Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6908 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 28 Marzo 1996, n. 2850. Est. Marziale.


Società - Di capitali - Società per azioni - Costituzione - Modi di formazione del capitale - Modificazioni dell'atto costitutivo - Contenuto delle modificazioni - Aumento del capitale - Nuove azioni - Opzione - In genere - Assegnazione delle azioni rimaste non optate - Fissazione di un prezzo - Diverso e maggiore rispetto a quello stabilito per l'opzione - Deliberazione del Consiglio di amministrazione - Legittimità.



Con riguardo ad aumento di capitale di una S.p.A. mediante emissione di nuove azioni, è legittima la deliberazione con la quale il Consiglio di amministrazione fissi, per l'assegnazione delle azioni rimaste non optate, un prezzo diverso (e maggiore) rispetto a quello stabilito per l'opzione, in quanto l'art. 2441 cod. civ., mentre al primo comma, attraverso l'obbligo di offerta in opzione dei nuovi titoli, tutela in maniera incondizionata (anche rispetto ad offerte più vantaggiose per la società) l'interesse del socio a conservare inalterata la proporzione in cui egli partecipa al capitale sociale, al terzo comma si limita a stabilire un semplice diritto di prelazione, nell'assegnazione delle azioni rimaste non optate, per coloro che abbiano esercitato l'opzione, accordando a questi ultimi pur sempre una preferenza, condizionata, però, alla ricorrenza della parità di trattamento rispetto ad altri soggetti. L'indicata deliberazione può essere validamente adottata dal Consiglio d'amministrazione, non assumendo rilievo, nell'ipotesi, la disposizione di cui al sesto comma del citato art. 2441 cod. civ., che riserva all'assemblea dei soci il potere di stabilire il prezzo di emissione delle nuove azioni nel diverso caso in cui l'aumento del capitale sociale avvenga con esclusione o limitazione del diritto di opzione. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Michele CANTILLO Presidente
" Giovanni OLLA Consigliere
" Ernesto LUPO "
" Giulio GRAZIADEI "
" Giuseppe MARZIALE Rel. "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, Via Ruggero Fiore, n. 27 presso lo studio dell'avv. Silvio Raho, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale autenticata in data 16 ottobre 1995 per atto (Rep. n. 68074) del Notaio G. Mori iscritto al Collegio Notarile del Distretto di Reggio Emilia, rapp.to e difeso anche dagli avv.ti Laura Comandini e Paolo Frati per mandato in calce al ricorso. Ricorrente
contro
ANTONIO TRIGLIA, ACHILLE MARAMOTTI, MOSÈ NATALE ARDUINI, FRANCO BERTANI, LUIGI, ELENA e GUIDO CORRADI, GIORGIO FERRARI, CAMILLO, ALBERTO e ROMEO ANTONIO GALAVERNI, ELENA GUSELLA ved. Galaverni, ARNALDO GIANNINI, tutti elettivamente domiciliati in Roma, via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, che li rappresenta e difende unitamente all'avv Paolo Ferrari del Foro di Milano, in virtù di procura in calce ai rispettivi atti di controricorso e di ricorso incidentale.
Controricorrenti
e
ANACLETO FONTANESI, residente in Reggio Emilia, via Emilia San Pietro, n. 37.
Intimato
e
CREDITO EMILIANO S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma. Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale
Controricorrente
nonché
sul ricorso proposto (N. 12757-93 R.G.)
da
ANTONIO TRIGLIA, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (12751-93 R.G.)
da
ACHILLE MARAMOTTI, elettivamente domiciliato in Roma Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (12745-93 R.G.)
da
MOSÈ NATALE ARDUINI, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora. n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia. n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12750-93 R.G.)
da
FRANCO BERTANI, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora. n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12747-93 R.G.)
da
LUIGI CORRADI, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia. n 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12749-93 R.G.)
da
GUIDO CORRADI, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12748-93 R.G.)
