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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/02/2021 Scarica PDF
L'art. 52 u.c. c.p.c. - Ricusazione e sospensione del processo: alla ricerca di un equilibrio
Giampaolo Morini, Avvocato in LuccaSommario: 1. Una premessa alle garanzie
a presidio della terzietà del giudice - persona; 2. L'art. 52 u.c.: inerzia del
giudice ed effetti sulla sospensione del processo.
1. Una premessa alle garanzie a presidio della terzietà del giudice - persona.
Le poche pagine che seguono non vogliono certamente ricostruire l'istituto
della ricusazione[1], ma solo esaminare un aspetto poco chiaro relativo al
primo effetto - possibile - che scaturisce dalla proposizione di una istanza di
ricusazione: la sospensione del processo.
Prima di procedere si rende opportuno citare la Cass. civ. [ord.], sez. II,
28-01-2019, n. 2270, sentenza con la quale la Suprema Corte ha voluto ricordare
la premessa costituzionale al principio più importante in qualunque tempo e
luogo: il perseguimento di un processo equo, obbiettivo che non può prescindere
dal rafforzamento del diritto di difesa; cita la massima: In tema
d'imparzialità del giudice, le norme interne che attengono all'astensione e
alla ricusazione (art. 51 e 52 c.p.c.) non contrastano né con l'art. 6
convenzione europea dei diritti dell'uomo né con l'art. 6 Tue europea né con
l'art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ma, al
contrario, in virtù del novellato art. 111, 1° comma, cost.[2], ad esse è stato
impresso un rafforzamento costituzionale, in connessione con l'espansione
internazionale del diritto di difesa; ne consegue la piena compatibilità delle
predette norme con la tutela a livello europeo del diritto fondamentale ad un
processo equo.
Il diritto a un giusto processo, garantito dall'art. 6 Cedu, prevede che i
ricorrenti dispongano di un effettivo ricorso giurisdizionale che consenta loro
di affermare i propri diritti civili[3]. Il diritto di accesso a un tribunale
deve essere practical and effective, concret et effectif. Il tribunale deve
essere established by law, établi par la loi[4].
Per la Corte di Strasburgo, anche le procedure che disciplinano la nomina dei
giudici non possono essere demandate a mere pratiche interne agli uffici
giudiziari, in quanto il costituito per legge, per la Corte Europea, si
riferisce non solo alla base legale dell'esistenza dell'organo, ma anche alle
regole che lo governano e, in ogni caso, alla composizione del collegio e alla
designazione del giudice[5].
Pertanto, l'organizzazione del sistema giudiziario non può essere lasciata
nemmeno alla discrezionalità dell'Autorità Giudiziaria, anche se ciò non
significa che i giudici non abbiano un margine di interpretazione della
normativa nazionale di riferimento[6].
Anche la Corte Costituzionale, ha aderito alla citata interpretazione quando ha
affermato che la regolamentazione dei criteri di assegnazione delle cause ai
magistrati, espressi nelle tabelle, non può derogare a principi contenuti nelle
norme processuali e costituzionali, dovendo il giudice disapplicarla - in
quanto priva di forza di legge - se in contrasto con detti principi[7]: di
diverso avviso la Suprema Corte[8].
Per il Supremo Collegio l'esercizio del potere di sostituzione dell'istruttore
della causa, conferito al Presidente del Tribunale o della Corte d'Appello
dall'art. 174 c.p.c., non è censurabile con ricorso per cassazione, non
potendosi assoggettare a sindacato di legittimità la valutazione -
necessariamente discrezionale - dei fatti impeditivi e delle esigenze di
servizio, cui deve essere, per la norma anzidetta, subordinata l'iniziativa
presidenziale in deroga al principio della immutabilità dell'istruttore.
La riforma del 2007, va nella stessa direzione: La violazione dei criteri per
l'assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non
determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati, novità tuttavia
che ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale[9].
Invero, se si mette in evidenza il nesso che intercorre tra la garanzia del
giudice naturale precostituito per legge e il necessario connotato di terzietà
e imparzialità del giudice[10], oggi espresso dal novellato art. 111, comma 2,
Cost., appare evidente come la garanzia della precostituzione non possa non
riferirsi anche al giudice-persona[11].
Invero, l' imparzialità del giudice è affermata non solo nell'art. 6 § 1 Cedu,
e nel nuovo art. 111, comma 2, Cost. (Ogni processo si svolge nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo
e imparziale[12]); ma anche, espressamente come diritto dell'individuo,
nell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (diritto
a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) e nell'art. 14 §1 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (Ogni individuo ha
diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente,
indipendente e imparziale, stabilito dalla legge).
