Tributario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/09/2018 Scarica PDF
Transfer pricing: il nuovo assetto normativo, nuove e vecchie questioni sul valore di dogana
Giampaolo Morini, Avvocato in LuccaSOMMARIO: 1. Codice Doganale dell'Unione - Regolamento (UE) 952/2013. 1.1 Quadro normativo vigente. 1.2 La normativa comunitaria: il Codice Doganale. 1.3 La Normativa comunitaria: Il regolamento di applicazione. 2. Raccomandazioni OCSE del 16 settembre 2014. 3. Il valore in dogana: gli accodi internazionali. 3.1 VALORE (artt. 69-76 CDU, art. 71 RD, artt.127-146 RE, art. 6 RDT). 3.2 Sul valore di dogana: Cass. Civ. sez. trib. 06-04-2018, n. 8473. 4. D.L. 24/04/2017, n. 50 e adeguamento della normativa nazionale agli standard OCSE. 5. Art. 110 co. 7 TUIR, le condotte: orientamenti giurisprudenziali. 6. Cass. civ., sez. trib., 15-11-2017, n. 27018.. 7. Cass. civ., sez. trib., 06-09-2017, n. 20805.
1. Codice Doganale dell'Unione - Regolamento (UE) 952/2013
Il 30 ottobre 2013 è entrato in vigore il Regolamento (UE) 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Codice Doganale dell'Unione, la nuova fonte primaria atta alla regolamentazione dei flussi doganali da, verso ed all'interno del territorio comunitario, in sostituzione dell'attuale ed obsoleto Codice Doganale Comunitario (Reg. CE 2913/92).
In data 16 settembre 2014, a seguito della pubblicazione di diversi Discussion Drafts e delle numerose consultazioni tenute nel corso degli ultimi due anni, l'OCSE ha presentato un primo "pacchetto di misure" per la prevenzione e il contrasto dell'erosione della base imponibile mediante lo spostamento dei profitti (cd. BEPS). Nel documento "OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project - Explanatory Statement - Deliverables 2014", si illustra il primo set di reports e raccomandazioni presentati con riferimento a sette delle quindici azioni (Actions) previste dal BEPS Action Plan, approvato dall'OCSE nel luglio 2013[1]:
• economia digitale (Action 1), con riferimento alla quale si evidenzia la necessità di un coordinamento con gli ulteriori lavori BEPS[2];
• strumenti ibridi (Action 2), i quali richiedono modifiche sia nelle legislazioni nazionali sia nel Modello OCSE, per contrastarne l'uso non appropriato[3];
• regimi fiscali dannosi (Action 5), con riferimento ai quali è necessaria una revisione dell'attuale framework e il rafforzamento dei requisiti di "sostanza economica" e "trasparenza"[4];
• abuso dei trattati (Action 6), con riguardo al quale è opportuno assicurare che gli Stati includano, nelle proprie convenzioni contro le doppie imposizioni, clausole che prevedano un "livello minimo di protezione"[5];
• transfer pricing, nel cui contesto sollevano criticità il trattamento dei beni immateriali (Action 8)[6] e i requisiti documentali (Action 13)[7];
• strumenti multilaterali (Action 15), per l'implementazione delle misure di contrasto al fenomeno dell'erosione della base imponibile[8].
Il nuovo Codice doganale dell’Unione si applica dal 1° maggio 2016.
Al fine di tutelare gli interessi legittimi degli operatori economici e di garantire la validità delle decisioni adottate e delle autorizzazioni rilasciate in vigenza della pregressa normativa doganale unionale è previsto un periodo transitorio, fino al 1° maggio 2019, per consentire l’adattamento di tali decisioni e autorizzazioni alle nuove disposizioni giuridiche (reassessment).
Si ritiene infine che il progressivo adeguamento dei sistemi elettronici degli Stati membri alle nuove modalità operative avverrà, entro fine 2020, sino ad allora, resta un obbligo, di diritto cogente, di scambio delle informazioni tra autorità doganali e tra queste e gli operatori economici tramite procedimenti informatici, stabilito nel par. 1) dell’art. 6 del CDU.
1.1 Quadro normativo vigente
Il Codice doganale dell’Unione (CDU), ovvero il Regolamento (UE) n° 952/2013 del 9 ottobre 2013 (GUUE - L n.269 del 10.10.2013), come già detto. istituisce il Codice doganale dell’Unione e abroga, dalla sua entrata in vigore (30.10.2013):
- il Reg. (CE) n.450/2008. Dal 1° maggio 2016, ai sensi dell’art. 286 CDU, sono anche formalmente abrogati:
- il Reg. (CEE) n. 3925/91, relativo all’eliminazione dei controlli sui bagagli dei viaggiatori intracomunitari;
- il Reg. (CEE) n.2913/92, che istituisce il codice doganale comunitario; - il Reg. (CEE) n. 1207/2001, relativo al rilascio dei certificati di origine EUR e alla qualifica di esportatore autorizzato;
Il Regolamento delegato del CDU (RD) è il Regolamento delegato (UE) n° 2446 del 28 luglio 2015 (GUUE – L n. 343 del 29.12.2015), che integra il Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del Codice doganale dell’Unione.
Abbiamo poi, il Regolamento di esecuzione del CDU (RE) cioè il Regolamento di esecuzione (UE) n. 2447 del 24 novembre 2015 (GUUE – L n. 343 del 29.12.2015), recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Codice doganale dell’Unione (pubblicata rettifica all’art. 2 par. 3), del RE, GUUE – L n. 87 del 2.4.2016).
