Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 79 - pubb. 01/07/2007

Scoperto di conto, onere della prova, anatocismo e riconduzione a zero del saldo

Tribunale Pescara, 07 Giugno 2005. Est. Falco.


Opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore della Banca per scoperto di conto corrente - Contestazione del correntista relativa alla nullità dell’anatocismo trimestrale passivo concordato nel contratto e addebitato dalla Banca - Onere della Banca di provare l’entità del credito ingiunto attraverso la produzione degli estratti conto relativi all’intero rapporto bancario oggetto di contestazione - Sussistenza - Omessa produzione degli estratti conto relativi ai primi anni del rapporto - Conseguenze - Impossibilità di giustificazione contabile e di depurazione dall’anatocismo illegittimo del saldo di cui al primo estratto conto prodotto - Sussistenza - Riconduzione del predetto saldo a “zero” - Legittimità - Acquisizione da parte del CTU della documentazione non prodotta dalla Banca nei termini di cui all’art. 184 c.p.c. - Esclusione.

Contratto di mutuo bancario - Pattuizione di interessi moratori ultralegali sull’intera rata di mutuo comprensiva di capitale e di interessi corrispettivi - Clausola anatocistica pattuita in violazione dell’art. 1283 c.c - Nullità - Sussistenza - Fondamento - Natura speciale ed inderogabile dell’art. 1283 c.c. - Natura peculiare del debito per interessi rispetto alle comuni obbligazioni pecuniarie - Conseguenze della nullità - Produzione di interessi di mora sulla sola quota capitale della rata di mutuo scaduta.



Nel giudizio di opposizione promosso avverso una decreto ingiuntivo emesso in favore di una Banca a titolo di scoperto di un contratto di apertura di credito in conto corrente connotata da clausola anatocistica nulla perché pattuita tra le parti in violazione dell’art. 1283 c.c., il Giudice deve procedere- anche d’ufficio ex art. 1421 c.c. e sulla base della documentazione contabile ritualmente versata in atti - alla depurazione del saldo debitore del correntista dall’anatocismo invalidamente pattuito e conteggiato dalla Banca nel corso del rapporto e da questa preteso in sede monitoria.
La Banca che rivendichi la sussistenza e legittimità del proprio credito pecuniario nella misura pretesa in sede monitoria ha l’onere- quale attrice sostanziale del giudizio di opposizione- di fornire la prova della fondatezza di siffatta pretesa, attraverso la produzione in giudizio- nei termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c.- degli estratti conto relativi all’intero rapporto di conto corrente oggetto di contestazione.
L’omessa produzione da parte della Banca- nei suddetti termini di cui all’art. 184 c.p.c.- degli estratti conto relativi ai primi due anni del rapporto di apertura di credito di conto corrente, non consentendo al nominato CTU né di verificare la giustificazione contabile del saldo di cui al primo estratto conto prodotto, né di depurare quel saldo dagli anatocismi trimestrali passivi invalidamente conteggiati dalla Banca anche nei primi due anni del rapporto, comporta la necessità di ricondurre processualmente quel primo saldo a “zero” e conseguentemente di rigettare la pretesa pecuniaria monitoria relativa a quella parte del rapporto, potendosi ricostruire e quindi riconoscere in capo alla Banca soltanto il credito legittimamente maturato negli anni successivi del rapporto in relazione a cui sia stata fornita prova documentale.
La decadenza istruttoria maturata in capo alla Banca per non avere questa prodotto nei termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c. la predetta documentazione contabile non può essere aggirata attraverso l’attribuzione al nominato CTU del potere di acquisire d’ufficio presso gli uffici della Banca la documentazione da questa colpevolmente non prodotta in giudizio, pena violazione della disciplina dell’onere della prova e della perentorietà dei termini di cui all’art. 184 c.p.c..
In ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante il pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrono gli interessi di mora sulla intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283 c.c..



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 
IL TRIBUNALE DI PESCARA

In composizione monocratica ed in persona del Giudice Dott. Gianluca Falco, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

Nella causa civile in I grado iscritta al N° 66 del Ruolo Generale dell’anno 2001, trattenuta in decisione all’udienza del 10.2.2005, promossa da:

 

Società A, in persona del legale rappresentante pro-tempore,, e i Signori B, C, D, E, F e G

- opponenti-

 

CONTRO

 

Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A. - CARIPE S.P.A. - in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore, con sede in Pescara, Corso Vittorio Emanuele n. 102.

-opposta -

 

OGGETTO: opposizione al decreto ingiuntivo n. 1191/2000 emesso dal Tribunale di Pescara.

 

 

 

CONCLUSIONI

 

All’udienza del 10.2.2005 per gli opponenti il difensore “ […] precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle contenute nell’atto introduttivo, da ritenersi qui integralmente riportate e trascritte, chiedendone l’integrale accoglimento. In particolare insiste affinchè vengano accolte le conclusioni di cui alla perizia contabile del CTU, con conseguente annullamento del decreto ingiuntivo opposto e condanna alle spese del giudizio. Dichiara di non accettare il contraddittorio su eventuali domande nuove”.

Per la opposta il difensore “ […] precisa le conclusioni riportandosi alla comparsa di costituzione e risposta, ai verbali e a tutti gli scritti difensivi, chiedendo il rigetto dell’opposizione, con condanna degli opponenti al pagamento di tutte le somme dovute. Chiede autorizzarsi il ritiro del fascicolo di parte, con concessione del doppio termine di cui all’art. 190 c.p.c.”.

 

 

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto di citazione del 4.1.2001, ritualmente notificato, la Società A,  in persona del legale rappresentante pro-tempore e i Sigg. B, C, D, E, F, e G proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1191/2000, reso provvisoriamente esecutivo con formula del 21.11.2000, con il quale il Tribunale di Pescara li aveva condannati a pagare in solido, nelle rispettive qualità di debitore principale la prima e di fideiussori gli altri ed in favore della Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A la somma complessiva di £. 33.505.759, oltre interessi e spese legali, di cui £. 17.787.334 a titolo di scoperto del c/c 11036/94, oltre interessi moratori al 10,50% dal 1.10.2000 in aggiunta alla commissione di massimo scoperto, e £. 15.718.425 per residuo debito del prestito Ascomfidi erogato in data 2.4.96, oltre interessi convenzionali del 14,50%.

A sostegno dell’opposizione si assumeva:

L’omessa indicazione da parte della Banca, in sede monitoria, delle specifiche voci di calcolo (sorte capitale, spese, addebiti, etc.) utilizzate per il conteggio della somma pecuniaria pretesa dagli ingiunti, con “conseguente impossibilità per questi ultimi e per il Giudice di effettuare il doveroso controllo delle partite” e con conseguente nullità per indeterminatezza del decreto ingiuntivo emanato.

- L’omessa dichiarazione da parte della Banca, in ordine alla somma pretesa a titolo di rimborso parziale del prestito erogato, se da detta somma fosse stato o meno decurtato l’importo garantito, a mezzo fideiussione, dalla Confcommercio.

L’omessa indicazione da parte della Banca della data di decorrenza degli interessi convenzionali al tasso del 14,50% pretesi in sede monitoria sulla somma relativa alle rate di mutuo non pagate, con conseguente ulteriore impossibilità per gli ingiunti di avere “una cognizione  piena del proprio debito”.

