Tributario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 29/05/2019 Scarica PDF
Accertamento induttivo: le presunzioni
Giampaolo Morini, Avvocato in LuccaSommario: 1. Principi espressi nella sentenza in commento; 2. Rapporto tra presunzione e accertamento induttivo; 3. La fase dell’accertamento; 4. La prova per presunzioni; 5. La presunzione legale; 6. L’onere della prova a carico del contribuente; 7. Le presunzioni semplici; 8. Fatto noto; 9. I requisiti delle presunzioni; 10. Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635; 11. Il metodo sintetico in senso stretto.
1. Principi espressi nella sentenza in commento.
Dalla Cass. Sez. Trib. Ord. N. 8143 del 22 marzo 2019 si possono estrapolare i seguenti principi:
La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l'uno dell'altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l'esistenza del fatto da provare (Cass. n. 5787 del 2014).
In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 9108 del 2012).
Dunque, la mancata esibizione da parte della società contribuente degli scontrini fiscali integra il requisito normativo oggettivo della "incompletezza della contabilità" tale da rendere per ciò stesso inattendibili le risultanze contabili: sulla base dell’accertamento analitico induttivo, sussistono i caratteri presuntivi di maggiori ricavi.
2. Rapporto tra presunzione e accertamento induttivo.
La presunzione e l’accertamento induttivo, un binomio inscindibile, restano protagonisti della giurisprudenza tributaria, ma che fatica a trovare un giusto equilibrio sia nell’attribuzione dell’onere della prova ma nel contenuto della prova stessa.
Con il presente lavoro, chi scrive, tenterà di dare, con succinti inquadramenti degli istituti giuridici coinvolti, una traccia argomentativa della giurisprudenza che trova nella sentenza in commento il suo epilogo.
L’accertamento induttivo è quello strumento in virtù del quale l’Ufficio delle imposte determina il reddito di impresa senza tener conto, o tenendo parzialmente conto le risultanze del bilancio e delle scritture contabili ma avvalendosi anche di presunzioni prove dei requisiti di gravità precisione e concordanza, dette presunzioni semplicissime o accertamento induttivo extra contabile.
È il caso dell’art. 39 c. 2 dpr 600/1973, che consente di utilizzare il metodo dell’accertamento induttivo-extracontabile quando la contabilità è complessivamente inattendibile oppure si verificano altre circostanze di particolare gravità.
La legge stabilisce un elenco tassativo dei casi in cui è legittimo l’accertamento induttivo:
1) Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi;
2) Mancata tenuta scritture contabili o sottrazione delle stesse all’ispezione;
3) Scritture contabili complessivamente inattendibili;
4) Mancata risposta al questionario o mancata trasmissione di documenti;
5) Scritture contabili indisponibili per cause di forza maggiore;
6) Indicazione di dati infedeli in sede di compilazione degli studi di settore.
Nelle ipotesi elencate, l’Agenzia può avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza; prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili; avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Tra gli accertamenti analitico-induttivi (di cui all’art., 39, 1° comma, lett. d), secondo periodo) rientrano anche quelli ai quali fa riferimento l’art. 62-sexies del DL 331/1993 convertito con L. 427/93, letta in guisa con la Circolare Ministero Finanze n° 44E del 4/5/1994, emanata pochi mesi dopo la novella legislativa recata dall’art. 62-sexies del DL 331/93[1]: Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29-9-1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26-10-1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati, invece, anche sull' esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell' articolo 62-bis del presente decreto.
Non è mancata l’osservazione di attenta dottrina la quale ha rilevato che, Non ci si deve, tuttavia, nascondere che questo particolare metodo accertativo presenta un punto di forte debolezza. Se, infatti, il controllo indiretto può, anche agevolmente, consentire di stabilire che il giro d'affari dichiarato è inverosimile, esso non consente con altrettanta facilità di individuare quello esattamente attribuibile al contribuente. In altre parole, attraverso il controllo indiretto si giunge alla certezza che una evasione vi è stata, permanendo la difficoltà di provare in modo persuasivo l'ammontare dell'evasione medesima[2].
3. La fase dell’accertamento.
In sede di accertamento induttivo è dunque necessario che il procedimento di ricostruzione presuntiva dei ricavi che conduce all'accertamento, sia plausibile, credibile, privo di vizi logici, improntato a “canoni di giustificabilità razionale”.
Inoltre la differenza fra volume di ricavi dichiarati e ricavi ricostruiti deve essere di entità non lieve.A questo punto è necessario dare una dimensione al requisito della gravità. La giurisprudenza di merito ha ritenuto che qualità indichi una soglia minima, da superare, alcune volte espressamente fissata[3]; è stato osservato che Nel linguaggio giuridico l'aggettivo "grave ", contrapposto a "lieve ", segnala un requisito quantitativo: il fatto che una grandezza non sia di piccola entità. Come tutti i concetti relativi, è però arbitrario fissare una volta per tutte la soglia superata la quale si arrivi alla gravità. Nei valori esiste una serie continua e non discreta e la gravità, comunque, è qualità che dipende dal contesto complessivo. L'affermazione secondo la quale un accertamento fondato sugli studi di settore dovrebbe portare a un risultato di almeno 1/4 (o qualsiasi altro valore, ovviamente) superiore al dichiarato è immotivata e aprioristica[4].
La lacuna normativa sta proprio nel fatto che la norma non fissa una percentuale minima che consenta di rilevare la grave incongruenza, tuttavia è rinvenibile in altre norme tributarie un concetto similare, ovvero di grave sproporzione, previsto dall’art. 38, 6° c., DPR 600/73, che legittima l’accertamento delle persone fisiche con il metodo sintetico qualora per due anni si registri uno scostamento fra reddito dichiarato e reddito accertabile in base al “redditometro” ed alla “spesa globale” pari almeno al 20%.
In ogni caso l’Ufficio accertatore, fonda la propria ragione sulla prova presuntiva.
La prova per presunzioni è uno strumento normativamente concesso al giudice degli artt. 2727 e 2729 c.c., che permette di arrivare alla conoscenza di un fatto per il quale non sia possibile dare una diretta dimostrazione, attraverso un procedimento logico discrezionalmente lasciato al giudice di merito[5], purché questo dia adeguato conto dell'iter argomentativo seguito
I fatti su cui le presunzioni semplici si basano devono essere provati in giudizio e l’onere grava sull'amministrazione finanziaria, che deve dimostrare che gli elementi presuntivi posti a base della pretesa impositiva sono gravi, precise e concordanti.
4. La prova per presunzioni.
La S.C.[6] ha chiarito in più occasioni il procedimento da adottare ai fini di una corretta valutazione della prova per presunzioni. Il procedimento si articola in due indefettibili momenti: il giudice del merito deve, valutare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari (1) per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e (2) per conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravita, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria" e, di poi, "procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi.
Gli elementi assunti come fonte di prova, non debbono essere necessariamente più d'uno[7], in quanto il convincimento del giudice può fondarsi anche su di un solo elemento purchè grave e preciso, mentre il requisito della "concordanza" deve ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi.