Il Regolamento delegato transitorio del CDU (RDT) è il Regolamento delegato (UE) n. 341/2016 della Commissione, del 17 dicembre 2015 (GUUE L n.69 del 15.03.2016), che stabilisce misure transitorie relative ai mezzi per lo scambio e l’archiviazione di dati di cui all’art. 278 del CDU fino a quando i sistemi elettronici necessari per l’applicazione delle disposizioni del codice non siano operativi. Gli allegati al RDT stabiliscono i requisiti in materia di dati, formati e codici che devono essere applicati nel periodo transitorio stabilito ai sensi del RDT, del RD e del RE.
Infine, il Regolamento di esecuzione (UE) 2016/481 della Commissione del 1° aprile 2016 (GUUE L n. 87 del 2.4.2016) che abroga formalmente, dal 1° maggio 2016, il Regolamento (CEE) n. 2454/1993, recante disposizioni di applicazione del Reg. (CEE) n.2913/92; 6. Decisione di esecuzione (UE) della Commissione dell’11 aprile 2016, n. 578 (GUUE L n. 99 del 15.4.2016), che stabilisce il programma di lavoro relativo allo sviluppo ed all’utilizzazione dei sistemi elettronici previsti dal Codice doganale dell’Unione.
1.2 La normativa comunitaria: il Codice Doganale
Prima di addentrarsi nelle questioni interpretative appare utile fare una breve panoramica sulla normativa di riferimento sia al livello comunitario che extracomunitario (nei paragrafi successivi).
L’articolo 28 del codice doganale prevede che le disposizioni del capitolo 3 dello stesso disciplinano «il valore in dogana per l’applicazione della tariffa doganale delle Comunità europee e di altre misure non tariffarie stabilite da norme comunitarie specifiche nel quadro degli scambi di merci».
L’articolo 29, paragrafo 1, del codice doganale così dispone:
«Il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33, sempre che: non esistano restrizioni per la cessione o per l’utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre le restrizioni che: sono imposte o richieste dalla legge o dalle autorità pubbliche nella Comunità; limitano l’area geografica nella quale le merci possono essere rivendute, oppure non intaccano sostanzialmente il valore delle merci, la vendita o il prezzo non sia subordinato a condizioni o prestazioni il cui valore non possa essere determinato in relazione alle merci da valutare, nessuna parte del prodotto di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione successiva delle merci da parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa essere operata un’adeguata rettifica ai sensi dell’articolo 32, il compratore ed il venditore non siano legati o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a fini doganali, ai sensi del paragrafo 2».
Ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, del medesimo codice:
«a) Per stabilire se il valore di transazione sia accettabile ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, il fatto che il compratore e il venditore siano legati non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare inaccettabile detto valore. Se necessario, le circostanze proprie della vendita sono esaminate e il valore di transazione ammesso, purché tali legami non abbiano influito sul prezzo. (…)
b) In una vendita tra persone legate, il valore di transazione è accettato e le merci sono valutate conformemente al paragrafo 1 quando il dichiarante dimostri che detto valore è molto vicino ad uno dei valori qui di seguito indicati, stabiliti allo stesso momento o pressappoco allo stesso momento: il valore di transazione in occasione di vendita, tra compratori e venditori che non sono legati, di merci identiche o similari per l’esportazione a destinazione della Comunità; il valore in dogana di merci identiche o similari, quale è determinato ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 2, lettera c); il valore in dogana di merci identiche o similari, quale è determinato ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 2, lettera d).
Nell’applicare i predetti criteri si tiene debitamente conto delle differenze accertate tra i livelli commerciali, le quantità, gli elementi enumerati all’articolo 32 ed i costi sostenuti dal venditore in occasione di vendite nelle quali il compratore e il venditore non sono legati e i costi che questi non sostiene in occasione di vendite nelle quali il compratore ed il venditore sono legati.
c) I criteri di cui alla lettera b) devono essere applicati su iniziativa del dichiarante e soltanto a fini comparativi. Non possono essere stabiliti valori sostitutivi ai sensi della predetta lettera b)».
L’articolo 29, paragrafo 3, lettera a), del citato codice prevede quanto segue: «Il prezzo effettivamente pagato o da pagare è il pagamento totale effettuato o da effettuare da parte del compratore al venditore, o a beneficio di quest’ultimo, per le merci importate e comprende la totalità dei pagamenti eseguiti o da eseguire, come condizione della vendita delle merci importate, dal compratore al venditore, o dal compratore a una terza persona, per soddisfare un obbligo del venditore. Il pagamento non deve necessariamente essere fatto in denaro. Esso può essere fatto, per via diretta o indiretta, anche mediante lettere di credito e titoli negoziabili».
L’articolo 30, paragrafo 1, dello stesso codice così enuncia: «Quando il valore in dogana non può essere determinato ai sensi dell’articolo 29 si ha riguardo, nell’ordine, alle lettere a), b), c) e d) del paragrafo 2 fino alla prima di queste lettere che consenta di determinarlo, salvo il caso in cui l’ordine delle lettere c) e d) debba essere invertito su richiesta del dichiarante; soltanto quando tale valore in dogana non possa essere determinato a norma di una data lettera è consentito applicare la lettera immediatamente successiva nell’ordine stabilito dal presente paragrafo».
L’articolo 31, paragrafo 1, del codice doganale così prevede: «Se il valore in dogana delle merci non può essere determinato ai sensi degli articoli 29 e 30, esso viene stabilito, sulla base dei dati disponibili nella Comunità, ricorrendo a mezzi ragionevoli compatibili con i principi e con le disposizioni generali: dell’accordo relativo all’attuazione dell’articolo VII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994; dell’articolo VII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 e delle disposizioni del presente capitolo».
