Diritto dei Mercati Finanziari
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 284 - pubb. 01/01/2007
Banca, informazioni, dovere di correttezza e buona fede
Cassazione civile, sez. III, 15 Marzo 1999, n. 2284. Est. Segreto.
Banca – Violazione del dovere di correttezza e buona fede – Informazioni inesatte – Inefficacia del contratto – Risarcimento del danno.
In tema di fideiussione prestata a garanzia di un'apertura di credito in conto corrente, la violazione da parte della banca del dovere di correttezza e buona fede, per avere fornito informazioni inesatte, può dar luogo a responsabilità contrattuale della stessa e all'obbligo di risarcire il danno, ma non può determinare l'inefficacia del contratto. (Nel caso di specie è stato rigettato il ricorso con il quale si sosteneva l'inefficacia della fideiussione per avere la banca fornito inesatte informazioni circa la forma del recesso). (massima ufficiale)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. Antonio IANNOTTA - Presidente -
Dott. Ernesto LUPO - Consigliere -
Dott. Francesco SABATINI - Consigliere -
Dott. Vincenzo SALLUZZO - Consigliere -
Dott. Antonio SEGRETO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
MELONI RENATO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO 28 SC.A INT.6,
presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE BERNARDI, che lo difende, giusta delega
in atti;
- ricorrente -
contro
BANCA NAPOLI SPA, in persona dei legali rappresentanti: pro tempore dott.
Alberto Capotosio, dott. Aldo, Ghergo; elettivamente domiciliato in ROMA VIA
PIETRO DELLA VALLE 2, presso lo studio dell'avvocato, FRANCESCO PIRANI, che lo
difende, giusta delega in, atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2791/96 della Corte d'Appello di ROMA, emessa il 4/6/96
depositata il 01/08/96; RG.2293/95, udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 11/12/98 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;
udito l'Avvocato GIUSEPPE AMBROSIO ( per delega avv. prof. Giuseppe Bernardi);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo
NARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Su ricorso del Banco di Napoli, il presidente del Tribunale di Roma emetteva
decreto ingiuntivo il 24.3.1989 a carico di Meloni Renato, per la somma di L
36.767.156 per lo scoperto di due conti correnti intestati alla soc.
Idrotermica Centromeridionale, con garanzia fideiussoria del Meloni.
L'ingiunto proponeva opposizione.
Il Tribunale di Roma, con sentenza 22.9.1994 rigettava l'opposizione. Il Meloni
proponeva appello.
La Corte di appello di Roma, con sentenza dell'1.8.1996, accoglieva
parzialmente l'appello, e revocato il decreto ingiuntivo, rigettava la domanda
di garanzia fideiussoria relativamente al secondo dei suddetti conti correnti,
limitandola al primo, e, condannando per l'effetto il Meloni al pagamento della
soma di L 26.464.889. Riteneva la corte, relativamente alla garanzia prestata
per il debito conseguente al primo rapporto di conto corrente, che la stessa
non potesse ritenersi revocata, poiché la clausola D) del contratto di
fideiussione prevedeva che la revoca dovesse essere effettuata per iscritto,
con lettera raccomandata, per cui non erano ammissibili ai sensi dell'art. 2725 c.c. le
testimonianze con cui l'appellante mirava a dimostrare che detta revoca, per
quanto non per iscritto, fosse avvenuta.
Riteneva, ancora, la corte che era infondata la censura secondo cui il
comportamento della banca si era rivelato contrario alla buona fede per aver
suscitato in lui il convincimento circa l'estinzione della garanzia, poiché
detta censura riposava sul presupposto della revoca o comunque dell'estinzione
della fideiussione, ipotesi ambedue contraddette dalle risultanze di causa.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Meloni. Resiste
con controricorso il Banco di Napoli.
Motivi della decisione
l. Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonché l'omessa,
contraddittoria ed illogica motivazione circa un punto decisivo della
controversia prospettato dalle parti, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.. Assume il
ricorrente che erroneamente la corte di appello ha ritenuto che l'eccezione
relativa al comportamento di mala fede della banca presupponga quella
dell'estinzione del rapporto di garanzia per revoca; che anzi è l'esatto
contrario, per cui detta eccezione di comportamento in mala fede fu sollevata
proprio per il caso che risultasse infondata la prima (revoca della
fideiussione). Secondo il ricorrente risulta provato dalle dichiarazioni di
entrambi i testi escussi che il ricorrente fu positivamente indotto dalle
dichiarazioni del direttore della filiale, sia dal successivo comportamento
della banca nei confronti del debitore garantito a reputare estinta la propria
garanzia, e quindi inutile ogni dichiarazione formale di revoca. Inoltre il
Banco di Napoli nei successivi 10 anni non ha mai fatto riferimento a detta
garanzia, confermando la ragionevolezza dell'affidamento sull'avvenuta
estinzione della garanzia stessa pur in assenza di una revoca formale.