Diversamente le presunzioni legali, hanno valore probatorio riconosciuto dalla legge e dunque sufficienti a legittimare la rettifica del reddito imponibile attribuendo l’onere della prova contraria a carico del contribuente.
Le presunzioni legali, possono essere assolute per le quali non è ammessa prova contraria, o relative per le quali è consentito al contribuente i dimostrare l’insussistenza della pretesa impositiva[8].
La distinzione tra presunzioni semplici e presunzioni legali (relative) determina una diversa ripartizione dell’onere della prova.
In relazione alle p.s. è l’amministrazione finanziaria a dover dimostrare che esse soddisfano i requisiti della gravità, precisione e concordanza ovvero la sussistenza di fatti costitutivi della pretesa impositiva.
In relazione, invece alle p.l.r., esse assurgono a fatti costitutivi della pretesa tributaria senza onerare l’amministrazione finanziaria di provarne la gravità, precisione e concordanza, ed invertendo di conseguenza l’onere della prova a carico del contribuente che dovrà dimostrare l’inefficacia della ricostruzione reddituale presuntiva con fatti modificativi o estintivi.
5. Le presunzione legale.
Le ipotesi di presunzione legale relativa sono negli anni cresciute e a titolo sommario si richiamano rimandando la trattazione ad altro lavoro:
a. Art. 12 d. 78/2009: presunzione di evasione per gli investimenti esteri non dichiarati;
b. Art. 2 co. 2bis TUIR – disposizioni dettate in materia di residenza fiscale – è previsto che, salvo prova contraria, si considerano fiscalmente residenti i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi delle popolazioni residenti poiché trasferiti in paesi con fiscalità privilegiata; così come l’art. 73 co. 3, pr le persone giuridiche si considerano residenti ai fini fiscali, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi caratteristiche analoghe nei paesi a fiscalità privilegiata (in cui almeno uno dei beneficiari del trust sia fiscalmente residente);
c. Art. 32 dpr 6008/1973 in materia di accertamenti bancari. Oggetto delle indagini fiscali sono, non solo i conti correnti (ovvero tutti i rapporti bancari) formalmente intestati al contribuente, ma anche tutti quei rapporti che intestati ad altri soggetti, sono ragionevolmente riferibili, in base ad elementi probatori anche di ordine presuntivo, al contribuente[9].
In via generale le presunzioni stabilite dalla legge fiscale in tema di rapporti finanziari (per cui ai versamenti e ai prelevamenti corrispondono ricavi o compensi), trovano applicazione ai conti intestati o cointestati al contribuente ma non trova immediata applicazione ai conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo tuttavia che l'ufficio provi in sede giudiziale che l'intestazione a terzi è fittizia o altrimenti imputabile al contribuente[10].
In argomento, così: nell’ambito dell’accertamento induttivo e nella verificazione di dati ed elementi rivenuti sulla scorta delle indagini effettuate sui rapporti e conti correnti in trattenuti con istituti di credito, l’Amministrazione finanziaria ha facoltà di appurare la materia imponibile sottratta a tassazione anche laddove i predetti conti e rapporti siano intestati a soci, procuratori generali o amministratori qualora ne sia presumibile la fittizia intestazione e la sostanziale riferibilità dei movimenti e relativi proventi all’ente società di capitali[11].
Allo stesso modo il rapporto famigliare molto stretto[12] è stato ritenuto, elemento validante, ma non sufficiente, a riferire al contribuente accertato operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti[13] su cui tuttavia è ammessa prova contraria.
In effetti il legame familiare non è sufficiente a superare la presunzione di effettiva titolarità del rapporto bancario in capo all’ intestatario formale: il Fisco deve provare che di fatto, è il contribuente ad operare, sul conto corrente ad altro soggetto intestato: la disciplina dell’accertamento fondato sulle risultanze ed elementi emersi da indagini condotte su rapporti e conti correnti detenuti presso istituti di credito non contempla alcuna presunzione di imputazione di attività fiscalmente rilevante nei confronti del contribuente giusta il rapporto organico o familiare dei titolari dei conti, rapporti o posizioni verificati. Sebbene l’ambito della verifica possa naturalmente essere esteso sino a ricomprendere soggetti terzi - legati al contribuente da particolari vincoli (lavorativi o familiari) tali da ingenerare sospetti secondo la comune esperienza e l’id quod plerumque accidit - tale circostanza non è di per sé stessa sufficiente a superare il dato formale dovendosi dimostrare - con onere da assolversi a carico dell’Amministrazione finanziaria - l’intestazione fittizia e l’utilizzazione in concreto da parte del contribuente[14]
In definitiva, il fisco deve provare che l’intestatario di un conto corrente ne sia anche il titolare effettivo con la conseguenza che la presunzione versamenti = ricavi non è direttamente applicabile alle operazioni rilevate su rapporti bancari intestati a persone diverse dal contribuente.
Nella pratica si rinvengono casi in cui la presunta relazione tra rapporti bancari diversamente intestati, possiede una forza inferenziale piuttosto debole.
Tuttavia se prendiamo in esame il caso di una società la cui compagine sociale e la cui amministrazione sono univocamente riferibili ad un ristretto gruppo familiare, le operazioni riscontrate su rapporti bancari intestati ai soci e ai loro familiari potranno essere ricondotti alla società contribuente[15] (sempre tuttavia la possibilità da parte del contribuente di provare la diversa origine di tali entrate): Nell’ambito dell’accertamento induttivo e nella verificazione di dati ed elementi rivenuti sulla scorta delle indagini effettuate sui rapporti e conti correnti in trattenuti con istituti di credito, l’Amministrazione finanziaria ha facoltà di appurare la materia imponibile sottratta a tassazione anche laddove i predetti conti e rapporti siano intestati a soci, procuratori generali o amministratori qualora ne sia presumibile la fittizia intestazione e la sostanziale riferibilità dei movimenti e relativi proventi all’ente società di capitali[16]
Si può ritenere prova idonea a fornire la dimostrazione dell’intestazione simulata del rapporto bancario, la mancanza di fonti di reddito in capo al titolare del conto tanto da giustificare la provenienza delle somme accreditate sul conto.
È attribuibile, inoltre, valenza presuntiva alla coincidenza temporale e quantitativa tra versamenti e i prelevamenti nei conti del prestanome e del contribuente accertato, così come, assume valenza presuntiva il volume della movimentazione di denaro rispetto alle capacità reddituali del titolare del conto in particolare se il titolare del conto sia legato al contribuente[17].
6. L’onere della prova a carico del contribuente.
Il contribuente, per vincere la presunzione, deve provare quanto alle operazioni attive che, o sono state dichiarate ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA oppure sono irrilevanti ai fini impositivi; quanto alle operazioni passive, che ai fini delle sole imposte sui redditi, o sono state registrate in contabilità o sono state effettuate in favore di un determinato beneficiario di cui deve fornire le generalità.
