Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6238 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 03 Aprile 1993, n. 4053. Est. Baldassarre.
Azienda - Cessione - In genere - Imprenditore individuale - Cessione ad un terzo di una quota ideale dell'azienda - Conseguenze - Comunione di godimento - Configurabilità - Esclusione - Società di fatto - Configurabilità - Successiva alienazione della quota - Dimostrazione - Prova per testi - Ammissibilità.
L'acquisto da parte di un terzo di una quota ideale dell'azienda, già gestita, a scopo di profitto, dall'originario imprenditore individuale, determina fra le parti, in difetto di espressa pattuizione contraria, l'insorgere non già della comunione di godimento di cui l'art. 2248 cod. civ. - la quale non è configurabile nel caso in cui l'oggetto di comune utilizzazione sia costituito non dai vari beni che costituiscono l'azienda, ma da questa stessa, secondo la sua strumentale destinazione all'esercizio dell'impresa -, bensì di una società di fatto, col corollario che la successiva alienazione della quota è suscettibile di dimostrazione anche attraverso la prova testimoniale, in applicazione delle norme che disciplinano la società irregolare e con esclusione dell'applicabilità dell'art. 2556 cod. civ. che impone la prova scritta per il trasferimento della proprietà o del godimento dell'azienda. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Vincenzo SALAFIA Presidente
" Vincenzo BALDASSARRE Rel. Consigliere
" Giuseppe BORRÈ "
" Angelo GRIECO "
" Rosario DE MUSIS "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
ANTONIO GIGLIO, elettivamente domiciliato in Roma, Largo del Teatro Valle n. 6, presso l'avv. Gustavo Minervini, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti.
Ricorrente
contro
ANGELA DE SIMONE (in qualità di erede di RAFFAELE SORRENTINO, deceduto), elettivamente domiciliata in Roma, viale Tito Livio n. 59, presso l'avv. Nicolò Lipari che la rappresenta e difende con gli avv.ti Raffaele Palomba e Giuseppe Palma giusta delega in atti. Controricorrente
e contro
1) ABBAGNALE SILVANA,
2) IACCARINO LAURA ved. FODDAI nella qualità di erede di FODDAI ANGELO.
3) FODDAI MARIA ROSA nella qualità di erede di FODDAI ANGELO. 4) FODDAI GIOVANNI nella qualità di erede di FODDAI ANGELO. Intimati
e sul secondo ricorso n. 8386-89.
ABBAGNALE SILVANA, elettivamente domiciliata in Roma, via Tibullo n. 10, presso l'Avv. Luigi Delli Paoli, rappresentata e difesa dall'Avv. Alfonso Falcone, giusta delega in atti.
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
1) GIGLIO ANTONIO
2) ANGELA DE SIMONE (in qualità di erede di SORRENTINO RAFFAELE - deceduto)
3) IACCARINO LAURA ved. FODDAI, nella qualità di erede di FODDAI ANGELO
4) FODDAI GIOVANNI, nella qualità di erede di FODDAI ANGELO 5) FODDAI MARIA ROSA nella qualità di erede di FODDAI ANGELO Intimati
Avverso la sentenza n. 627 della Corte d'Appello di Napoli del 20.4.89.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24.11.1992 dal Cons. Rel. Dott. Baldassarre.
Udito per il ricorrente l'avv. Minervini che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.
Udito per il resistente l'avv. Lipari che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott., A. Martone che ha concluso per il rigetto del 1 , 2 e 3 motivo del ricorso principale, assorbito il 4 ; accoglimento del 1 motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri.
(N.D.R.: La discordanza fra i nomi delle Parti citate nell'intestazione e nel testo della sentenza è nell'originale della sentenza).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) - Con citazione del 4 giugno 1977 Silvana Abagnale esponeva che con scrittura privata 20 ottobre 1975 Raffaele Sorrentino le aveva venduto il 25% dell'azienda "Albergo Europa Palace" di Sorrento, della quale lo stesso era proprietario, in parti indivise ed eguali, con Angelo Fondai, per il prezzo di Lit. 22.500.000, di cui Lit. 17.500.000 versate all'atto della sottoscrizione;
che non era stata attuata la prevista regolarizzazione della scrittura, ne' le era stata fornita la contabilità aziendale, essendosi la controparte limitata ad esibire una notula portante debiti (non attendibili) per oltre trenta milioni;
che aveva convocato il Sorrentino e Foddai innanzi ad un notaio, ma il primo, che aveva frattanto acquistato dal secondo l'altra metà dell'azienda con rogito 26 agosto 1976 per notar Chiarello, aveva replicato deducendo di ritenersi sciolto da ogni impegno per inadempienza dell'istante;
che, in effetti, con la scrittura del 20 ottobre 1975 era stata posta in essere una società di fatto, sicché la vendita tra il Foddai ed il Sorrentino non poteva essere fatta senza il di lei consenso.