Ne consegue, a parere del ricorrente, che allorché il Banco di Napoli, dopo 10
anni, viene ad escutere la garanzia, tale comportamento si pone in contrasto
con le regole di correttezza e di buona fede, che devono presiedere
l'attuazione dei rapporti contrattuali, in particolare la fideiussione omnibus,
con la conseguenza che, per quanto detta fideiussione non sia stata formalmente
revocata, essa non è più operante perché il fideiussore era stato tratto in
inganno dalle dichiarazioni espressamente provenienti dal personale della banca
e dal comportamento complessivo di questa, in merito alla non necessità della
revoca scritta.
Su questo punto, a parere del ricorrente, il giudice di merito ha espresso una
contraddittoria motivazione.
2. Il motivo è infondato e va rigettato.
Va, anzitutto, rilevato che è pacifico in punto di fatto che il contratto di
fideiussione in questione prevedeva il recesso da parte del fideiussore, da
esercitarsi, però, esclusivamente in forma scritta.
Trattandosi di forma convenzionalmente pattuita, essa, a norma dell'art. 1351 c.c. (estensibile
anche a manifestazioni di volontà nell'ambito delle future vicende del
contratto già concluso, Cass.29.1.1988, n. 833) costituisce una forma ad substantiam,
con
l'ulteriore conseguenza che la fideiussione non poteva ritenersi estinta per
revoca, per difetto di forma.
L'unica questione che residua è se l'assunto comportamento non corretto e non
di buona fede della banca rendesse in ogni caso inefficace o inoperante la
fideiussione, per cui sulla stessa non potesse fondarsi la condanna contenuta
nel decreto ingiuntivo, come sostenuto dal ricorrente, ovvero fosse irrilevante
quanto all'obbligazione fideiussoria gravante sul fideiussore (e sancita nel
decreto ingiuntivo), come ritenuto dalla sentenza impugnata sul rilievo che la
fideiussione non era ne' estinta ne' revocata. 3. In linea di principio la
normativa di correttezza nell'adempimento delle obbligazioni prevista dall'art.
1175 e confortata dal precetto costituzionale (art. 2 Cost.), che impone
il rispetto dell'inderogabile dovere di solidarietà sociale, esige attuazione
piena, nei limiti di compatibilità con altri valori di pari grado e dignità.
Ciò comporta che diritti ed obblighi, seppure specificamente regolati da norme
che li prevedono, non possono mai prescindere dall'osservanza dei principi di
correttezza e di buona fede, operanti all'interno delle posizioni soggettive,
non potendo l'autore di un comportamento scorretto trarre da esso utilità con
altrui danno. Ne consegue che il dovere di correttezza, imposto dall'art. 1175 c.c., è operante
in ogni forma di responsabilità, e quindi, segnatamente anche in tema di responsabilità contrattuale (per cui la dottrina
ritiene che l'art. 1375 c.c. altro
non sia che l'applicazione in materia contrattuale del più generale principio
di cui all'art. 1175 c.c.). In tema di
esecuzione del contratto, la buona fede si atteggia come un impegno od obbligo
di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a
prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale
del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo
carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte (Cass.
9.3.1991,n. 2503).
Tuttavia la violazione del dovere di correttezza, ove non sia considerato in
forma primaria ed autonoma da una norma - come nell'ipotesi di concorrenza
sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. -
costituisce solo un criterio di qualificazione e di valutazione del
comportamento dei soggetti.
Pertanto un comportamento ad esso contrario non può essere reputato illegittimo
e quindi fonte di responsabilità, ove nel contempo non concreti la violazione
di un diritto altrui, già direttamente riconosciuto da una norma giuridica (Cass.
20.7.1977,n. 3250).
In altri termini la valutazione del comportamento di correttezza che il
soggetto deve tenere nei confronti di un altro presuppone, secondo la struttura
dell'art. 1175 c.c., che già
esista un "debitore" ed un "creditore" e quindi costituisce
un posterius rispetto all'altra questione, che è quella di individuare una
posizione soggettiva giuridicamente protetta.
Ciò comporta che diritti ed obblighi, o più in generale posizioni
giuridicamente protette, siano anzitutto individuati dall'ordinamento, per poi
affermare che, nonostante la specifica regolamentazione eventuale da parte
delle norme, essi non possono mai prescindere dal principio della correttezza
dei comportamenti dei rispettivi titolari.
4. I problemi che si pongono sono quindi i seguenti: a) se esista un diritto di
recesso nell'ambito di una fideiussione a garanzia di un'apertura di credito in
conto corrente; b) se le inesatte informazioni rese dalla banca possano
integrare un comportamento contrario a buona fede e correttezza, idoneo ad
impedire l'esercizio di questo diritto; c) in caso positivo, quali siano le
conseguenze. Quanto al primo punto la giurisprudenza ritiene che sia
ipotizzabile in tema di fideiussione prestata a garanzia di un'apertura di
credito in conto corrente, senza determinazione di durata, il recesso del
fideiussore (Cass. 30.7.1998, n. 7512; Cass.
