Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6526 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 28 Giugno 1997, n. 5790. Est. Bibolini.
Società - Di persone fisiche - Società in accomandita semplice - Soci accomandatari - Amministrazione della società - In genere - Necessità per tutti gli accomandatari - Esclusione - Perdita della limitazione di responsabilità per i soci accomandanti - Acquisto della rappresentanza della società - Esclusione - Incidenza sulle limitazioni ai poteri di rappresentanza dei soci accomandatari - Esclusione.
A differenza di quanto accade nella società in accomandita per azioni (dove vi è necessaria coincidenza tra la qualifica di socio accomandatario e quello di amministratore), nell'accomandita semplice, se è vero che tutti gli amministratori devono essere soci accomandatari, non è però necessario che tutti gli accomandatari siano anche amministratori; ne consegue che, se i soci accomandanti perdono la limitazione di responsabilità, e, sotto questo profilo, vengono equiparati agli accomandatari, non per questo essi, a causa dell'intromissione nell'amministrazione (che può anche riguardare solo l'amministrazione interna), acquisiscono poteri di rappresentanza della società. (In applicazione del suesposto principio la S. C. ha ritenuto, confermando la sentenza di merito, che la limitazione dei poteri di rappresentanza degli accomandatari - amministratori non viene meno per il fatto che altri soci abbiano acquisito l'illimitata responsabilità, non comportando essa l'acquisizione automatica di poteri di rappresentanza, tantomeno di poteri di rappresentanza oltre i limiti previsti dall'atto costitutivo). (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Renato BORRUSO Presidente
" Rosario DE MUSIS Consigliere
" Giovanni LOSAVIO "
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
" Luigi MACIOCE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da VARGIU GRAZIELLA, rappresentata e difesa dall'Avv. Fausto Moreno unitamente all'Avv. Francesco Bresnes presso il cui studio legale in Roma, via Ufente n. 12, ha eletto domicilio, giusta delega a margine del ricorso introduttivo;
Ricorrente
contro
S.R.L. NA.VI, in persona dell'amministratore unico pro tempore, nella qualità di assuntrice del concordato fallimentare della s.a.s. IMMOBILIARE BELLAVISTA DI MARCHESI VALERIO & CO, con sede in Torino, elettivamente domiciliata in Roma, via Monte Parioli n. 12, presso lo studio dell'Avv. Gregorio Iannotta che la rappresenta e difende per delega a margine del controricorso;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 537/95 pronunciata dalla Corte d'Appello di Genova in data 7 giugno 1995;
udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;
sentito il P.M. Dott. GIOVANNI LO CASCIO il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentiti l'Avv. Bresnes il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso nonché l'Avv. Iannotta il quale ha richiesto la dichiarazione di inammissibilità del 1^ e 3^ motivo di ricorso ed il rigetto del terzo;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.a.s. Immobiliare Bellavista era dichiarata fallita dal tribunale di Sanremo in data 25 giugno 1986. Con successiva sentenza in data 12 novembre 1992 il Tribunale di Sanremo dichiarava il fallimento dei soci accomandanti della predetta società, in quanto illimitatamente responsabili ex art. 2320 C.C. per essersi intromessi nella gestione della società. Infine con sentenza 28 aprile 1993 il Tribunale di Sanremo omologava il concordato fallimentare della s.a.s. Immobiliare Bellavista, essendo la s.r.l. NA.VI assuntrice del concordato e, come tale, cessionaria delle attività fallimentari e subentrante in tutte le obbligazioni facenti capo alla società fallita.
Pressoché contestualmente all'evoluzione della vicenda concorsuale, si svolse la causa in discussione promossa inizialmente con citazione notificata il 17 aprile 1986 (circa due mesi prima della dichiarazione di fallimento) dalla sig.ra Graziella Vargiu contro la s.a.s. Immobiliare Bellavista, nei confronti della quale chiedeva accertarsi l'autenticità della sottoscrizione di un atto di vendita intervenuto tra le parti 8essendo venditrice la società), con il conseguente trasferimento della proprietà e, in subordine, sentenza costitutiva ex art. 2932 C.C..