L’articolo 32 di tale codice dispone quanto segue: «1. Per determinare il valore in dogana ai sensi dell’articolo 29 si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate:
a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci (…): commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni di acquisto; costo dei contenitori considerati, ai fini doganali, come facenti un tutto unico con la merce; costo dell’imballaggio, comprendente sia la manodopera che i materiali;
b) il valore, attribuito in misura adeguata, dei prodotti e servizi qui di seguito elencati, qualora questi siano forniti direttamente o indirettamente dal compratore, senza spese o a costo ridotto e siano utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle merci importate, nella misura in cui detto valore non sia stato incluso nel prezzo effettivamente pagato o da pagare: materie, componenti, parti e elementi similari incorporati nelle merci importate; utensili, matrici, stampi ed oggetti similari utilizzati per la produzione delle merci importate; materie consumate durante la produzione delle merci importate; lavori d’ingegneria, di studio, d’arte e di design, piani e schizzi, eseguiti in un paese non membro della Comunità e necessari per la produzione delle merci importate;
c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare;
d) il valore di ogni parte del prodotto di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione delle merci importate spettante direttamente o indirettamente al venditore;
e) le spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate e le spese di carico e movimentazione connesse col trasporto delle merci importate, fino al luogo di introduzione delle merci nel territorio doganale della Comunità.
Ogni elemento che venga aggiunto ai sensi del presente articolo al prezzo effettivamente pagato o da pagare è basato esclusivamente su dati oggettivi e quantificabili.
Per la determinazione del valore in dogana, nessun elemento è aggiunto al prezzo effettivamente pagato o da pagare, fatti salvi quelli previsti dal presente articolo.(…)».
L’articolo 33 di detto codice enuncia quanto segue:
«Sempre che essi siano distinti dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate, il valore in dogana non comprende i seguenti elementi: le spese di trasporto delle merci dopo il loro arrivo nel luogo d’introduzione nel territorio doganale della Comunità; le spese relative a lavori di costruzione, d’installazione, di montaggio, di manutenzione o di assistenza tecnica iniziati dopo l’importazione, sulle merci importate, ad esempio impianti, macchinari o materiale industriale; gli interessi conseguenti ad un accordo di finanziamento concluso dal compratore e relativo all’acquisto di merci importate, indipendentemente dalla circostanza che il finanziamento sia garantito dal venditore o da un’altra persona, sempre che l’accordo di finanziamento considerato sia stato fatto per iscritto e, su richiesta, il compratore possa dimostrare che:
- le merci sono realmente vendute al prezzo dichiarato come prezzo effettivamente pagato o da pagare, e
- il tasso dell’interesse richiesto non è superiore al livello al momento comunemente praticato per transazioni del genere nel paese dove è stato garantito il finanziamento;
- spese relative al diritto di riproduzione nella Comunità delle merci importate;
- le commissioni d’acquisto;
- i dazi all’importazione e le altre imposizioni da pagare nella Comunità a motivo dell’importazione o della vendita delle merci».
Ai sensi dell’articolo 78 del medesimo codice:
«1. Dopo aver concesso lo svincolo delle merci, l’autorità doganale può procedere alla revisione della dichiarazione, d’ufficio o su richiesta del dichiarante.
Dopo aver concesso lo svincolo delle merci, l’autorità doganale, per accertare l’esattezza delle indicazioni figuranti nella dichiarazione, può controllare i documenti ed i dati commerciali relativi alle operazioni d’importazione o di esportazione nonché alle successive operazioni commerciali concernenti le merci stesse.
Questi controlli possono essere effettuati presso il dichiarante, presso chiunque sia direttamente o indirettamente interessato alle predette operazioni in ragione della sua attività professionale o da chiunque possieda, per le stesse ragioni, tali documenti e dati. La medesima autorità può procedere anche alla visita delle merci quando queste possano esserle ancora presentate.
Quando dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale, nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione».
1.3 La Normativa comunitaria: Il regolamento di applicazione
Il regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU 1993, L 253, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 881/2003 della Commissione, del 21 maggio 2003 (GU 2003, L 134, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di applicazione»), prevede, nella sezione 1 del capitolo 2, intitolato «Merci dichiarate per l’immissione in libera pratica», del titolo IX, rubricato «Procedure semplificate», le disposizioni applicabili alle dichiarazioni incomplete. L’articolo 256, paragrafo 1, del regolamento di applicazione dispone quanto segue:
«Il termine accordato dall’autorità doganale al dichiarante per comunicare le indicazioni o per presentare i documenti mancanti al momento dell’accettazione della dichiarazione non può essere superiore ad un mese a decorrere dalla data d’accettazione della dichiarazione.
Quando si tratti di un documento alla cui presentazione è subordinata l’applicazione di un dazio all’importazione ridotto o nullo, sempre che l’autorità doganale abbia validi motivi per ritenere che alle merci cui si riferisce la dichiarazione incompleta possa essere effettivamente applicato tale dazio ridotto o nullo, su richiesta del dichiarante, può essere concesso per la sua presentazione un termine più lungo rispetto a quello indicato al primo comma, se le circostanze lo giustificano.
Tale termine non può superare i quattro mesi dalla data di accettazione della dichiarazione: esso non può essere prorogato.
Quando si tratti di comunicare indicazioni o documenti mancanti in materia di valore in dogana l’autorità doganale può, ove sia indispensabile, stabilire un termine più lungo o prorogare il termine già stabilito.
La durata del periodo complessivamente accordato deve tener conto dei termini di prescrizione in vigore».
2. Raccomandazioni OCSE del 16 settembre 2014
Si riportano di seguito alcune considerazioni critiche con riferimento ad economia digitale, abuso dei trattati e transfer pricing, alla luce delle raccomandazioni OCSE del 16 settembre 2014.
La disposizione sul cd. principal purposes test si ispira ai principi già delineati nel Commentario all'art. 1 del Modello OCSE. Essa individua "a more general way" di contrastare i casi di abuso dei trattati, incluse quelle situazioni di treaty shopping che non rientrano nell'ambito di applicazione della LOB clause (tra le quali rientrano i cd. "conduit financing arrangements")[9].