In giurisprudenza è stato osservato che il contribuente deve fornire prova contraria circostanziata: nel contesto degli accertamenti operati sulla base dei dati ed elementi rinvenuti nei conti correnti intrattenuti con istituti di credito, l’Amministrazione finanziaria può fondare la pretesa tributaria fruendo della presunzione ex lege dettata in proprio favore onerando il contribuente di adeguata e circostanziata dimostrazione della prova contraria la quale non può risolversi in mere generiche attestazioni bensì deve consistere in elementi idonei a sminuire l’efficacia probatoria dei fatti posti a base della presunzione[18].
Inoltre, il contribuente, al fine di non vedersi riconoscere i versamenti come ricavi deve fornire la dimostrazione che nell’espletamento dell’attività di rappresentante di commercio i contratti e le operazioni poste in essere siano eseguiti in funzione del rapporto con il rappresentato e che questi, giusta l’art. 1719 c.c., abbia fornito la provvista necessaria per le anticipazioni di prezzo[19].
Comunque, in forza del principio della parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi, relative -nel caso di specie- alla giustificazione di movimentazioni bancarie [20].
Resta da ricordare che sulla conformità costituzionale della presunzione versamenti = ricavi (o compensi), la Consulta ha ritenuto che si deve tenere conto – in ossequio al principio di capacità contributiva – non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati[21].
Il Giudice delle leggi quindi, censura l’equazione secca versamenti = ricavi; la norma deve essere letta nel senso di versamenti bancari = ricavi – costi, riducendo, di conseguenza, la valenza reddituale della presunzione in commento. A.F. dovrà scomputare dai ricavi i costi ragionevolmente impiegati per realizzarli[22] anche in via forfetaria.
Il contribuente potrà comunque provare i maggiori costi sostenuti anche se non contabilizzati: a seguito dell’abrogazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, ad opera del D.P.R. n. 695 dei 1996, art. 5, il contribuente gode di un ampliamento della sua facoltà di prova in giudizio, in merito alla dimostrazione dell’incidenza di costi aziendali non registrati in contabilità e riferiti a maggiori ricavi accertati nei corso di verifiche tributarie dai competenti uffici; tale abrogazione spiega i suoi effetti anche ai processi in corso per il principio del "favor rei", stante la natura sanzionatoria della disposizione abrogata ed in considerazione dell’applicabilità dello "ius superveniens" ai giudizi pendenti, mentre la ritenuta esistenza dei costi in questione appartiene all’accertamento in fatto non censurabile in quanto tale in sede di legittimità[23] .
Con Circolare 19.10.2006, n. 32/E, F, 2006, 6026l l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che si ritiene opportuno che gli uffici procedenti, sotto il profilo operativo, si astengano da una valutazione degli elementi acquisiti – non solo dei conti correnti ma di qualsiasi altro rapporto od operazione suscettibili di indagine – particolarmente rigida o formale, tale da trascurare le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportato al volume di affari dichiarato.
7. Le presunzioni semplici.
Tornando adesso sul piano generale (delle presunzioni semplici), alle presunzioni semplici, i fatti posti a base dell’avviso di accertamento potranno essere valutati processualmente in modo differente, ovvero, nel caso di presunzioni semplici secondo il libero apprezzamento del Giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., salvo che la legge disponga altrimenti, nei limiti di cui all’art. 2729 c.c.3, e comunque l’A.F. deve portare in giudizio elementi presuntivi con un elevato grado di probabilità circa il fatto presunto[24].
Nelle ipotesi di presunzioni legali invece il giudice non può modificare il valore probatorio attribuito dalla legge ai fatti costituenti la presunzione ma solamente valutare la prova contraria offerta dal contribuente in termini di idoneità a superare la prova legale.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e in applicazione dei principi generali che governano l'onere della prova, spetta all'amministrazione finanziaria dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi che giustificano la maggiore pretesa tributaria; sarà quindi l’A.F. a dover fornire la prova di tutti quegli elementi in virtù dei quali viene a rilevare un maggiore imponibile.
Diversamente sarà onere del contribuente provare l'esistenza dei fatti che originano oneri o a costi deducibili, nonché l'inerenza degli stessi all'attività professionale o d'impresa svolta (11205/07).
Tuttavia la S.C. ha precisato che: Per quanto concerne, poi, le dedotte violazioni del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40 e artt. 2697 e 2727 c.c., va considerato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile.
In tali casi, l'ufficio accertatore potrà dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, la sussistenza di maggiori ricavi o minori costi, utilizzando, ad esempio, la percentuale di ricarico per determinare il reddito spostando l'onere della prova sul contribuente.
Precisa poi la Corte, Ed invero, l'atto di rettifica - emesso ai sensi della norma succitata - qualora l'Ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste contabili, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l'operato degli accertatori, nel senso che null'altro l'Amministrazione è tenuta a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte.
Di conseguenza graverà sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, rilevandosi insufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo[25] .
Preliminarmente si rileva che la giurisprudenza[26] ha in più occasioni ricordato che nel quadro dei generali principi che governano l'onere della prova (art. 2697 cod. civ.), nel caso di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere va così ripartito: l’A. F. deve dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata fornendo la prova di elementi e circostanze atte a provare l'esistenza di un imponibile più elevato; il contribuente deve dare prova dell'esistenza: dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili e dell'inerenza degli stessi all'attività professionale o d'impresa del contribuente.
In applicazione del principio dettato dall'art. 2697 cod. civ., dunque, il Giudice del merito deve accertare, se la pretesa dell’A. F. deriva dall'attribuzione al contribuente di maggiori entrate o dal disconoscimento di costi od oneri deducibili dedotti dallo stesso in quanto solo l’esatta individuazione della parte tenuta per legge a dare la prova, consente al Giudice, di porre a carico della stessa, le conseguenze giuridiche derivanti dall'accertata inosservanza di detto onere.
Quanto all’utilizzo dello strumento presuntivo, in ottemperanza agli insegnamenti della giurisprudenza[27], esso si articola in due indefettibili momenti:
- il Giudice del merito, deve valutare analiticamente ogni elemento indiziario al fine di scartare quelli privi di rilevanza e conservare quelli che, singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ovvero una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria;
- successivamente, il Giudice deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi già valutati singolarmente e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione consenta di fornire una valida prova presuntiva[28].
Dal momento che il contribuente è soggetto al solo giusto tributo, la tutela giuridica a tale interesse, estende la portata della presunzione semplice non soltanto contro di esso, ma anche a suo favore, per cui l’ammissione delle presunzioni semplici resta coerente ai principi generali.
Le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, non occorrendo l'acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi presuntivi o probatori desunti dall'esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente, in quanto, se gli indizi hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non vi è necessità di ricercarne altri o di assumere ulteriori fonti di prova[29] .
8. Fatto noto.
L’ordinamento ritiene un fatto noto, quando è provato, non è contestato o è notorio.
Quanto al fatto notorio, va precisato che l'utilizzazione delle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo e al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso rigoroso, id est come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile. Non si possono - quindi - reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, nè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie[30].