Sulla base di tali premesse, conveniva entrambi innanzi al Tribunale di Napoli per sentir disporre, previo sequestro giudiziario dell'azienda alberghiera, l'esecuzione in forma specifica del contratto in data 20 ottobre 1975 e dichiarare la nullità del predetto rogito 26 agosto 1976.
i convenuti si costituivano in giudizio e - mentre Foddai faceva solo riserva di richieste istruttorie e difese - il Sorrentino deduceva che, quando in data 12 gennaio 1975 aveva acquistato dal Foddai la quota del 50% dell'azienda, sino ad allora individuale, era stato pattuito che detta quota sarebbe rimasta di proprietà comune di esso Sorrentino e di Giuseppe Abagnale, padre di Silvana (del tutto estranea all'operazione), il quale non aveva dato, però, alcun contributo alla gestione aziendale, mentre Silvana Abagnale non aveva versato la residua somma di Lit. cinque milioni, come da obbligo assunto al momento della stipula della scrittura 20 ottobre 1975; che sin dal 9 novembre 1975 il Foddai, tenuto conto delle enormi passività a cui esso Sorrentino faceva fronte, gli aveva ceduto la propria metà dell'azienda, della quale era stata formalizzata la cessione con il predetto rogito per notar Cariello; che, mentre pendevano le trattative per definire l'assetto societario, nell'ottobre 1975 gli era stato comunicato che Silvana Abagnale aveva ceduto la propria quota ad Antonio Giglio. Opponendosi al richiesto sequestro, chiedeva, quindi, di poter chiamare in causa Giuseppe Abagnale e, nel merito, rigettarsi la domanda. Avanzava inoltre domanda riconvenzionale per sentir dichiarare la risoluzione del negozio intercorso con gli Abagnale per inadempimento di costoro, la simulazione della scrittura 20 ottobre 1975 e condannare in solido gli stessi Abagnale al pagamento sia del residuo prezzo di Lit. 5.000.000 sia di quanto anticipato per la gestione dell'azienda, oltre al risarcimento dei danni.
Nel giudizio si costituiva Antonio Giglio, nella qualità di procuratore speciale di Silvana Abagnale.
Il procuratore del Sorrentino deduceva quindi che la Abagnale con scrittura del 18 febbraio 1978 aveva alienato in favore dello stesso Sorrentino la propria quota di proprietà dell'Albergo Europa Palace e revocato la procura rilasciata al Giglio.
2) - Con citazione del 12 febbraio 1979 Antonio Giglio, assumendo che con la predetta scrittura 20 ottobre 1975 la quota del 25% dell'azienda di cui sopra era stata acquistata da lui per l'interposta persona di Silvana Abagnale e con accordo fraudolento ai suoi danni era stata ceduta a Sorrentino, conveniva davanti al Tribunale di Napoli Raffaele Sorrentino e Silvana Abagnale per sentirsi dichiarare titolare della quota suddetta, con condanna del Sorrentino alla restituzione della medesima e di entrambi i convenuti al risarcimento del danno.
Resisteva alla domanda il Sorrentino.
3) - Quest'ultimo con citazione del 22 marzo 1979 evocava in giudizio innanzi allo stesso Tribunale Silvana Abagnale, chiedendo dichiararsi di proprietà piena ed esclusiva di costei la quota di azienda rivendicata dal Giglio, previo accertamento che ella aveva agito in nome e per conto proprio, e, quindi, valida ed efficace la successiva vendita di cui all'atto 18 febbraio 1978; in subordine, dichiarata la mala fede della convenuta, condannarsi la stessa ai danni.
4) - Disposta la riunione dei tre giudizi, era assunta prova per testi.
Quale convenuta si costituiva Silvana Abagnale, la quale - premesso che nei rapporti col Sorrentino aveva agito per interposta persona del padre, che la quota acquistata dal Sorrentino non era stata pagata con danaro proprio, che nulla aveva ricevuto per il ritrasferimento della quota stessa, che aveva sottoscritto gli atti secondo le indicazioni del genitore, che non aveva ricevuto pagamenti dal Giglio - chiedeva il rigetto della domanda contro di lei proposta.