L’illegittimità della pretesa pecuniaria azionata dall’ingiungente in sede monitoria, qualora la stessa fosse stata connotata anche dalla illegittima applicazione di anatocismi trimestrali come invalidamente pattuiti in contratto.

 
Tanto premesso gli opponenti concludevano chiedendo in via preliminare la sospensione ex art. 649 c.p.c., per gravi motivi, dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto, nel merito ed in via principale la declaratoria della nullità ed inefficacia del decreto medesimo, in via subordinata il “contenimento delle somme richieste nei limiti del giusto dovuto”, in via istruttoria l’esperimento di CTU contabile. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio.

Con comparsa di risposta depositata in Cancelleria in data 28.2.2001 si costituiva in giudizio la Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A., in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore (di seguito BANCA) la quale, contestando la fondatezza della proposta opposizione e chiedendone il rigetto, insisteva nella propria pretesa pecuniaria già accolta in sede monitoria ed assumeva la pretestuosità delle avverse difese ed eccezioni, in particolare deducendo:

L’inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità della opposizione per violazione degli artt. 83 e 163 n. 2 c.p.c., in ragione sia della illeggibilità della firma apposta per conto della società A, sia della sua evidente non riconducibilità al legale rappresentante, stante la diversità di grafia di quella rispetto alla sottoscrizione apposta da quest’ultimo in proprio in calce alla procura conferita al difensore.

La piena validità ed efficacia dei contratti bancari e di garanzia fideiussoria azionati dall’esponente in sede monitoria ed allegati agli atti di causa.

- La mancata contestazione da parte degli opponenti e nel corso del rapporto degli estratti conto ad essi periodicamente inviati relativi all’apertura di credito in conto corrente, con conseguente idoneità degli estratti conto medesimi a fare “piena prova nei loro confronti dell’ammontare del saldo attivo e passivo” del conto stesso.

La sussistenza di prova documentale della fondatezza della domanda monitoria nella “documentazione analitica prodotta, comprensiva degli estratti conto per l’anno 2000 e del piano di ammortamento relativo al prestito Ascomfidi erogato, piano peraltro regolarmente consegnato ai debitori all’atto dell’erogazione del prestito, il quale prevedeva il rimborso del prestito di £. 50.000.000 in sessanta rate mensili comprensive della quota capitale e della quota interessi al tasso convenzionale pattuito.

- La conseguente inesistenza di qualsivoglia obbligo della Banca di specificazione - in sede di deposito del ricorso monitorio - della decorrenza degli interessi, essendo stato l’ammontare di questi ultimi già conteggiato nelle singole rate come concordate in sede di formazione del  piano di ammortamento, con conseguente legittimità della pretesa di pagamento della somma di £. 15.718.425 comprensiva – come tale- sia di capitale sia di interessi.

- Il mancato esercizio da parte della esponente della garanzia prestata dalla Ascomfidi, avendo detta garanzia natura soltanto sussidiaria e per questo subordinata all’inadempimento ed alla previa inutile escussione del debitore principale.

- La legittimità dell’anatocismo trimestrale applicato sugli interessi passivi del correntista, costituendo esso “una conseguenza indiretta del meccanismo di periodica chiusura dei conti ai sensi degli artt. 1823 e 1831 c.c. i quali definivano la struttura di ogni regolamento di conto corrente”, ed esistendo comunque in materia un conforme uso normativo ex art. 1283 c.c.;

- L’operatività, in ogni caso, della soluti retentio ex art. 2034 c.c. in favore della esponente con riferimento agli interessi composti già percepiti nel corso del rapporto;

Acquisita la documentazione prodotta dalle parti, espletata la trattazione della causa, espletata una CTU contabile al fine della verifica dei rapporti di dare ed avere in essere tra le parti in relazione al contratto di apertura di conto corrente, le parti  precisavano le rispettive conclusioni all’udienza del 10.2.2005, all’esito della quale il Giudice tratteneva la causa in decisione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

L’opposizione proposta avverso il Decreto Ingiuntivo n. 1191/2000 risulta parzialmente fondata nella misura e per le considerazioni di seguito precisate.

In primo luogo deve sottolinearsi come la preliminare eccezione, sollevata dalla opposta, di inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità della opposizione per violazione degli artt. 83 e 163 n. 2 c.p.c. non merita accoglimento.

Si premette al riguardo che la Banca ha denunziato sia la illeggibilità della firma apposta per conto della società A da un non meglio identificato sottoscrittore, sia la non corrispondenza di detta firma al “pugno” di B, in citazione indicato come legale rappresentante della società opponente, avendo questi poi apposto a margine della procura rilasciata in proprio una sottoscrizione diversa da quella di cui sopra. Da quanto detto deriverebbe - ad avviso della opposta - l’impossibilità di verificare il necessario collegamento tra il soggetto sottoscrittore della procura alle liti, asseritamente conferita in rappresentanza e per conto della società, e la società stessa (cfr. la comparsa di costituzione).

La predetta eccezione non merita accoglimento per i seguenti motivi:

- La società A. ha instaurato il presente giudizio di opposizione “in persona del legale rappresentante pro-tempore  B (cfr. la intestazione dell’atto di citazione in opposizione a D.I.).

- In calce al predetto atto di citazione risulta apposto il mandato alle liti che- quanto alla mandante società A - reca una firma obiettivamente illeggibile ed apparentemente diversa da quella di B, apposta a margine della procura da quest’ultimo conferita in proprio quale socio opponente (cfr. la procura alle liti).

- Recentissimamente le Sezioni Unite della Cassazione (sentenze nn. 4810 e 4814 del 7.3.2005) hanno definitivamente statuito- dirimendo un contrasto in essere in materia tra le sezioni semplici della giurisprudenza di legittimità- che “l'illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell'atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d'autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell'atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall'indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese. In assenza di tali condizioni, ed inoltre nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell'art. 157 cod. proc. civ., facendo così carico alla parte istante d'integrare con la prima replica la lacunosità dell'atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell'autore della firma illeggibile; ove difetti, sia inadeguata o sia tardiva detta integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell'atto cui accede”.

- Le stesse Sezioni Unite tuttavia, coordinando la disciplina di cui all’art. 83 c.p. con quella di cui agli artt. 163/164 c.p.c., hanno ulteriormente statuito in ordine alla ipotesi - ricorrente nella specie - di illeggibilità della sottoscrizione della procura alle liti apposta nell’atto di citazione (artt.163/645 c.p.c.), che “la mancata identificazione del conferente la procura può riverberarsi sulla validità della citazione, la quale è nulla, ai sensi dell’art. 164 I comma c.p.c., ove sussista assoluta incertezza circa l’organo o l’ufficio dotato del potere di rappresentanza in giudizio la società (non dunque incertezza soltanto sul nome del titolare di tale organo od ufficio), ma tale nullità è comunque superata dalla costituzione della parte convenuta, che spiega gli effetti sananti di cui all’art. 164 III comma c.p.c.” (così testualmente Cass. S.U. n. 4810 del 7.3.2005).

- La costituzione in giudizio della Banca ha quindi sanato il vizio della citazione derivante dalla illeggibilità della sottoscrizione della procura alle liti apposta in calce alla medesima.