Sosteneva l'attrice di avere acquistato dalla s.a.s. Immobiliare Bellavista un locale ad uso negozio nel Centro Commerciale SMAV di Vallecrosia, per il prezzo di L. 127.360.000, di cui L. 100.000.000 già versate; che la società, la quale si era impegnata alla consegna dell'immobile tra il 30 novembre ed i 30 dicembre 1984, non aveva dato adempimento all'obbligazione ne' si era dimostrata disponibile alla rogitazione; che la costruzione non era ancora terminata.
Nella contumacia della convenuta, l'attrice all'udienza del 18 marzo 1987 dimostrava documentazione l'avvenuto fallimento della Immobiliare Bellavista.
Il curatore del fallimento, costituitosi dopo l'interruzione del procedimento e la successiva riassunzione, sosteneva che l'atto negoziale in discussione aveva effetti meramente obbligatori, non reali, per cui il curatore, avvalendosi della facoltà di scelta consentitagli ex art. 72 LF., dichiarava di volersi sciogliere dal contratto. Eccepiva, inoltre, la curatela che la volontà negoziale non era stata legittimamente manifestata da parte della società, in quanto per statuto (art. 7) l'amministratore-accomandatario non aveva il potere di obbligare la società se non con la firma congiunta di un procuratore ovvero con i consenso di tutti i soci;
cosa nella specie non verificatasi. Eccepiva, infine ed in subordine, trattarsi di vendita di cosa futura per cui il trasferimento della proprietà si sarebbe verificata al termine dell'opera e, in ultima analisi, eccepiva ancora che la scrittura era priva di data certa a norma dell'art. 2704 C.C. e come tale non opponibile al fallimento.
Il Tribunale adito, con sentenza 20 gennaio 1993, rigettava la domanda ritenendo che il socio accomandatario, il quale aveva sottoscritto il negozio in questione, non avesse l'autonomo potere di vendere l'immobile.
L'appello della sig.ra Graziella Vargiu era respinto dalla Corte d'Appello di Genova con sentenza 716/95.
In particolare, sulle questioni che deriveranno oggetto del giudizio di legittimità, la Corte del merito così decideva:
A) riteneva che l'art. 7 dello Statuto sociale limitasse i poteri dell'accomandatario nella vendita di beni immobili, richiedendo o la firma congiunta di un procuratore oppure il consenso scritto di tutti i soci. Tale doveva ritenersi il tenore della limitazione, anche se l'art. 7 suddetto non menzionava espressamente le compravendite immobiliari, in quanto le limitazioni dei poteri riguardavano direttamente sia la determinazione del prezzo di vendita degli immobili, sia la costituzione di diritti reali su di essi; situazioni che confluivano necessariamente nella vendita immobiliare in oggetto;
B) riteneva che la limitazione del potere del legale rappresentante della società fosse opponibile ai terzi, in base alla disciplina dell'art. 2298 C.C. ed in virtù del richiamo dell'art. 2315 C.C.. C) riteneva priva di significato la tesi della acquirente secondo cui l'intromissione nell'amministrazione sociale di tutti i soci (riflessa nel loro personale fallimento) avrebbe comportato il venire meno del vincolo dell'art. 7, essendo situazioni distinte e non confondibili l'illimitata responsabilità del socio accomandante e la necessità del suo consenso per la vendita immobiliare da parte della società.
D) L'attrice originaria non poteva avvalersi dell'apparenza, in quanto di fronte ad uno statuto regolarmente depositato presso la Cancelleria Commerciale del Tribunale, non vi è affidamento sull'apparenza ma opponibilità del limite.
E) Non vi era stata ratifica dell'operato dell'accomandatario da parte della società, sia perché non si sa se l'acconto versato sia andato effettivamente nelle casse della società, sia perché la ratifica deve concretizzarsi in una dichiarazione espressa o in un comportamento concludente fattivo, non nel semplice silenzio. Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, la sig.ra Graziella Vargiu; depositava controricorso, integrato da memoria, la s.r.l. NA.VI, nella veste di assuntrice del concordato fallimentare della s.a.s. Immobiliare Bellavista di Marchesi Valerio e C..
