Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 86 - pubb. 01/07/2007
Anatocismo e commissione di massimo scoperto
Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 07 Gennaio 2005. Est. D'Onofrio.
Anatocismo – Illegittimità – Uso normativo – Insussistenza.
Commissione di massimo scoperto – Non computabilità.
Il commento, di Luca Caravella
Il Tribunale (omissis)-
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 19 settembre del 2000, gli istanti si opponevano al decreto ingiuntivo emesso dall’intestato tribunale.
Assumevano che l’xxxxxxx aveva il 6 agosto del 1991 stipulato con il Banco Santo Spirito spa agenzia di xxxxxx un conto corrente assistito da convenzione di assegno, assumendo il conto di corrispondenza il numero xxxx.
Nel corso del rapporto era altresì stata accordata al correntista una linea di credito garantita da fideiussioni degli altri odierni opponenti alla quale erano stati applicati elevatissimi interessi debitori, procedendo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi con addebito trimestrale di commissione di massimo scoperto.
Eccepivano gli opponenti la nullità della clausola con la quale si rinviava, per la determinazione degli interessi passivi, alle condizioni usualmente praticate sulla piazza, quantomeno a partire dall’entrata in vigore della legge n. 154\92.
Rilevavano altresì la nullità della clausola contrattuale che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e l’illegittimità della commissione di massimo scoperto.
Concludevano perché, previa declaratoria di nullità della indicate clausole contrattuali, fosse dichiarato nullo o revocato il decreto opposto con declaratoria che il conto corrente n. xxxxxx non presentava saldo debitorio, vinte le spese di lite.
Si costituiva l’istituto bancario eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’opponente avendo sempre intrattenuto rapporti con xxxxxx snc.
Il tasso di interesse convenzionale praticato erano stati espressamente accettati dagli opponenti e non erano definibili usurari. Legittima risultava la capitalizzazione trimestrale degli interessi, concludendo per il rigetto dell’avversa opposizione con vittoria di spese di lite.
All’udienza del 23 settembre del 2004, il giudice rimetteva la causa in recisione previa concessione dei termini di legge (60 + 20 gg.) per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
L’opposizione è fondata e merita accoglimento per quanto di ragione.
Rilevato che l’errore nella denominazione della società opponente xxxxxx e non xxxxxx non comporta alcuna difficoltà di individuazione della stessa, tenuto conto della sua sede legale e del suo amministratore p.t., va in primo luogo affrontata la questione relativa alla assunta nullità della clausola di cui all’art. 7 delle condizioni generali dell’intercorso contratto di conto corrente bancario nella parte in cui, con riferimento agli interessi dovuti dal correntista all’azienda di credito, si conviene che essi siano determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza (cfr. art. 7 del contratto stipulato in xxxxxxx il 6 agosto del 1991 tra l’opponente società e l’opposto istituto bancario).
Trattandosi di contratto anteriore all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992 n. 154 sulla trasparenza bancaria, va rilevato che la Suprema Corte ha da ultimo statuito che è legittima la clausola dei contratti di conto corrente bancario - stipulati prima dell’entrata in vigore della legge 154\92 secondo la quale sono dovuti interessi convenzionali nella misura normalmente praticata dalle aziende di credito su piazza. E’ tuttavia necessario valutare se nel singolo rapporto dedotto sussistano elementi di qualificazione del cliente idonei a determinare, senza successiva valutazione discrezionale da parte della banca, l’oggettiva determinazione del tasso di interesse (in questo senso Cass. 1996\2103).
Ferma restando pertanto la possibilità di rispettare la forma scritta ad substantiam imposta dall’art. 1284 secondo comma cc, senza precisare in cifre il tasso di interesse praticato, si è tuttavia riconosciuta l’ammissibilità della determinazione di quest’ultimo per relationem attraverso criteri oggettivi univoci, giungendosi in concreto per tale via ad escludere che tali caratteri ricorrano nella clausola che, come nel caso di specie, rinvii - sic et simpliciter - alle “condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”.
Ciò in quanto, posta l’esistenza di differenti tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto inteso riferirsi (Cass. 10 novembre 1997 n. 11042; 13\3\1996 n. 2103; 1998\4696; 1998\6247; 1998\7871; 2002\4490).