L'OCSE raccomanda di prevedere, nelle convenzioni bilaterali, una disposizione che statuisca che "tax treaties are not intended to be used to generate double non-taxation".
Tale statuizione implica una riformulazione del titolo e del preambolo del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni dell'OCSE, diretta a dichiarare che l'intento comune delle parti contraenti è quello di eliminare i fenomeni di doppia imposizione senza tuttavia creare le condizioni per agevolare situazioni di evasione ed elusione fiscale.
In considerazione della notevole preoccupazione che i treaty shopping arrangements suscitano negli Stati, tali schemi dovrebbero essere espressamente menzionati quali esempi di comportamenti elusivi, da contrastarsi da parte delle norme convenzionali.
Con riferimento all'interazione tra disposizioni convenzionali e norme antiabuso domestiche, si dovrebbe:
• in primo luogo, adottare una disposizione convenzionale la quale si fondi sulla cd. "saving clause", tipica delle convenzioni sottoscritte dagli Stati Uniti;
• in secondo luogo, precisare che i trattati non escludono l'applicazione delle cd. "departure or exit taxes"[10].
Va da sé che una efficace azione anti-treaty shopping può essere svolta dagli Stati, se viene da questi adottata una politica diretta a limitare fortemente la negoziazione e stipula di accordi contro le doppie imposizioni con Paesi a fiscalità privilegiata e/o non cooperativi[11].
Le principali norme del nuovo testo entreranno tuttavia in vigore non prima del 1°(gradi) giugno 2016, in concomitanza con le sue cosiddette Disposizioni di Applicazione (DAC), ovvero il regolamento "operativo" del Codice Doganale, analogamente a quanto avviene per quello attuale.
È un provvedimento molto atteso che, nella sua quasi decennale "gestazione", è stato preceduto dal Nuovo Codice Doganale Modernizzato (Reg. CE 450/2008) - di cui è di fatto la "rifusione" - e che ha il merito di razionalizzare molti ambiti della normativa doganale europea, di semplificarne taluni istituti, oltre che di implementare nel quadro giuridico gli sviluppi tecnologici intercorsi negli ultimi vent'anni, che ora permettono, ad esempio, di qualificare quale "regola" le relazioni telematiche tra autorità ed operatori (cfr. Paperless Customs).
3. Il valore in dogana: gli accodi internazionali
L'ambito su cui si è sviluppato il più vivace dibattito tra i commentatori risulta essere quello del "valore in dogana", ossia il valore della merce sottoposta alla valutazione dell'autorità doganale, idealmente all'atto dell'importazione della medesima nel territorio doganale di uno Stato e - nell'assunzione di importazione definitiva - sottoposta ad obbligazione daziaria.
Tale valutazione risulta essere tanto più importante laddove la Tariffa doganale del Paese di importazione preveda dei dazi ad valorem, ovvero l'applicazione di un'aliquota percentuale di imposta sul valore doganale dichiarato.
Negli ultimi anni, tale ambito si associa in particolare a temi specifici quali il pagamento delle royalties ed il loro assoggettamento o meno alla base imponibile ai fini doganali[12], e soprattutto, all'analisi del valore doganale tra società facenti parte del medesimo Gruppo, scenario tipico delle moderne aziende multinazionali.
Da un lato, il già citato concetto di valore in dogana, che origina dalle disposizioni dell'Accordo GATT[13] del 1994, dall'altro le regole della fiscalità diretta internazionale - in primis quella del transfer pricing - che trova espressione principale nel Modello di Convenzione e nelle Linee Guida OCSE, ai quali occorre aggiungere talvolta il concetto di valore ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.
Il tema del valore nel diritto doganale è normato in primis a livello internazionale dal WTO Customs Valuation Agreement[14], i cui principi generali sono ripresi nelle leggi doganali primarie dei singoli Stati membri del WTO, ivi inclusa l'Unione europea. L'esigenza di condividere criteri omogenei per la definizione del valore doganale - non soltanto tra soggetti correlati - è intuitivamente elemento fondamentale del commercio internazionale, cui il citato Accordo rappresenta la base normativa.
L'art. 1, implementato nelle normative primarie dei Paesi Membri del WTO tra le quali l'Unione europea, stabilisce che "Il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, ovvero il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci all'atto della vendita per l'esportazione nel Paese di importazione ... a condizione che … d) compratore e venditore non siano legati o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a fini doganali a norma del paragrafo 2".
Il citato par. 2 prevede che: "Nel determinare se il valore di transazione è accettabile ai fini dell'applicazione del paragrafo 1, il fatto che compratore e venditore siano collegati … non costituisce di per sé un motivo sufficiente per considerare inaccettabile il valore di transazione. In tal caso le circostanze proprie della vendita sono esaminate e il valore di transazione è accettato purché non abbia influenzato il prezzo".
Il Codice Doganale dell'Unione trasla tali disposizioni nel quadro giuridico comunitario all'interno del Capitolo "Valore in Dogana delle Merci" (cfr. articoli 70-72), nei quali sono ribaditi in particolare sia la centralità del valore di transazione quale metodo per la determinazione del valore in dogana (definita nel testo a tal fine "base primaria"), sia la condizione che tale transazione avvenga in assenza di un legame tra le parti, ovvero esso non abbia influenzato il prezzo (cfr. articolo 70 paragrafo 3, lettera D).
Ad enfatizzare la centralità del valore di transazione quale principio cardine del valore in dogana, il nuovo testo fondamentale comunitario relega a "Metodi secondari di determinazione del valore in dogana" (art. 74 - Par. 2) i metodi da utilizzare laddove tale regola non possa, per talune ragioni, essere applicata.