La sezione del c.p.c. Dell'astensione, della ricusazione e della responsabilità
dei giudici (Sezione VII Del Titolo I), salvo alcune revisioni, la più
importante è probabilmente quella riferibile al Referendum del 1987, risente
ancora della idea della giurisdizione come esercizio di un potere statuale
irresponsabile[13] e non come servizio per la collettività[14]; benché, con
l'attribuzione della funzione giudicante ad un giudice unico si sia
ulteriormente acuito il bisogno di garantire una effettiva imparzialità, invece
negletta dalla contestuale erosione di ogni forma di controllo collegiale
sull'operato del giudice istruttore[15].
Qualche riscontro a livello giurisprudenziale, c'é stato; si ricorda come le
SS.UU già a partire dalla sentenza n. 17636 del 2003, hanno ritenuto che la
Costituzione attribuisca a ciascuna parte il diritto soggettivo al giudice
imparziale, postulandone la tutelabilità giurisdizionale, ed in particolare
affermando che l'ordinanza che pronuncia sulla ricusazione ha natura decisoria,
"atteso che decide su un'istanza diretta a far valere concretamente
l'imparzialità del giudice, la quale costituisce non soltanto un interesse
generale dell'amministrazione della giustizia, ma anche, se non soprattutto, un
diritto soggettivo della parte (e ciò alla luce sia dell'art. 6 Cedu , sia del
nuovo testo dell'art. 111 Cost.)"[16].
2. L'art. 52 u.c.: inerzia del giudice ed effetti sulla sospensione del
processo.
Fatta una brevissima premessa del complesso istituto giuridico della astensione
e ricusazione del giudice, che trova ampia discussione sul piano internazionale
si procede adesso all'esame del rapporto tra la ricusazione e la sospensione
del processo.
Non vi sono dubbi che la giurisprudenza[17], quasi unanime attribuisce al
giudice della causa, nonostante la chiarezza del u.c. dell'art. 52 c.p.c. la
ricusazione sospende il processo, il potere di delibare preventivamente i
presupposti formali della valida ricusazione ai fini della sospensione del
giudizio, in tal modo escludendosi che un ricorso per ricusazione presentato
senza rispettare le condizioni e i termini prescritti produca la sospensione
del processo, non integrando esso la fattispecie che tale sospensione impone,
tale interpretazione, tuttavia necessita una riflessione sulla condotta
necessaria del giudice ricusato e del significato attribuibile al suo silenzio
in merito alla sospensione del processo
La questione, dunque, verte su un fatto ben preciso: se, come sostenuto dalla
giurisprudenza, il giudice colpito da istanza di ricusazione ha il potere di
valutare preliminarmente la sua ammissibilità e tempestività al fine di
sospendere o meno la causa, cosa accada al procedimento se non si esprime?
Questo caso, non pare trovare un identico precedente, tuttavia, se il giudice
non ha esercitato tale potere non si vede come possa l'art. 52 u.c. c.p.c.
restare senza applicazione.
È necessario, infatti, fare attenzione a quello che è il confine tra potestà
legislativa e potere interpretativo delle norme, confine il cui superamento può
condurre ad una ipotesi di eccesso di potere.
Il Giudice, ha, secondo la giurisprudenza, il potere di dichiarare, in via
sommaria, l'inammissibilità o tardività della istanza di ricusazione, e quindi
il potere di decidere per la prosecuzione della causa oppure per la sua
sospensione, ma se il giudice non assume alcuna decisione in merito, ovvero non
si esprime positivamente né in un senso né nell'altro, è parere di chi scrive
che il giudice abbia, di fatto, rinunciato all'esercizio di tale potere, con la
conseguenza automatica di una applicazione letterale dell'art. 52 u.c. c.p.c..:
la ricusazione sospende il processo.
In tal senso sembra andare la Cass. civ., sez. II, 24-04-2019, n. 11225,
secondo la quale, ai sensi degli art. 52 ss. c.p.c., non sono previste né la
comunicazione del relativo provvedimento di rigetto, poiché, una volta negata
la sospensione del processo, le parti sono tenute al rispetto delle successive
scansioni procedimentali senza necessità di ulteriori adempimenti dell'ufficio,
né la concessione di termini a difesa, giacché tale procedimento, di natura
incidentale, è connotato dai caratteri dell'essenzialità e della rapidità della
decisione, pur nel rispetto delle garanzie del contraddittorio.
La sentenza appena citata non pare lasciare spazio a dubbi, non è il silenzio
del Giudice a sospendere il processo ma una attività di diniego in merito alla
sospensione del processo, attività che implica un provvedimento e non certo una
tacita condotta.