Con sentenza 7 maggio 1986 il Tribunale: 1) dichiarava inammissibile l'intervento in causa spiegato da Antonio Giglio quale procuratore speciale di Silvana Abagnale; 2) dichiarava inammissibile la domanda di rendiconto proposta dal Giglio nei confronti di Raffaele Sorrentino, di cui alle conclusioni del 19 febbraio 1985; 3) dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda proposta da Silvana Abagnale nei confronti di Raffaele Sorrentino ed Angelo Foddai con l'atto del 4 giugno 1977, nonché in ordine alla riconvenzionale spiegata dal Sorrentino; 4) rigettava la domanda proposta da Antonio Giglio nei confronti di Silvana Abagnale e di Raffaele Sorrentino con la citazione del 12 febbraio 1979, dichiarando la validità ed efficacia della vendita di quota aziendale fatta dalla Abagnale in favore del Sorrentino con il contratto del 18 febbraio 1978; 5) dichiarava assorbita la domanda proposta da Sorrentino nei confronti di Silvana Abagnale con l'atto notificato il 22 marzo 1977; 6) condannava il Giglio alle spese in favore del Sorrentino, compensandole tra le altre parti. Per la riforma di tale sentenza il Giglio proponeva appello, al quale resistevano il Sorrentino e Silvana Abagnale. Il primo riproponeva la già svolta eccezione d'inammissibilità della prova testimoniale e spiegava, in via subordinata, appello incidentale (condizionato all'accoglimento dell'impugnazione del Giglio) per la condanna della Abagnale al risarcimento del danno. 5) - Con sentenza 10 marzo-10 aprile 1989 la Corte d'appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l'appello di Antonio Giglio nella qualità di procuratore speciale di Silvana Abagnale; ha rigettato quello svolto dallo stesso in proprio contro Raffaele Sorrentino, disponendo la rivalsa delle spese in favore di questi; ha accolto l'appello proposto dallo stesso Giglio nei confronti della Abagnale e, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, ha condannato l'appellata al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, ed al rimborso della metà delle spese.
Premesso che, stante la costituzione in giudizio dell'Abagnale in proprio, la procura di costei rilasciata al Giglio è da ritenersi revocata, rendendo inammissibile l'appello in tale veste proposto - la Corte territoriale ha ritenuto pure inammissibile la prova per testi ammessa ed espletata in prime cure, osservando che la causa riguarda la cessione di una quota di azienda e non di una società irregolare, giusta la costante qualificazione fornita dalle stesse parti nei vari atti, e che, per tanto, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 2724 cod. civ., opera il divieto sancito dall'art. 2256, comma 1 , cod. civ..
La Corte ha disatteso poi i motivi d'appello principale riguardanti l'inammissibilità dell'intervento del Giglio nel giudizio promosso da Silvana Abagnale, atteso che l'interventore non si era reso portatore di un interesse proprio (intervento, per altro, superato dalla proposizione, da parte del Giglio, di una propria domanda) e la dichiarata cessazione della materia del contendere, trattandosi di pronuncia rispetto alla quale l'appellante principale risulta, allo stesso modo, carente d'interesse.
Passando alla posizione di Silvana Abagnale la Corte napoletana ha giudicato non condivisibile la decisione del Tribunale riguardante la controdichiarazione datata 20 ottobre 1975, con la quale la stessa riconobbe di avere agito quale persona interposta del Giglio, ed ha considerato, sulla scorta dell'art. 116 cod. proc. civ., che, se la tardiva esibizione della scrittura non depone a favore dell'appellante, dal canto suo l'Abagnale, che avrebbe potuto far valere soltanto la simulazione, con esclusione, per altro, della prova per testimoni e per presunzione, ha finito per riconoscere di avere sottoscritto la controdichiarazione senza addurre elementi utili ad infirmare l'efficacia probatoria in suo danno. Di conseguenza la stessa Abagnale deve essere ritenuta responsabile del pregiudizio arrecato al Giglio col vendere la stessa quota al Sorrentino.