da
ELENA CORRADI, elettivamente domiciliata in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12744-93 R.G.)
da
GIORGIO FERRARI, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sui ricorsi N. 12746-93, 12754-93 e 12756-93 proposti rispettivamente da
ROMEO ANTONIO, CAMILLO e ALBERTO GALAVERNI, elettivamente domiciliati in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale sono rappresentati e difesi unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale. Ricorrenti incidentali
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12753-93 R.G.)
da
ELENA GUSELLA ved. Galaverni, elettivamente domiciliata in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (N. 12755-93 R.G.)
da
ARNALDO GIANNINI, elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
nonché
sul ricorso proposto (12752-93 R.G.)
da
CREDITO EMILIANO S.P.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via N. Porpora, n. 9, presso lo studio dell'avv. Bruno Guardascione, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Paolo Ferrari del Foro di Milano in virtù di procura in calce all'atto di controricorso e di ricorso incidentale.
Ricorrente incidentale
contro
RINO BIGLIARDI, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, n. 195, presso lo studio dell'avv. Laura Comandini, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv. Paolo Frati del Foro di Parma in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo e all'avv. Silvio Raho. Intimato
avverso
la sentenza n. 688-93, emessa dalla Corte d'Appello di Bologna il 3 giugno 1993.
Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 27 ottobre 1995 dal consigliere dott. Giuseppe Marziale;
uditi, per le parti, gli avvocati Raho e Ferrari;
udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott. Antonio Buonaiuto, il quale ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
FATTO
1.1 - Con atto di citazione notificato in date diverse - comprese tra il 15 luglio e il 19 agosto 1986 - Rino Bigliardi conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, il Credito Emiliano s.p.a., nonché i componenti del suo consiglio di amministrazione nelle persone di Antonio Triglia, Achille Maramotti, Mosè Natale Arduini, Franco Bertani, Vincenzo Contini, Fabrizio Corradi, Giorgio Ferrari, Anacleto Fontanesi, Romeo Galaverni, Arnaldo Giannini e Franco Terrachini. Esponeva l'attore:
- che l'assemblea straordinaria della società convenuta aveva deliberato, il 25 giugno 1983, l'aumento del capitale sociale da L. 18.567.000.000 a L. 27.850.500.000 mediante emissione di n. 1.856.700 nuove azioni del valore di L. 5.000 ciascuna, delle quali una metà (928.350) sarebbe stata assegnata ai soci gratuitamente, mentre l'altra metà sarebbe stata offerta agli stessi soggetti in opzione con un sovrapprezzo di L. 10.000 per ogni azione;
- che per l'esercizio del diritto di opzione era stato fissato il termine del 30 settembre, prevedendo inoltre che i titoli inoptati sarebbero stati "collocati, ai sensi dell'art. 2441, con riparto tra i soci che ne avessero fatto richiesta numerica contestuale all'atto della sottoscrizione";
- che esso attore (titolare di n. 600 azioni), con dichiarazione ritualmente e tempestivamente presentata il 27 settembre 1983, aveva chiesto di acquistare, con diritto di prelazione ai sensi dell'art. 2141, terzo comma, c.c e per il prezzo unitario di L 15.000, quindicimila azioni di quelle che fossero rimaste eventualmente inoptate;
- che tale richiesta non era stata accolta neppure in parte, in quanto il Consiglio di amministrazione, con deliberazione del 6 ottobre 1983, aveva fissato per le 2372 azioni rimaste non optate un prezzo di emissione di L. 35.000, sensibilmente superiore a quello stabilito per l'opzione e, dopo aver rilevato che "data la estrema esiguità del numero delle azioni rimaste inoptate, non era possibile procedere ad una ripartizione proporzionale", aveva deciso di seguire, per il loro collocamento, criteri diversi, diretti "a dare un segno di soddisfacimento a tutti i richiedenti, con preferenza per i piccoli azionisti";
- che detto criterio era in contrasto con quanto stabilito dalle norme che regolano la prelazione sui titoli non optati e, in particolare, con quanto stabilito dall'art. 2441, terzo comma, c.c.. Tanto premesso, l'attore chiedeva che fosse dichiarata "illegittima, nulla e di nessun effetto" la delibera sopra indicata, FATTO
con la quale il consiglio di amministrazione aveva fissato le condizioni e i criteri per l'esercizio della prelazione sui titoli non optati, con condanna dei componenti del consiglio di amministrazione e della società, in solido tra loro, al risarcimento dei danni da lui subiti. In corso di causa peraltro il Bigliardi rinunziava agli atti del giudizio nei confronti del Terrachini e del Contini, dopo aver accertato che essi non avevano partecipato alla riunione del consiglio di amministrazione in cui era stata presa la delibera impugnata.