In secondo luogo deve sottolinearsi come la eccezione, sollevata dagli opponenti, di “illegittimità dell’emissione del decreto ingiuntivo per carenza della prova scritta del credito ingiunto come allegata nel procedimento monitorio e per conseguente indeterminatezza del decreto ingiuntivo debba considerarsi irrilevante ai fini del presente giudizio in quanto:

- Trattasi di eccezione con la quale gli opponenti deducono sostanzialmente la carenza di prova scritta del credito ingiunto.

- E’ noto tuttavia che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice  di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento, con  riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza - dei fatti  costitutivi del diritto in contestazione (cfr. ex multis Cass. N. 5186/2003). Ne consegue che il  giudice  dell'opposizione è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la  domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte  "ex adverso" ancorchè il decreto ingiuntivo sia stato emesso (come nella specie dedotto dagli opponenti) fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso (cfr. ex multis Cass. N. 7188/2003).

Di conseguenza, il presente giudizio di opposizione, non essendo mera impugnazione del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma costituendo un ordinario giudizio di cognizione di merito, teso all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito azionato dal creditore con il ricorso "ex" artt. 633 e 638 cod. proc. civ. (cfr. Cass. N. 6421/2003) deve procedere alla verifica - sulla base della documentazione contabile versata in atti - della fondatezza o meno della pretesa sostanziale azionata dall’ingiungente in sede monitoria, ed ove il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l’ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino (come nella specie) l’insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura e che potrebbero valere soltanto ai fini di una diversa statuizione sulle spese della fase monitoria (Cass. N. 6663/2002).

Fatta questa necessaria premessa in ordine alla irrilevanza “nel merito” della summenzionata eccezione, si deve quindi a questo punto procedere alla verifica - sulla base delle risultanze processuali acquisite nel presente giudizio “a cognizione piena” e della documentazione quivi “versata” dalle parti ed in primis della esperita CTU contabile - della fondatezza o meno della pretesa sostanziale pecuniaria azionata dall’ingiungente in sede monitoria.

Orbene, l’esame della documentazione bancaria allegata agli atti rileva le seguenti circostanze:

In data 7.1.94 B,C e D stipulavano con la Banca un contratto di conto corrente bancario, intestato alla società A, della quale i primi erano soci. Detto contratto prevedeva tra le condizioni generali la previsione di una periodicità di capitalizzazione delle competenze (annuale per gli interessi creditori; trimestrale per gli interessi debitori: cfr. il contratto).

In data 29.3.96 tutti gli opponenti sottoscrivevano con la Banca un contratto per la concessione di un prestito Ascomfidi di £. 50.000.000, intestato alla società A, con obbligo restitutorio frazionato in 60 rate mensili comprensive di quota capitale e di quota interessi convenzionali ultralegali al tasso nominale annuo del 12,50%, come da piano di ammortamento concordato e sottoscritto dalle parti ed allegato agli atti (cfr. la documentazione agli atti). Tale prestito era garantito da fideiussione sottoscritta da tutti gli opponenti (cfr. il contratto agli atti).

- In data 21.11.98 le parti stipulavano quindi un contratto di apertura di credito, intestato alla società A, con concessione di un fido fino a £. 15.000.000, garantito dalle fideiussioni sottoscritte in data 29.3.96 ed in data 24.2.97 (cfr. il contratto di apertura di credito agli atti).

- Con il ricorso per decreto ingiuntivo depositato in data 3.11.2000 la Banca ha preteso la condanna solidale degli odierni opponenti, nelle rispettive sopra descritte qualità di debitore principale (la società) e di fideiussori (i soci), al pagamento in proprio favore della somma complessiva di £. 33.505.759, oltre interessi e spese legali, di cui £. 17.787.334, a titolo di scoperto del c/c 11036, oltre interessi moratori al 10,50% dal 1.10.2000 in aggiunta alla commissione di massimo scoperto, £. 15.718.425 per residuo debito del prestito Ascomfidi erogato in data 2.4.96 (di cui £. 9.642.889 per nove rate mensili non pagate relative al periodo 1.2.2000/1.10.2000 e £. 6.075.536 per residuo sorte capitale) oltre interessi convenzionali del 14,50% (cfr. il ricorso per decreto ingiuntivo).

- Nel giudizio di opposizione successivamente instaurato dagli ingiunti, questi ultimi hanno sollevato le contestazioni contabili di cui si è detto.

Orbene, fatta questa necessaria premessa ricognitiva delle acquisite risultanze processuali e dei profili in contestazione e non in contestazione tra le parti, è opportuno partire dalla verifica della fondatezza o meno della pretesa pecuniaria della Banca relativa allo scoperto di conto corrente.

Al riguardo si osserva che:

La somma pretesa dalla Banca ed ingiunta a tale titolo nei confronti degli opponenti è pari a  £. 17.787.334, a titolo di scoperto del c/c 11036, oltre interessi moratori al 10,50% dal 1.10.2000 in aggiunta alla commissione di massimo scoperto (cfr. il ricorso per decreto ingiuntivo).

- Al riguardo gli opponenti (convenuti sostanziali) hanno eccepito sia l’omessa indicazione da parte della Banca in sede monitoria delle specifiche voci di calcolo (sorte capitale, spese, addebiti, etc.) utilizzate per il conteggio della somma pecuniaria pretesa dagli ingiunti, con conseguente impossibilità per questi ultimi e per il Giudice di effettuare il doveroso controllo delle partite e con conseguente nullità per indeterminatezza del decreto ingiuntivo emanato”, sia l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale passiva ivi pattuita in violazione dell’art. 1283 c.c. (cfr. l’atto di citazione in opposizione).

- Il rapporto in conto corrente di cui si discute è sorto - come detto - nel 1994 e ad esso è acceduta l’apertura di credito in data 21.11.98.

Il credito rivendicato dalla ingiungente a tale titolo costituiva - secondo la prospettazione della stessa - il saldo debitore risultante da tale rapporto di durata alla chiusura dello stesso.

Parte opposta (attrice in senso sostanziale) si è tuttavia limitata a produrre anche nel presente giudizio di opposizione (al pari di quanto aveva fatto nel procedimento per decreto ingiuntivo) unicamente gli estratti conto dell’anno 2000, senza allegare alcunché relativamente agli altri anni del rapporto (cfr. la documentazione i atti).

- Correttamente, quindi, il nominato CTU - cui era stato conferito - a fronte delle contrapposte deduzioni delle parti circa l’esatto ammontare dello scoperto di conto corrente e circa la legittimità o meno delle capitalizzazioni e degli interessi conteggiati - l’incarico di rideterminare i rapporti di dare ed avere applicando il tasso d’interesse pattuito ovvero legittimamente variato e, quanto all’anatocismo e con  distinti conteggi, la capitalizzazione annuale, semestrale e l’interesse semplice, rilevata “l’assenza di qualsivoglia giustificazione del saldo iniziale al 31.12.1999 del primo estratto conto prodotto e relativo al I trimestre del 2000”, ha provveduto a riportare detto saldo a “zero” (cfr. la CTU ed i  chiarimenti resi sul punto dal perito all’udienza del 15.4.2004).