Ha escluso al contrario, che la controdichiarazione, priva di data certa, sia opponibile al Sorrentino, per non essere stato lo stesso in buona fede, atteso che non è dato desumere la certezza della data dell'atto in data 22 settembre 1977, con la quale è stata conferita dalla Abagnale al Giglio la procura speciale. Difatti non può intendersi che questa, quale "atto esecutivo del rapporto instaurato con la scrittura inter partes datata 20 ottobre 1975", faccia riferimento alla controdichiarazione, e non alla scrittura con la quale l'Abagnale aveva acquistato la quota aziendale e in relazione alla quale aveva già promosso il giudizio. Nè, ad avviso del Giudice dell'appello, la buona fede può essere negata perché nella sua prima comparsa di costituzione il Sorrentino dedusse che nel 1977, richiesto dall'Abagnale padre di definire i loro rapporti, non volle aderire avendo appreso che Silvana Abagnale aveva ceduto la quota al Giglio, in quanto ogni dubbio al riguardo fu fugato dalla contraria assicurazione, fatta dalla stessa Abagnale nell'atto di vendita, di essere tuttora proprietaria della quota. Ed inoltre la mala fede del Sorrentino non può desumersi dalla prova orale, atteso che la già dichiarata inutilizzabilità "non rende inopportuna la notazione dell'esito negativo di quel mezzo, dimostrato dal Tribunale con una disamina completa, profonda e tanto logicamente irreprensibile da non essere scalfita dalle critiche dell'appellante".
Confermata, per tanto, la validità della vendita del 18 febbraio 1978 ed accertato che l'appellante non è stato mai comproprietario dell'azienda, la Corte del merito ha rilevato che "sarebbe mera esercitazione teorica discutere dell'ammissibilità o meno della richiesta del rendiconto della gestione dell'albergo", e che, se la relativa domanda non fosse nuova, essa è stata, comunque giustamente rigettata dal Tribunale.
6) - Ricorre per la cassazione della sentenza d'appello il Giglio sulla base di quattro motivi illustrati da memoria.
Resistono Silvana Abagnale, che affida al controricorso tre motivi di ricorso incidentale, e con distinto controricorso e memoria Angela De Simone, in qualità di erede di Raffaele Sorrentino, deceduto successivamente alla notifica del ricorso.
Non svolgono attività difensiva gli eredi Angelo Foddai, pur avendo avuto regolare notifica degli atti d'impugnazione. MOTIVI DELLA DECISIONE
1) A norma dell'art. 335 cod. proc. civ., va disposta la riunione al ricorso principale, proposto da Antonio Giglio, di quello incidentale di Silvana Abagnale.
Di tali ricorsi presentano nessi di connessione e vanno, per tanto, congiuntamente trattati il primo motivo dell'impugnazione principale ed il secondo mezzo del gravame incidentale, con il quale a detto primo motivo si fa espressa adesione.
Il ricorrente principale, denunziando violazione e falsa applicazione degli art. 115, comma 1 cod. proc. civ., 2556, comma 1 , 1706, comma 1 , 1147, 2028 ss. cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la duplice motivazione resa dalla Corte d'appello in relazione alla mancata ammissione della prova per testi.
Assume, quindi, che, con l'accertata gestione dell'azienda alberghiera in comune tra il Foddai ed il Sorrentino, si è dato luogo, giusta la giurisprudenza di questa Corte Suprema (sent. nn. 4355-83, 1959-82, 1366-75, 2430-73, 1810-68) e come ritenuto dal Tribunale, ad una società di fatto ed al trasferimento di una quota di essa; non già dell'azienda, secondo l'affermazione, basata su criteri meramente nominalistici, della Corte d'appello, alla quale ascrive anche di non essersi posto il problema se l'art. 2556, primo comma, cit. sia applicabile al mandato avente ad oggetto acquisto di aziende o di loro quote.
Con riguardo alla seconda motivazione addebita al Giudice di MOTIVI DELLA DECISIONE
secondo grado di essersi limitato ad una mera dichiarazione di adesione alle ragioni svolte dal Tribunale a sostegno del rigetto della richiesta di prova orale, senza tenere alcun conto della specifica confutazione delle medesime.
La ricorrente incidentale, nel denunciare, con il secondo mezzo, violazione e falsa applicazione degli artt. 2556, primo comma, e 2697 cod. civ. e nell'aderire al primo motivo del ricorso principale, soggiunge che la necessità di una prova per testi risedeva anche nell'esigenza di accertare gli effettivi rapporti giuridici posti in essere dalle parti, in presenza degli assunti e delle pretese del Giglio e del Sorrentino, dell'atto per notar Cariello 26.8.1976, che aveva ignorato le scritture 12 gennaio e 20 ottobre 1975, dell'ammissione delle controparti che Silvana Abagnale era soltanto prestanome del padre.
