. 2648 c.c., «se il chiamato (all'eredità) ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell'eredità, si può richiedere la trascrizione sulla base di quell'atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente»; dal disposto di tale norma è agevole ricavare che la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità è possibile in forza di un atto che la presuppone, da ciò discendendo che la trascrizione medesima si pone quale consequenziale, nel senso cioè che essa è possibile soltanto in conseguenza, per l'appunto, di un atto che la presuppone (e non a caso il legislatore utilizza l'espressione «sulla base di quell'atto»); pertanto, la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità (e non l'accettazione tacita dell'eredità in sé) si pone quale elemento conseguente rispetto all'atto traslativo del diritto immobiliare tra vivi, posto che soltanto in conseguenza e sulla base di tale atto è possibile che essa venga effettuata; quindi, la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità compiuta sulla base di un atto assoggettato ad imposta di registro e compreso nel novero degli atti indicati dal 1º comma dell'art. 10 d.leg. 14 marzo 2011 n. 23, è assoggettata al pagamento della sola imposta ipotecaria nella misura fissa di euro cinquanta (euro cinquanta), dovendosi essa considerare formalità «direttamente conseguente» rispetto all'atto sulla cui base essa viene effettuata, in adempimento di quanto previsto dal 3º comma dello stesso art. 10 d.leg. 14 marzo 2011 n. 23.
A tal fine può assumere rilevanza giuridica anche una trascrizione dell'accettazione in ripetizione o dell'accettazione tardiva[28].
Sicuramente l'articolo 2648 c.c., comma 1, impone le trascrizione dell'acquisto del legato immobiliare, e ai sensi dell'articolo 2650, 1 comma c.c. la relativa omissione produca l'inefficacia di ulteriori trascrizioni e iscrizioni a carico dell'acquirente. Inoltre, tenuto conto del fatto che il legato si acquista senza necessità di accettazione (art. 649 c.c., co. 1), sul notaio che proceda alla pubblicazione di un testamento contenente l'attribuzione di un legato immobiliare incombe un duplice obbligo, civile e deontologico, di provvedere alla trascrizione. Diversamente avviene, invece, nel caso di istituzione di erede ex re certa, allorche', cioe', il testatare includa nella quota dell'erede uno o piu' immobili determinati, atteso che l'acquisto dell'eredita' richiede l'accettazione (art. 459 c.c.) (Cass. civ., sez. II, 25-02-2014, n. 4485).
Qulora il bene oggetto di succession sia soggetto ad esecuzione, spetta al giudice dell'esecuzione verificare la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto (di proprietà o diritto reale minore) pignorato sul bene immobile. Tale verifica deve essere compiuta, d'ufficio, mediante l'esame della documentazione prodotta dal creditore procedente ai sensi dell'articolo 567 c.p.c., comma 2, ovvero, allo scopo, integrata su ordine del giudice dell'esecuzione, ai sensi del terzo comma dello stesso articolo.
Come precisa la Cass. civ., sez. III, 26-05-2014, n. 11638, Si tratta di verifica formale, cioé basata su indici di appartenenza del bene desumibili dalle risultanze dei registri immobiliari; non ha carattere sostanziale, perche' la titolarita' del diritto sul bene immobile pignorato in capo all'esecutato non è' un presupposto dell'espropriazione immobiliare e perche' il decreto di trasferimento non contiene l'accertamento dell'appartenenza del bene al soggetto esecutato (cfr. Cass. n. 11090/93[29], in motivazione); soltanto, spetta al creditore procedente dimostrare, appunto attraverso detta documentazione, la trascrizione di un titolo d'acquisto a favore del debitore esecutato, nonche' l'assenza di trascrizioni a carico dello stesso debitore relative ad atti di disposizione del bene, precedenti la trascrizione del pignoramento. Non può essere seguito, in materia di processo esecutivo, l'orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento all'articolo 2644 c.c., per il quale il difetto di trascrizione di un atto non e' rilevabile di ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore (cfr. Cass. n. 1105/78, n. 994/81[30], n. 11812/11[31]): infatti, e' compito del giudice dell'esecuzione verificare d'ufficio la validita' del pignoramento e la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell'azione esecutiva, tra cui rientra anche l'appartenenza al debitore del bene che, sottoposto a pignoramento, costituisce l'oggetto del processo esecutivo. In conclusione, va affermato il principio per il quale, nel processo esecutivo, spetta al giudice dell'esecuzione verificare, d'ufficio, la titolarita', in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l'esame della documentazione depositata dal creditore procedente ovvero integrata per ordine dello stesso giudice ai sensi dell'articolo 567 c.p.c., dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore. 3.- Tuttavia, quanto appena detto non conduce necessariamente al corollario affermato nella sentenza impugnata, nel caso in cui sia sottoposto a pignoramento un bene immobile del quale il creditore procedente assuma la titolarita' in capo al debitore esecutato per acquisto fattone in qualita' di erede. In tal caso, poiche' l'eredita' si acquista con l'accettazione (arg. ex articolo 459 c.c.), la verifica officiosa ha ad oggetto la trascrizione dell'accettazione espressa o tacita dell'eredita'