Le presunzioni semplici inoltre per non restare a livello di meri indizi non possono ridursi ad un risultato possibile di una determinata deduzione, ma devono essere conseguenza necessaria, dunque univoca e sicura e non possono basarsi su altra presunzione in virtù del divieto praesumptum de praesumpto[31].
In realtà esiste una presunzione di fonte giurisprudenziale – presunzione di distribuzione degli utili di società a ristretta base azionaria – che sembra non rispettare l’enunciato divieto. Infatti, l’Ufficio, partendo da un accertamento induttivo a carico di società con utili conseguiti, ma non contabilizzati, arriva alla determinazione della distribuzione di questi a vantaggio dei soci. Si realizza quindi una combinazione di due presunzioni la prima sugli utili non dichiarati dalla società, che assume dunque la funzione di fatto noto per la seconda presunzione, che vede direttamente i soci percettori degli utili non dichiarati dalla società.
Il contribuente potrà difendersi dimostrando che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione per essere stati invece accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti[32].
Si è tuttavia profilata una giurisprudenza contraria in base alla quale la ristretta base azionaria non costituirebbe una prova presuntiva assoluta idonea a sostenere che i maggiori utili sono stati distribuiti ai soci trattandosi di presunzione semplice dunque con onere dell’Ufficio di provare i requisiti della gravità precisione e concordanza[33]
Tale divieto è giustificato da fatto che due probabilità conducono ad un risultato finale non ragionevolmente certo in termini di elevata probabilità.
9. I requisiti delle presunzioni.
Quanto ai requisiti della presunzione, attraverso gli insegnamenti della giurisprudenza si ricava che si intendono:
gravi, gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e quindi in grado di poter resistere alle possibili obiezioni; l’elemento sarò tanto più grave[34] tanto più alta sarà la probabilità che il fatto presunto sia vero.
Si deve premettere che, in tema di prova per presunzioni, non occorrendo che i fatti su cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio, e ' sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione di avvenimenti possibile e verosimile secondo un criterio di normalità. [35]
precisi ,se dotati di specificità e concretezza e non soggetti a diversa o più attendibile interpretazione: tanto più noto sarà l’elemento tanto più sarà preciso;
concordanti ovvero non configgenti, ma coerenti tra loro e non smentiti da dati ugualmente certi[36].
Al fine della sussistenza della concordanza non devono necessariamente sussistere una pluralità di elementi presuntivi, poichè anche un solo fatto, di particolare gravità, può legittimare la pretesa dell’Ufficio[37] .
Di fronte a più presunzioni, la concordanza deve essere intesa nel senso che le diverse presunzioni devono essere dirette alla medesima dimostrazione.
In realtà i requisiti della gravità, precisione e concordanza, mal si adattano al linguaggio corrente, essi sono stati recepiti, nel nostro codice civile, dall'articolo 1353 del Code Napolèon (Codice Napoleonico, anno 1804) e tali requisiti dunque sono legati al linguaggio di quei tempi.
In effetti la precisione è propria delle scienze matematiche, e una presunzione per definizione non può mai esserlo. Così pure la "concordanza" è stato disattesa dalla giurisprudenza di legittimità.
La "concordanza" presuppone che gli elementi presuntivi siano almeno due, convergenti tra di loro tuttavia la Cassazione, ha, in più occasioni rilevato che anche un unico elemento presuntivo, purché particolarmente grave, univoco e coerente può soddisfare i requisiti dell'articolo 2729 del codice civile.
Laddove l’attività di accertamento utilizzi il procedimento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l'Ufficio fornisca prove certe[38].
È infatti insegnamento condiviso che, tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame tale in guisa del quale il fatto da provare risulti desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e alla stregua di un canone di probabilità che renda possibile e verosimile nel procedimento di inferenza logica la sequenza degli avvenimenti che ne sono oggetto in base a regole di comune esperienza[39].
In tale dimensione assume carattere determinate l’ausilio degli strumenti di rilevazione statistica applicati alla dinamica reddituale di singole categorie di contribuenti all’azione accertatrice ovvero mediante ricorso a strumenti parametrici di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 e 184, e poi agli studi di settore, cui rinvia il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito in L. n. 427 del 1993, secondo il quale gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazione e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'art. 62 bis.
10. Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635.
L’accertamento reddituale ex art. 38 dpr 600/1973, c.d. redditometro, mostra come la giurisprudenza fatichi a tenere la norma nei limiti costituzionali.
Infatti, la giurisprudenza, per anni, ha ritenuto lo strumento del redditometro sostenuto da presunzioni legali[40], sino a Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, che ha equiparato tale metodologia strumento a quello sullo studio di settore ritenendo entrambi sorrette da presunzioni semplici: la procedura di accertamento tributario standardizzata mediante l'applicazione dei parametri (o degli studi di settore), costituiscono un sistema costruito sulle presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sè considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente.
Il contribuente avrà dunque l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello "standard" prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
Inoltre, Al contribuente é anche consentito di “adeguarsi” al risultato degli studi: se in sede di presentazione della dichiarazione il contribuente si avvede che il risultato delle proprie scritture contabili é inferiore a quello previsto dello studio di settore, può innalzare il valore dei propri ricavi, indicando dichiarazione quello risultato dagli studi e pagando una piccola maggiorazione del 3%. (…) Gli studi di settore sono “atti amministrativi generali di organizzazione”. Essi non possono essere applicati in via automatica per rettificare i ricavi dichiarati (e quindi reddito), essendo necessario che l'ufficio svolga un’attività istruttoria in contraddittorio con il contribuente, per verificare se vi sono, nel caso concreto, ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi di settore o ragioni che giustificano la produzione di ricavi in misura inferiore. Secondo la giurisprudenza, gli studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata ex lege, ma nasce dal contraddittorio con il contribuente, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'avviso di accertamento, che deve essere motivato esponendo le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano stati disattesi[41].
Le SSUU, precisano che l'esito del contraddittorio, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, in quanto il giudice tributario potrà valutare liberamente sia l'applicabilità degli "standards" al caso concreto, che dovrà essere dimostrato dall'ente impositore, sia la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.
Chiaramente una tale condotta, precisano le SSUU, consentirà all'Ufficio di motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli "standards", rilevando l'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito: il giudice potrà valutare, la mancata risposta all'invito[42] .
Così pure la C. di Cassazione nel 2012[43]ha precisato che l'accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito in L. n. 122 del 2010, tende a determinare, attraverso l'utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale.
In effetti il precedente testo dell’art. 38 dpr 600/1973 prevedeva elementi e circostanze di fatto certe facendo ritenere che ci si trovasse di fronte ad una presunzione legale relativa.
Nel DL 78/2010 non vi è più traccia di elementi certi e precisi così come non si fa alcun riferimento alle presunzioni tanto da poter ritenere che il legislatore abbia posto in essere una presunzione meno forte della precedente più simile a quella degli studi di settore.