Tali metodi, peraltro mutuati da WTO Customs Valuation Agreement stesso, ed applicabili in rigoroso ordine, risultano essere:
a) il valore di transazione di merci identiche, vendute per l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare;
b) il valore di transazione di merci similari, vendute per l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare;
c) il valore basato sul prezzo unitario al quale le merci importate, o merci identiche o similari importate, sono vendute nel territorio doganale dell'Unione nel quantitativo complessivo maggiore a persone non collegate ai venditori; oppure
d) valore calcolato, eguale alla somma: … i) del costo o del valore delle materie e delle operazioni di fabbricazione o altre, utilizzate per produrre le merci importate.
Il nuovo testo ha il merito di semplificare il concetto di base, facendo venir meno ad esempio l'espressione di "valore accettabile" ai fini doganali laddove si abbia ad oggetto una transazione intercompany, propria invece del WTO Customs Valuation Agreement e presente nel Codice Doganale Comunitario, sostituendolo con un più oggettivo principio di "non influenza del prezzo" tra soggetti correlati.
Occorre inoltre evidenziare come venga confermato il principio secondo cui il primo strumento alternativo, tramite il quale un operatore possa dimostrare all'autorità doganale la correttezza del proprio valore di acquisto, sia quello di fornire evidenza che il prezzo si avvicini a quello praticato - ceteris paribus - a soggetti non collegati per prodotti identici o simili.
La scelta di partire da una analisi empirica (comparare la transazione di un soggetto non correlato) prima che scientifica (dimostrare come si sia arrivati a quel valore di transazione) può permetterci di sostenere che il concetto di comparabilità sia a tutti gli effetti il criterio base su cui si fonda l'analisi del valore doganale (e non solo tra soggetti correlati), laddove il valore di transazione sia ritenuto incongruo.
In questo caso risulta evidente come tale principio evochi il CUP (comparable uncontrolled price), metodo più direttamente espressivo del "valore normale" nella normativa del transfer pricing, anche se in entrambi i casi riscontrare una perfetta comparabilità non è agevole[15].
3.1 VALORE (artt. 69-76 CDU, art. 71 RD, artt.127-146 RE, art. 6 RDT)
Sulla base della nuova normativa non è più applicabile a regime (salvo un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2017) la c.d. “first sale rule”, prevista dall’art. 147 del Reg. (CEE) n. 2454/1993, che consentiva la dichiarazione di un valore riferito alla vendita anteriore all’ultima sulla cui base le merci sono state immesse in libera pratica.
Le facilitazioni sugli aggiustamenti sono estese anche al valore transazionale di base e non più solo agli aggiustamenti da aggiungere al- o sottrarre dal- valore in dogana, in forza sia della lett. a) dell’art. 73 CDU che della lett. a) dell’art. 71 RD, che rendono applicabile la nuova semplificazione sul valore sia a tutti gli importi che devono essere inclusi nel valore in dogana conformemente all'articolo 70, paragrafo 2 (prezzo pagato o da pagare) che in tutti i casi in cui l’applicazione della procedura semplificata del CDU “comporta un costo amministrativo sproporzionato”.
I canoni e diritti di licenza dovuti sui marchi di fabbrica non richiedono più necessariamente (come nell’attuale art. 160 Reg. (CEE) n.2454/93) la prova dell’essere stati richiesti dal venditore o da una persona ad esso legata (previsione passata nella lett. a) dell’art. 136 RE), ma consentono di essere calcolati anche qualora “il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali” o se “le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante” (risp. lett. b) e c), art. 136 RE).
Dalla rilevazione mensile del penultimo mercoledì del corrente mese di aprile 2016, relativa ai tassi di conversione delle valute non espresse in euro ai sensi dell’art. 146, par.3), RE ”il tasso di cambio si applica per un mese a decorrere dal primo giorno del mese successivo.” Non saranno, pertanto, più comunicate le variazioni inframensili dovute ad oscillazioni >5%.
3.2 Sul valore di dogana: Cass. Civ. sez. trib. 06-04-2018, n. 8473
Con la sentenza 8473 la Corte di Cassazione esprime il seguente principio: In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza.
La Corte segue la via tracciata dalla Corte Giust. 9 marzo 2017, causa C-173/15, GE Healthcare GmbH, sviluppandone il principio per cui al prezzo pagato o da pagare, cui è di regola ragguagliato il valore in dogana delle merci importate, vanno aggiunti i corrispettivi ed i diritti di licenza, purché si riferiscano alla merce da valutare e costituiscano condizioni di vendita [17].
La Corte fonda il principio sull'all. 23 delle Dac - note interpretative in materia di valore in dogana all'art. 143, par. 1, lett. e), secondo cui «si considera che una persona ne controlli un'altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda», sottolineando che il controllo è inteso in un'accezione ampia, anche di fatto.
La Corte di Cassazione si basa quindi sugli indicatori tratti dall'esemplificazione presente nel commento n. 11 del comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull'applicazione dell'art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale, come in precedenza fatto dalla Corte di Giustizia con la sentenza citata, sottolineando che è proprio il rapporto di licenza, ad essere contrassegnato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali [18].
In definitiva il titolare di diritti immateriali è oggetto di interesse economico tanto da necessitare il controllo di tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva.
Tale necessità ha condotto la giurisprudenza a consolidare il principio espressa nella citata massima : nel caso oggetto di studio della Corte, era emerso che la società titolare dei marchi e dei modelli controllava la scelta dei fabbricanti, poiché ne disciplinava la selezione, pretendendo la corresponsione del compenso per tutti i prodotti in licenza fabbricati da o per la licenziataria e da questa venduti e controllava sia la licenziataria, sia l'agente che la coadiuvava nella scelta dei fabbricanti e nelle operazioni di vendita.