L'accettazione, espressa o tacita, dell'eredità, implicando l'effettivo sub ingresso dell'erede nella totalità o in una parte frazionaria dell'universum jus costituente l'asse ereditario, prescinde dalla specificazione di singoli beni o rapporti, la cui sorte non può che essere regolata dalla legge o dalla volontà eventualmente manifestata dall'autore della successione.[32]
Sempre secondo la Cass. civ., sez. III, 26-05-2014, n. 11638, Se la giurisprudenza di legittimità tende ad escludere che valgano come accettazione tacita la dichiarazione di successione ed il pagamento della relativa imposta (cfr. Cass. n. 4783/07), trattandosi di adempimenti con finalita' fiscale, a maggior ragione va esclusa qualsiasi valenza alla trascrizione del certificato di successione da parte dell'ufficio del registro, pur se redatto in conformita' alla dichiarazione della successione, poiche' la stessa norma che prevede l'adempimento, cioé il Decreto Legislativo n. 347 del 1990, articolo 5, stabilisce al secondo comma che "la trascrizione del certificato e' richiesta ai soli effetti stabiliti dal presente testo unico e non costituisce trascrizione degli acquisti a causa di morte degli immobili e dei diritti reali immobiliari compresi nella successione". Privi di pregio sono, pertanto, gli argomenti della ricorrente fondati sull'avvenuta trascrizione della denuncia di successione, o meglio del certificato di successione, da parte dell'ufficio preposto. 6.2.- E' vero peraltro che, come sostenuto dalla ricorrente, la giurisprudenza riconosce univocamente alla voltura catastale, a differenza che alla dichiarazione di successione, la valenza di atto di accettazione tacita dell'eredita', in quanto avente rilevanza, non solo fiscale, ma anche civile (cfr. Cass. n. 5226/02, n. 10796/09).
Inoltre, Cass. civ., sez. II, 12-04-2002, n. 5226 chiarisce che: Dalla voltura, invero, rilevante non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi, ben poteva ricavarsi (v. Cass. n. 7075/99) un’accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 c.c. da parte del de cuius, giacché soltanto chi intenda accettare l’eredità assume l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio della proprietà dal "de cuius" a se stesso.
In definitiva, l'accettazione tacita di eredità ex art. 476 c.c. può ricavarsi dalla voltura catastale dei beni immobili appartenuti al de cuius, trattandosi di atto rilevante non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell'imposta, ma anche dal punto di vista civile, per l'accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi, in quanto soltanto chi intenda accettare l'eredità assume l'onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio della proprietà dal de cuius a se stesso.
Anche il coerede rimasto nel possesso del bene ereditario, dopo la morte del de cuius può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l'interversione del titolo del possesso (art. 1102, 1141 e 1164 c.c.), attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso comune della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus; poiché, peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, provvedendo fra l'altro al pagamento delle imposte e alla manutenzione (sussistendo al riguardo una presunzione iuris tantum che egli abbia agito nella qualità e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi), il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario.
7. Accettazione con beneficio di inventario
Come sopra solo accennato, l'eredità può essere accettata puramente e semplicemente o con beneficio d'inventario.
Quest'ultima opzione opera automaticamente per i soggetti incapaci, le persone giuridiche (diverse dalle società), gli enti non riconosciuti e le organizzazioni di volontariato.
Come detto, l'accettazione con beneficio di inventario può essere solo espressa, perché l'accettazione beneficiata non può essere tacita (art. 484 c.c.)[33].
Da precisare che il legittimario pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento.
Per tale ragione, la condizione della preventiva accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, stabilita dall'articolo 564 c.c., comma 1, per l'esercizio dell'azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede, e non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore (Cass. n. 28632 del 2011).
La Cass. civ. [ord.], sez. II, 22-08-2018, n. 20971, infatti così chiarisce: Ora, una totale pretermissione del legittimario può aversi tanto nella successione testamentaria, quanto nella successione ab intestato e, precisamente: a) nella successione testamentaria, se il testatore ha disposto a titolo universale dell'intero asse a favore di altri, in base alla considerazione che, a norma dell'articolo 457 c.c., comma 2, questi non è chiamato all'eredita' fino a quando l'istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti; b) nella successione ab intestato, qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell'intero suo patrimonio con atti di donazione, sul rilievo che, per l'assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessita' di esperire l'azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce (Cass. n. 19527 del 2005; Cass. n. 13804 del 2006; Cass. n. 28632 del 2011; Cass. n. 16635 del 2013).
Il legittimario totalmente pretermesso, quindi, che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria, che nella successione ab intestato, in qualità di terzo e non in veste di erede, la cui qualita' acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, e non è, come tale, tenuto alla preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio di inventario (Cass. n. 16635 del 2013; in senso conf., Cass. n. 12496 del 2007).