Scendendo nel dettaglio, l’accertamento sintetico del reddito, ai sensi dell’art. 38 c. 4 dpr 600/1973 si basa su elementi di capacità contributiva espressamente elencati nel D.M. 10.09.1992 che prevede la concorrenza del seguenti quattro presupposti:
1. Ricorrenza di elementi e circostanze di fatto certi
2. Presenza di beni indicatori di capacità contributiva o di elementi diversi
3. Scostamento di almeno ¼ tra reddito sintetico e reddito dichiarato
4. Presenza dello scostamento per almeno due periodi d’imposta
11. Il metodo sintetico in senso stretto.
Con il metodo sintetico in senso stretto: l’Agenzia delle Entrate determina il reddito complessivo del contribuente valutando le spese sostenute nel corso del periodo d’imposta di qualsiasi genere. L’ufficio dovrà:
a) indagare sulle spese e gli investimenti effettuati nel periodo d’imposta oggetto di verifica da parte del contribuente
b) valutare se e in quale misura tale importo sia stato finanziato con reddito non dichiarato.
Con il secondo metodo di rettifica nota appunto come redditometro la determinazione sintetica è fondata su indici di spesa e coefficienti di calcolo individuati con decreti ministeriali; per la stima del reddito sono state individuate 7 categorie[44], indicative di capacità di spesa
In entrambi i metodi, metodo sintetico in senso stretto, redditometro, l’onere della prova si inverte, poiché la sussistenza – coesistenza del 4 elementi sopra richiamati fondano una presunzione semplice rispetto alla quale il contribuente potrà difendersi confutando l’operato delle risultanze dell’ufficio accertatore con produzione di idonea documentazione.
Da precisare, tuttavia che la presunzione non opera immediatamente.
Perché l’ufficio possa emettere un atto accertativo dovrà attendere la fase c.d. endoprocedimantale, ovvero un vero e proprio procedimento amministrativo durante il quale il contribuente potrà fornire spiegazioni o prove o semplicemente non difendersi in tale fase ed attendere l’atto accertativo per impugnarlo.
Chiaramente il silenzio del contribuente darà forza alla presunzione semplice ed il giudice potrà tener conto anche della condotta endoprocessuale del contribuente.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2009[45] hanno affermato che il contraddittorio endoprocedimentale costituisce garanzia di plausibilità della rettifica.
La fase endoprocessuale è garanzia del giusto procedimento, in cui il contribuente deve poter esporre le proprie ragioni prima ancora che un provvedimento venga emesso e ciò al fine di consentire l’esplicarsi di una reale collaborazione con l’A. F. nell’interesse pubblico, oltre a garantire la possibilità di tutelare interesse privato.
La soluzione maturata trova peraltro conferma nella disciplina del metodo sintetico - art. 38, comma 7, d.p.r. n. 600 del 1973, mod. dall’art. 22, d.l. n. 78 del 201- in base al quale l’ufficio procedente ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione
Il fatto che il legislatore abbia previsto che l’avvio del procedimento di accertamento avvenga successivamente al contraddittorio endoprocedimentale prova che la procedura di rettifica concordata non si sostituisce al confronto con il contribuente, che deve comunque attuarsi prima che le contestazioni levate contro il contribuente siano delimitate.
Il quarto comma del novellato articolo 38 del d.P.R. n.600/73, al quale, rinvia l’ultimo periodo del quinto comma, consente la determinazione sintetica del reddito salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile coerentemente con la precedente formulazione dell’articolo 38, quarto comma e seguenti, il contribuente può così superare la presunzione di cui al citato comma fornendo la prova che le spese sostenute nel periodo d’imposta sono state finanziate[46] con:
a) redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta;
b) redditi esenti;
c) redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta;
d) redditi legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.
Peraltro, il contribuente, come espressamente previsto anche dall’articolo 4 del decreto, può fornire elementi per la rettifica dei dati e per l’integrazione delle informazioni presenti nell’Anagrafe Tributaria e dimostrare, secondo quanto dettato dalla Circolare Agenzia delle Entrate N. 24/E del 31.07.2013, con prove dirette che le spese certe attribuite hanno un diverso ammontare o che sono state sostenute da soggetti terzi.
Il contraddittorio verterà dunque:
a. sulle spese certe, rispetto alle quali il contribuente dovrà produrre idonea documentazione che dimostri l’errata imputazione della spesa o l’inesattezza delle informazioni in possesso dell’Amministrazione;
b. sulla effettiva disponibilità di un bene di cui l’Amministrazione possiede tutte le informazioni relative alle specifiche caratteristiche tecniche, a cui sono direttamente riconducibili le spese di mantenimento (spese per elementi certi). Per questa tipologia di spesa il contribuente, dovrà dimostrare non solo l’inesattezza delle informazioni contenute nell’invito, ma anche i fatti, supportate (anche indirettamente) da documentazione, da cui si possa riscontrare l’inesattezza relativa alla ricostruzione della spesa, o la diversa imputazione della stessa;
c. sulle spese per investimenti sostenute nell’anno, per le quali il contribuente potrà fornire la prova della formazione della provvista e dell’utilizzo della stessa per l’effettuazione dello specifico investimento;
d. sul risparmio, per il quale il contribuente potrà fornire ogni utile informazione relativa alla quota formatasi nell’anno.
Se il contribuente supera le presunzioni contruite dall’A. F. fornendo chiarimenti esaustivi in ordine alle spese certe, spese per elementi certi, agli investimenti ed alla quota di risparmio dell’anno, l’attività di controllo sintetica del reddito si esaurisce nella prima fase del contraddittorio.
Diversamente il contraddittorio dovrà continuare sulle spese medie rilevate dall’ISTAT, connesse ad una situazione familiare tipo divisa per zone geografiche in relazione alla quale il contribuente potrà utilizzare argomentazioni a sostegno di una sua diversa rappresentazione della situazione di fatto che l’A. F. potrà ritenere valide anche in assenza di idonea documentazione purchè, logicamente sostenibili, nell’ottica di assicurare l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa.
Il contribuente potrà infine dimostrare che le spese sono state sostenute da terzi o che le stesse sono state sostenute con redditi per i quali non sussiste l’obbligo di dichiarazione.
Occorre, infine rilevare che la giurisprudenza, ha elaborato ipotesi di presunzione,. elaborazioni in base alle quali, in presenza di determinati fatti noti, si opera una vera e propria inversione dell’onere della prova trasferito sul contribuente.