Alla dichiarazione di nullità della clausola di cui all’art. 7 del contratto citato consegue per il periodo antecedente all’entrata in vigore della legge 154\92 l’applicazione del tasso di interesse legale, mentre, con riferimento al periodo successivo alla entrata in vigore della citata legge, limitatamente alle obbligazioni sorte in epoca successiva, vanno applicati i tassi indicati dall’art. 117, comma 7, lettera a, decreto legislativo 385/1993 (che riporta la medesima previsione operata al riguardo dall’art. 5 lettera a della legge 154/1992).
L’utilizzo dei tassi di cui alla legge 154/1992 sarà tuttavia limitato al periodo anteriore al 24\11\1994, dal momento che da quella data l’istituto bancario provvide a determinare i nuovi tassi di interesse attivi e passivi, modificandoli ulteriormente e sempre in forma scritta a partire dall’undici gennaio del 1996 (vedi documentazione allegata al fascicolo di parte opposta in cui sono depositati lettere del 24\11\1994 e 11\1\1996 con riconoscimento dei tassi applicati da parte del legale rappresentante della società opponente: cfr. in atti ).
Con riferimento a tale riconoscimento dei tassi di interesse individuati in forma scritta parte istante nega la riferibilità di tali individuati e precisati tassi alla società opponente, essendo stata la sottoscrizione dell’accettazione di tali nuovi tassi praticati operata da xxxxx senza la spendita del nome della società, della quale pure era ed è pacificamente legale rappresentante.
Deve disattendersi tale ragionamento giuridico, dal momento che, come si evince dalla lettera di accettazione, essa è intestata alla xxxxxx S.n.c. con sede in via xxxx di xxxx e, pertanto, la sottoscrizione da parte di xxxx (seppure non formalmente avvenuta nella qualità con riferimento alla sottoscrizione) può senz’altro essere ricollegata alla società di cui era ed è legale rappresentante: a sostegno di tale soluzione sta pure il fatto che, con le lettere di accettazione, il legale rappresentante non si limitava a prendere atto delle nuove condizioni dei tassi del conto ma la xxxxxxxxx otteneva anche nuove linee di credito (cfr. le lettere in questione).
Essendo pertanto le lettere di accettazione intestate alla società con l’indicazione già in sede di intestazione del nome di xxxxxx, la sottoscrizione da parte di quest’ultimo non può che essere riferita all’interesse della società della quale è legale rappresentante, come si evince dalla lettura contestuale ed unitaria della lettera di accettazione.
Ciò posto, dunque, per il periodo che parte dal 24 novembre del 1994 non troveranno più applicazione i tassi indicati dalla legge sulla trasparenza bancaria, applicabili solo in presenza di clausole nulle nei contratti di conto corrente bancario, ma i tassi approvati in forma scritta dall’istituto bancario ed approvati dalla società opponente.
Passando a questo punto al secondo motivo di doglianza relativo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi prevista anch’essa dall’art. 7 delle condizioni di contratto già esaminato, deve ritenersi ormai conclamata l’illegittimità di tale forma anatocistica.
Da ultimo, la Corte di Cassazione a sezioni unite, con sentenza 7 ottobre\4 novembre 2004 n. 21095, ha, nella sostanza, confermato l’orientamento giurisprudenziale, già consolidatosi anche presso il giudice della legittimità, secondo il quale la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi (in questo senso da principio Cass. 16 marzo 1999 n. 2374; 30 marzo 1999 n. 3096; 1999/12507).
Si è in sintesi escluso che la capitalizzazione degli interessi trimestrali costituisse un uso normativo fosse cioè munita dei requisiti indispensabili della diuturnitas e soprattutto della opinio iuris seu necessitatis, trattandosi e concretandosi essa in uso meramente negoziale, in quanto tale, non in linea con l’art. 1283 cc e dunque insanabilmente nullo.