Al contrario, per l’azione di simulazione relativa proposta da chi già è erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del de cuius stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validità del negozio dissimulato (come una donazione in favore di un altro erede), l'ammissibilità dell'azione, proposta esclusivamente in funzione dell'azione di riduzione prevista dall'articolo 564 c.c., è condizionata dalla preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio d'inventario (Cass. n. 15546 del 2017, in motiv.: "l'azione di simulazione relativa proposta dall'erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del "de cuius" stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validita' del negozio dissimulato (nella specie una donazione in favore di un altro erede), deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell'azione di riduzione prevista dall'articolo 564 c.c., con la conseguenza che l'ammissibilita' dell'azione e' condizionata dalla preventiva accettazione dell'eredita' con beneficio d'inventario"): tale condizione non ricorre, infatti, soltanto quando l'erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullita' del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l'accertamento della realta' effettiva consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto (Cass. n. 15546 del 2017: "l'esigenza del rispetto di tale condizione non ricorre quando l'erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullita' del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l'accertamento della realta' effettiva dell'atto consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, in realta' mai usciti dal patrimonio del defunto"; conf., Cass. n. 4400 del 2011).
Come ribadito da diverse sentenze della Corte di cassazione, (Cass. civ., sez. II, 26-03-2018, n. 7477; Cass. Sez. 2, 15/07/2003, n. 11030; poi Cass. Sez. 2, 09/08/2005, n. 16739; Cass. Sez. L, 06/08/2015, n. 16514) l'accettazione col beneficio d'inventario si fa mediante dichiarazione... e che questa deve essere preceduta o seguita dall'inventario
L'art. 484 c.c. delinea dunque, una fattispecie a formazione progressiva, che si realizza con entrambi gli adempimenti da ritenersi indispensabili, quali elementi costitutivi. La dichiarazione di accettazione, ha ex se una propria immediata efficacia, comportando il definitivo acquisto della qualita' di erede da parte del chiamato e quindi il suo subentro in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, senza pero' incidere sulla limitazione della relativa responsabilita' intra vires hereditatis, la quale e' condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, mancando il quale l'accettante "e' considerato erede puro e semplice" (articoli 485, 487 e 488 c.c.), come se non avesse conseguito il beneficio ab initio. (Cass. civ., sez. II, 26-03-2018, n. 7477).
L'intempestivo compimento dell'inventario, salvo quanto previsto dall'articolo 489 c.c. (relativamente alla disciplina prevista per gli incapaci) non è previsto quale ipotesi di decadenza dal beneficio (articoli 493, 494 e 505 c.c.), quindi conferma che tale formalità ha natura di elemento costitutivo della fattispecie.
L'art. 471 c.c., disponendo che le eredità devolute ai minori e agli interdetti non si possono accettare se non con il beneficio di inventario, infatti, Cass. civ., sez. II, 15-09-2017, n. 21456 esclude che il rappresentante legale dell'incapace possa accettare l'eredità in modo diverso da quello prescritto dall'articolo 484 c.c. (che consiste in una dichiarazione espressa di volonta' volta a fare acquistare all'incapace la qualita' di erede con limitazione della responsabilita' ai debiti e ai pesi "intra vires hereditatis"); cosicche' l'accettazione tacita, fatta con il compimento di uno degli atti previsti dall'articolo 476 c.c. (e, quindi, pur con la costituzione ovvero con l'intervento in giudizio: cfr. al riguardo Cass. 8.4.2013, n. 8529), non rientra nel potere del rappresentante legale e percio' non produce alcun effetto giuridico nei confronti dell'incapace, che resta nella posizione di chiamato all'eredita' fino a quando egli stesso o il suo rappresentante eserciti il diritto di accettare o di rinunziare all'eredita' entro il termine della prescrizione (cfr. Cass. 1.2.2007, n. 2211; Cass. 9.4.1969, n. 1144).
La Corte di legittimità ribadisce che, se a seguito dell'inefficace accettazione dell'eredità per suo conto operata dal legale rappresentante, il soggetto già minore d'età non provvede - giusta il disposto dell'articolo 489 c.c. - a conformarsi alle disposizioni degli articoli 484 c.c. e ss. entro l'anno dal raggiungimento della maggiore età, rimane ferma con pieni effetti l'accettazione pura e semplice già avvenuta nel suo interesse ed acquistano efficacia anche tutti gli atti inerenti all'eredità accettata posti in essere dal rappresentante legale del minore (cfr. Cass. 23.4.1966, n. 1051; cfr. anche Cass. 23.8.1999, n. 8832, secondo cui, qualora il genitore esercente la potesta' sul figlio minore chiamato all'eredità faccia l'accettazione prescritta dall'articolo 471 c.c. da cui deriva l'acquisto da parte del minore della qualità di erede (articoli 470 e 459 c.c.), ma non compia l'inventario - necessario per poter usufruire della limitazione della responsabilità - e questo non sia redatto neppure dal minore entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, l'eredità resta acquisita da quest'ultimo, che però è considerato erede puro e semplice (articolo 489 c.c.)).
La Corte di legittimità (Cass. civ., sez. trib., 11-05-2018, n. 11458) ha in più occasioni affermato il principio secondo cui la limitazione della responsabilita' dell'erede per i debiti ereditari, derivante dall'accettazione dell'eredita' con beneficio d'inventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso l'erario, che, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dell'avviso di liquidazione nei confronti dell'erede, non puo' esigere l'imposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari, e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell'erede. Ed ha precisato la Corte che il credito relativo all'imposta di successione sorge nei confronti dell'erede in relazione a quanto residuera' a seguito della definitivita' dello stato di graduazione (Cass. n. 14847 del 15/07/2015; Cass. n. 4419 del 21/02/2008).