Tali ipotesi sono:
a. La presunzione di distribuzione degli utili ai soci di società a ristretta base azionaria che secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione per essere stati invece accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti[47](argomento già trattato sopra).
b. Utilizzo del valore, determinato ai fini dell’Imposta di Registro, per l’accertamento delle imposte dirette. È il caso dell’accertamento del valore attribuito al bene venduto (azienda, immobile, ecc.) sulla base di quanto determinato in via definitiva ai fini dell’imposta di registro. La giurisprudenza ritenere legittimo l’utilizzo da parte dell’A.F. del dato presuntivo desunto ai fini del registro per la determinazione della plusvalenza ai fini dei redditi. Sarà il contribuente a dover provare il diverso valore di mercato dell’azienda o dell’immobile[48] . Dunque, per la Suprema Corte, il valore accertato ai fini del registro è una prova presuntiva dotata dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, quindi sufficiente a dimostrare il prezzo di vendita ai fini dell’imposizione sul reddito invertendo l’onere della prova a carico del contribuente.
c. La prova della buona fede dell’acquirente per la detrazione IVA. Essa ha ad oggetto le detrazioni dell’Iva da parte dell’acquirente di un bene o servizio, nei casi in cui il cedente o il committente non abbia assolto agli obblighi fiscali. Di fronte all’accertamento dell’A.F il contribuente dovrà provare la buona fede del proprio comportamento. La giurisprudenza sino al 2011, stabiliva che dovesse essere l’Amministrazione Finanziaria a dover provare l’insussistenza delle operazioni contestate. Ovvero che si era di fronte a fatture false, spettava[49]. In definitiva veniva osservato che “grava previamente sull'amministrazione l'onere di fornire elementi di prova a sostegno dell'affermazione che le operazioni, oggetto delle esposte fatture, in realtà non sono state mai poste in essere. Solo ove l'amministrazione fornisca validi elementi per una tale affermazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, passa sul contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate[50]. Tale principio è il riflesso della regola generale di ripartizione dell'onere della prova in relazione ai fatti costitutivi dell'accertamento, in forza della quale - sia in tema di imposte dirette (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40) che in tema di Iva (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) - l'inesistenza di passività dichiarate (nel primo caso) o le false indicazioni messe al fondo di detrazioni indebite (nel secondo) debbono essere complessivamente supportate dagli elementi presuntivi innanzi tutto forniti dall'amministrazione[51].
Nel 2012, tale indirizzo è mutato, legittimando i recuperi a tassazione dell’Ufficio basati anche su elementi meramente indiziari.
Oggi, il contribuente, secondo i giudici di legittimità, deve dimostrare la propria buona fede e quindi l’estraneità a qualsiasi coinvolgimento in comportamenti illegittimi.
Tale orientamento è tuttavia stato ribaltato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[52], che sostiene essere l’Ufficio a dover dare prova della malafede del contribuente, e solo allora, lo stesso, dovrà quindi dimostrare la propria buona fede, evidentemente presunta. Inoltre, la Corte, ha ritenuto non solo necessaria la dimostrazione dell’inesistenza dell’operazione fraudolenta, ma anche la consapevole partecipazione alla frode fiscale da parte del contribuente[53].
Da questa breve disamina si evince come la giurisprudenza continui a costruire il processo tributario intorno a indizi e circostanza, che , devono rivestirsi di determinate caratteristiche che ne garantiscano, al meglio, la fondatezza, in termini di probabilità, ma che di fatto infrange brutalmente il principio dialettico proprio del nostro processo.
* * *
GIURISPRUDENZA
Comm. Trib Prov. Milano, Sez. VIII, Sent. 13 aprile 2005
Cass. 13 dicembre 1989 n. 5561
Cass. 16 maggio 2007 n. 11206
Cass. 1, 13 ottobre 2005 n. 19894;
Cass. civ., sez. Tributaria, 06-08-2009, n. 18021
Cass. 11 settembre; 2007 n. 19088
Cass., 24 novembre 2006, n. 24995
Cass, 30 marzo 2007, n. 7957
Cass., 16 aprile 2008, n. 9958
Cass., 15 settembre 2008, n. 23652
Cass. 14 novembre 2003, n. 17423
Cass., 7 settembre 2007, n. 18868
Cass., 14 novembre 2008, n. 27186
Cass., 21 marzo 2007, n. 6743
Cass., 15 luglio 2008, n. 19362
Cass., 15 settembre 2008, n. 23652
Cass. 14 novembre 2003, n. 17423
Cass., 11 febbraio 2009, n. 3300
Cass. 5 giugno 2008, n. 1484
Cass., 6 aprile 2007, n. 8637
Cass., 14 maggio 2008, n. 12026
Cass., 16 aprile 2008, n. 9958
Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 225
Cass., 30 gennaio 2009, n. 2548
Corte di Cassazione, sent. nr. 3326, depositata l'11 febbraio 2011.
Cassazione civile sez. trib. 05 novembre 2014 n. 23550
Cass.7871/2012
Cass. 14068/2014.
Cass. 13 febbraio 2006 n. 3106
Cass. 3 settembre 2004 n. 17841;
Cass.27 dicembre 2001 n. 16198
Cass. 13 ottobre 2005 n. 19894;
Cass. 18 settembre 2003 n, 13819
Cassazione civile sez. trib. 03 ottobre 2014 n. 20902
Cassazione civile sez. II 29 aprile 2010 n. 10285
Cassazione civile sez. II 18 dicembre 2008 n. 29728.
Comm. trib. centr. sez. XXVII 30 aprile 1992 n. 3174
Cass. 3568/2010
Cass. 7931/96
Cass. 6.10.2010 n. 20721
Cass. 8658/2011
Cass. 2654/2012.
Cass. 14.01.1988 n. 263
Cass. 25683/2006
Cass. 1404/2009
CTR Lombardia n. 5076/2014.
Cass. 26 marzo 1997, n. 2700
Cass. 6 giugno 1997, n. 5082
Cass. 14 settembre 1999, n. 9782
Cass., 8 luglio 2002, n. 9884
Cass., 5 settembre 1996, n. 8089
Cass., 7 aprile 1999, n. 3352
Cass., 21 ottobre 2003, n. 15723
Cass. 1283/15
Cass. 27667/13
Cass. 9784/10
Cassazione civile sez. trib. N. 14787 del 15/07/2015
Cass. 22656/11
Cass. N. 14778/2000
Cass. N. 327/2006
Cass. 5991/2006
Cass. 16284/2007.
Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635
Cass., n. 20662 del 2014.
Cassazione civile sez. trib. 20 dicembre 2012 n. 23554
Cass. 26635/2009
Cass. 26636/2009
Cass. 26637/2009
Cass. 26638/2009
Corte di Cassazione, sent. n. 20721 del 6 ottobre 2010
Corte di Cassazione, Ordinanza nr. 10552/2012
Cassazione, n. 2692 del 4 febbraio 2011
Cass. n. 24201 del 26 settembre 2008, n. 21317 del 6 ottobre 2009,
Cass. n. 17572 del 29 luglio 2009
Cass. n. 8478 del 9 aprile 2010
Cass. n. 15395 dell’11 giugno 2008
Cass. n. 1023 del 18 gennaio 2008
Cass. n. 21953 del 19 ottobre 2007
Cass. n. 18710 del 23 settembre 2005
Cass. 2008/15395
Cassazione n. 6943 del 25 marzo 2011
Corte di Giustizia del 6 dicembre 2012 – causa C-285/11 e del 21 giugno 2012, nelle cause C-80/11 e C-142/11
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[1] Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Accertamento 04-05-1994, n. 44/E-II-4-108: Il comma 3 dell' art. 62 sexies del citato DL n. 331/1993 consente agli Uffici delle imposte dirette e dell'IVA di disattendere i dati contabili a seguito di gravi incongruenze tra il giro d'affari contabilizzato e quello desumibile dalle condizioni di esercizio dell'attività, ovvero dallo studio di settore.