1.2 - Mentre Anacleto Fontanesi rimaneva contumace, gli altri convenuti si opponevano all'accoglimento della domanda, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e quello di legittimazione attiva dell'attore.
Il Tribunale, pur rigettando le eccezioni sollevate in via preliminare dai convenuti, respingeva ugualmente la domanda attrice, osservando:
- che il consiglio di amministratore aveva il potere di fissare per le azioni inoptate condizioni diverse e, in particolare, un prezzo di emissione superiore a quello stabilito per l'emissione delle azioni offerte in opzione;
- che, pertanto, l'attore non aveva alcun interesse a dolersi della mancata accettazione della propria richiesta, dal momento che, in base a quanto previsto dal terzo comma dell'art. 2441 c.c., egli aveva solo il diritto di essere preferito "a parità di condizioni" e che la sua offerta era basata su di un prezzo unitario (L. 15 000) ben inferiore a quello (L. 35.000) richiesto dalla società. Le spese di causa erano integralmente compensate.
1.3 - La sentenza, depositata il 22 maggio 1990, veniva appellata sia dal Bigliardi che, in via incidentale, dai convenuti. Mentre questi ultimi riproponevano le eccezioni sollevate in via preliminare nella precedente fase di giudizio e si dolevano della compensazione delle spese disposta dai giudici di primo grado, il Bigliardi tornava a contestare che gli amministratori avessero, nel silenzio della delibera assembleare, il potere di stabilire per le azioni inoptate, in applicazione del terzo comma dell'art. 2441 c.c., un prezzo e, più in generale, criteri di assegnazione diversi da quelli indicati per le azioni offerte in opzione.
L'appellante aggiungeva, comunque, che anche a voler riconoscere agli amministratori - in via di mera ipotesi - una simile prerogativa "un minimo di imparzialità avrebbe dovuto imporre alla banca di informare tutti gli azionisti che avevano comunicato, in sede di esercizio del diritto di opzione, il loro interesse alla prelazione per i titoli rimasti inoptati, concedendo loro un sia pur breve spatium deliberandi e pretendendo altresì che il prezzo proposto fosse accettato con la conferma del numero delle azioni". Gli amministratori, invece, non solo si erano discostati dai criteri cui avevano dichiarato di volersi ottenere, ma, operando in modo fazioso e parziale, avevano favorito alcuni azionisti in danno degli altri. La Corte d'Appello, con sentenza del 3 giugno 1993, rigettava sia l'uno che l'altro gravame, ribadendo - da un lato - la piena legittimazione (rispettivamente, attiva e passiva) del Bigliardi e degli amministratori da lui convenuti in giudizio; dall'altro, che gli amministratori avevano il potere di fissare, per l'assegnazione delle azioni inoptate ai titolari del diritto di "prelazione" previsto dal terzo comma dell'art. 2141 c.c., condizioni diverse da quelle stabilite in precedenza dall'assemblea ai fini dell'esercizio del diritto di opzione; che, il Bigliardi, avendo offerto un prezzo inferiore a quello (legittimamente) fissato dalla società non aveva "subito alcuna lesione di una posizione soggettiva garantitagli dalla legge o dalle norme statutarie" e non aveva alcun (valido) motivo per dolersi della deliberazione adottata dal consiglio di amministrazione con la quale era stata totalmente disattesa la prenotazione dei titoli inoptati da lui fatta al momento della sottoscrizione delle azioni offerte in opzione.