La Corte, chiarisce che è che è: proprio l'assoggettamento di prodotti fabbricati in base a modelli oggetto di licenza e recanti marchi parimenti in licenza, di norma particolarmente appetibili nel mercato, a diritti doganali calcolati allo stesso modo in cui sono calcolati quelli riferiti a prodotti che non abbiano quelle caratteristiche rischia di falsare la concorrenza nel mercato interno, giacché si tradurrebbe nell'assicurare ai prodotti un vantaggio ulteriore.
4. D.L. 24/04/2017, n. 50 e adeguamento della normativa nazionale agli standard OCSE
Con D.L. 24/04/2017, n. 50 ha apportato modifiche alla disciplina dei prezzi di trasferimento al fine di adeguare la normativa nazionale agli standard OCSE.
Apporta una duplice modifica al transfer pricing, una di tipo formale l'altra procedurale. L'art. 59 della Manovra correttiva sostituisce l'art. 110 c. 7 TIUR il concetto di valore normale si adegua alle indicazioni relative al principio di libera concorrenza[16].
Viene inoltre inserito l'art. 31 quater nel DPR 600/1973 che disciplina le modalità per favorire delle riduzioni di reddito ai fini delle imposte sui redditi italiane, diminuzione derivante dalle corrispondenti rettifiche definitive operate negli altri paesi.
La sostituzione del valore nominale – art. 9 TUIR – comporta che i prezzi delle operazioni infragruppo siano determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili.
Dunque, adesso dovrà farsi riferimento al prezzo di libera concorrenza: l'art. 110 c. 7 TUIR adesso prevede che i componenti di reddito derivanti da operazioni intercompany siano determinati con riferimento alle condizioni ed ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento di reddito.
Sin dalla C.M. n. 32/1980, l'Amm. Fin. ha dimostrato di comprendere la valenza interpretativa della Direttiva OCSE in materia di Transfer Pricing.
Con provvedimento del 29.09.2010 del Direttore Ag. En. sui c.d. oneri documentali sono state richiamate le linee guida OCSE e nella circolare n. 58/E/2010, viene specificato che l'indicazione delle linee guida OCSE tra le definizioni del provvedimento consente ai contribuenti di intraprendere taluni riferimenti riportati nei chiarimenti suddetti, alla luce degli orientamenti OCSE.
Pare quindi di dover concludere che l'art. 110 c. 7 TUIR abbia carattere interpretativo.
Quanto alla procedura per la rettifica in diminuzione l'art. 59 della manovra, ha introdotto, come già detto, l'art. 31 quater DPR 600/1973.
Prima di tale modifica, il riconoscimento di valori in diminuzione avveniva in esecuzione degli accordi conclusi con le Autorità competenti degli Stati esteri – procedure amichevoli o MAP – previste dall'art. 25 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni o dalla Convenzione arbitrale n. 90/436/CE del 23 luglio 1990 (adesso art. 31 quater lett. a)).
Il nuovo art. 31 quater prevede altre due ipotesi in cui l'impresa residente può far valere la diminuzione del reddito:
1. A conclusione dei controlli effettuati nell'ambito di attività di cooperazione internazionale, purché gli esiti siano condivisi dagli stati partecipanti (lett. b));
2. A seguito di istanza di parte del contribuente residente (lett. c)). La norma prevede la facoltà per il contribuente di richiedere l'attivazione delle procedure amichevoli di cui alla lettera a) ove non ricorrano i presupposti: non v'è più il ricorso obbligatorio alle procedure amichevoli.
5. Art. 110 co. 7 TUIR, le condotte: orientamenti giurisprudenziali
L'articolo 76, comma 5 (ora articolo 110, comma 7) TUIR non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma e' finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato, sicché la prova gravante sull'Amministrazione finanziaria riguarda (non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente ma) solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex articolo 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall'articolo 9, comma 3, TUIR (Cass. n. 7493 del 15/4/2016; Cass. n. 13387 del 30/6/2016; Cass. 27018 del 15/11/2017).
La Corte di Cassazione, nel tempo, ha maturato differenti, e contrarie, soluzioni.
Un primo orientamento (Cass. n. 27087 del 19/12/2014 e Cass. n. 15005 del 17/7/2015) ha incentrato le proprie conclusioni su una lettura "lucrativa" dell'articolo 110, comma 7 tuir, ritenendo la norma introduttiva di una limitazione della libertà negoziale delle parti, come tale da interpretare restrittivamente e, dunque, riferita alle sola operazione da cui "derivano" componenti di reddito, ossia a quelle a titolo oneroso. I finanziamenti infruttiferi, pertanto, restano sottratti alla disciplina del transfer pricing.
Un secondo orientamento (Cass. n. 7493 del 15/4/2016 e Cass. n. 13387 del 30/6/2016) ha, invece, evidenziato che la normativa in esame non integra una disciplina antielusiva in senso proprio ma e' finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato: la ratio della normativa, quindi, va rinvenuta nel principio di libera concorrenza, sicché la valutazione in base al valore normale investe la sostanza economica dell'operazione, che va confrontata con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e prescinde dalla capacità originaria di produrre reddito e da qualsiasi obbligo negoziale.
Ne deriva, correlativamente, che la qualificazione di infruttuosità del finanziamento, eventualmente operata dalle parti, è ininfluente in quanto in sé inidonea ad escludere l'applicazione del criterio di valutazione in base al valore normale.
Quest’ultimo orientamento ha trovato conferma anche nella Cass. civ., sez. trib., 15-11-2017, n. 27018.
6. Cass. civ., sez. trib., 15-11-2017, n. 27018
Nella sentenza in rubrica, la Corte pone in risalto l’effettiva ratio dell'istituto che individua nel principio di libera concorrenza, enunciato nell'articolo 9 del Modello di Convenzione OCSE, la cui interpretazione deve essere unitaria a prescindere dalla natura dell'operazione, restando in definitiva, inclusi nella disciplina in esame, anche i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate/controllanti in funzione dell'esigenza di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali.