Deve inoltre farsi presente che se da un lato l'interpretazione data dalla
giurisprudenza sull'art. 52 c.p.c. ha inteso tutelare il principio
costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, e quindi l'uso
strumentale dell'istituto della ricusazione, è altrettanto vero, che le cautele
per scongiurare condotte abusive sono rinvenibili nell'art. 96 c.p.c. e negli
ordinamenti disciplinari delle figure del processo.
In definitiva è opinione dello scrivente che la rinuncia del giudice ad
esercitare il proprio potere sul giudizio (sommario) preliminare in funzione
della decisione sulla sospensione o meno della procedura esecutiva immobiliare,
fa scattare la sospensione: l'art. 52 u.c. deve essere applicato di fronte
all'inerzia dl giudice.
Una diversa interpretazione, considerata l'ipotesi in commento, finirebbe, non
solo per svilire totalmente una norma già di per sé chiara, ma addirittura per
eliminarla.
In definitiva il silenzio del giudice non può essere inteso come volontà di far
proseguire la procedura perché l'unico automatismo che si può ricavare dalla
norma è che la ricusazione sospende il processo.
Se si ritenesse il silenzio del giudice equivalente alla volontà di non
sospendere la procedura si finirebbe per disapplicare l'art. 52, dando alla
stessa norma una interpretazione incostituzionale per violazione degli artt. 3,
101 e 111 della Costituzione.
Sul piano Costituzionale, viene in gioco il giudizio di ragionevolezza e
proporzionalità per il quale bisogna affrontare due profili: il primo è quello
del bilanciamento dei diritti in conflitto e il secondo è quello degli
automatismi legislativi.
Come teorizzato da Robert Alexy, i metodi di argomentazione di impronta logico
deduttiva manifestano i loro maggiori limiti e il giudizio di legittimità
costituzionale deve aprirsi da un lato ai giudizi di valore (Corte
costituzionale n. 1130 del 1988) e dall'altro a forme di razionalità pratica
(Corte costituzionale sentenza n. 172 del 1996) attenta agli effetti delle
leggi, ai dati della realtà e alle caratteristiche del singolo caso.
È proprio la sentenza della Corte Costituzionale n. 172 del 1996 ad esprimere
un principio imprescindibile: dell'art. 3 Cost. sotto il profilo del
principio di razionalità, sia nel senso di razionalità formale, cioè del
principio logico di non contraddizione, sia nel senso di razionalità pratica,
ovvero di ragionevolezza.
Nella Costituzione italiana, ogni diritto è espresso unitamente al suo limite
per cui, il bilanciamento diviene una tecnica interpretativa e argomentativa in
grado di garantire (o quantomeno perseguire) il ragionevole contemperamento di
una pluralità di interessi costituzionali concorrenti. La C. Cost. n. 85 del
2013 ha chiarito che: Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione
si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto
individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela
deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se
così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti,
che diverrebbe "tiranno" nei confronti delle altre situazioni
giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel
loro insieme, espressione della dignità della persona.
La Corte Costituzionale quindi, se da un lato afferma l'esigenza che la tutela
dei diritti sia sempre "sistemica e non frazionata" ovvero
"integrata", tecnica interpretativa e argomentativa in grado di
garantire il pluralismo dei valori Costituzionali[18], dall'altro afferma che
nessun diritto fondamentale è protetto in termini assoluti dalla Costituzione,
in quanto soggetto a limiti necessari affinché il determinato diritto si
integri con la pluralità di altri diritti e valori: diversamente come affermato
dalla stessa Corte un diritto diverrebbe "tiranno", portando al
totale annientamento di uno o più fattori in gioco: è proprio questo ultimo
passaggio che deve fungere da monito all'interprete; l'art. 52 u.c. non può
essere cancellato se non dal legislatore.
Da ultimo, L'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione dello iudex
suspectus segna automaticamente il dies ad quem dell'effetto sospensivo,
ricollegato alla proposizione di quell'istanza dall'ultimo comma dell'art. 52
c.p.c., sicché, entro sei mesi dalla conoscenza di tale evento, la parte
interessata, per evitare l'estinzione dello stesso, è tenuta a riassumere il
processo sospeso, senza che la proposizione di un ricorso per cassazione ex
art. 111 cost. avverso detta ordinanza possa essere ritenuta equipollente alla
riassunzione, in ragione della diversa finalità di tale strumento impugnatorio
rispetto a quella di riattivare il giudizio. (Cass. civ., sez. II, 12-10-2017,
n. 24007).