1.4 - Il Bigliardi ricorre a questa Corte, chiedendo la cassazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale con due motivi illustrati con memoria. Il Credito Emiliano s.p.a. e gli altri convenuti - ad eccezione di Anacleto Fontanesi, che neppure in questa fase di giudizio ha svolto alcuna attività difensiva - si oppongono all'accoglimento del ricorso e propongono a loro volta, separatamente, ricorso incidentale contro la stessa sentenza. DIRITTO
2.1 - Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, a norma dell'art. 335 c.p.c., essendo essi diretti tutti contro la stessa sentenza.
2.2 - Il Bigliardi - denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2441, terzo comma, 2364, n. 4, e 2365 c.c. - censura la sentenza della Corte territoriale per aver ritenuto: a) che la società emittente ha il potere di stabilire per le azioni non sottoscritte in sede di opzione, (per il cui acquisto, nelle società non quotate, è attribuito agli azionisti che ne abbiano fatto "contestuale richiesta" al momento dell'esercizio del diritto di opzione un diritto di "prelazione", a norma del terzo comma dell'art. 2441 c.c.) un prezzo di emissione diverso (e maggiore) di quello fissato ai fini dell'opzione; b) che tale facoltà può essere legittimamente esercitata (anche) dagli amministratori, non essendo riservata alla competenza esclusiva dell'assemblea. 3 - Il "Credito Emiliano s.p.a." e gli altri controricorrenti ricorrono a loro volta, in via incidentale, contro la stessa sentenza, chiedendone l'annullamento per non aver rilevato - da un lato - che il Bigliardi non aveva titolo per impugnare la delibera consiliare e - dall'altro - il difetto di legittimazione passiva dei componenti del consiglio di amministrazione del "Credito Emiliano" rispetto alla domanda risarcitoria proposta nei loro confronti a norma dell'art. 2395 c.c. dal Bigliardi medesimo.
La prima di tali censure è mossa specificamente dal "Credito Emiliano" e si fonda sul duplice rilievo:
a) che il diritto degli azionisti ad impugnare le delibere consiliari è configurabile solo nei casi in cui la delibera sia espressione di un potere "vincolato" degli amministratori e che, nel caso di specie, tale condizione noa ricorreva in quanto "il consiglio della Banca doveva determinare le condizioni della prelazione, tenendo conto della sua qualità di organo preposto all'attuazione dell'interesse sociale", e quindi con apprezzamento tipicamente "discrezionale";
b) che il Bigliardi non aveva comunque un interesse,
"giuridicamente apprezzabile", all'impugnazione di tale delibera, non avendo chiesto l'assegnazione delle azioni da lui "prenotate" ai sensi e per gli effetti dell'art. 2441, terzo comma, c.c. al momento dell'esercizio del diritto di opzione.
Le doglianze formulata da Giorgio Ferrari e dagli altri componenti del consiglio di amministrazione della banca muove invece dalla considerazione che l'art. 2395 c.c. sarebbe inapplicabile allorché, come nel caso di specie, l'amministratore agisca a tutela di un interesse della società.