Innanzitutto, è necessario precisare che la Suprema Corte (Cass. civ. [ord.], sez. II, 23-05-2017, n. 12950) ha più volte affermato che le cause di sospensione ed interruzione della prescrizione, ai sensi dell'articolo 2943 c.c., sono tassative e tipiche. Ne consegue che la domanda proposta da un creditore in una procedura di liquidazione di eredità beneficiata per ottenere la soddisfazione del suo credito non è riconducibile (procedimento di giurisdizione volontaria) alla tassativa elencazione di atti processuali che, a norma dell'articolo 2943 c.c., comma 1, sono idonei ad interrompere la prescrizione, salvo che la domanda suddetta venga notificata al debitore, rendendolo in tal modo edotto dell'intenzione del creditore di far valere la sua pretesa creditoria, costituendo cosi' atto idoneo a costituire in mora il debitore e quindi, ex articolo 2943, u.c., cit., avendo l'effetto di interrompere il decorso della prescrizione (Cass.2198/1987[34]).
Detto procedimento, di giurisdizione volontaria non rappresenta, infatti la sede esclusiva di accertamento dei crediti nei confronti dell'eredità, e non è, neppure riconducibile, diversamente della domanda di insinuazione nello stato passivo del fallimento, alla tassativa elencazione di atti processuali contenuta nell'articolo 2943 c.c. (Cass. 4704/2001).
Ed invero, perché un atto abbia efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora. (Cass. 25500/2006). L'atto indirizzato ad un ausiliario del giudice, quale il notaio incaricato della redazione dell'inventario, e non notificato agli eredi non costituisce dunque atto idoneo ad interrompere la prescrizione. Ben diversa al riguardo appare la posizione del notaio incaricato dell'inventario, ed ausiliario del giudice, rispetto a quella del curatore dell'eredità giacente, in quanto, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, soltanto il secondo, a seguito del rilascio dei beni ereditari a favore dei creditori, da parte dell'erede, assume l'incarico di procedere alla liquidazione e gestione del patrimonio ereditario nell'interesse dei creditori, dei legatari e degli stessi eredi (Cass. n. 123/1999), quale soggetto incaricato dei poteri di amministrazione e di disposizione dei beni ereditari e dunque legittimato alla ricezione di atto avente efficacia interruttiva della prescrizione.
La dichiarazione di accettare l'eredità che sia espressa o tacita, semplice o con beneficio d'inventario, costituisce un atto puro e irrevocabile, per cui un'eventuale successiva rinuncia alla medesima eredità deve considerarsi radicalmente inefficace; (fattispecie relativa a procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo per pagamento di oneri condominiali, nel quale il giudicante ha ritenuto - sulla scorta del suddetto principio - che nessun effetto potesse essere attribuito alla rinuncia all'eredità degli opponenti, attesa la precedente accettazione ed il conseguente acquisto della qualità di eredi, con conseguente subentro nella titolarità delle obbligazioni relative al pagamento delle spese condominiali ex art. 1123 c.c.)[35].
Naturalmente entrambe le forme di accettazione determinano l'acquisto dell'eredità e della qualità di erede; tuttavia, mentre l'accettazione pura e semplice provoca la confusione del patrimonio del defunto con quello dell'erede, con la conseguenza che l'erede risponde delle passività ereditarie anche ultra vires hereditatis ovvero col proprio patrimonio personale, in caso di accettazione con beneficio d'inventario non si ha confusione di patrimoni e l'erede risponde solo nei limiti del valore dei beni a lui pervenuti.
L'accettazione con beneficio di inventario deve essere resa nelle forme indicate all'art. 484 c.c. e accompagnata da una serie di formalità ulteriori; deve inoltre contenere non la semplice dichiarazione espressa di accettare l'eredità o di assumere il titolo di erede, ma quella che ciò avviene con beneficio d'inventario.
8. Nullità del divieto di accettare con beneficio di inventario
Va precisato che il testatore non può limitare o escludere la libertà di scelta tra l'accettazione pura e semplice e quella con beneficio d'inventario.
La regola è espressione del carattere legale della delazione ereditaria: i modi e termini sono stabiliti dalla legge e sono indisponibili, mentre al testatore è concesso solo di determinare i chiamati e l'oggetto della delazione.
La nullità colpisce sia il divieto esplicito sia quello implicito, cioè la clausola che preveda particolari sanzioni o condizioni a carico del chiamato che decida di accettare con beneficio d'inventario.
Qualora un soggetto si trovi a dover agire giudizialmente nei confronti del de cuius, per poter procedere nei confronti degli eredi del de cuius deve provare che da questi sia stata effettuata l'accettazione dell'eredità, in difetto di una prova sull'accettazione (espressa o tacita) la sua domanda sarà respinta per carenza di legittimazione passiva. Diversamente, quando sono gli eredi che devono contestare una sentenza emessa contro il de cuius, sono gli eredi a dover provare la loro posizione di eredi.