Al riguardo la pretesa della Banca spiegata in detta udienza di procedere a nuova CTU che ricalcolasse i rapporti di dare ed avere del contratto di conto corrente “sulla base del saldo iniziale derivato dagli estratto conto anche mediante la verifica di ulteriore documentazione da richiedere alla Banca e riguardante gli estratti conto dall’inizio del rapporto di conto corrente” è stata avversata dalla controparte (cfr. le relative contrapposte deduzioni di cui al verbale d’udienza del 15.4.2004) ed è stata altresì a suo tempo rigettata dal G.I. sulla base della considerazione -quivi pienamente ribadita - della insanabile decadenza istruttoria (art. 184 c.p.c.) in cui era già incorsa la Banca nella acquisizione agli atti di causa della produzione documentale in parola e nella conseguente inammissibilità di un “aggiramento” della citata sopravvenuta decadenza della parte attraverso una sorta di “delega in bianco” al CTU alla acquisizione di altro materiale istruttorio (ultroneo rispetto a quello tempestivamente versato in atti dalle parti) colpevolmente non prodotto nei termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c. dalla parte che ne avesse avuto interesse (per il principio ormai pacifico per cui i termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c. riguardano anche le prove documentali, al fine di tutelare la cd. concentrazione endoprocessuale del giudizio di I grado, salva la possibilità di produzione di nuovi documenti in appello, cfr. Cass. n. 6383 del 01/04/2004; Cass. N. 15646/2003 anche in motivazione; per il principio per cui,  posto che “il legislatore, con legge n. 353 del 1990 di riforma del processo civile, ha inteso segnare più nette scansioni tra la fase processuale destinata all'individuazione del thema decidendum, quella in cui si deve definire il thema probandum ed il momento della successiva decisione, assume particolare rilievo, in un simile contesto, la previsione del novellato art. 184 c.p.c., che non solo prevede l'eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prova e produrre documenti, ma espressamente stabilisce il carattere perentorio di detto termine (art. cit., c. 2^); il che vale a sottrarre siffatto termine alla disponibilità delle parti, stante il disposto dell'art. 153 c.p.c., come del resto implicitamente è confermato anche dal successivo art. 184-bis, che contempla la possibilità di rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa ad essa non imputabile”, cfr. da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5539 del 2004).

- Sul piano processuale, una tale lacuna probatoria si riverbera - ovviamente - a danno della parte che su detta documentazione aveva rivendicato il credito azionato in via monitoria e quivi contestato dagli opponenti, ossia sulla Banca che - quale attrice sostanziale - era gravata ex art. 2697 c.c. dall’onere della prova dei fatti costitutivi della propria pretesa pecuniaria.

- Orbene sulla base della verifica della documentazione agli atti, il CTU ha rilevato che dalla stessa risulta un saldo in linea capitale pari a £. – 249.012, al netto degli interessi, a credito del correntista, che le competenze con capitalizzazione annuale ovvero con capitalizzazione semplice (interesse semplice) coincidono (visto che gli estratti conto prodotti non coprono l’anno) e che ammontano a £. 70.000 per spese di chiusura, £. 3.000 per spese per operazioni e £. – 4.421 per interessi attivi al tasso convenzionale. Il CTU ha altresì proceduto al calcolo del saldo applicando la capitalizzazione semplice delle competenze, individuando da tale prospettiva un saldo complessivo pari a £. 132.623 sempre a credito del cliente.

Il saldo finale del conto corrente bancario di cui sia stata fornita prova nel presente processo è allora pari - accogliendo la tesi dell’interesse semplice per i motivi che di seguito si esporranno - alla somma di £. 180.433 a credito del correntista.

- La mancata tempestiva domanda degli opponenti di condanna della controparte al pagamento di eventuali somme a credito degli stessi (cfr. l’atto di citazione) rende ovviamente inammissibile la (tardiva) relativa domanda spiegata dai medesimi soltanto in sede di comparsa conclusionale.

Orbene, deve a questo punto essere approfondita la questione della legittimità o meno della capitalizzazione degli interessi passivi operata dalla banca durante il rapporto di conto corrente bancario.

Si è già detto che nel rapporto bancario di cui è causa la capitalizzazione degli interessi debitori è avvenuta trimestralmente.

Si ricorda al riguardo che nessun adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale (con conseguente irrepetibilità di quanto pagato) può ovviamente rinvenirsi nel comportamento del correntista che abbia versato somme maggiori in pagamento di anatocismi pattuiti in contratto, quindi in adempimento di un’obbligazione giuridica, ancorchè in forma invalida e non già di un mero dovere \morale o sociale.

La questione della capitalizzazione degli interessi assume nel presente giudizio primario rilievo anche in relazione alla esatta quantificazione del saldo creditore della Banca relativo al contratto di prestito, posto che si è visto come questa ultima abbia preteso monitoriamente dagli ingiunti la somma di £. 15.718.425 di cui £. 9.642.889 per nove rate mensili non pagate relative al periodo 1.2.2000/1.10.2000 ( rate comprensive di capitale ed interessi corrispettivi come da piano di ammortamento: cfr. le relative deduzioni della opposta di cui alla comparsa di costituzione) e £. 6.075.536 per residuo sorte capitale ed abbia altresì preteso la corresponsione sull’intero debito derivante dal prestito (comprensivo come detto di capitale ed interessi corrispettivi) degli interessi convenzionali moratori pattuiti al tasso del 14,50% (cfr. il ricorso per decreto ingiuntivo; cfr. la lettera raccomandata ddel 3.10.2000 di intimazione di pagamento).

Al riguardo è opportuno sottolineare come il mancato pagamento sia di tali nove rate sia dell’ulteriore debito di £. 6.075.536 per residuo sorte capitale non sia stato contestati dagli opponenti e come tale debba considerarsi processualmente pacifico.

Ciò che gli opponenti contestano è unicamente la mancata indicazione da parte della Banca in sede di ricorso per decreto ingiuntivo  della data di decorrenza degli interessi convenzionali al tasso del 14,50% pattuito nel mutuo (cfr. la citazione).

Al riguardo deve in primo luogo sottolinearsi che questo Giudice condivide l’arresto interpretativo della costante giurisprudenza di legittimità, ormai consacrato anche dalle S.U. della Cassazione (sentenza n. 21095 del 7.10/4.11.2004) e, quindi da ritenersi definitivamente consolidatosi sul punto, il quale- com’è noto- ha statuito l’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283/1284/1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 ( cfr. Cass. S.U. n. 21095/2004; Cass. N. 3805/2004; Cass. N. 12868/2004; Cass. N. 5155/2004; Cass. N. 2593/2003; Cass. N. 17813/2002; Cass. N. 8442/2002; Cass. N. 4490/2002; C.Cost. n. 425/2000; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App. L’Aquila 11.6.2002).

Inoltre, tale conclusione appare legittima anche con riferimento al contratto di conto corrente bancario, non condividendosi le argomentazioni talvolta utilizzate da una giurisprudenza minoritaria (cfr. Trib. Roma 27.1.2003; Trib. Palermo 6.9.2002) e quivi espressamente invocate da parte opposta a sostegno dell’applicabilità a tale “tipo” negoziale  dell’anatocismo cd “indiretto” (in quanto mediato dal meccanismo di chiusura del conto) ex art. 1831 c.c. previsto per il conto corrente ordinario: in particolare si contesta l’applicabilità della norma appena menzionata al conto corrente bancario, sia per l’insuperabilità del dato testuale dell’art. 1857 c.c. ( che non richiama tale norma per il conto corrente bancario), sia in quanto l’interpretazione analogica non può essere richiamata in ragione della profonda diversità di ratio tra il conto corrente ordinario-che prevede l’esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c., e conto corrente bancario, che prevede l’inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c.. Per cui, se il saldo del conto corrente bancario è esigibile in ogni momento, non ha senso applicare l’art. 1831 c.c., in quanto tale norma ha la funzione di rendere esigibile il saldo per il conto corrente ordinario (per la indiscutibile applicazione della disciplina di cui all’art.1283 c.c. anche ai contratti bancari in c/c si veda la sentenza delle S.U.Cass. n. 21095/04  più volte citata; cfr. Cass. N. 6558/1997; C. App. Lecce n. 598/2001).