MOTIVI DELLA DECISIONE
I^) Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2298, 2697 e 2257 C.C., sotto il profilo dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
La doglianza coglie due punti della decisione, e cioè:
1) Richiamando i dettato dell'art. 2298 C.C. secondo cui le limitazioni sono opponibili ai terzi se iscritte nel registro delle imprese, l'attrice sostiene che nella specie è mancata del tutto la prova, gravante sulla curatela, di detta iscrizione, e ciò in quanto il deposito dell'atto costitutivo presso la Cancelleria del Tribunale non poteva equipararsi all'iscrizione nel registro delle imprese, istituto presso la Camera di Commercio con la L. 29 dicembre 1993 n. 580.
2) In secondo luogo la Corte del merito avrebbe dovuto tenere conto della condotta dei soci accomandanti che si erano intromessi nella gestione dell'impresa sociale, in violazione dell'art. 2320 C.C. Tanto premesso in relazione alle questioni emerse dal dibattito tra le parti, occorre innanzi tutto rilevare che in sede di legittimità non si discute più dello fatto che la clausola n. 7 dello statuto della società Immobiliare Bellavista coinvolgesse, nelle limitazioni di rappresentanza ivi espresse, anche i contratti di compravendita immobiliare, essendo limitato l'oggetto delle contestazioni all'efficacia ed all'opponibilità della clausola statutaria in esame in quanto tale.
Sotto il primo dei profili sopra indicati, la doglianza coglie un aspetto che non era stato oggetto dell'appello proposto a suo tempo dalla sig.ra Graziella Vargiu. Ed invero, nell'atto di impugnazione davanti alla Corte d'Appello di Genova (atto esaminabile da parte della Corte in quanto sulle questioni di rito la Cassazione è anche il giudice del fatto processuale), la sig.ra Vargiu aveva proposto doglianze in ordine alla privazione di efficacia dell'art. 7 dello statuto societario in virtù della perdita di limitazione di responsabilità da parte dei soci accomandanti, all'interpretazione dello stesso articolo statuario e alla tutela dell'affidabilità dei terzi in ordine ai poteri dell'amministratore, nonché all'applicabilità della facoltà riconosciuta al curatore dall'art. 72 L.F.. Nessuna doglianza, invece, ha colto il problema dell'opponibilità dei limiti dei poteri di rappresentanza del socio accomandatario alla luce della disciplina dell'art. 2298 C.C., in relazione alla iscrizione nel registro delle imprese (in allora vigeva ancora il regime transitorio dell'art. 100 delle disp. att. C.C.), ed in conformità al regime successivamente introdotto dalla L. 29 dicembre 1993 n. 580 e dal D.P.R. 7 dicembre 1995 n. 581, ne' con la specificità richiesta dall'art. 342 comma 1 C.C., ne' con deduzioni comprensive dell'argomento oggi illustrato. La novità del mezzo di cassazione in esame, quindi, ne determina l'inammissibilità.
L'aspetto sopra indicato sub 2), che dovrebbe assumere rilievo sotto il profilo della carenza di motivazione 8la stessa questione è oggetto, con diversa configurazione, del secondo motivo di ricorso), non merita accoglimento, in quanto la Corte del merito ha tenuto conto della relativa questione ritenendola irrilevante, in virtù della distinzione tra la responsabilità dei soci che abbiano perso la limitazione di cui all'art. 2320 C.C. e la limitazione dei poteri (non della responsabilità) del socio che sia accomandatario ed anche amministratore. Motivazione che sul punto è coerente, perfettamente percettibile e non meritevole della censura proposta. II^) Con il secondo motivo di ricorso la sig.ra Graziella Vargiu ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell'art.2320 C.C. in relazione all'art. 147 L.F., nonché degli artt. 2318 e 2257 C.C., sotto il profilo dell'art. 360 n. 3 c.p.c..