Come ha avuto modo di chiarire Cass. civ., sez. II, 10-05-2018, n. 11318, … la legitimatio ad causam (o legittimazione ad agire), costituisce una condizione dell'azione e va intesa come il diritto potestativo non gia' di ottenere una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito, e si risolve, perciò, nella titolarita' del potere di promuovere (o del dovere di subire) un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, indipendentemente, dalla questione dell'effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto controverso, la quale attiene, invece, al merito della decisione ed è riservata all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile se immune da vizi logici o giuridici.
È pure vero che la Suprema Corte ha più volte affermato, in tema di litisconsorzio necessario, che in caso in cui manchi l’integrità del contraddittorio non si posono rilevare direttamente dagli atti o in base alle prospettazioni delle parti e deve, quindi, essere eccepita da una di esse: invero, … spetta alla parte che la deduce l'onere non solo di indicare le persone dei litisconsorti asseritamente pretermessi, ma anche di provare i presupposti di fatto e di diritto che giustificano l'invocata integrazione e, cioe', i titoli in base ai quali i soggetti pretermessi assumono la veste di litisconsorti necessari. Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia eccepito il difetto di contraddittorio deve acquisire la certezza sia in ordine alla esistenza dei soggetti pretermessi, sia in ordine ai presupposti della loro vocatio in jus, poiche' il dubbio su tali circostanze ricade sull'eccipiente e non consente al giudicante di ravvisare la dedotta violazione dell'articolo 102 c.p.c. (Cass. 6 marzo 2006, n. 5880; conforme Cass., Sez. Un., 4 dicembre 2001, n. 15289).
Per consolidata giurisprudenza (cfr. fra le tante Cass. n. 17097 del 2010), la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. Infatti come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: "(...)
In altre parole, l'art. 470 c.c., secondo cui l'eredità può essere accettata con il beneficio d'inventario, nonostante qualsiasi divieto del testatore, colpisce di nullità non solo le clausole del testamento che proibiscano esplicitamente l'accettazione con il cennato beneficio, ma anche quelle che contengano tale divieto in modo implicito, imponendo all'erede il pagamento integrale dei legati o dei debiti ereditari ovvero condizionano l'efficacia dell'accettazione dell'eredità a siffatto pagamento.[36]
È necessario ricordare, che l'atto di accettazione dell'eredità non è idoneo a provare un titolo di acquisto originario, in quanto la prova della successione del possesso presuppone la prova del possesso del dante causa (cfr. Cass. n. 718 del 1973; di recente, Cass. 25643 del 2014). Pervero, il contratto di vendita di un bene non prova, di per sè, l'acquisto del possesso da parte dell'acquirente, occorrendo a tal fine la prova del possesso del venditore e dell'immissione nel possesso dell'acquirente (cfr. Cass. n. 2334 del 1995[37]).
Infatti la Cass. civ. [ord.], sez. VI, 10-09-2018, n. 21940, insegna che: In tema di azione di rivendicazione, ai fini della probatio diabolica gravante sull'attore, tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all'acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione, non è sufficiente produrre l'atto di accettazione ereditaria, che non prova il possesso del dante causa, né il contratto di acquisto del bene, che non prova l'immissione in possesso dell'acquirente.
Vige il principio vitiatur, sed non vitiat, di cui all'art. 634 c.c., per cui l'invalidità di tali clausole non incide sulle altre di per sé valide[38].
Come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 14109/2006, principi ribaditi anche dalla successiva giurisprudenza della Corte la quale da ultimo ha affermato (Cass. n. 22274/13[39]) che: nel giudizio di divisione ereditaria, qualora l'attore - nel replicare alla domanda riconvenzionale di collazione proposta dal convenuto - deduca la nullita' di altra donazione, effettuata dal "de cuius" in favore di costui, formula non gia' una mera precisazione della domanda, bensi' un'eccezione di merito in senso proprio, che, come tale, deve essere proposta non con la memoria assertiva di cui al quinto comma dell'articolo 183 c.p.c. (nel testo applicabile "ratione temporis", anteriore alla novella di cui al Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 2, comma 3, lettera c-ter, convertito con modificazioni in L. 14 maggio 2005, n. 80), bensi' entro l'udienza di trattazione, ai sensi del quarto comma del medesimo articolo.
Invero, nella motivazione il Collegio rimarca i principi espressi dalle Sezioni Unite, per cui, le caratteristiche del procedimento divisorio - rappresentate dalla finalita' che esso persegue, di porre fine alla comunione con riferimento all'intero patrimonio del de cuius, e dalla possibilita' che esso si concluda, in luogo che con sentenza, con ordinanza che, sull'accordo delle parti, dichiari esecutivo il progetto divisionale - non sono di per se' sufficienti a giustificare deroghe alle preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il normale giudizio contenzioso.
Anche Cass. n. 29372/2011, conferma tali principi, tanto da poter legittimamente ritenere la volontà di arrestare la tendenza manifestata dopo l'intervento delle SS.UU., di individuare delle maglie attraverso le quali far penetrare i nova nel giudizio di divisione (come appunto isolatamente affermato da Cass. n. 13385/2011), e cio' in sostanziale continuita' anche con quanto affermato, sebbene con specifico riferimento all'ordinario giudizio di scioglimento delle comunioni da Cass. n. 9472/2011 (citata anche dai giudici di appello).