In tali ipotesi, viene pertanto ad attenuarsi il vincolo e la cautela legislativa nell'uso delle presunzioni.
Gli Uffici finanziari non dovranno più considerare il metodo indiretto di controllo come tecnica accertativa residuale ed eccezionale, ma come procedura valida ai fini dell'accertamento, praticabile al pari di quella analitica.
Occorre, infatti, considerare che, quando si tratta di piccole imprese e professionisti, il problema della prova si presenta in modo del tutto particolare.
Non sussiste quasi mai una controversia sulla veridicità di specifici fatti o specifici documenti, ma vengono in evidenza circostanze ammesse in contraddittorio da entrambe le parti del procedimento di accertamento (ad esempio, ubicazione dell' esercizio, merci vendute, numero dei dipendenti) come parametro di credibilità del volume d'affari dichiarato. (…) La presunzione va utilizzata quando è persuasiva, quando cioè corrisponde, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, e segnatamente di quella della Corte costituzionale, a "canoni di giustificabilità razionale".
E', pertanto, necessario mettere al centro dell'attività di controllo delle piccole imprese e dei professionisti la ragionevolezza dei ricavi e dei corrispettivi dichiarati avuto riguardo alle caratteristiche della impresa, procedendo alla rettifica indiretta esclusivamente quando esistono rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli ricostruiti indirettamente.
Altro punto di rilevanza essenziale nel controllo indiretto è, poi, l'utilizzo di una motivazione adeguata. Motivare l'accertamento eseguito indirettamente ai sensi degli artt. 39, DPR n. 600/1973 e 54, DPR n. 633/1972, così come novellati dall' art. 62 sexies, richiederà un notevole impegno da parte del funzionario tributario accertatore, in quanto dovrà essere rappresentata chiaramente la ricorrenza degli indizi di evasione, la quantificazione del giro d'affari ricostruito indirettamente, la citazione eventuale dello studio di settore applicato, la spiegazione delle ragioni per cui il reddito presunto è più verosimile e credibile rispetto a quello dichiarato, l'indicazione degli elementi rilevanti ai fini della tassazione, assunti in contraddittorio con il contribuente. (…).
La non plausibilità di scritture formalmente regolari - Sono invece sempre più diffuse contabilità formalmente regolari da cui però risultano ricavi inverosimili rispetto alle caratteristiche dell'attività svolta. Numerosi soggetti operanti in queste condizioni hanno confidato nel sopra descritto quadro normativo per dichiarare giri d'affari assolutamente non persuasivi, ed irrealistici rispetto alle caratteristiche dell'attività e a nozioni di comune esperienza sui vari settori del commercio e dei servizi. Un' indagine puramente cartacea e documentale è spesso insufficiente nei confronti dei soggetti in esame; l'occultamento dei corrispettivi è infatti un comportamento puramente omissivo, che raramente lascia tracce scritte, consistendo solo nella materiale apprensione, da parte del contribuente, delle somme non contabilizzate. Tali somme andranno in genere ad alimentare consumi privati dell' imprenditore o del professionista, e non saranno quindi rintracciabili neppure attraverso indagini bancarie. D'altra parte solo pochissimi di questi consumi sono individuabili e quantificabili ai fini dell' accertamento con metodo sintetico, che può perciò rivelarsi anch' esso inidoneo a contrastare il fenomeno in esame.
Quanto precede dimostra l'importanza, nei confronti di tali soggetti, della rettifica indiretta del volume d'affari, intendendo per tale quella che prescinde dal reperimento di prove documentali di specifici ricavi non contabilizzati, ma smentisce le risultanze contabili argomentando in base alle loro incongruenze rispetto alla caratteristica dell' attività svolta. Questo tipo di rettifica non può avere ovviamente la pretesa di individuare l'esatto ammontare dei ricavi, e procede ovviamente per ordini di grandezza. (…).
Il controllo indiretto come fonte di presunzioni potenzialmente persuasive - Questa interpretazione doveva considerarsi già raggiungibile, in quanto rispondente ad elementari criteri di logicità, anche prima della precisazione introdotta dall'articolo 62 sexies dal citato DL n. 331/1993, il quale comunque conferma che le presunzioni gravi precise e concordanti di infedeltà delle risultanze contabili possono derivare anche da gravi sproporzioni tra il giro d'affari dichiarato e quello desumibile dalle caratteristiche dell' attività. Ovviamente, occorrerà stabilire caso per caso quando le sproporzioni in esame debbano considerarsi "gravi". Ove lo siano può trovare ingresso qualunque determinazione dei ricavi appaia più attendibile di quella dichiarata (…).
Prima di procedere alla rettifica indiretta occorre avere riguardo alla plausibilità del giro d'affari dichiarato dal contribuente rispetto alle caratteristiche dell'attività svolta. Ciò proprio in quanto la rettifica indiretta serve a dimostrare, in modo globale, la presenza di gravi infedeltà contabili, cioè l'incompatibilità tra il giro d' affari dichiarato e le caratteristiche dell' attività. E' perciò improprio attendersi dal controllo indiretto un preciso importo di ricavi non contabilizzati, spesso sconosciuti, nella loro reale entità, persino al contribuente. L'obiettivo del controllo indiretto è invece prima di tutto dimostrare che il giro d'affari dichiarato è inattendibile.
E' chiaro che la determinazione indiretta stabilisce un ordine di grandezza, cioè l'ammontare minimo che il giro d'affari dovrebbe avere per essere plausibile rispetto alle caratteristiche dell'attività, alle percentuali di ricarico direttamente rilevate alle attrezzature, ecc.
Su queste basi è pertanto opportuno ricorrere alla determinazione indiretta solo nei casi in cui le incongruenze tra giro d'affari dichiarato e caratteristiche dell'attività siano ragionevolmente attribuibili alla mancata contabilizzazione di una parte significativa dei corrispettivi. Quando i ricavi determinati indirettamente non si discostano significativamente da quelli dichiarati, la persuasività dell'eventuale rettifica si indebolisce perché la differenza è spiegabile con le inevitabili imprecisioni del calcolo indiretto
[2] L. MAGISTRO, Accertamento fondato sugli studi di settore e sui parametri, in Corr. Trib. n.42/2001, pag. 3170
[3] Comm. Trib Prov. Milano, Sez. VIII, Sent. 13 aprile 2005 ritiene che essa debba ammontare almeno al 25-30%.