Della insuperabile valenza retroattiva dell’accertamento di nullità delle clausole anatocistiche, contenuto nelle pronunzie del 1999, si è mostrato subito, del resto, ben consapevole anche il legislatore il quale – nell’intento di evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito – ha dettato, nel comma 3 dell'articolo 25 del già citato D. Lgs 342/99, una norma ad hoc, volta appunto ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui ai precedenti commi primo e secondo del medesimo articolo 25. Quella norma di sanatoria è stata, però, come noto, dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega e conseguente violazione dell’articolo 77 Costituzione, dal Giudice delle leggi, con sentenza n. 425 del 2000. L’eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell’articolo 1283 Cc (cfr. Cassazione 4490/02).
Volendo poi sinteticamente riportare le ragioni per le quali la Cassazione nel 1999, trascinata dalle sentenze dei giudici di merito, ha ritenuto di dover qualificare come usi negoziali e non normativi quelli sugli interessi anatocistici è sufficiente riportarsi a qualche sintetica e breve considerazione che si ritiene di poter fare in questa sede, senza avere ovviamente, alcuna pretesa di esaustività.
Si è ritenuto da parte delle banche di ritrovare un uso normativo nella capitalizzazione degli interessi riesumando la Confederazione generale fascista, ricordando il suo testo delle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza del 1929, ma autorevole dottrina e la stessa giurisprudenza hanno immediatamente segnalato che si trattava di mera predisposizione unilaterale di condizioni che, in re ipsa, esclude che esse possano configurarsi come regole spontaneamente create e applicate da tutti i contraenti.
Ne è stato poi possibile rinvenire la esistenza da parte delle Camere di Commercio di usi ammissivi dell’anatocismo in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice civile, in forza della previsione di cui all’art. 9 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Dall’esame delle raccolte delle camere di commercio antecedenti al 1951, si rinviene o la mancata pubblicazione di usi nel settore bancario o l’accertamento dell’inesistenza di usi in materia di capitalizzazione trimestrale o l’esistenza di usi difformi.
Quanto al periodo posteriore al 1951 risulta il ruolo guida svolto dall’associazione bancaria irrilevante, tuttavia, ai fini della formazione di un uso normativo, in quanto posteriore all’entrata in vigore del codice civile.
In mancanza di un uso generale in materia, non smentito dalla presenza di raccolte di usi e consuetudini del settore del credito accertati su base nazionale ma direttamente dall’Abi, il che svuota la raccolta di qualsivoglia rilevanza probatoria, né essendo ammissibile un’applicazione analogica dell’uso, costituendo esso norma eccezionale rispetto al generale principio di divieto dell’anatocismo, deve in definitiva ritenersi ormai chiuso l’argomento e dichiararsi nulla qualsiasi forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Una volta accertata la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi, deve per conseguenza ritenersi integralmente applicabile l’art. 1283 cc con negazione di qualsiasi forma di capitalizzazione, negandosi validità anche ad un eventuale capitalizzazione annuale degli interessi cosa che, di sé, comporterebbe di fatto la sostituzione di un uso negoziale illegittimo con altro uso altrettanto illegittimo e nullo.
In mancanza di prova dell’esistenza di un uso normativo di capitalizzazione degli interessi (non essendovi prova dell’esistenza di usi normativi annuali sul punto) non resta che ritenere del tutto inapplicabile qualsiasi forma di anatocismo al contratto in controversia.
È nulla la clausola dei contratti bancari che prevede la capitalizzazione degli interessi, per cui sono dovuti gli interessi semplici, con esclusione anche della capitalizzazione annuale (Tribunale Brindisi, 13 maggio 2002).
È nulla la clausola del contratto di conto corrente che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi, per cui il saldo passivo del conto deve essere rideterminato sulla base degli interessi al tasso legale, con esclusione della capitalizzazione trimestrale. La nullità è rilevabile d'ufficio (Tribunale di Napoli 17 dicembre 2002).