La capitalizzazione trimestrale applicata dalla banca al rapporto di conto corrente garantito di cui è causa deve pertanto essere dichiarata illegittima.

Né una tale declaratoria di illegittimità è inibita - come invece sostenuto da parte opposta (peraltro soltanto in sede di comparsa conclusionale) - dalla mancata contestazione da parte degli opponenti degli estratti conto in pendenza di rapporto; infatti è noto che la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli addebiti  soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano: in tal caso, infatti, l’impugnabilità investe direttamente il titolo ed è regolata dalle norme generali sui contratti ( cfr. Cass. N. 12507/1999; Cass. N. 1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002; C.App. Lecce n. 598/2001).

Anche con riguardo ai contratti di mutuo conclusi dalle banche, non sussiste un uso contrario all’art. 1283 c.c. che, in difetto delle condizioni richieste da detta disposizione, abiliti il mutuante a pretendere gli interessi sulle rate di mutuo rimaste insolute ala rispettiva scadenza, laddove tali rate comprendano, come nella specie, oltre ad una quota di capitale, anche una quota di interessi (cfr. Cass. N. 2593 del 20.2.2003).

Infatti anche in tema di mutuo bancario, e con riferimento al calcolo degli interessi, devono ritenersi senz'altro applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283 c.c., non rilevando, in senso opposto, l'esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta; gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento il citato art. 1283 c.c., sono, difatti, soltanto quelli formatisi anteriormente all'entrata in vigore del codice civile (né usi contrari avrebbero potuto formarsi in epoca successiva, atteso il carattere imperativo della norma de qua - impeditivo, per l'effetto, del riconoscimento di pattuizioni e comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente - norma che si poneva come del tutto ostativa alla realizzazione delle condizioni di fatto idonee a produrre la nascita di un uso avente le caratteristiche dell'uso normativo), e, nello specifico campo del mutuo bancario ordinario, non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l'anatocismo oltre i limiti poi previsti dall'art. 1283 c.c.; ne consegue la illegittimità tanto delle pattuizioni, tanto dei comportamenti - ancorché non tradotti in patti - che si risolvano in una accettazione reciproca, ovvero in una unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale (così testualmente Cass. N. 2593 del 20.2.2003).

A questo punto, va quindi affrontata la questione relativa agli effetti della illegittimità della capitalizzazione degli interessi corrispettivi e moratori: in particolare, occorre stabilire se, al di là della sicura impossibilità di capitalizzare gli interessi con frequenza trimestrale, debba essere esclusa qualsiasi capitalizzazione ovvero possa individuarsi una diversa frequenza di legittima capitalizzazione degli interessi ( a favore di entrambe le parti del rapporto).

Al riguardo una parte della giurisprudenza di merito, seguita anche da alcuni Giudici di questo Tribunale, si è più volte espressa in favore del riconoscimento, pur in presenza di una clausola anatocistica nulla ex art. 1283 c.c., di una capitalizzazione annuale degli interessi comunque ricavabile dal sistema normativo codicistico dettato per le obbligazioni pecuniarie, nel cui alveo e nella cui disciplina sarebbero pienamente riconducibili- secondo la tesi in discorso- anche le obbligazioni di interessi.

In particolare, questa posizione ermeneutica, partendo dalla premessa che “l’art.1283 c.c. non vieta il fenomeno dell’anatocismo in sé ( consentendo, pur nel concorso delle condizioni della convenzione posteriore ovvero della domanda giudiziale, l’applicazione del meccanismo anatocistico agli interessi maturati per almeno sei mesi) bensì vieta soltanto in assoluto una frequenza infrasemestrale di applicazione dell’anatocismo ed in mancanza di determinati requisiti l’anatocismo semestrale”, conclude sostenendo che la medesima norma permetterebbe un “fenomeno anatocistico con cadenza ultrasemestrale”. Al riguardo, si osserva che “sarebbe possibile individuare nell’art.1284 comma I c.c. la fonte di un fenomeno legale di anatocismo annuale ( ovvero di risarcimento forfettario, con cadenza annuale, del danno da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria di interessi)”.

Infatti - si osserva -  tale norma, nel prevedere che “ il saggio degli interessi legali è determinato […] in ragione di anno”, individuerebbe, oltre ad un criterio di determinazione del tasso degli interessi dovuti, anche un principio generale di naturale scadenza ed esigibilità annuale degli interessi. Da tale scadenza conseguirebbe anche l’effetto, proprio della scadenza di ogni obbligazione, del risarcimento del danno da inadempimento, regolato, per le obbligazioni pecuniarie come quella di interessi, dall’art.1224 c.c.. Da tutto ciò dovrebbe quindi  desumersi che “ex lege ( in mancanza di convenzione contraria nei limiti consentiti dall’ordinamento) gli interessi producono interessi con cadenza annuale”.

Orbene, a parere di questo Giudice una siffatta tesi non appare condivisibile  in quanto non sembra rispettosa di due fondamentali principi di diritto: da un lato della natura imperativa e non derogabile della disciplina codicistica dettata dall’aret. 1283 c.c. per regolare il fenomeno dell’anatocismo, e dall’altro della “specialità” dell’obbligazione di interessi  rispetto al “genus”  delle obbligazioni pecuniarie.

Al riguardo assume assoluto rilievo quanto le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno chiaramente affermato nella sentenza  n. 9653 del 17.7.2001 in relazione sia all’anatocismo sia alla natura dell’obbligazione di interessi.

In particolare le Sezioni Unite - chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione della configurabilità o meno dell’obbligazione di interessi (anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) come una qualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi quindi anche il diritto agli ulteriori interessi di mora nonché al risarcimento del maggior danno (ex art. 1224 comma II c.c.) ovvero come una obbligazione sui generis soggetta soltanto alla regola dell’anatocismo, ha affermato i seguenti principi di diritto:

- Il debito di interessi pur concretandosi nel pagamento di una somma di denaro, non si configura  come una obbligazione pecuniaria qualsiasi, ma presenta connotati specifici, sia per il carattere di  accessorietà rispetto all'obbligazione relativa al capitale, sia per la funzione (genericamente remuneratoria) che gli interessi rivestono, sia per la  disciplina prevista dalla legge proprio in relazione agli interessi scaduti.

- In contrario non varrebbe opporre che il connotato di accessorietà concerne il momento genetico dell'obbligazione di pagamento degli interessi, destinata invece ad assumere nella c.d. fase dinamica una propria autonomia, palesata dall'apposita previsione di un termine di prescrizione  (art. 2948, n. 4, cod. civ.), dalla possibilità di disporre separatamente del credito per interessi rispetto a quello di capitale, dalla possibilità di agire in giudizio indipendentemente dalla proposizione della domanda per il credito principale. Questi rilievi sono  esatti ma, non incidono sull'obbligazione de qua in guisa tale da trasformarne la natura, perchè non alterano la già segnalata funzione degli interessi e, soprattutto, non valgono a rimuovere le implicazioni desumibili dalla specifica disciplina degli interessi scaduti.

