Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6399 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 22 Aprile 1994, n. 3842. Est. Proto.
Società - Di persone fisiche - Società in nome collettivo - Rapporti tra soci - In genere - Società costituita da due soli soci - Rapporti sociali e liquidazione della quota - Controversie relative - Legittimazione passiva esclusiva - Socio - Spettanza.
Procedimento civile - Legittimazione - Passiva - Società in nome collettivo costituita da due soli soci - Rapporti sociali e liquidazione della quota - Controversie relative - Legittimazione passiva esclusiva - Socio - Spettanza.
Con riguardo a società in nome collettivo costituita da due soli soci - a ciascuno dei quali l'atto costitutivo attribuisce disgiuntamente la firma e la rappresentanza della società con i più ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione - unico legittimo contraddittore del socio, per le controversie relative ai rapporti sociali ed alla liquidazione della quota, non può che essere l'altro socio, non essendo configurabile per quanto riguarda i rapporti interni una volontà ed un interesse della società, come autonomo soggetto giuridico, distinti e potenzialmente antagonisti a quelli dei soci. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Vincenzo SALAFIA Presidente
" Antonio RUGGIERO Consigliere
" Giancarlo BIBOLINI "
" Vincenzo PROTO Rel. "
" Simonetta SOTGIU "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
PAGANONI VERO, elettivamente domiciliato in Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 47, c-o l'avvocato Rinaldo Geremia, che lo rappresenta e difende con gli avvocati Alessandro Borda e Anita De Luca, per delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
CENA CARLA VERA in ZANNI e CENA ANTONELLA in PERRUCCI, quali eredi di Giovanni Cena, elettivamente domiciliate in Roma viale delle Milizie, c-o l'avvocato Roberto Canestrelli, che le rappresenta e difende con l'avvocato Gian Franco Bertinotti, per delega a margine del controricorso.
Controricorrente
avverso la sentenza n. 807-92 della Corte d'appello di Bologna, depositata il 10 luglio 1992;
Udita la relazione svolta dal cons. dott. Vincenzo Proto;
Udito per il ricorrente l'avv. Geremia che chiede l'accoglimento del ricorso;
Udito per il resistente l'avv. Guglielmo Della Fontana, che chiede il rigetto del ricorso;
Udito il P.M., dr. Michele Lugaro, che conclude per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con citazione notificata il 26 marzo 1983 il sig. Giovanni Cena convenne il sig. Vero Paganoni davanti al Tribunale di Torino. Espose di aver costituito col convenuto, giusta contratto in data 9 febbraio 1966, la società "Cena e Paganoni, società in nome collettivo di Cena Giovanni e Paganoni", in Chivasso, avente ad oggetto l'esecuzione di costruzioni civili ed industriali ed ogni altra attività immobiliare, le cui quote (in origine in parti uguali) appartenevano per un terzo al Cena e per due terzi al Paganoni. Precisò che la società aveva costruito due fabbricati in chivasso (uno in piazza Carletti, di cinque paini, e l'altro in via Roma, di un piano) e che il Paganoni aveva fatto eseguire dalla società (nel proprio esclusivo interesse, essendo stati gli immobili edificati su terreno da lui acquistato con denaro avuto in mutuo dalla società) tre complessi immobiliari, denominati condomini Cavour, Venina e Campello; che l'amministrazione e gestione della società era stata assunta, di fatto, dal solo Paganoni, senza rendere il conto della gestione ed ogni altra utile informazione, e che ciò lo aveva indotto ad invitare la controparte allo scioglimento della società ed alla liquidazione delle sopravvenienze attive, previa tacitazione della propria quota di utili in relazione ai condomini Cavour, Venina e Campello. Aggiunse che lo scioglimento era stato, poi, effettuato informalmente, con la divisione del patrimonio sociale e la conseguente attribuzione a suo favore di una parte degli immobili (comprendente quattro unità immobiliari nello stabile di Chivasso, piazza Carletti, ed un'unità immobiliare in quello di via Roma), il controvalore di tre alloggi tipo tra quello di cui ai condomini Cavour, Venina e Campello) ed il riconoscimento di ulteriori spettanze a titolo di utili, mentre restavano da attribuire la proprietà e i controvalori delle attrezzature e di otto mansarde;
che, essendo stata data immediata esecuzione agli accordi, relativamente agli stabili di piazza Carletti e di via Roma (ad eccezione delle mansarde), entrambi avevano preso possesso esclusivo dei beni a ciascuno attribuiti; che gli altri accordi non avevano avuto seguito per l'atteggiamento dilatorio del Paganoni, il quale, con contratto del 7 marzo 1977, aveva ottenuto dall'istituto bancario San Paolo di Torino un mutuo di lire 250.000.000, a nome della società Cena & Paganoni, ma nel proprio esclusivo interesse, iscrivendo ipoteca su tutte le unità immobiliari della società (ad eccezione delle otto mansarde di cui allo stabile di piazza Carletti). Concluse, chiedendo che fosse dichiarato l'avvenuto scioglimento della società, con attribuzione ad ogni socio di determinate unità immobiliari, restando le ipoteche iscritte a carico del convenuto.