La giurisprudenza, da dunque continuità all'orientamento delle Sezioni Unite, ribadito anche con Cass. n. 14756/2016, in tema di tempestività dell'istanza di attribuzione ex articolo 720 c.p.c., sicché dovendo anche il potere di specificazione della domanda (nel caso di specie riconvenzionale) manifestarsi nel rispetto delle preclusioni, non appare idonea a denotare l'erroneita' della decisione gravata la semplice affermazione che nel corso del giudizio di primo grado vi sarebbe stata un'integrazione della domanda, essendo tale asserzione, come detto, del tutto generica quanto all'individuazione degli atti processuali con i quali cio' sarebbe avvenuto, onde poter riscontrare se la deduzione sia avvenuta a preclusioni gia' maturate o meno.
Pervero, proprio con specifico riferimento al giudizio di riduzione per lesione di legittima, l'operatività del regime delle preclusioni é stata ribadita anche da Cass. n. 3993/2018, dovendosi quindi ritenere preclusa la possibilita' per la parte di poter allegare ovvero provare in sede di appello l'esistenza di altri beni idonei ad incidere sulla determinazione del relictum e, conseguentemente, dell'effettiva entita' della lesione. (Cass. civ., sez. II, 06-11-2018, n. 28272.)
La Cass. civ., sez. II, 29-11-2013, n. 26848, ha chiarito che: Il divieto previsto dall'art. 28, n. 3, l. 16 febbraio 1913 n. 89, che interdice al notaio di rogare atti che contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie o alcuno dei suoi parenti o affini, in linea retta o in linea collaterale fino al terzo grado, o persone di cui sia procuratore, è posto a presidio della terzietà del notaio stesso, garantendo la tutela anticipata dell'imparzialità e della trasparenza della sua attività, sicché la valutazione dell'esistenza di un interesse personale del rogante, o degli altri soggetti che sono indicati nella norma, va effettuata ex ante, in termini di mera potenzialità o pericolosità, senza che rilevi se le parti non abbiano in concreto ricevuto un danno dall'atto rogato
Lo stesso fine persegue l'art. 703, ult. co., c.c., in virtù del quale qualsiasi atto dell'esecutore testamentario non pregiudica il diritto del chiamato ad accettare con beneficio d'inventario.
L'art. 756 è una norma dispositiva; il testatore può derogarvi imponendo al legatario di pagare i debiti nei limiti del valore del legato[40].
La Cass. civ., sez. II, 29-01-2016, n. 1720, ha avuto modo di precisare che.
Il legato di azienda ha ad oggetto, salvo diversa volontà del testatore, il complesso unitario dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, comprensivo di tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito che ad essa fanno capo, sicché, trovando applicazione le regole successorie, il legatario è tenuto al pagamento dei debiti aziendali, ancorché nei limiti del valore dell'azienda medesima, ex art. 671 c.c.
Inoltre la Cass. civ., 05-11-1990, n. 10605[41], ha affermato che: Ai fini dell'esclusione della capacità di donare (art. 754) e della annullabilità di donazione fatta da soggetto incapace (art. 756 c.c.) deve escludersi la equiparazione della condizione e situazione giuridica dell'inabilitato a quella di colui nei cui confronti sia stato soltanto promosso il giudizio di inabilitazione anteriormente al compimento dell'atto impugnato, riferendosi le norme in questione con il termine «inabilitato» soltanto a chi sia stato dichiarato tale con sentenza, come risulta dalla ratio ispiratrice delle norme stesse correlata all'esigenza di tutelare con particolare rigore la posizione e gli interessi del donante (e dei suoi eredi e aventi causa) di cui sia stata accertata e dichiarata giudizialmente con la pronunzia di inabilitazione la parziale incapacità di provvedere alla cura dei propri interessi.
Se i creditori esercitino il diritto di separazione per la preferenza ad essi accordata sui legatari dall'art. 514 c.c. il legatario deve pagare i debiti ereditari[42].
Il legatario che paga un debito del defunto garantito da ipoteca sul bene attribuitogli può surrogarsi ex art. 1203 c.c.[43], ma non può invocare l'applicazione della norma stabilita dall'art. 754 c.c. nei rapporti dei coeredi fra loro[44].
La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ribadito (Cass. civ., sez. III, 22-11-2016, n. 23705.) che gli eredi del condebitore solidale rispondono del debito del de cuius in proporzione delle rispettive quote senza vincolo di solidarieta' (Cass., 17/10/1989, n. 4155[45]), sicché ciascun erede è tenuto a soddisfare il debito ereditario esclusivamente pro quota, ovvero in ragione della quota attiva in cui succede, non potendo essere condannato al pagamento del debito stesso in via solidale con i coeredi (cfr., in tema di condanna al risarcimento del danno degli eredi del responsabile civile di un incidente stradale, Cass., 16/12/1971, n. 3681. Cfr. altresì Cass., 20/11/1969, n. 3783).