Sostiene la Corte che - l'articolo 110, comma 7 tuir ha carattere di norma speciale rispetto alle previsioni riguardanti la determinazione del reddito da capitale: l'elemento specializzante è costituito dalla circostanza che uno dei due soggetti (appartenenti al medesimo gruppo societario) coinvolti nell'operazione di finanziamento ha sede fuori dal territorio dello Stato; ne deriva l'inapplicabilità dell'articolo 45, comma 2 tuir, e l'inopponibilità ai fini fiscali delle eventuali clausole di infruttuosità; - e' irrilevante la connotazione del carattere limitativo della libertà negoziale attribuita alla disciplina del transfer pricing: la ratto della disciplina mira a sostituire il valore soggettivo dell'operazione con quello oggettivo e normalizzato, sicché investe ogni atto gestorio potenzialmente idoneo ad indurre un incremento o decremento dell'imponibile a prescindere dall'assetto giuridico dei rapporti tra le parti, siano essi onerosi o gratuiti; - non sussiste alcuna esigenza di una interpretazione restrittiva: la locuzione "componenti del reddito derivanti da operazioni" si riferisce non solo a quelli attuali ma anche a quelli che ne sono generati anche solo in via potenziale; - le attuali linee guida OCSE, pur non riproponendo le specifiche indicazioni già presenti nella versione del 1979 (che affermava la regola generale che all'erogazione di un finanziamento dovesse sempre seguire l'applicazione di interessi laddove, nelle medesime circostanze, questi sarebbero stati pattuiti da soggetti terzi indipendenti), sono univoche nel chiarire (Capitolo 7 delle linee guida del 2010, par. 7.14 e 7.15 in ordine all'individuazione e remunerazione dei finanziamenti come servizi infragruppo, nonché 7.19, 7.29 e 7.31 con riguardo alla determinazione del pagamento), che la remunerazione di un finanziamento infragruppo deve avvenire, di norma, attraverso la corresponsione di un tasso di interesse corrispondente a quello che sarebbe stato previsto tra imprese indipendenti in circostanze comparabili. Un tale assetto, inoltre, appare compatibile anche con i principi dell'ordinamento unionale in relazione all'esigenza di tutela della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra Stati membri (v. Corte di Giustizia, sentenza 21 gennaio 2010, Socie'te' de Gestion Industrielle SA, in C-311/08, in relazione ai benefici gratuiti ("straordinario e senza contropartita") concessi da una societa' residente ad una società stabilita in un altro Stato membro). Non va infine trascurato che, come già sottolineato nelle sentenze nn. 7493 e 13387 del 2016, e' "irragionevole... che l'Amministrazione possa esercitare il potere di rettifica in caso di corrispettivi... anche irrisori mentre ciò le sia precluso nell'ipotesi di contratti a titolo gratuito".
La Corte, conclude dunque con l’affermazione del seguente principio di diritto: "la ratto della disciplina di cui all'articolo 110, comma 7 tuir, va individuata nel principio di libera concorrenza, esclusa ogni qualificazione della stessa come norma antielusiva, sicché la valutazione del valore normale postula l'esame della sostanza economica delle operazioni poste in essere, in una prospettiva di comparazione con analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti e in libera concorrenza; sono soggetti alla medesima disciplina i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate/controllanti attesa l'esigenza, in funzione dell'unitaria ratio dell'istituto, di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri civilistici tra i contraenti".
7. Cass. civ., sez. trib., 06-09-2017, n. 20805
È principio consolidato in giurisprudenza che il cosiddetto transfer pricing costituisce, dal lato economico, un'alterazione delle condizioni della libera concorrenza, per cui sono oggetto di indagine, in particolare, le transazioni tra Società appartenenti ad uno stesso Gruppo, ma con sede in paesi diversi, avvengono per prezzi che non hanno corrispondenza con quelli praticati in regime di libero mercato.
Il fenomeno, quindi, dà luogo ad uno spostamento di imponibile fiscale, per cui, allo scopo di preservare la esatta pretesa impositiva di ciascuno Stato, sono state adottate normative nazionali predisposte a eliminare il fenomeno stesso del transfer pricing. Tutte le normative recepiscono il principio del prezzo normale delle transazioni commerciali, contenuto nel Modello OCSE articolo 9, comma 1, Convenzione del 1995. principio recepito anche in Italia, nel testo applicabile ratione temporis, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 76, comma 5 (Cass. n. 10742/2013).
In base alla più recente giurisprudenza la normativa non integra una disciplina antielusiva, in senso proprio, perché (a differenza di altre norme specificamente antielusive) non prevede che l'amministrazione finanziaria debba provare la maggiore fiscalità nazionale ed é perciò applicabile anche in difetto di prova da parte dell'amministrazione finanziaria del conseguimento di un concreto vantaggio fiscale da parte del contribuente.
La disciplina in commento, quindi, rappresenta una difesa più avanzata rispetto a quella volta a reprimere le condotte elusive, poiché rivolta a reprimere il fenomeno economico in sé.
È stato, quindi più volte ribadito dalla Corte di Cassazione il principio secondo cui, in tema di determinazione del reddito di impresa, la disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 76, comma 5, finalizzata alla repressione del fenomeno economico dei transfer pricing, cioè dello spostamento di imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti, non richiede di provare, da parte dell'amministrazione, la funzione elusiva, ma solo l'esistenza di "transazioni" tra imprese collegate ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, gravando invece sul contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova, ai sensi dell'articolo 2697 c.c., ed in tema di deduzioni fiscali (vedi, al riguardo, Cass. n. 9917 del 2008 e n. 19489 del 2010), l'onere di dimostrare che tali "transazioni" sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua dell'articolo 9, comma 3, del menzionato Decreto, secondo cui sono da intendersi normali i prezzi di beni e servizi praticati "in condizioni di libera concorrenza", al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più' prossimi e con riferimento "in quanto possibile" a listini e tariffe di uso, non escludendosi pertanto l'utilizzabilità, al descritto fine, di altri mezzi di prova (vedi in senso analogo, Cass. n. n. 11949 del 2012; n. 10739 e n. 10742 del 2013; n. 8849 del 2014).