- E lo stesso deve dirsi in relazione all'argomento  secondo cui, quando l'obbligazione principale sia già estinta per adempimento da parte del debitore, l'obbligazione per interessi dovrebbe comunque  assumere carattere autonomo. Pur postulando tale autonomia (che però non può portare a considerare irrilevante il momento genetico di quell'obbligazione), essa non è idonea a trasformare la causa (funzione) dell'obbligazione medesima fino a rendere il debito per gli interessi scaduti una obbligazione pecuniaria come tutte le altre.

- Invero gli interessi scaduti, se equiparati in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esigibile di una somma di denaro), sarebbero stati automaticamente produttivi  d'interessi di pieno  diritto, ai sensi dell'art. 1282 cod. civile.

- Tale effetto, invece, è escluso dal successivo art. 1283 (dettato a tutela del debitore ed applicabile per ogni specie d'interessi, quindi anche per gli interessi moratori), alla stregua del quale, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o  per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi (c.d. anatocismo o interessi composti).

- La citata disposizione non comporta soltanto un limite al principio generale di cui all'art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare la particolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie, la legge  attribuisce al debito per interessi, con la previsione di  una disciplina specifica, che si pone come derogatoria rispetto a quella generale in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie, stabilita dall'art.  1224 cod. civile, e che proprio per il suo carattere  di specialità deve prevalere su quest'ultima norma. (sulla natura “eccezionale” della norma di cui all’art. 1283 c.c., cfr. ex multis anche Cass. N. 14912/2001).

- Se così non fosse, del resto, l'art. 1224 c.c. verrebbe ad assorbire tutto il campo applicativo  dell'art. 1283, che resterebbe circoscritto ai casi in  cui il debito per interessi è quantificato all'atto della proposizione della domanda. Ma una simile limitazione dell'ambito applicativo del citato art. 1283 cod. civ. non emerge da tale norma e viene anzi a porsi con essa in contrasto, perchè trascura la peculiare natura del debito per interessi sopra segnalata ed  elude, almeno in parte, la finalità di tutela per la  posizione del debitore che la norma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi di altri interessi.

- D'altro canto, non sarebbe neppure conforme al principio di ragionevolezza un approdo ermeneutico  che, in presenza di obbligazioni di pagamento aventi  natura e contenuto identici (interessi), rendesse applicabile al debitore che ha già pagato il debito  principale l'art. 1224 cod. civ. ed al debitore totalmente inadempiente, e quindi convenuto per il pagamento del capitale e degli interessi, l'art. 1283 in relazione a questi ultimi.

- Conclusivamente, il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori  interessi dalla mora nonchè al risarcimento del  maggior danno ex art. 1224 comma II cod. civ., ma resta soggetto alla regola dell'anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi  ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura (così testualmente Cass. S.U. sentenza  n. 9653 del 17.7.2001).

L’attualità e l’autorità di siffatto precedente ha orientato nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità successiva (cfr. Cass n. 2439/2002; Cass. N. 2771/2002; Cass. N. 4133/2003; Cass. N. 4830 del 10.3.2004).

Pacifico, quindi, che ai fini dell'applicabilità del principio predetto non rileva la natura degli interessi, corrispettivi o moratori, atteso che la disposizione di cui all'art. 1283 cod. civ. si riferisce agli interessi di qualsiasi natura (cfr. da ultimo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9474 del 19/05/2004; cfr. Cass. N. 8377 del 2000; Cass. N. 7507 del 2001).

Inoltre, nella materia specifica del mutuo bancario la Cassazione, facendo semplice e lineare applicazione dei due suesposti generali principi relativi al divieto di anatocismo (non derogato da usi diversi neanche- come già visto- in relazione a siffatta tipologia di negozi) ed alla natura del debito di interessi, ha così coerentemente statuito quanto segue:

In ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante il pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrono gli interessi sulla intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283 c.c. (cfr. la già citata Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).

- Infatti il semplice fatto che nelle rate di mutuo vengono compresi sia una quota del capitale da estinguere sia gli interessi a scalare non opera un conglobamento nè vale tanto meno a mutare la natura giuridica di questi ultimi, che conservano la loro autonomia anche dal punto di vista contabile (cfr. la già citata Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).

- A carico del mutuatario di somme di denaro sono poste, infatti, due distinte obbligazioni: la prima è quella di restituire la somma ricevuta in prestito (art. 1813 c.c); la seconda è quella di corrispondere gli interessi al mutuante, salvo diversa pattuizione (art. 1815 c.c). Sono due obbligazioni distinte ontologicamente e rispondenti a finalità diverse. Nei mutui c.d. ad ammortamento, la formazione delle varie rate, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalità dell'adempimento delle due obbligazioni; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione della somma ricevuta in prestito e la corresponsione degli interessi (cfr. Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).

- Trattandosi, allora, di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni del mutuatario, essa non è idonea a mutarne la natura ne' ad eliminarne l'autonomia (cfr. Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).

Orbene, dai predetti chiari e generali principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione, da coordinarsi con gli altri definitivi arresti ermeneutici effettuati dalla Giurisprudenza di Legittimità nella materia bancaria di cui quivi si discute e con una debita considerazione della ratio dell’art. 1283 c.c., derivano - ad avviso di questo Giudice e pur nella consapevolezza di discostarsi dall’orientamento più volte accolto anche da altri Giudici di questo Tribunale - le seguenti obbligate conclusioni:

L’art. 1283 c.c - norma espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno dell’anatocismo - è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale (purchè questa sia in modo specifico rivolta ad ottenere il pagamento degli interessi sugli interessi scaduti, non essendo a ciò sufficiente la domanda dei soli interessi principali: cfr. ex multis Cass. N. 22565/2004 in motivazione; Cass. nn. 5271/2002, 15838 e 7407/2001, 8377/2000, 5035/1999Cass. N. 2381/1994; Cass. N. 9311/1990; Cass. N. 4088/1988) o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno un semestre, salvo usi contrari (per le ragioni per cui il codice vigente, con l'art. 1283, mentre ha conservato il requisito della domanda giudiziale ha ridotto, rispetto alla disciplina del codice civile abrogato, l'entità degli interessi scaduti - sui quali si applicano gli interessi anatocistici - a sei mesi, si veda il rilievo risultante dalla relazione sul progetto ministeriale per cui "il valore odierno della moneta consente di ritenere che con l'importo di un semestre di interessi si può costituire una somma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale", rilievo debitamente sottolineato da Cass. N. 9311/1990).

- Ciò - come più volte ribadito dalla stessa Giurisprudenza di Legittimità - onde prevenire fenomeni usurari e consentire al debitore di conoscere i maggiori costi comportati dal suo inadempimento (onere della domanda giudiziale) e comunque di calcolare, al momento della stipula della convenzione, l’esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva ala scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l’accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per poter accedere al credito (così Cass. N. 2593/2003; Corte d’Appello Milano, sent. del 28.1.2003).

- Infatti, la disposizione limitativa di cui all'art. 1283 cod. civ. trova la propria ragione nella natura del debito di interessi e nel particolare sfavore con cui il legislatore - nel solco di una tradizione di avversità ad un fenomeno percepito quale forma di esercizio dell'usura - ha inteso considerare la capitalizzazione degli interessi, in coerenza con le altre restrizioni previste per gli interessi superiori a quelli legali (così testualmente Cass. N. 2381/1994).