Passando infine alla commissione di massimo scoperto, come chiarito da Cass. 2002/11772, “o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi - come potrebbe inferirsi anche dall'esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato - che solitamente è trimestrale - e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi passivi, o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo - ed è questa la tesi della ricorrente - come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia del primo ottobre 1996 e delle successive rilevazioni del c. d. tasso di soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve esser computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, ed allora dovrebbe esser conteggiata alla chiusura definitiva del conto. Nell’un caso e nell’altro non è comunque dovuta la capitalizzazione trimestrale perché, se la natura della commissione di massimo scoperto è assimilabile a quella degli interessi passivi, le clausole anatocistiche, pattuite nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge 154-1992, sono nulle secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, come già evidenziato; se invece è un corrispettivo autonomo dagli interessi, non è ad esso estensibile la disciplina dell’anatocismo, prevista dall’art. 1283 cod. civ. espressamente per gli interessi scaduti.
Ciò chiarito occorrerà a questo punto individuare tra le varie opzioni di calcolo oprate dal consulente di ufficio all’uopo nominato quella che tenga conto dei criteri normativi ai quali ci si è ritenuti di uniformare: non risultano utilizzabili le differenti ipotesi di cui alla lettera A della consulenza, che non tengono conto per il periodo posteriore al 1994 e al 1996 dei tassi di interesse convenzionali validamente disposti dalla banca ed accettati dagli opponenti, né la soluzione di cui alla lettera B, che prende in considerazione per il periodo di durata del contratto anteriore al 1992 i tassi realmente applicati dall’istituto bancario, dichiarati nulli come già esposto in precedenza.
Quanto alla soluzione di cui alla lettera D va osservato che in essa, nei periodi di saldo debitore, si prendono in considerazione i tassi realmente applicati dall’istituto bancario anteriormente all’entrata in vigore della legge 152/92 (mentre abbiamo ritenuto che si applichino gli interessi al tasso legale) e che, tuttavia, in modo del tutto corretto si applicano poi, per il periodo che va dall’entrata in vigore della legge, il tasso nominale dei buoni del tesoro e poi, dal 24/11/1994 e dall’11 gennaio del 1996, gli interessi e le commissioni realmente applicati dalla banca se non eccedenti quanto indicato nelle lettere del 1994 e del 1996; allo stesso modo, tale soluzione ha previsto nei periodi di saldo creditore l’applicazione degli interessi al tasso legale correttamente, fino all’entrata in vigore della legge 154\92, e poi gli interessi di cui al tasso nominale dei bot emessi nei dodici mesi predenti ogni chiusura trimestrale fino al 24 novembre del 1994 e poi gli interessi realmente applicati dalla banca se non eccedenti quanto indicato nelle lettere del 1994 e del 1996: di tale criterio va scelto quello di cui alla soluzione D3, senza alcuna capitalizzazione degli interessi della commissione di massimo scoperto e delle spese, come in precedenza motivato.
Dunque tale ricalcolo (quello previsto dal ctu nell’ipotesi D3), sebbene non correttamente preveda in favore della banca, quanto al saldo debitore, il calcolo degli interessi al tasso realmente applicato dalla Banca e non a quello legale (vista la nullità della clausola di individuazione degli interessi uso piazza), nonostante applichi pertanto per questo termine temporale un interesse superiore a quello concedibile in favore della banca, prevede in ogni caso un saldo finale in favore della società opponente di euro 6917,68: tale saldo sarebbe stato ancora maggiore se per il periodo anteriore alla entrata in vigore della legge del giugno 1992 (e dunque relativamente al periodo temporale intercorrente tra l'inizio del contratto dell’agosto del 1991 e l’entrata in vigore della legge dell’agosto del 1992) si fosse applicato il tasso legale, inferiore a quello praticato per tale termine temporale dalla banca sul saldo debitore.
Non si ritiene di dovere riconvocare il consulente per ricalcolare esattamente il saldo, risultando esso indubbiamente positivo in favore dell’xxxxxx e essendo la presente causa finalizzata esclusivamente all’accertamento dell’inesistenza di saldi negativi del conto corrente in ragione dei quali la banca aveva avanzato la sua pretesa monitoria, non avendo la controversia ad oggetto l’esatta quantificazione o la domanda riconvenzionale di pagamento del saldo positivo in suo favore da parte della società opponente.
Una volta accertato che il saldo del conto corrente non presenta alcun saldo debitore a carico degli opponenti non resta che revocare l’opposto decreto ingiuntivo, seguendo le spese di lite la soccombenza come per legge.