I due ricorsi incidentali, pur non essendo stati espressamente proposti in via condizionata, restano naturalmente subordinati all'accoglimento, totale o parziale, di quello principale, atteso che, ove questo dovesse essere respinto, verrebbe meno ogni interesse ad una pronuncia sulle impugnazioni da essi rispettivamente proposte (Cass. 19 aprile 1984, n. 258O). Il che non implica, tuttavia, che l'esame delle questioni che con essi sono state prospettate - le quali abbiano rispetto a quelle oggetto del ricorso principale, come nel caso di specie, un evidente carattere di pregiudizialità - debbano seguire l'esame del ricorso principale, posto che l'interesse della parte vittoriosa nel merito a proporre ricorso incidentale contro una statuizione a lei sfavorevole relativa ad una questione pregiudiziale, rilevabile o no d'ufficio, sorge per il fatto stesso che la vittoria conseguita è resa incerta dalla proposizione del ricorso principale, e che l'esistenza di tale interesse non soltanto è sufficiente a rendere ammissibile il ricorso incidentale, ma giustifica l'immediato esame di esso, nel rispetto dell'ordine logico delle questioni (Cass., S.U., 11 dicembre 1990, n. 11795). Le censure formulate con i due ricorsi incidentali vengono pertanto esaminate con priorità rispetto alle altre. 4.1 - Esse sono comunque infondate. Ed, anzitutto, quella puntualizzata nella lettera "a" del precedente paragrafo. Non vi è dubbio, infatti, che le delibere consiliari possono essere impugnate anche dai soci, quando siano direttamente lesive dei loro diritti (Cass. 21 maggio 1988, n. 3544; 24 gennaio 1990, n. 420). Invero, i poteri degli amministratori, per quanto ampi possano apparire, restano pur sempre circoscritti al campo della gestione e, così come non possono estendersi al mutamento delle caratteristiche strutturali dell'impresa sociale, non possono neppure riguardare la soppressione (o anche solo la modifica) dei diritti attribuiti ai singoli soci dalla legge o dall'atto costitutivo, in quanto ciò comporterebbe un'alterazione delle basi sulle quali la società è stata costituita. Una eventuale delibera del consiglio di amministrazione che venisse ad incidere su tali situazioni sarebbe quindi priva di efficacia, in considerazione dei principi cui si ispira la cura degli interessi altrui (art. 1398 c.c.), nel cui ambito deve essere ricondotto il rapporto che lega gli amministratori alla società (Cass. 21 dicembre 1987, n. 9485; 20 novembre 1987, n. 8575).
Trattasi di inefficacia in senso proprio, che va ricollegata al difetto di potere dell'organo amministrativo, come tale ipotizzabile anche quando il diritto sia disponibile dall'assemblea, con o senza il consenso dell'interessato. E che, in base ai principi, può esser fatta valere dall'interessato, al fine di rimuovere la causa della lesione del proprio diritto, prescindendo dalle forme e dai termini stabiliti per l'annullamento delle delibere consiliari (Cass. 6 aprile 1971, n. 1001; 24 giugno 1969, n. 2267), i quali sono destinati ad operare solo quando la delibera resti nell'ambito dell'esercizio del potere gestorio (art. 2391 c.c.). 4.2 - Non varrebbe affermare che, in questo caso, la delibera sarebbe frutto di un apprezzamento discrezionale e che, quindi, la posizione del socio nei confronti della società dovrebbe essere configurata (non in termini di diritto soggettivo, ma) di interesse legittimo. Questa tesi, invero, riecheggia impostazioni proprie del diritto amministrativo che mal si prestano ad essere utilizzate nell'ambito del diritto privato, nel quale i soggetti operano su un piano di parità e non sono quindi ipotizzabili quelle situazioni che, storicamente, sono alla base della elaborazione di tale categoria concettuale. Il che non esclude, naturalmente, che anche nelle materie regolate dal diritto privato (si pensi alla famiglia, ai gruppi organizzati, ai rapporti di lavoro etc.) possano essere individuate situazioni caratterizzate dall'attribuzione ad un soggetto del potere di incidere nella sfera giuridica altrui. Ma proprio perché tali interventi non sono ricollegabili ad una posizione di supremazia, assimilabile a quella propria della Pubblica Amministrazione quando agisce con gli strumenti del diritto pubblico, i mezzi di tutela posti a disposizione degli altri soggetti sono necessariamente diversi e si fondano su regole e istituti propri del diritto privato, come ad esempio il principio di buona fede, che va sempre più assumendo il ruolo di "regola di governo della discrezionalità" e la cui applicabilità in materia societaria, come di recente è stato ribadita da questa Corte (Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151), non può essere revocata in dubbio.