- In mancanza di usi contrari o di una apposita convenzione tra le parti sugli interessi anatocistici, la norma di cui all’art. 1283 c.c. “svolge la funzione di limitare l’oggetto dell’art. 1282, I comma, c.c., secondo cui i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge […] stabilisca […] diversamente. Tale limitazione è realizzata sia prevedendo il controllo giurisdizionale sulla produzione di interessi sugli interessi, sia attribuendo alla domanda giudiziale, non solo il ruolo di condizione, alternativa alla convenzione tra le parti, dell’anatocismo, ma anche il ruolo di termine iniziale per la produzione di interessi secondari” (così testualmente Cass. Sent. N. 4830 del 10.3.2004 in motivazione).

- Il tenore letterale e la ratio dell'art. 1283 c.c. consentono di ravvisare nella norma in esame un principio di carattere generale, derogabile soltanto dagli usi contrari (configurati come usi normativi) (così Cass. N. 2381/1994 in motivazione).

- Gli usi contrari di cui all’art. 1283 c.c. sono usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si tratta.

- In mancanza di usi contrari e delle condizioni imperative alla cui effettiva sussistenza la norma di cui all’art. 1283 c.c. consente l’anatocismo, la clausola anatocistica pattuita (non per effetto di una “convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli interessi” ex art. 1283 c.c. ma) in via anticipata e (non in relazione a “interessi dovuti per almeno un semestre ex art. 1283 c.c.“ ma) prima della scadenza di qualsivoglia interesse, va dichiarata nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. (cfr. negli stessi termini Corte d’Appello Milano, sent. del 28.1.2003 citata; cfr. Trib. Mantova sentenza 16.1.2004; cfr. App. Torino 21.1.2002).

- Atteso che la contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. involge - ovviamente - l’intero contenuto della clausola (e non solo, quindi, la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione), è la pattuizione in contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali, trattasi di contratto ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità.

- Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l’anatocismo è consentito dal sistema – con norma eccezionale e derogatoria (cfr. le citate Sezioni Unite della Cassazione) - soltanto in presenza di determinate condizioni (quelle di cui all’art. 1283 c.c.), in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le stesse.

- Ricavare dal sistema - pur in presenza di pattuizione di anatocismo violativa delle condizioni imperative di cui all’art. 1283 c.c. - una capitalizzazione con periodicità più lenta quale quella annuale “rinvenuta” nel sistema di cui agli artt. 1282/1284/1224 c.c. vorrebbe dire sia derogare alla natura imperativa ed inderogabile di cui all’art. 1283 c.c., norma dettata “ad hoc” per prevedere a quali condizioni l’interesse semplice può diventare interesse composto, sia “frustrare” la citata ratio di tutela del debitore pecuniario ad essa sottesa (per la quale l’art. 1283 c.c. ha dettato le precise condizioni della capitalizzazione), sia “immaginare” un anatocismo generale e “di sistema” ulteriore e “di riserva” (residuale) rispetto all’anatocismo “di cui all’art. 1283 c.c. (così degradato da anatocismo “esclusivo”, ossia il solo previsto dal sistema, ad anatocismo speciale rispetto a quello “generale” annuale), sia privare di senso e di funzioni la stessa previsione della disciplina di cui all’art. 1283 c.c., sia ed in definitiva assimilare in toto l’obbligazione di interessi alla “remuneratività” delle comuni obbligazioni pecuniarie pur nella riferita differenza ontologica delle stesse.

- Solo in mancanza della previsione legislativa della norma speciale di cui all’art. 1283 c.c., gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro avrebbero potuto ritenersi in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno diritto ai sensi dell'art. 1282 (così Cass. N. 9311/1990 in motivazione, la quale ha affrontato per la prima volta la questione del saggio degli interessi anatocistici ).

D’altronde, la stessa citata ratio legis esclude una interpretazione diversa ove si consideri che, essendo stato l’art. 1283 c.c. previsto a tutela del debitore pecuniario contro il pericolo dell’usura e che in mancanza della norma speciale, gli interessi scaduti avrebbero prodotto automaticamente gli interessi legali ex art. 1282 c.c., “la norma non può quindi essere interpretata in maniera più gravosa per il debitore di quanto non si sarebbe verificato in mancanza della sua espressa formulazione” (così testualmente Cass. N. 9311/1990 in motivazione).

- La disciplina dell'art. 1283 c.c. ha inciso sulla stessa natura degli interessi anatocistici: essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi e quindi anche per gli interessi moratori (così Cass.  Sez. 3, Sentenza n. 2593 del 2003; Cass. N. 3500/86), ma a loro volta, proprio perché la norma esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto alle due condizioni di cui alla norma citata (cosi ancora Cass. N. 9311/1990 citata).

- L’unica forma di legittimo collegamento e coordinamento tra l'art. 1283 c.c. ed il successivo art. 1284 c.c. è quella per cui sugli interessi scaduti almeno per un semestre (art. 1283 c.c.) sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi anatocistici al tasso legale (art. 1284 comma 1 c.c.), a meno che le parti abbiano convenuto per iscritto un saggio di interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza (artt. 1224/1284 c.c.) (cfr. Cass. N. 9311/1990): in altri termini, dall’art. 1284 (e dall’art.1224 c.c.) c.c. si può ricavare soltanto il saggio degli interessi anatocistici, qualora questi siano dovuti ex art. 1283 c.c., non anche una debenza degli stessi pur in mancanza delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c..

- Che questo, e questo soltanto, sia il coordinamento tra le due norme trova piena conferma dal raffronto tra l'art. 1283 c.c. ed il corrispondente art. 1232 del codice abrogato.

- L'art. 1232 comma 1 c.c. 1865 così statuiva: "Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi".

- L'art. 1283 c.c. vigente è così concepito: "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".

- La Cassazione al riguardo ha già osservato (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata) come la ragione per la quale il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione "interessi al tasso legale" del codice abrogato non risiede in una esigenza di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre l'art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di cui al 3 comma dell'art. 1232 a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina nel successivo art. 1284.

- L'art. 1283, in realtà, nella nuova formulazione, sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente art. 1232, lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l'ha del tutto confermato secondo la disciplina anteriore. La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata).

Orbene, applicando i superiori principi al caso di specie deve statuirsi, quanto al contratto di apertura di credito in conto corrente, che-  in mancanza di una valida pattuizione anatocistica - nessuna capitalizzazione, né annuale, né semestrale, può essere riconosciuta alla BANCA ovvero al correntista. Ne consegue che il credito di quest’ultimo come accertato in giudizio sulla base della documentazione agli atti è pari – espunta qualsivoglia capitalizzazione delle competenze - alla somma di £. 180.433, pari ad € 93,18.

Quanto al contratto di prestito, deve invece conclusivamente osservarsi che:

In data 29.3.96 gli opponenti hanno avito il prestito di £. 50.000.000, con obbligo restitutorio frazionato in 60 rate mensili comprensive di quota capitale e di quota interessi convenzionali ultralegali ex art. 1284 c.c. al tasso nominale annuo del 12,50%, come da piano di ammortamento concordato e sottoscritto dalle parti ed allegato agli atti (cfr. la documentazione agli atti).