Anche la Cass. civ., sez. II, 26-05-2015, n. 10808, conferma quanto detto, Il fatto che, ai sensi dell'articolo 752 c.c., i coeredi "contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle quote ereditarie..." e che, ai sensi dell'articolo 754 c.c., ciascuno è tenuto verso i creditori in proporzione della sua quota, infatti, comporta solo che, a seguito della successione, ciascuno dei debitori "non e' tenuto a pagare il debito che per la sua parte", a norma dell'articolo 1314 c.c., ma non significa anche che sussistono originariamente tanti autonomi rapporti quanti sono gli eredi, giacche' il debito di ognuno ("pro quota") ha comunque la sua fonte nell'obbligazione del "de cuius", la quale determina l'unicità genetica del rapporto obbligatorio (Cass. 17-9-2008 n. 23765; Cass. 27-9-2007 n. 20338).
[1] Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 3ª ed., Torino, 2005, 79.
[2] Cass. civ. sez. II, 06.05.2002 n. 6479. Ex plurimis: Cass. civ. sez. II, 30.10.1991 n. 11634; Cass. civ. sez. lavoro, 10.03.1987 n. 2489; Cass. civ., 17.06.1971 n. 1850.
[3] Cass. n. 10525/2010.
[4] Corte Cass. n. 15698/13
[5] Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice [c.c. 476, 564, 2964]. Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta [c.c. 470] o rinunzia [c.c. 519] all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice [c.c. 459, 480, 487].
[6] Burdese, in Grosso, Burdese, Le successioni. Parte generale, in Tratt. Vassalli, Torino, 1977, 253-254.
[7] Ferri, Successioni in generale, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 456-511, 3ª ed., Bologna-Roma, 1997, 262.
[8] Conf., Cass. n. 4400 del 2011.
[9] In tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l'accettazione da parte del chiamato, mediante aditio o per effetto di una pro herede gestio, oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c.; nell'ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non operando alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità (nella specie, la suprema corte ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto provata l'assunzione della qualità di erede del convenuto in forza della mancata risposta all'invito di pagare il debito ovvero della mancata allegazione da parte di quest'ultimo della rinuncia all'eredità).
[10] Zabban, in Zabban, Pellegrino, Delfini, Delle successioni, in Comm. Ipsoa, Milano, 1993, 53.
[11] Morini, Revoca della rinuncia all'eredità: forma, effetti e limiti
[12] V. Cass. 11 gennaio 2011 n. 444.
[13] Capozzi, Successioni e donazioni, I, 2ª ed., Milano, 2002, 156.
[14] Saporito, L'accettazione dell'eredità, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, I, Padova, 1994, 190-195.
[15] De Giorgi, L'abrogazione degli artt. 600, 786 c.c. e la modifica dell'art. 473 c.c., in Studium iuris, 2000, 1190.
[16] Burdese, in Grosso, Burdese, Le successioni. Parte generale, in Tratt. Vassalli, Torino, 1977, 72.
[17] Cass., Sez. II, 16 agosto 1993, n. 8737; Cass., Sez. II, 22 giugno 1995, n. 7073
[18] C., Sez. II, 22.6.1995, n. 7073; C., Sez. II, 16.8.1993, n. 8737.
[19] C., Sez. II, 13.7.2000, n. 9286.
[20] Cass. civ., 21.05.1969 n. 1773.
[21] C., 1.12.1977, n. 5227; C., 3.12.1974, n. 3958.
[22] Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale, in Tratt. Cicu, Messineo, 2ª ed., Milano, 1961, 165-166.
[23] Cass., Sez. 2, 10 agosto 1974, n. 2394.
[24] Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. Cicu, Messineo, 4ª ed., Milano, 2000, 242.
[25] Cass. 18.1.1982 n. 310; Cass. 25.3.1995 n. 3548.
[26] Cass. 9.12.1995 n. 12632; Cass. 3.12.1996 n. 10775.
[27] Cass. 12.1.1999 n. 251; Cass. 7.10.2005 n. 19527; Cass. 15.6.2006 n. 13804.
[28] Caccavale, La circolazione degli immobili con provenienza successoria e la trascrizione dell'accettazione dell'eredità, in Familia, 2002, I, 1029-1054.
[29] Il terzo proprietario dell'immobile pignorato, che vanti un titolo anteriore all'inizio dell'esecuzione e non abbia proposto opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., può esperire opposizione all'esecuzione contro il decreto di trasferimento dell'immobile pignorato (art. 586 c.p.c.). In caso di esecuzione per rilascio, minacciata in base a titolo esecutivo rappresentato da decreto di trasferimento emesso dal giudice dell'espropriazione forzata immobiliare, l'opposizione all'esecuzione, cui è legittimato il possessore del bene, può essere proposta per far accertare che il bene oggetto della vendita forzata non apparteneva al soggetto che ha subito l'espropriazione, ma, in forza di titolo opponibile al creditore pignorante ed agli intervenuti, apparteneva all'opponente e che perciò l'acquirente non ha diritto di procedere all'esecuzione.
[30] Il difetto di trascrizione di un atto (nella specie: contratto di concessione del diritto, a norma dell'art. 1059, 2º comma c.c.) non può essere rilevato di ufficio dal giudice, ma costituisce materia di eccezione riservata alla parte che dalla mancata trascrizione pretende di ricavare conseguenze giuridiche a proprio favore (nella specie: si è ritenuto che il difetto di trascrizione era stato tardivamente eccepito nella memoria di replica del giudizio di appello). Le servitù costituite negozialmente sono opponibili ai terzi acquirenti del fondo servente nell'ipotesi in cui il titolo costitutivo della servitù sia stato trascritto, ovvero quando, mancando tale trascrizione, si faccia espressa menzione della servitù nell'atto di trasferimento del fondo servente.