22.1.1974, n. 170).
Ovviamente non essendo una figura di recesso prevista specificamente dalla
legge a favore del fideiussore, come per altre figure contrattuali, essa sarà
operante se è pattiziamente prevista ( e nei termini del patto) ed opererà solo
dal momento in cui viene a conoscenza della banca (art. 1373 c.c.). Nella
fattispecie è pacifico tra le parti ed emerge dalla sentenza impugnata che il
fideiussore aveva per contratto facoltà di recesso, sia pure da esercitare con
la forma scritta.
5.l. Va ora esaminata la vexata quaestio della responsabilità della banca per
informazioni inesatte, ed in particolare se detto comportamento sia contrario
alla correttezza e buona fede. In tema di responsabilità aquiliana, si ritiene
pacificamente che per il particolare status dell'imprenditore bancario, facente
parte del sistema bancario, ispirato a regole di trasparenza ed alla corretta
gestione del credito, questi, ove ritenga (o sia tenuto) di fornire una
notizia, non può fornire informazioni inesatte, rispondendo, in questo caso dei
danni causati ingiustamente ex art.2043 c.c., in quanto
con detto suo comportamento è venuto meno al
dovere di correttezza e buona fede ledendo il diritto del soggetto che riceve
la notizia falsa a determinarsi liberamente nello svolgimento dell'attività
negoziale relativa al patrimonio (Cass.4/5/1982,n. 2765; Cass.7/2/1979, n. 820;Cass. 13/7/1967,n. 1742).
5.2. Se le inesatte informazioni fornite dalla banca, in assenza di un rapporto
contrattuale con il soggetto che le riceve, danno luogo a responsabilità
aquiliana della stessa, in presenza di un rapporto contrattuale fondano
ovviamente una responsabilità contrattuale, ove esse abbiano impedito alla
controparte di determinarsi liberamente nell'esercizio di un diritto
contrattualmente previsto o, più in generale, abbiano causato un danno.
Infatti, a maggior ragione nei rapporti contrattuali, lo status di imprenditore
bancario, per l'affidamento che crea nella controparte, impone al primo di
comportarsi secondo le regole della trasparenza, della corretta gestione del
credito e degli elementari canoni di diligenza, schiettezza e solidarietà.
6. Sennonché, una volta ritenuto che la violazione del dovere di comportarsi
con correttezza e buona fede da parte della banca dà luogo a responsabilità
contrattuale della stessa, la conseguenza di ciò non è, come pure a volte si è
sostenuto in tema di
fideiussione in favore di una banca (Cass. 1.7.1998, n. 6414; Cass.6.12.1994, n. 10448; Cass. 28.7.1989,n. 3362) e come sostiene anche
il ricorrente, l'inefficacia del contratto che lega il soggetto alla banca, ma
l'obbligo del risarcimento del danno a carico della banca ed a favore
dell'altro contraente, secondo i principi generali che regolano la
responsabilità contrattuale.
Infatti non ha base normativa sostenere che qualora una delle parti non si
comporti secondo buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, il
contratto stesso diventa inefficace. È, invece, pacifico in dottrina che la
violazione dell'obbligo di comportamento secondo buona fede di cui all'art. 1375 c.c. dà
luogo (solo) ad una responsabilità contrattuale, ancorché la fonte di tale
obbligazione sia legale, e non all'inefficacia del contratto cui è connessa.
7. Ne consegue che nella fattispecie è errata in diritto la censura del
ricorrente, secondo cui stante le assunte inesatte informazioni della banca in
merito alla forma per l'esercizio del diritto di recesso, la fideiussione in
questione era divenuta inefficace o inoperante.
L'eventuale comportamento non corretto ne' di buona fede della banca, ove
provato e ritenuto tale dai giudici di merito, avrebbe potuto fondare non
l'inefficacia della fideiussione azionata dalla banca, ma solo una
responsabilità contrattuale di quest'ultima, con il conseguente obbligo di
risarcimento del danno.
Invero, come risulta dalle conclusioni rese in secondo grado e riportate nella
sentenza di appello, il ricorrente nelle fasi di merito, chiedeva che fosse
revocato il decreto ingiuntivo opposto, per la nullità, invalidità ed
inefficacia della fideiussione, con condanna generica della banca al
risarcimento del danno. Sennonché in questa sede di legittimità le censure
avverso la sentenza di appello non attengono al mancato accoglimento della
domanda di condanna generica al risarcimento del danno, ma esclusivamente al
punto di non aver ritenuto inefficace la fideiussione, con conseguente revoca
del decreto ingiuntivo opposto. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le arti le spese di questo
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa per intero tra le parti le spese di questo
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 1998.
Depositato in Cancelleria il 15 Marzo 1999