Assumevano che l’xxxxxxx aveva il 6 agosto del 1991 stipulato con il Banco Santo Spirito spa agenzia di xxxxxx un conto corrente assistito da convenzione di assegno, assumendo il conto di corrispondenza il numero xxxx.
Nel corso del rapporto era altresì stata accordata al correntista una linea di credito garantita da fideiussioni degli altri odierni opponenti alla quale erano stati applicati elevatissimi interessi debitori, procedendo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi con addebito trimestrale di commissione di massimo scoperto.
Eccepivano gli opponenti la nullità della clausola con la quale si rinviava, per la determinazione degli interessi passivi, alle condizioni usualmente praticate sulla piazza, quantomeno a partire dall’entrata in vigore della legge n. 154\92.
Rilevavano altresì la nullità della clausola contrattuale che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e l’illegittimità della commissione di massimo scoperto.
Concludevano perché, previa declaratoria di nullità della indicate clausole contrattuali, fosse dichiarato nullo o revocato il decreto opposto con declaratoria che il conto corrente n. xxxxxx non presentava saldo debitorio, vinte le spese di lite.
Si costituiva l’istituto bancario eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’opponente avendo sempre intrattenuto rapporti con xxxxxx snc.
Il tasso di interesse convenzionale praticato erano stati espressamente accettati dagli opponenti e non erano definibili usurari. Legittima risultava la capitalizzazione trimestrale degli interessi, concludendo per il rigetto dell’avversa opposizione con vittoria di spese di lite.
All’udienza del 23 settembre del 2004, il giudice rimetteva la causa in recisione previa concessione dei termini di legge (60 + 20 gg.) per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Motivi
L’opposizione è fondata e merita accoglimento per quanto di ragione.
Rilevato che l’errore nella denominazione della società opponente xxxxxx e non xxxxxx non comporta alcuna difficoltà di individuazione della stessa, tenuto conto della sua sede legale e del suo amministratore p.t., va in primo luogo affrontata la questione relativa alla assunta nullità della clausola di cui all’art. 7 delle condizioni generali dell’intercorso contratto di conto corrente bancario nella parte in cui, con riferimento agli interessi dovuti dal correntista all’azienda di credito, si conviene che essi siano determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza (cfr. art. 7 del contratto stipulato in xxxxxxx il 6 agosto del 1991 tra l’opponente società e l’opposto istituto bancario).
Trattandosi di contratto anteriore all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992 n. 154 sulla trasparenza bancaria, va rilevato che la Suprema Corte ha da ultimo statuito che è legittima la clausola dei contratti di conto corrente bancario - stipulati prima dell’entrata in vigore della legge 154\92 secondo la quale sono dovuti interessi convenzionali nella misura normalmente praticata dalle aziende di credito su piazza. E’ tuttavia necessario valutare se nel singolo rapporto dedotto sussistano elementi di qualificazione del cliente idonei a determinare, senza successiva valutazione discrezionale da parte della banca, l’oggettiva determinazione del tasso di interesse (in questo senso Cass. 1996\2103).
Ferma restando pertanto la possibilità di rispettare la forma scritta ad substantiam imposta dall’art. 1284 secondo comma cc, senza precisare in cifre il tasso di interesse praticato, si è tuttavia riconosciuta l’ammissibilità della determinazione di quest’ultimo per relationem attraverso criteri oggettivi univoci, giungendosi in concreto per tale via ad escludere che tali caratteri ricorrano nella clausola che, come nel caso di specie, rinvii - sic et simpliciter - alle “condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”.
Ciò in quanto, posta l’esistenza di differenti tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto inteso riferirsi (Cass. 10 novembre 1997 n. 11042; 13\3\1996 n. 2103; 1998\4696; 1998\6247; 1998\7871; 2002\4490).
Alla dichiarazione di nullità della clausola di cui all’art. 7 del contratto citato consegue per il periodo antecedente all’entrata in vigore della legge 154\92 l’applicazione del tasso di interesse legale, mentre, con riferimento al periodo successivo alla entrata in vigore della citata legge, limitatamente alle obbligazioni sorte in epoca successiva, vanno applicati i tassi indicati dall’art. 117, comma 7, lettera a, decreto legislativo 385/1993 (che riporta la medesima previsione operata al riguardo dall’art. 5 lettera a della legge 154/1992).