- Il piano di ammortamento prevedeva in particolare ed in maniera analitica l’ammontare delle singole rate in linea capitale ed in linea di interessi corrispettivi nonché la periodicità delle singole scadenze.

- Il tasso moratorio era stabilito nell’ammontare del tasso convenzionale corrispettivo + 2 punti %.

- La Banca ha preteso in via monitoria il pagamento di £. 15.718.425 per residuo debito del prestito di cui £. 9.642.889 per nove rate mensili non pagate relative al periodo 1.2.2000/1.10.2000 e £. 6.075.536 per residuo sorte capitale, oltre interessi convenzionali del 14,50% (cfr. il ricorso per decreto ingiuntivo).

- Da quanto sopra emerge l’infondatezza della prima eccezione di merito degli opponenti circa una asserita impossibilità di effettuare il doveroso controllo delle partite  pretese dalla Banca a tale titolo.

- Parti opponenti hanno altresì contestato l’omessa dichiarazione da parte della Banca, in ordine alla somma pretesa a titolo di rimborso parziale del prestito erogato, se da detta somma fosse stato o meno decurtato l’importo garantito, a mezzo fideiussione, dalla Confcommercio. La banca ha negato di avere ottenuto un tale rimborso parziale da parte di terzi. Secondo i noti principi generali in materia di prova, l’avvenuto pagamento deve essere dimostrato (quale fatto “positivo” impeditivo o limitativo della altrui pretesa pecuniaria) da chi lo eccepisca (nella specie gli opponenti) mentre in difetto di una simile prova la Banca si è legittimamente limitata ad allegare il fatto (negativo) della mancanza di siffatto precedente pagamento da parte di terzi. Anche siffatta eccezione deve essere quindi rigettata.

- Quanto alla ulteriore eccezione degli opponenti di omessa indicazione da parte della Banca della data di decorrenza degli interessi convenzionali al tasso del 14,50% pretesi in sede monitoria sulla somma relativa alle rate di mutuo non pagate, con conseguente ulteriore impossibilità per gli ingiunti di avere “una cognizione  piena del proprio debito” deve invece osservarsi che in realtà - come in parte correttamente osservato dalla Banca - il piano di ammortamento concordato prevedeva l’importo in capitale e in interessi (corrispettivi) delle rate e la scadenza delle stesse, onde l’infondatezza della predetta eccezione.

- Al riguardo tuttavia la Banca ha illegittimamente preteso gli interessi ultralegali di mora come pattuiti in contratto (12,50 % [interesse convenzionale corrispettivo] + due punti % in caso di mora: cfr. il contratto di prestito) sull’intero importo delle rate, benché queste, come detto, fossero comprensive sia di capitale sia di interessi.

- Una tale pretesa, dimentica del fatto che gli interessi non perdono la loro natura per effetto della loro mera inclusione nei ratei di ammortamento, si è tradotta in una illegittimo addebito anatocistico (produzione da parte degli interessi corrispettivi, al pari della sorte capitale, di interessi moratori) , violativo dell’art. 1283 c.c. sulla base di quanto sopra ampiamente motivato; infatti, la Banca non avrebbe potuto cumulare gli interessi di mora con gli interessi dovuti sulle somme concesse in mutuo, in forza della clausola contrattuale che “a priori” li prevedeva, poiché gli interessi possono produrre interessi soltanto dalla domanda giudiziale o in base a convenzione posteriore alla loro scadenza.

Deve pertanto procedersi alla depurazione di siffatta pretesa anatocistica illegittima, riconoscendo la maturazione degli interessi di mora al tasso convenzionale soltanto sulla quota capitale delle nove rate impagate e a decorrere dalla rispettiva scadenza delle stesse, nonché altresì sulla residua quota capitale delle successive rate che sarebbero scadute (rate residue di importo totale di £. 6.075.536) con decorrenza dal 12.10.00 (data della scadenza del termine ad adempiere di cui alla raccomandata del 6.10.00) al saldo effettivo.

Pertanto, essendo di tale entità l’ammontare del debito di cui devono rispondere gli ingiunti, deve essere revocato il decreto ingiuntivo impugnato, essendo il medesimo stato emesso per una somma di denaro superiore a quella oggetto dell’effettivo credito di cui la banca ingiungente ha quivi dato prova di essere titolare.

La peculiarità della vicenda nonchè la parziale soccombenza reciproca delle parti legittimano la compensazione integrale delle spese processuali, mentre le spese vive di CTU devono porsi definitivamente a carico di entrambe le parti in solido, nella misura del 50%, in ragione della loro soccombenza reciproca e della utilità comune della stessa, con i conseguenti conguagli in favore di quella che ne abbia anticipato gli importi durante il giudizio.

P.Q.M.

 

il Tribunale, in persona del Giudice Unico, definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione iscritto al R.G. N. 66/2001 promosso dalla  Società A  S.N.C., in persona del legale rappresentante pro-tempore,, e i Sigg. Signori B, C, D, E, F e G con atto di citazione del 4.1.2001 nei confronti della Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A., in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore, con sede in Pescara, avverso il decreto ingiuntivo n.1191/2000 emesso dal Tribunale di Pescara, così decide :

in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dall’opponente

 

DICHIARA

 

Che il saldo del contratto di apertura di credito in conto corrente di cui è causa presenta in riferimento alla data del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, secondo la documentazione prodotta in giudizio ed esclusa ogni capitalizzazione delle competenze, un credito del correntista pari ad   € 93,18.

 

DICHIARA

 

Che il credito spettante alla Banca a titolo di restituzione del prestito di cui è causa concesso agli opponenti è pari ad € 4.980,13 (£. 9.642.889) per nove rate mensili non pagate relative al periodo 1.2.2000/1.10.2000 e ad € 3.137,75 (£. 6.075.536) per residua somma da rimborsare per il prestito erogato,  oltre interessi moratori convenzionali del 14,50% da calcolarsi soltanto sulla quota capitale delle nove rate impagate e a decorrere dalla rispettiva scadenza delle stesse, nonché da calcolarsi altresì sulla residua quota capitale compresa nella restante somma di € 3.137,75  con decorrenza dal 12.10.00 al saldo effettivo.

 Per l’effetto

 

REVOCA

 

Il decreto ingiuntivo impugnato

 

CONDANNA

 

Gli opponenti in solido, nelle rispettive qualità e per le causali di cui in motivazione, al pagamento in favore di parte opposta a titolo di restituzione del prestito di cui è causa concesso agli opponenti della somma di € 4.980,13 (£. 9.642.889) per le nove rate mensili non pagate relative al periodo 1.2.2000/1.10.2000 e della ulteriore somma di € 3.137,75  (£. 6.075.536) per residua somma da rimborsare per il prestito erogato,  oltre interessi moratori convenzionali del 14,50% da calcolarsi soltanto sulla quota capitale delle nove rate impagate e a decorrere dalla rispettiva scadenza delle stesse, nonché altresì da calcolarsi sulla residua quota capitale compresa nella restante somma di € 3.137,75  (£. 6.075.536)  ma con decorrenza dal 12.10.00 al saldo effettivo.

 

    RIGETTA

 

Tutte le altre domande ed eccezioni.

 

    COMPENSA

Integralmente le spese del giudizio, salvo le spese della esperita CTU che pone definitivamente a carico di entrambe le parti in solido, nella misura del 50% per ciascuna, con i conseguenti conguagli in favore di quella che ne abbia anticipato gli importi durante il giudizio.