4.3 - Ma non meno infondate sono le altre doglianze specificate nello stesso paragrafo 3, con le quali la sentenza impugnata viene censurata per non aver considerato:
- che il ricorrente - non avendo chiesto l'assegnazione delle azioni prenotate - non aveva un interesse, giuridicamente apprezzabile, all'annullamento della delibera;
- che l'azione individuale di responsabilità contemplata dall'art. 2395 c.c. non sarebbe proponibile in presenza di atti compiuti dall'amministratore a tutela di un interesse della società. Quanto alla prima, è agevole replicare che la pretesa risarcitoria fatta valere dal ricorrente trova il suo fondamento proprio nell'accertamento dell'illegittimità della delibera consiliare. Quanto alla seconda, appare poi evidente che l'assunto potrebbe, se mai, portare a ritenere infondata la domanda risarcitoria promossa dal Bigliardi ma non anche a ravvisare la carenza di legittimazione passiva dei convenuti, posto che la sussistenza di tale requisito va verificata alla stregua della prospettazione operata dall'attore, prescindendo dalla sussistenza in concreto del diritto sostanziale fatto valere in giudizio. Può comunque osservarsi, sempre a tale proposito, che il discrimine tra la responsabilità degli amministratori prevista dagli artt. 2392-2394 c.c. e quella contemplata dall'art. 2395 c.c. non va individuato tanto nei presupposti stabiliti dalla legge per il sorgere di tali forme di responsabilità (che consistono pur sempre nella violazione, dolosa o colposa, dei doveri ad essi imposti dalla legge o dall'atto costitutivo), quanto nelle conseguenze che il comportamento illegittimo degli amministratori ha determinato nel patrimonio del socio o del terzo: se il danno costituisce solo il riflesso di quello arrecato al patrimonio sociale (tale ipotesi può verificarsi anche rispetto ai terzi, se li si considera nella veste di creditori sociali, quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti: art. 2394, secondo comma, c.c.) si è al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2395 c.c., poiché detta disposizione richiede che il danno causato dagli amministratori abbia investito direttamente, vale a dire in via immediata, il patrimonio del socio e del terzo.
Non importa, pertanto, che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell'esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia (o meno) ricollegabile ad un inadempimento della società, ne' infine che l'atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell'interesse della società e a suo vantaggio: la formulazione dell'art. 2395 c.c. pone infatti in evidenza che l'unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito dall'incidenza del danno. Le circostanze sopra indicate potranno quindi assumere rilievo solo ai fini della qualificazione dell'azione eventualmente spettante al socio o al terzo nei confronti della società o al fine di escludere la responsabilità degli amministratori nei confronti della società, ma non potranno incidere in alcun modo sull'ammissibilità di un'azione risarcitoria di tali soggetti contro gli amministratori che, con colpa o con dolo, abbiano danneggiato in modo diretto il loro patrimonio, dal momento che in quest'ultima ipotesi una responsabilità degli amministratori nei loro confronti non può essere revocata in dubbio, alla stregua di quanto disposto dal citato art. 2395, che completa "la disciplina della responsabilità degli amministratori con riguardo .... ai diversi diritti che ... devono essere tutelati e reintegrati" (Relazione, par. 982), ponendo una regola (quella della responsabilità personale nei confronti del danneggiato di coloro che hanno agito spendendo il nome della società) che costituisce espressione di un più generale principio destinato ad operare rispetto alle società di persone (arg. ex art. 2281 c.c.) e a ogni altro ente collettivo di diritto privato, e che trova corrispondenza, nell'ambito del diritto pubblico, in quello sancito dall'art. 28 Cost. per i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici.