[31][31] Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto; pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'ambito dei beni comuni (nella specie, portico e cortile) risulti riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni. Il difetto di trascrizione di un atto non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore.
[32] Cass. civ., 06.12.1984 n. 6400.
[33] Zabban, in Zabban, Pellegrino, Delfini, Delle successioni, in Comm. Ipsoa, Milano, 1993, 45.
[34] La domanda che il creditore proponga in una procedura di liquidazione di eredità beneficiata per ottenere la soddisfazione del suo credito non è riconducibile, stante la natura di procedimento di giurisdizione volontaria di quest'ultima, alla tassativa elencazione di atti processuali che, a norma dell'art. 2943, 1º comma, c.c. sono idonei ad interrompere la prescrizione, salvo che la domanda suddetta venga notificata al debitore, rendendolo in tal modo edotto dell'intenzione del creditore di far valere la sua pretesa creditoria, costituendo così atto idoneo a costituire in mora il debitore e quindi, ex art. 2943, ultimo comma, cit., avendo l'effetto di interrompere il decorso della prescrizione.
In tema di accetazione dell'eredità con beneficio d'inventario, la decadenza da quest'ultimo può essere oggetto di accertamento incidentale ex art. 34, c.p.c. (e quindi senza autorità di giudicato) nel giudizio in cui il creditore del de cuius agisca nei confronti dell'erede per l'integrale soddisfacimento della propria pretesa creditoria e quest'ultimo eccepisca la limitazione della sua responsabilità patrimoniale intra vires hereditatis allegando l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario.
In tema di limitazione di responsabilità degli eredi per i debiti del de cuius, grava sugli eredi stessi l'onere di provare di aver accettato l'eredità con il beneficio d'inventario al fine di limitare la loro responsabilità patrimoniale intra vires hereditatis, mentre grava sui creditori l'onere di provare la decadenza dal beneficio suddetto ovvero la ricorrenza di una accettazione pura e semplice dell'eredità, che è presunta ex lege nel caso del chiamato che, trovandosi nel possesso di beni ereditari, non provveda tempestivamente a redigere l'inventario.
[35] T. Bologna, 27-03-2018.
[36] Cass. civ., 21.12.1966 n. 2961.
[37] Il rigoroso onere probatorio di norma gravante sul soggetto che agisce in rivendicazione può essere assolto con la deduzione e la dimostrazione, da parte sua, o dell'acquisto del bene a titolo derivativo e della titolarità del diritto di proprietà in capo ai precedenti danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, o dell'avvenuto compimento dell'usucapione in suo favore; il giudice, però, non può valorizzare ai fini della prova della proprietà il godimento del bene da parte del rivendicatore, qualora lo stesso non abbia allegato l'usucapione quale titolo d'acquisto.
[38] Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. De Martino, 2ª ed., Novara, 1981, 184-185.
[39] Nel giudizio di divisione ereditaria, qualora l'attore - nel replicare alla domanda riconvenzionale di collazione proposta dal convenuto - deduca la nullità di altra donazione, effettuata dal de cuius in favore di costui, formula non già una mera precisazione della domanda, bensì un'eccezione di merito in senso proprio, che, come tale, deve essere proposta non con la memoria assertiva di cui al 5º comma dell'art. 183 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla novella di cui all'art. 2, 3º comma, lett. c ter, d.l. 14 marzo 2005 n. 35, conv. con modif. in l. 14 maggio 2005 n. 80), bensì entro l'udienza di trattazione, ai sensi del 4º comma medesimo articolo.
[40] Burdese, La divisione ereditaria, in Tratt. Vassalli, Torino, 1980, 189.
[41] Ai fini dell'esclusione della capacità di donare (art. 774) e della annullabilità di donazione fatta da soggetto incapace (art. 776 c.c.) deve escludersi la equiparazione della condizione e situazione giuridica dell'inabilitato a quella di colui nei cui confronti sia stato soltanto promosso il giudizio di inabilitazione anteriormente al compimento dell'atto impugnato, riferendosi le norme in questione, con il termine «inabilitato», soltanto a chi sia stato dichiarato tale con sentenza, come risulta dalla ratio ispiratrice delle norme stesse correlate all'esigenza di tutelare con particolare rigore la posizione e gli interessi del donante (e dei suoi eredi e aventi causa) di cui sia stata accertata e dichiarata giudizialmente con la pronunzia di inabilitazione la parziale incapacità di provvedere alla cura dei propri interessi.
[42] Azzariti, La divisione, in Tratt. Rescigno, VI, 2, 2ª ed., Torino, 1997, 416.
[43] Azzariti, La divisione, in Tratt. Rescigno, VI, 2, 2ª ed., Torino, 1997, 416.
[44] Forchielli, Angeloni, Della divisione, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 713-768, Bologna-Roma, 2000, 686.
[45] Gli eredi del condebitore solidale rispondono del debito del de cuius in proporzione delle rispettive quote senza vincolo di solidarietà.
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