Occorre avvertire, in proposito, che, in linea generale non si può escludere che considerazioni di strategia complessiva inducano le imprese a compiere operazioni di per sé stesse antieconomiche in vista ed in funzione di altri benefici.
Tuttavia, è necessario che le varie operazioni rispondano a criteri di logica economica, i quali, a loro volta, devono essere funzionali a meccanismi di mercato in regime di libera concorrenza, non distorsivi di tale regime (ex plurimis, Cass. n. 17955 del 2013).
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[1] P. Valente, Base Erosion e Profit shifting. L'Action plan dell'OCSE, in "il fisco" n. 37/2013, pag. 5744.
[2] OCSE, Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy, 16 settembre 2014.
[3] OCSE, Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements, 16 settembre 2014.
[4] OCSE, Countering Harmful Tax Practices More Effectively, Taking into Account Transparency and Substance, 16 settembre 2014.
[5] OCSE, Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances, 16 settembre 2014.
[6] OCSE, Guidance on Transfer Pricing Aspects of Intangibles, 16 settembre 2014.
[7] OCSE, Guidance on Transfer Pricing Documentation and Country-by-Country Reporting, 16 settembre 2014.
[8] OCSE, Developing a Multilateral Instrument to Modify Bilateral Tax Treaties, 16 settembre 2014.
[9] Il documento include raccomandazioni relative a disposizioni antiabuso convenzionali specifiche "that seek to address strategies, other than treaty shopping, aimed at satisfying treaty requirements with a view to obtain inappropriately the benefit of certain provisions of tax treaties. These targeted rules, which are supplemented by the PPT rule described above, address (1) certain dividend transfer transactions; (2) transactions that circumvent the application of the treaty rule that allows source taxation of shares of companies that derive their value primarily from immovable property; (3) situations where an entity is resident of two Contracting States, and (4) situations where the State of residence exempts the income of permanent establishments situated in third States and where shares, debt-claims, rights or property are transferred to permanent establishments set up in countries that do not tax such income or offer preferential treatment to that income" (cfr. OCSE, Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances, 16 settembre 2014, pag. 13). La suindicata disposizione potrebbe avere il seguente tenore:
"Notwithstanding the other provisions of this Convention, a benefit under this Convention shall not be granted in respect of an item of income or capital if it is reasonable to conclude, having regard to all relevant facts and circumstances, that obtaining that benefit was one of the principal purposes of any arrangement or transaction that resulted directly or indirectly in that benefit, unless it is established that granting that benefit in these circumstances would be in accordance with the object and purpose of the relevant provisions of this Convention".
[10] "The report also addresses two specific issues related to the interaction between treaties and specific domestic anti-abuse rules. The first issue relates to the application of tax treaties to restrict a Contracting State's right to tax its own residents. The report recommends that the principle that treaties do not restrict a State's right to tax its own residents (subject to certain exceptions) should be expressly recognized through the addition of a new treaty provision based on the so-called «saving clause» already found in United States tax treaties. The second issue deals with so-called «departure» or «exit» taxes, under which liability to tax on some types of income that has accrued for the benefit of a resident (whether an individual or a legal person) is triggered in the event that the resident ceases to be a resident of that State" (cfr. OCSE, Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances, 16 settembre 2014, pag. 15).
[11] L'Action 6 del BEPS Action Plan prevede la necessità di identificare "the tax policy considerations that, in general, countries should consider before deciding to enter into a tax treaty with another country". The policy considerations (…) should help countries explain their decisions not to enter into tax treaties with certain low or no-tax jurisdictions; these policy considerations will also be relevant for countries that need to consider whether they should modify (or, ultimately, terminate) a treaty previously concluded in the event that a change of circumstances (such as changes to the domestic law of a treaty partner) raises BEPS concerns related to that treaty" (cfr. OCSE, Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances, 16 settembre 2014, pag. 18).
[12] Sul tema vedasi, tra l'altro, la Conclusione n. 24 del Comitato del Codice Doganale e la sentenza n. 174 del 19 novembre 2013 della Commissione Tributaria Regionale di Milano.
[13] General Agreement on Tariff and Trade, poi a partire dal 1995 divenuta World Trade Organization (WTO).
[14] Il WTO Customs Valuation Agreement origina dalla necessità di implementazione dell'Art. VII dell'Accordo GATT del 1994 (di cui è parte integrante).
[15] E. Marchisio, Il valore del gruppo e nel gruppo. Disciplina civilistica e fiscale degli scambi intragruppo a valore diverso da quello di mercato, in "Rivista di diritto tributario" n. 1/2014 pag. 89.
[16] Arm's lenght principle di cui all'art. 9 del Modello di Concenzione OCSE.
[17] Foro it., 2017, IV, 373.
[18] In dottrina, D. AVOLIO-B. SANTACROCE-E. SBANDI, Il concetto di «persone legate» e il controllo di qualità nell'accertamento del valore in dogana, in Corriere trib., 2012, 1938; B. SANTACROCE-E. SBANDI, Il controllo della produzione nell'impatto dei diritti di licenza sul valore doganale, id., 2013, 179; M. ALLENA, Royalties e valore in dogana, in Dir. pratica trib., 2014, I, 865; F. CERIONI, L'esclusione delle «royalties» dal valore in dogana tra strategie aziendali elusive e incertezze dei giudici tributari, in Corriere trib., 2015, 2349.
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