Riagganciandosi e sviluppando il secondo punto della prima doglianza, la ricorrente sostiene che l'intromissione nella gestione dei soci accomandanti ha alterato l'assetto tipico della società in accomandita semplice, assimilandola alla "società di persone" nella quale ciascun socio, a norma dell'art. 2318 C.C., abbia la rappresentanza della società. Conseguentemente l'accomandatario aveva la rappresentanza piena della società ed il potere di vincolarla al di fuori dei limiti dell'art. 7, limiti che nel nuovo assetto societario di fatto erano divenuti privi di significato. L'argomentazione non è convincente. Ed invero, in relazione alla struttura del tipo societario in questione (società in accomandita semplice), occorre tenere presente che tutti gli amministratori debbono essere soci accomandatari, ma non necessariamente tutti gli accomandatari debbono essere amministratori, e ciò a differenza dell'accomandita per azioni in cui tra la qualifica di accomandatario e quella di amministratore vi è una necessaria coincidenza. Se quindi dei soci accomandanti perdono la limitazione di responsabilità e, sul piano della responsabilità vengono equiparati agli accomandatari, non per questo essi, in virtù della loro intromissione nell'amministrazione (che può anche riguardare solo l'amministrazione interna) acquisiscono poteri amministrativi esterni e di rappresentanza della società. Nella specie, la questione in discussione attiene alla limitazione dei poteri di rappresentanza, necessariamente esterna, della società che rimane ancorata alla qualifica del socio accomandatario-amministratore e che non viene meno per il fatto che altri soci acquisiscano l'illimitata responsabilità. La perdita della limitazione della responsabilità, infatti, attiene alla loro posizione di soci senza incidere per nulla sui poteri di rappresentanza.
Nè pare valido argomento il rilevare che, se tutti i soci accomandatari abbiano perso la limitazione di responsabilità, verrebbe meno il tipo sociale in accomandita semplice e l'attività della società dovrebbe essere retta dalla disciplina della collettiva irregolare e da quella della società semplice. A parte l'esattezza, o non, della tesi relativa al mutamento di fatto del tipo sociale, resta il rilievo che anche in base al richiamato articolo 2318 C.C., ogni socio della società regolata dalla disciplina della società semplice ha poteri amministrativi, anche esterni, della società salva diversa disposizione. Nella specie la diversa disposizione esisteva e concerneva sia l'affidamento dei poteri di amministrazione ad un solo socio, sia i limiti di detto potere.
Nell'un caso e nell'altro, di conseguenza, la tesi prospettata nella doglianza sarebbe infondata e priva di rilievo in causa, secondo la decisione già espressa dalla Corte d'Appello di Genova. III^) Con l'ultimo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 72, 118, 120 L.F., 1362 e 2704 C.C., oltre ad omessa decisione su un punto decisivo della controversia.
Rileva la ricorrente che a seguito dell'omologazione del concordato, la società è ritornata in bonis per cui più non sussiste il potere previsto per il curatore dall'art. 72 L.F. Anche il mezzo di cassazione in esame ha il carattere dell'inammissibilità, in quanto la Corte del merito non ha pronunciato in relazione alla sussistenza ed all'effetto del potere della curatela di sciogliersi dal contratto in discussione, e cioè in quanto la questione era stata ritenuta assorbita dalla ritenuta nullità del contratto per mancanza di un requisito essenziale (la valida espressine di volontà della venditrice società). Ogni domanda di inefficacia, infatti, presuppone la validità originaria del contratto per cui una pronuncia che privi ab origine il negozio di qualsiasi validità per mancanza di un elemento essenziale, è pregiudiziale ed assorbente rispetto a qualsiasi questione successiva attinente all'efficacia dello stesso negozio ed all'inefficacia sopravvenuta. Una volta rigettato il motivo di ricorso concernente la validità originaria del contratto, non sussiste più interesse della ricorrente a proporre una questione che attiene all'inefficacia sopravvenuta per scelta della curatela.
Conseguente è il rigetto del ricorso nella sua considerazione unitaria.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Roma 27 gennaio 1997.