5.1 - Ugualmente infondato è, tuttavia, il ricorso principale, con il quale il Bigliardi, come si è anticipato (retro, 2.2), denunzia violazione e falsa applicazione:
a) dell'art. 2441, terzo comma, c.c., per aver affermato che la società ha il potere di fissare per l'assegnazione delle azioni rimaste inoptate agli aventi diritto a "prelazione" un prezzo diverso (e maggiore) di quello stabilito ai fini dell'opzione;
b) dell'art. 2364, n. 4, c.c. e 2365 stesso codice, per aver ritenuto che tale facoltà può essere legittimamente esercitata DIRITTO
dagli amministratori, non richiedendo necessariamente un intervento dell'assemblea.
Tali censure sono tra loro strettamente connesse e possono quindi essere esaminate congiuntamente.
5.2 - L'art. 2441 c.c. - dopo aver stabilito, nel primo comma, che "le azioni di nuova emissione ... devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute" - prevede, nel terzo comma, che "coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne' facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione delle azioni ... che siano rimaste inoptate". Il ricorrente assume che, malgrado il diverso termine utilizzato dal legislatore ("prelazione" anziché "opzione"), quella prevista dal terzo comma sarebbe, in sostanza, una opzione (sia pure di secondo grado) e, muovendo da tale premessa, afferma che la società non potrebbe stabilire per le azioni inoptate un prezzo di emissione diverso (e maggiore) di quello stabilito per l'opzione. Tale tesi non può essere condivisa. Invero, diritto d'opzione e diritto di prelazione individuano, nel nostro ordinamento situazioni giuridiche ben differenziate, che non possono quindi essere in alcun modo assimilate. Nel primo caso, infatti, viene attribuito ad un soggetto il diritto (potestativo) di concludere un contratto aderendo alla proposta formulata dalla controparte, che quindi non ha il potere di revocarla (art. 1331 c.c.) ne' potrebbe concludere il contratto con altri, neppure a condizioni più vantaggiose. La seconda situazione è invece caratterizzata dal diritto ad essere preferiti, a parità di condizioni, nella conclusione di un contratto, se ed in quanto l'altra parte decida di stipularlo (Cass. 28 aprile 1983, n. 2908; 21 gennaio 1982, n. 402).
Non può negarsi che la circostanza che il legislatore abbia fatto ricorso al termine "prelazione" in un contesto in cui viene più volte impiegato quello di "opzione" costituisca un non trascurabile argomento in favore dell'opinione di quanti sostengono che anche ai fini dell'applicazione dell'art. 2441 c.c. tali termini riflettono realtà normative tra loro differenziate; tanto più che questa duplicità di termini si ritrova anche nell'art. 19 del "Progetto di riforma delle società commerciali", elaborato dalla Commissione De Gregorio negli anni sessanta (che costituisce il precedente dell'art. 13, secondo comma, della legge 7 giugno 1974, n. 216 (NDR: D.L. 08.04.1974, n. 95 art. 13), cui si deve l'introduzione di un nuovo terzo comma nel testo originario dell'art. 2441 c.c.) e non è quindi il frutto di una scelta improvvisata.
A ciò si aggiunga che gli interessi tutelati dal primo e dal terzo comma dell'art. 2441 c.c. sono sostanzialmente diversi. Nel primo caso, infatti, viene salvaguardato l'interesse del socio a conservare inalterata la proporzione con la quale partecipa al capitale e al patrimonio della società, e questo spiega perché il suo intento di sottoscrivere i titoli di nuova emissione sia protetto in maniera incondizionata, anche rispetto a richieste di sottoscrizione più vantaggiose (per la società) presentate da altre soggetti. Nell'altro, invece, l'oggetto della tutela concerne proprio l'interesse all'accrescimento della quota di partecipazione da parte di coloro che hanno già esercitato il diritto di opzione e hanno così avuto l'opportunità di preservare la consistenza della propria posizione all'interno della società. L'ampia formulazione del terzo comma dell'art. 2441 ("coloro che esercitano il diritto di opzione") - specie se posta a raffronto con quella dell'art. 19, terzo comma, del progetto De Gregorio che faceva specifico riferimento ai soci - porta poi a ritenere che detta disposizione si applichi anche a quanti abbiano successivamente acquistato i diritti di opzione dai titolari originari.