[4] A.MARCHSELLI, La pretesa autosufficienza degli studi di settore, in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 9 /2007, pag. 801
[5] Cass. 13 dicembre 1989 n. 5561
[6] Cass. 16 maggio 2007 n. 11206 da cui gli excerpta, che richiama Cass. 1, 13 ottobre 2005 n. 19894; id, trib., 18 settembre 2003 n. 13819, nello stesso senso, Cass. civ., sez. Tributaria, 06-08-2009, n. 18021
[7] Cass. 11 settembre 2007 n. 19088
[8] Sono presunzioni legali assolute l’art. 2, comma 2, TUIR che per le persone fisiche sancisce che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile e all’art. 73, comma 3, TUIR che per le persone giuridiche prevede che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello stato.
[9] Cass., 24 novembre 2006, n. 24995, Cass, 30 marzo 2007, n. 7957
[10] Cass., 16 aprile 2008, n. 9958
[11] Cass., 15 settembre 2008, n. 23652; Cass. 14 novembre 2003, n. 17423
[12] Ad es., con coniuge e figli purchè il rapporto sia caratterizzato da stabilità, convivenza.
[13] Cass., 7 settembre 2007, n. 18868
[14] Cass., 14 novembre 2008, n. 27186
[15] Cass., 21 marzo 2007, n. 6743; Cass., 15 luglio 2008, n. 19362, www.ilfisco.it
[16] Cass., 15 settembre 2008, n. 23652, www.ilfisco.it; Cass. 14 novembre 2003, n. 17423, www.ilfisco.it
[17] Cass., 11 febbraio 2009, n. 3300
[18] Cass. 5 giugno 2008, n. 1484; Cass., 6 aprile 2007, n. 8637
[19] Cass., 14 maggio 2008, n. 12026
[20] Cass., 16 aprile 2008, n. 9958
[21] Corte cost., 8 giugno 2005, n. 225
[22] L’Agenzia delle entrate a seguito della Corte Costituzionale ha diramato istruzioni operative con Circolare 19.10.2006, F, n. 32/E, 2006, 6026.
[23] Cass., 30 gennaio 2009, n. 2548
[24] Corte di Cassazione, sent. nr. 3326, depositata l'11 febbraio 2011.
[25] Cassazione civile sez. trib. 05 novembre 2014 n. 23550; cfr. Cass. 24532/2007; 951/2009; 7871/2012; 14068/2014.
[26]Cass., trib.; 13 febbraio 2006 n. 3106; 3 settembre 2004 n. 17841; 24 luglio 2002 n. 10802; 27 dicembre 2001 n. 16198; 30 ottobre 2001 n. 13478
[28] Che magari potrebbe non essere raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi.
[29] Cassazione civile sez. trib. 03 ottobre 2014 n. 20902; ex multis Cass. n. 9108/2012
[30] Cassazione civile sez. II 29 aprile 2010 n. 10285; Cassazione civile sez. II 18 dicembre 2008 n. 29728.
[31] Comm. trib. centr. sez. XXVII 30 aprile 1992 n. 3174; ex multis Cass. 3568/2010; Cass. 7931/96
[32] Cass. 6.10.2010 n. 20721; Cass. 8658/2011; Cass. 2654/2012.
[33]Cass. 14.01.1988 n. 263; Cass. 25683/2006, Cass. 1404/2009; CTR Lombardia n. 5076/2014.
[34] Sentenza 5 luglio 1994, n. 2419
[35] Cass. 26 marzo 1997, n. 2700; Cass. 6 giugno 1997, n. 5082; Cass. 14 settembre 1999, n. 9782; Cass., 8 luglio 2002, n. 9884
[36] Cass., 5 settembre 1996, n. 8089; Cass., 7 aprile 1999, n. 3352
[37] Cass., 21 ottobre 2003, n. 15723
[38] Cass. 1283/15; 27667/13; 9784/10
[39] Cassazione civile sez. trib. N. 14787 del 15/07/2015. In tal senso: Cass. 22656/11
[40] Cass. N. 14778/2000, Cass. N. 327/2006, Cass. 5991/2006, 16284/2007.
[41] F.TESAURO, Istituzioni di Diritto Tributario, part.gen., Milano, 2011, pag. 222
[42]Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635; ex multis Cass., n. 22599 del 2012; Cass., n. 20662 del 2014.
[43] Cassazione civile sez. trib. 20 dicembre 2012 n. 23554
[44] Circolare Agenzia delle Entrate N. 24/E del 31.07.2013. - abitazione (abitazione principale, altre abitazioni, mutui, ristrutturazioni, intermediazioni immobiliari, elettrodomestici, apparecchiature elettroniche, arredi, energia elettrica, telefonia fissa e mobile, gas); - mezzi di trasporto (automobili, mincar, caravan, moto, natanti e imbarcazioni, aeromobili, mezzi di trasporto in leasing e noleggio); - assicurazioni (responsabilità civile, incendio e furto, vita, danni, infortuni, malattia, altro) e contributi previdenziali (obbligatori, volontari, previdenza complementare); - istruzione (asili nido, scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria, corsi di lingua straniere, soggiorni studio all’estero, corsi universitari, tutoraggio, corsi di preparazione agli esami scuole di specializzazione, master, canoni di locazione per studenti universitari); - attività sportive e ricreative, cura della persona (attività sportive, circoli culturali, circoli ricreativi, cavalli, abbonamento pay tv, giochi online, abbonamenti eventi sportivi, viaggi organizzati, centri benessere, altri servizi per la cura della persona); - altre spese significative (oggetti d’arte o antiquariato, gioielli e preziosi, veterinarie, donazioni in denaro a favore di O.N.L.U.S. e simili, assegni periodici corrisposti al coniuge, donazioni effettuate); - investimenti immobiliari e mobiliari (fabbricati, terreni, natanti e imbarcazioni, autoveicoli, motoveicoli, caravan, minicar, aeromobili, azioni, obbligazioni, conferimenti, quote di partecipazione, fondi d’investimento, derivati, certificati di deposito, pronti contro termine, buoni postali fruttiferi, conti di deposito veicolati, altri prodotti finanziari, valuta estera, oro, numismatica).
[45] Cass. nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 - 2009
[46] Circolare Agenzia delle Entrate N. 24/E del 31.07.2013.
[47] Corte di Cassazione, sent. n. 20721 del 6 ottobre 2010
[48] Corte di Cassazione, Ordinanza nr. 10552/2012
[49] Cassazione, n. 2692 del 4 febbraio 2011, n. 24201 del 26 settembre 2008, n. 21317 del 6 ottobre 2009, n. 17572 del 29 luglio 2009, n. 8478 del 9 aprile 2010, n. 15395 dell’11 giugno 2008, n. 1023 del 18 gennaio 2008, n. 21953 del 19 ottobre 2007, n. 18710 del 23 settembre 2005
[50] Cass. 2008/15395
[51] Cassazione n. 6943 del 25 marzo 2011
[52] Corte di Giustizia del 6 dicembre 2012 – causa C-285/11 e del 21 giugno 2012, nelle cause C-80/11 e C-142/11
[53] Si legge nella sentenza: “Dato che il diniego del diritto a detrazione è un'eccezione all'applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, spetta all'amministrazione fiscale dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di fornitura”.
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