Tale ultima sentenza, evidenzia una discrasia tra il momento in cui il processo
può essere sospeso ovvero in una fase antecedente l'esame da parte del collegio
della ricusazione, e il dies ad quem dell'effetto sospensivo, che invece
decorrerebbe dal rigetto dell'istanza di ricusazione. È parere di chi scrive
che tale circostanza possa verificarsi nei seguenti casi, ovvero laddove il
giudice ricusato si sia pronunciato per la sospensione del processo o abbia
omesso di pronunciarsi in merito: infatti se quest'ultimo si è pronunciato
negativamente la sospensione del processo si verificherà solo quale conseguenza
dell'accoglimento della istanza di ricusazione.
[1] Cassazione Civile SS.UU Sentenza 20 gen. 2017, n. 1545; Cassazione Civile
SS.UU Ordinanza 23 giu. 2015, n. 13018; Cassazione Civile SS.UU Ordinanza 22
lug. 2014, n. 16627; Cassazione Civile SS.UU Sentenza 25 ott. 2013, n. 24148;
Cassazione Civile SS.UU Sentenza 20 lug. 2012, n. 12607; Cassazione Civile
SS.UU Sentenza 09 mag. 2011, n. 10071; Cassazione Civile SS.UU Ordinanza 26
gen. 2011, n. 1783; Cassazione Civile SS.UU Ordinanza 09 feb. 2010, n. 2790;
Cassazione Civile SS.UU Sentenza 31 mar 2009, n. 7770; Cassazione Civile SS.UU
Sentenza 15 dic. 2008, n. 29294; Cassazione Civile SS.UU Sentenza 27 feb. 2008,
n. 5087.
[2] Sul punto si rammenta che il legislatore costituzionale è intervenuto solo
nel 1999, ribadendo espressamente, nel nuovo art. 111 Cost., il paradigma del
giusto processo e precisamente dopo la formale adesione alla Cedu, avvenuta nel
1955, e al Patto internazionale, avvenuta nel 1977.
[3] Corte Edu, Ble and Others v. The Czech Republic, 2002, § 49.
[4] Corte Edu, Bellet v. France, 1995, § 38.
[5] Corte cost., sent. n. 215 del 2016: Nell'esperienza interpretativa di
questa Corte, è costante l'insegnamento in forza del quale, in linea di
principio, fonte e modalità della nomina sono momenti non decisivi nella
verifica di legittimità costituzionale inerente ai parametri della indipendenza
e della imparzialità, assumendo, piuttosto, rilievo centrale il grado di
autonomia che il legislatore ha garantito all'organo giurisdizionale rispetto
all'autorità designante nel concreto esercizio della funzione (per tutte si
veda la sent. n. 1 del 1967, relativa alla nomina governativa dei componenti la
Corte dei conti, precedente costantemente richiamato dai numerosi interventi
successivi in tal senso resi dalla Corte, tra i quali meritano menzione le
sentt. n. 49 del 1968, relativa alle commissioni per il contenzioso elettorale
e n. 196 del 1982, riferita alle commissioni tributarie).
[6] Corte Edu, Dmd Group v. Slovakia, 2010, § 60.
[7] Corte cost., sent. n. 387 del 1999.
[8] Cass. civ., III, 16.11.2006, n. 24370.
[9] Periodo aggiunto dall'art. 4, comma 19, legge 30 luglio 2007, n. 111,
all'art. 7-bis, comma 1, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12. Si vedano le
condivisibile critiche, di recente, ribadite da G. Scarselli, Il sistema
tabellare visto da un laico, in Rivista di diritto processuale, 2014, 93 ss.
[10] R. Romboli - S. Panizza, Ordinamento giudiziario, in Digesto delle
discipline pubblicistiche, Torino, 1995, § 11 (versione online).
[11] A. Pizzorusso, Giudice naturale, in Enciclopedia giuridica, Roma, 1989, 4.
[12] N. Trocker, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il "giusto
processo" in materia civile: profili generali, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2001, 381 ss.
[13] C. Consolo, Terzietà ed imparzialità nella dinamica dei processi non
penali, in Foro it., 2012, V, 22 ss.; C. Glendi, Le Sezioni Unite aprono
qualche spiraglio per una maggior garanzia dell'imparzialità del giudice anche
nel processo civile, in Il Corriere giuridico, 2013, 1599 ss.
[14] Peraltro, in risposta ad una pronuncia di segno contrario della Corte
costituzionale: sent. n. 255 del 1992.
[15] V. art. 178, comma 2, c.p.c. precedente alla riforma del 1990 (art. 15,
legge 26 novembre 1990, n. 353).
[16] Cass. civ., SS.UU., ord. 22.07.2014, n. 16628.
[17] Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 11225 del 24 aprile 2019; Cass.
22917/2012; Cass. 26267/2011; Cass. 5236/2006.
[18] R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, in La ragionevolezza nel
diritto, a cura di M. La Torre e A. Spadaro, Torino, Giappichelli, 2002, p. 59
e ss.
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