L’utilizzo dei tassi di cui alla legge 154/1992 sarà tuttavia limitato al periodo anteriore al 24\11\1994, dal momento che da quella data l’istituto bancario provvide a determinare i nuovi tassi di interesse attivi e passivi, modificandoli ulteriormente e sempre in forma scritta a partire dall’undici gennaio del 1996 (vedi documentazione allegata al fascicolo di parte opposta in cui sono depositati lettere del 24\11\1994 e 11\1\1996 con riconoscimento dei tassi applicati da parte del legale rappresentante della società opponente: cfr. in atti ).
Con riferimento a tale riconoscimento dei tassi di interesse individuati in forma scritta parte istante nega la riferibilità di tali individuati e precisati tassi alla società opponente, essendo stata la sottoscrizione dell’accettazione di tali nuovi tassi praticati operata da xxxxx senza la spendita del nome della società, della quale pure era ed è pacificamente legale rappresentante.
Deve disattendersi tale ragionamento giuridico, dal momento che, come si evince dalla lettera di accettazione, essa è intestata alla xxxxxx S.n.c. con sede in via xxxx di xxxx e, pertanto, la sottoscrizione da parte di xxxx (seppure non formalmente avvenuta nella qualità con riferimento alla sottoscrizione) può senz’altro essere ricollegata alla società di cui era ed è legale rappresentante: a sostegno di tale soluzione sta pure il fatto che, con le lettere di accettazione, il legale rappresentante non si limitava a prendere atto delle nuove condizioni dei tassi del conto ma la xxxxxxxxx otteneva anche nuove linee di credito (cfr. le lettere in questione).
Essendo pertanto le lettere di accettazione intestate alla società con l’indicazione già in sede di intestazione del nome di xxxxxx, la sottoscrizione da parte di quest’ultimo non può che essere riferita all’interesse della società della quale è legale rappresentante, come si evince dalla lettura contestuale ed unitaria della lettera di accettazione.
Ciò posto, dunque, per il periodo che parte dal 24 novembre del 1994 non troveranno più applicazione i tassi indicati dalla legge sulla trasparenza bancaria, applicabili solo in presenza di clausole nulle nei contratti di conto corrente bancario, ma i tassi approvati in forma scritta dall’istituto bancario ed approvati dalla società opponente.
Passando a questo punto al secondo motivo di doglianza relativo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi prevista anch’essa dall’art. 7 delle condizioni di contratto già esaminato, deve ritenersi ormai conclamata l’illegittimità di tale forma anatocistica.
Da ultimo, la Corte di Cassazione a sezioni unite, con sentenza 7 ottobre\4 novembre 2004 n. 21095, ha, nella sostanza, confermato l’orientamento giurisprudenziale, già consolidatosi anche presso il giudice della legittimità, secondo il quale la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi (in questo senso da principio Cass. 16 marzo 1999 n. 2374; 30 marzo 1999 n. 3096; 1999/12507).
Si è in sintesi escluso che la capitalizzazione degli interessi trimestrali costituisse un uso normativo fosse cioè munita dei requisiti indispensabili della diuturnitas e soprattutto della opinio iuris seu necessitatis, trattandosi e concretandosi essa in uso meramente negoziale, in quanto tale, non in linea con l’art. 1283 cc e dunque insanabilmente nullo.
Della insuperabile valenza retroattiva dell’accertamento di nullità delle clausole anatocistiche, contenuto nelle pronunzie del 1999, si è mostrato subito, del resto, ben consapevole anche il legislatore il quale – nell’intento di evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito – ha dettato, nel comma 3 dell'articolo 25 del già citato D. Lgs 342/99, una norma ad hoc, volta appunto ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui ai precedenti commi primo e secondo del medesimo articolo 25. Quella norma di sanatoria è stata, però, come noto, dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega e conseguente violazione dell’articolo 77 Costituzione, dal Giudice delle leggi, con sentenza n. 425 del 2000. L’eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell’articolo 1283 Cc (cfr. Cassazione 4490/02).