Questi si costituì e resistette proponendo una diversa ricostruzione dei fatti. E, dichiarando di aderire alla domanda di scioglimento della società, chiese che fossero attribuite ai soci, nella misura provata in corso di causa, le unità immobiliari appartenenti alla società, con la conseguente liquidazione dell'attivo e relativa ripartizione tra i soci.
Con sentenza del 23 gennaio 1988 il Tribunale dichiarò lo scioglimento della società; respinse la domanda di accertamento degli accordi intervenuti tra i soci circa lo scioglimento stesso; e dispose che si procedesse alla formale liquidazione della società. 2. Su impugnazione del Cena, con sentenza non definitiva del 12 aprile 1990, la Corte d'appello di Torino dichiarò che il 26 marzo 1983 le due parti avevano stipulato un accordo per la liquidazione del patrimonio sociale, in base al quale si era stabilito di attribuire al Cena quattro unità immobiliari site nello stabile di piazza Carletti ed una unità immobiliare in quello di via Roma; e dichiarò che allo stesso spettava un terzo delle otto mansarde ed il controvalore di due unità immobiliari dei condomini Cavour e Campello.
Proseguita l'ulteriore istruttoria, con espletamento di una consulenza tecnica e dell'interrogatorio formale del Paganoni - riassunto, infine, dal Cena con atto del 13 febbraio 1992, il giudizio già cancellato dal ruolo - con sentenza del 10 luglio 1992 (impugnata in questa sede) la Corte d'appello di Torino dichiarò quali degli immobili intestati alla società Cena & Paganoni erano di proprietà dell'appellante e quali di proprietà del Paganoni, condannando quest'ultimo a pagare al Cena la somma (rivalutata) di lire 314.437.883 con gli interessi; dichiarò che gli effetti derivanti dai contratti di mutuo del 7 marzo 1977 e del 1 gennaio 1988 facevano carico esclusivamente al Paganoni, che condannò a provvedere alla cancellazione dell'ipoteca iscritta sulle unità immobiliari spettanti al Cena.
La Corte - premesso che la sentenza non definitiva era ormai passata in giudicato - osservò che, dalle risultanze processuali emergeva che il mutuo era stato stipulato dal Paganoni, utilizzando la ragione sociale, nel proprio esclusivo interesse; e che non ricorrevano le condizioni per la integrazione del contraddittorio nei confronti della società in nome collettivo Cena & Paganoni, in quanto, per un verso, l'eccezione relativa sollevata dal Paganoni era tardiva e, per altro verso, essa era anche infondata, sia perché la sentenza non definitiva aveva pronunciato nei confronti del Paganoni e del Cena, sia perché la società stessa era già stata scelta e si controverteva, ormai, in tema di comunione dei beni. Osservò ancora che, in definitiva, la decisione doveva limitarsi ad esplicitare il contenuto del negozio di scioglimento di cui alla sentenza non definitiva passata in giudicato.
3. Avverso quest'ultima pronuncia il sig. Vero Paganoni ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi. Hanno resistito con controricorso le signore Carla Vera Cena e Antonella Cena, quali coeredi del defunto Giovanni Cena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 161 e 331 c.p.c., censura la decisione impugnata per aver considerato tardiva l'eccezione, sollevata dal Paganoni, relativa al difetto del contraddittorio nei confronti della società Cena & Paganoni e che la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare, comunque, d'ufficio. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 161 e 331 c.p.c. e degli artt. 2272, 2275, 2643, 2284 c.c., deduce che, in assenza della società Cena & Paganoni, titolare del diritto conteso, non era possibile pronunciarne lo scioglimento e attribuire i beni sociali ai soci, anche perché la società continua a rimanere in vita sino alla attuazione della liquidazione.