L'ipotesi è quindi ben diversa da quella contemplata dal primo comma dello stesso articolo, che concerne la difesa di una posizione già acquisita all'interno della compagine sociale nel momento in cui viene deliberato l'aumento di capitale, e questo spiega perché il legislatore abbia scelto un mezzo di tutela meno incisivo di quello rappresentato dal diritto di opzione; prevedendo l'attribuzione di un (mero) diritto di prelazione, di un diritto cioè che attribuisce pur sempre una preferenza condizionata alla ricorrenza della parità di condizioni.
Ma la conferma decisiva che il diritto attribuito dal terzo comma dell'art. 2441 c.c. è un diritto di prelazione in senso proprio e che quindi la società può legittimamente fissare per il collocamento delle azioni rimaste inoptate un prezzo diverso (e maggiore) di quello stabilito per l'opzione, si trae dalla disciplina dettata dallo stesso art. 2441 per i titoli quotati in borsa, che impone agli amministratori l'obbligo di offrire sul mercato i diritti di opzione non esercitati per almeno cinque riunioni, rendendo così evidente che per le azioni non sottoscritte in sede di opzione il legislatore ha scelto un sistema di attribuzione che privilegia il miglior offerente, senza stabilire alcuna priorità incondizionata a vantaggio di chi ha esercitato il diritto di opzione e fatto contestuale richiesta della prelazione.
5.5 - Resta tuttavia da stabilire se il prezzo non debba essere necessariamente fissato dall'assemblea, così come sostiene il ricorrente, censurando la decisione impugnata, con il motivo puntualizzato alla lettera b) del paragrafo 5.1, che ha invece ritenuto che tale elemento possa essere legittimamente determinato dagli amministratori.
Il dubbio può nascere dal fatto che il sesto comma dell'art. 2441 c.c., nel dettare la disciplina delle proposte di aumento del capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione, stabilisce una procedura complessa, che si articola in più fasi, nell'ambito della quale il potere di stabilire il prezzo di emissioni delle azioni è riservato all'assemblea, che deve determinarlo "in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in borsa, anche dell'andamento delle quotazioni dell'ultimo semestre".
È però agevole osservare che la fattispecie considerata da detta disposizione è ben diversa da quella oggetto di esame nel presente giudizio. In quest'ultimo caso, infatti, la fissazione del prezzo di emissione delle azioni non si pone in correlazione con la limitazione o l'esclusione del diritto di opzione ché anzi il terzo comma dell'art. 2441 c.c. - come si è già posto in evidenza nel precedente paragrafo - presuppone proprio che il diritto di opzione sia stato esercitato. E deve quindi escludersi che ricorrano quelle esigenze di tutela della posizione dei soci che hanno indotto il legislatore, non solo a prevedere che il sovrapprezzo delle azioni di nuova emissione debba essere obbligatorio, ma a stabilire altresì che la sua determinazione debba essere riservata alla competenza dell'assemblea.
Non vi è quindi ragione di escludere che il prezzo di emissione delle azioni inoptate possa essere fissato dagli amministratori, trattandosi dei soggetti cui è riservata la gestione dell'impresa sociale e tra le cui attribuzioni rientra anche quella di dare attuazione, con autonomia di apprezzamento, alle delibere assembleari (Cass. 2l marzo 1981, n. 1722).
Da tale riconoscimento, del resto, non deriva ai soci alcun pregiudizio, una volta che si ammetta che essi sono ammessi ad impugnare le delibere consiliari lesive dei loro diritti prescindendo dalle forme e dai termini stabiliti per il loro annullamento (retro, 4.1).
6 - Anche il ricorso principale deve essere quindi respinto al pari di quelli proposti in via incidentale, con conseguente compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando le spese di giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 27 ottobre 1995.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 MARZO 1996