Volendo poi sinteticamente riportare le ragioni per le quali la Cassazione nel 1999, trascinata dalle sentenze dei giudici di merito, ha ritenuto di dover qualificare come usi negoziali e non normativi quelli sugli interessi anatocistici è sufficiente riportarsi a qualche sintetica e breve considerazione che si ritiene di poter fare in questa sede, senza avere ovviamente, alcuna pretesa di esaustività.
Si è ritenuto da parte delle banche di ritrovare un uso normativo nella capitalizzazione degli interessi riesumando la Confederazione generale fascista, ricordando il suo testo delle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza del 1929, ma autorevole dottrina e la stessa giurisprudenza hanno immediatamente segnalato che si trattava di mera predisposizione unilaterale di condizioni che, in re ipsa, esclude che esse possano configurarsi come regole spontaneamente create e applicate da tutti i contraenti.
Ne è stato poi possibile rinvenire la esistenza da parte delle Camere di Commercio di usi ammissivi dell’anatocismo in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice civile, in forza della previsione di cui all’art. 9 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Dall’esame delle raccolte delle camere di commercio antecedenti al 1951, si rinviene o la mancata pubblicazione di usi nel settore bancario o l’accertamento dell’inesistenza di usi in materia di capitalizzazione trimestrale o l’esistenza di usi difformi.
Quanto al periodo posteriore al 1951 risulta il ruolo guida svolto dall’associazione bancaria irrilevante, tuttavia, ai fini della formazione di un uso normativo, in quanto posteriore all’entrata in vigore del codice civile.
In mancanza di un uso generale in materia, non smentito dalla presenza di raccolte di usi e consuetudini del settore del credito accertati su base nazionale ma direttamente dall’Abi, il che svuota la raccolta di qualsivoglia rilevanza probatoria, né essendo ammissibile un’applicazione analogica dell’uso, costituendo esso norma eccezionale rispetto al generale principio di divieto dell’anatocismo, deve in definitiva ritenersi ormai chiuso l’argomento e dichiararsi nulla qualsiasi forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Una volta accertata la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi, deve per conseguenza ritenersi integralmente applicabile l’art. 1283 cc con negazione di qualsiasi forma di capitalizzazione, negandosi validità anche ad un eventuale capitalizzazione annuale degli interessi cosa che, di sé, comporterebbe di fatto la sostituzione di un uso negoziale illegittimo con altro uso altrettanto illegittimo e nullo.
In mancanza di prova dell’esistenza di un uso normativo di capitalizzazione degli interessi (non essendovi prova dell’esistenza di usi normativi annuali sul punto) non resta che ritenere del tutto inapplicabile qualsiasi forma di anatocismo al contratto in controversia.
È nulla la clausola dei contratti bancari che prevede la capitalizzazione degli interessi, per cui sono dovuti gli interessi semplici, con esclusione anche della capitalizzazione annuale (Tribunale Brindisi, 13 maggio 2002).
È nulla la clausola del contratto di conto corrente che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi, per cui il saldo passivo del conto deve essere rideterminato sulla base degli interessi al tasso legale, con esclusione della capitalizzazione trimestrale. La nullità è rilevabile d'ufficio (Tribunale di Napoli 17 dicembre 2002).
Passando infine alla commissione di massimo scoperto, come chiarito da Cass. 2002/11772, “o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi - come potrebbe inferirsi anche dall'esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato - che solitamente è trimestrale - e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi passivi, o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo - ed è questa la tesi della ricorrente - come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia del primo ottobre 1996 e delle successive rilevazioni del c. d. tasso di soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve esser computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, ed allora dovrebbe esser conteggiata alla chiusura definitiva del conto. Nell’un caso e nell’altro non è comunque dovuta la capitalizzazione trimestrale perché, se la natura della commissione di massimo scoperto è assimilabile a quella degli interessi passivi, le clausole anatocistiche, pattuite nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge 154-1992, sono nulle secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, come già evidenziato; se invece è un corrispettivo autonomo dagli interessi, non è ad esso estensibile la disciplina dell’anatocismo, prevista dall’art. 1283 cod. civ. espressamente per gli interessi scaduti.