1.2. Occorre premettere che il Tribunale di Torino aveva dichiarato (sull'accordo delle parti) l'"avvenuto scioglimento della società Cena & Paganoni" costituita a suo tempo dai due soci, e la Corte d'appello, con sentenza non definitiva, si era pronunciata in merito all'"accordo di liquidazione del patrimonio della Cena & Paganoni" e all'"attribuzione in natura" pattuita dalle parti, senza l'intervento o la vocatio in ius della società "Cena & Paganoni". 1.3. La censura, che entrambi i motivi ora prospettano, attiene, dunque, alla necessità o meno di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti della società, come autonomo centro di imputazione giuridica, nella ipotesi in cui, vertendosi in tema di società di persone, i soci agiscano o siano convenuti in giudizio da uno di essi per lo scioglimento e la liquidazione e ripartizione del patrimonio sociale.
La questione è stata, già da tempo, risolta da questa Corte, con orientamento univoco, nel senso che, nei giudizi relativi a società di persone, per la regolare costituzione del contraddittorio, è sufficiente la presenza di tutti i soci, non essendo configurabile un interesse della società, come autonomo soggetto giuridico, che non si identifichi con la somma degli interessi dei soci medesimi (cfr., tra le altre, Cass. 7 marzo 1990 n. 1799; Cass. 7 novembre 1983 n. 6566; 24 giugno 1980 n. 3962; nonché, per le società collettive irregolari, Cass. 1 agosto 1990, n. 7663; Cass. 19 ottobre 1966 n. 2543;).
Il principio richiamato, che il Collegio condivide, è tanto più valido nella fattispecie, in cui, trattandosi di società collettiva costituita da due soli soci - a ciascuno dei quali l'atto costitutivo attribuiva, "disgiuntamente", "la firma e la rappresentanza della società" "con i più ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione e di disposizione" - unico legittimo contraddittore del socio, per le controversie relative ai rapporti sociali ed alla liquidazione della quota, non poteva che essere l'altro socio. In tale situazione, infatti, non era prospettabile un centro di imputazione di rapporti negoziali e processuali differenziato rispetto a quello dei soci, e, per quanto riguarda i rapporti interni (che è quello di cui si discute), una volontà e un interesse della società distinti e potenzialmente antagonisti a quelli dei soci. La censura è, dunque, infondata. Restano assorbiti gli ulteriori profili concernenti la rilevabilità d'ufficio del vizio del contraddittorio svolti sul punto del ricorrente.
2.- Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2267, 2293, 2298, 2304, 2697 c.c., deduce l'errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere che gli effetti della iscrizione delle due ipoteche dovessero restare a carico esclusivo del Paganoni, malgrado non fosse stata dimostrata l'utilizzazione personale esclusiva delle somme oggetto dei mutui da lui contratti con l'Istituto Bancario San Paolo di Torino.
2.1. Anche questo motivo è infondato.
La Corte d'appello, ha, innanzi tutto, accertato, in fatto, che il Paganoni aveva stipulato, a nome della società da lui rappresentata, con l'istituto di credito due contratti di mutuo - il primo, in data 7 marzo 1977, di lire 250.000.000 ed il secondo, in data 1 giugno 1988, di lire 600.000.000 - utilizzando le somme ricevute nel suo esclusivo, personale interesse. Ha, quindi, ritenuto che gli obblighi relativi (da parte del mutuatario) dovevano ricadere sul Paganoni, che ne era stato l'effettivo beneficiario, condannandolo, conseguentemente, a farsi carico, per un verso, degli effetti derivanti da entrambi i contratti; per altro verso, a provvedere alla cancellazione dell'ipoteca iscritta il 1 aprile 1977 sulle unità immobiliari attribuite (in sede di liquidazione) al Cena. 2.2. Il ricorrente censura la pronuncia della Corte d'appello, deducendo che mancherebbe la prova circa l'uso personale esclusivo del denaro ricevuto in mutuo.
Ma la doglianza, nei termini in cui è formulata, è senza consistenza, perché la sentenza impugnata, alla stregua delle risultanze processuali, ha motivato il proprio apprezzamento circa l'indebita utilizzazione del denaro oggetto di entrambi i mutui stipulati con l'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, in base alle dichiarazioni rese dello stesso Paganoni in sede di interrogatorio formale (con riferimento al secondo contratto) e alla deposizione della teste Alice Cena Paganoni (con riferimento al primo). E, trattandosi di valutazione istituzionalmente riservata al giudice del merito, sorretta da congrue argomentazioni, essa è insindacabile in sede di legittimità.
3. In conclusione, non sussistono i vizi denunciati ed il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative a questa fase.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, liquidate in complessive lire 3.749.200, di cui lire 3.500.000 per onorari.
Così deciso il 14 dicembre 1993, in Roma, nella camera di consiglio della prima Sezione civile.