Ciò chiarito occorrerà a questo punto individuare tra le varie opzioni di calcolo oprate dal consulente di ufficio all’uopo nominato quella che tenga conto dei criteri normativi ai quali ci si è ritenuti di uniformare: non risultano utilizzabili le differenti ipotesi di cui alla lettera A della consulenza, che non tengono conto per il periodo posteriore al 1994 e al 1996 dei tassi di interesse convenzionali validamente disposti dalla banca ed accettati dagli opponenti, né la soluzione di cui alla lettera B, che prende in considerazione per il periodo di durata del contratto anteriore al 1992 i tassi realmente applicati dall’istituto bancario, dichiarati nulli come già esposto in precedenza.
Quanto alla soluzione di cui alla lettera D va osservato che in essa, nei periodi di saldo debitore, si prendono in considerazione i tassi realmente applicati dall’istituto bancario anteriormente all’entrata in vigore della legge 152/92 (mentre abbiamo ritenuto che si applichino gli interessi al tasso legale) e che, tuttavia, in modo del tutto corretto si applicano poi, per il periodo che va dall’entrata in vigore della legge, il tasso nominale dei buoni del tesoro e poi, dal 24/11/1994 e dall’11 gennaio del 1996, gli interessi e le commissioni realmente applicati dalla banca se non eccedenti quanto indicato nelle lettere del 1994 e del 1996; allo stesso modo, tale soluzione ha previsto nei periodi di saldo creditore l’applicazione degli interessi al tasso legale correttamente, fino all’entrata in vigore della legge 154\92, e poi gli interessi di cui al tasso nominale dei bot emessi nei dodici mesi predenti ogni chiusura trimestrale fino al 24 novembre del 1994 e poi gli interessi realmente applicati dalla banca se non eccedenti quanto indicato nelle lettere del 1994 e del 1996: di tale criterio va scelto quello di cui alla soluzione D3, senza alcuna capitalizzazione degli interessi della commissione di massimo scoperto e delle spese, come in precedenza motivato.
Dunque tale ricalcolo (quello previsto dal ctu nell’ipotesi D3), sebbene non correttamente preveda in favore della banca, quanto al saldo debitore, il calcolo degli interessi al tasso realmente applicato dalla Banca e non a quello legale (vista la nullità della clausola di individuazione degli interessi uso piazza), nonostante applichi pertanto per questo termine temporale un interesse superiore a quello concedibile in favore della banca, prevede in ogni caso un saldo finale in favore della società opponente di euro 6917,68: tale saldo sarebbe stato ancora maggiore se per il periodo anteriore alla entrata in vigore della legge del giugno 1992 (e dunque relativamente al periodo temporale intercorrente tra l'inizio del contratto dell’agosto del 1991 e l’entrata in vigore della legge dell’agosto del 1992) si fosse applicato il tasso legale, inferiore a quello praticato per tale termine temporale dalla banca sul saldo debitore.
Non si ritiene di dovere riconvocare il consulente per ricalcolare esattamente il saldo, risultando esso indubbiamente positivo in favore dell’xxxxxx e essendo la presente causa finalizzata esclusivamente all’accertamento dell’inesistenza di saldi negativi del conto corrente in ragione dei quali la banca aveva avanzato la sua pretesa monitoria, non avendo la controversia ad oggetto l’esatta quantificazione o la domanda riconvenzionale di pagamento del saldo positivo in suo favore da parte della società opponente.
Una volta accertato che il saldo del conto corrente non presenta alcun saldo debitore a carico degli opponenti non resta che revocare l’opposto decreto ingiuntivo, seguendo le spese di lite la soccombenza come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Carinola, definitivamente pronunciando sull’atto di citazione proposto da xxxxxx in proprio e nella qualità di legale rappresentante di xxxxxxxxx snc e di xxxxxx ed xxxxxx nei confronti di Banca di Roma spa, cosi provvede :
a) Accoglie l’opposizione e per l’effetto, accertata l’insussistenza di saldi debitori a carico degli opponenti, revoca il decreto ingiuntivo n. 371\00;
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