2) - L'adozione da parte del giudice del merito di alternative motivazioni e la loro rituale confutazione con i motivi di ricorso impongono a questa Corte di legittimità l'esame e la valutazione di tutte le esposte censure, potendo ciascuna di tali motivazioni sorreggere, di per sè, la decisione del punto a cui è riferita. Nella specie la Corte territoriale, che ha premesso alla trattazione del merito la soluzione (in senso negativo) della questione relativa all'ammissibilità della prova per testi, di questa si è di nuovo occupata a conclusione dell'indagine relativa alla buona fede del Sorrentino, osservando che l'"accertata inutilizzabilità" della prova orale "non rende inopportuna la notazione dell'esito negativo di quel mezzo, dimostrato dal Tribunale con una disamina completa, profonda e tanto logicamente irreprensibile da non essere scalfita dalle critiche dell'appellante".
Si tratta di una notazione che, da un lato, dà atto della proposizione di doglianze avverso la pronuncia resa sul punto dal primo giudice; dall'altro, ad esse (senza specificarle) replica con il richiamo degli stessi apprezzamenti censurati, offrendo una motivazione di mero rinvio, che non acquista diversa portata per effetto della positiva qualificazione data a tali apprezzamenti. È, al contrario, legittima la motivazione della sentenza per relationem solo quando il giudice dell'appello, richiamando nella sua pronuncia gli elementi essenziali della sentenza di primo grado, non si limiti a farli propri, ma confuti le censure contro di essi formulate con i motivi di gravame (conf. sent. nn. 383-90, 7170-87, 681-82, tra le altre). Nello stesso senso è la sent. n. 4382-88, richiamata dalla controricorrente De Simone, con la quale si chiarisce soltanto come l'esigenza di una autonoma motivazione venga meno nelle "ipotesi estreme" di motivi di appello che si esauriscano in una mera apodittica enunciazione di contrasto oppure in argomentazioni tutte già confutate dal giudice di primo grado, e come sia sufficiente, in tali casi, il richiamo degli elementi di fatto e le considerazioni di diritto utilizzati dallo stesso primo giudice.
Nella specie la motivazione censurata opera, come si è visto, un mero rinvio e nemmeno accenna ad insufficienza dei motivi d'appello;
insufficienza che, per altro, non è dimostrata da controparte e non risulta.
Venuta meno la seconda (e nell'economia della sentenza secondaria) ragione motiva, si deve passare all'esame della prima. 3) - La Corte del merito, nell'accogliere l'eccezione preliminare d'inammissibilità della prova per testi, ha ritenuto accertato che la controversia riguarda la cessione di una quota di azienda e non di una società irregolare; e ciò sulla base del dato letterale desunto dagli atti posti in essere dalle parti (atto per notar Cariello del 26 agosto 1976 intercorso tra Foddai e Sorrentino; scrittura data 18 febbraio 1978 tra Silvana Abagnale e Sorrentino; atto preliminare di cessione d'azienda tra Foddai e Sorrentino del 9 novembre 1975;
scrittura privata tra la Abagnale e Giglio del 25 ottobre 1975), nei quali si fa sempre riferimento ad una parte dell'azienda alberghiera Europa Palace.
Rimanendo al profilo della formulazione lessicale, si deve rilevare che in motivazione i termini "quota" e "parte" dell'azienda sono valutati come equivalenti, là dove, anche nell'accezione codicistica (c. artt. 1101, 2289, 2476, ecc.), il primo (ma non il secondo) sta ad indicare il carattere ideale ed astratto della frazione, non correlato cioè a porzioni definite di beni (o complessi di beni).
Per altro, quando si tratti di dare esatta qualificazione agli atti di parte, al fine di individuare le norme ed i principi applicabili ai rapporti con essi regolati, il giudice non può assegnare rilevanza decisiva alla terminologia usata e deve disattenderla, se risulti in contrasto con l'esatto inquadramento giuridico delle sostanziali previsioni e pattuizioni. In particolare, qualora gli atti dedotti in giudizio facciano riferimento a situazioni ricollegabili a società di fatto, nella quale il momento negoziale e quello operativo del rapporto sono connessi (conf. sent. n. 4558-79), l'accertamento relativo all'esistenza del contratto sociale deve essere incentrato sullo svolgimento in concreto di un'attività economica idonea a produrre lucro (nel duplice aspetto oggettivo e soggettivo) e sulla presenza di strutture sociali atte a farlo conseguire.
4) - le norme degli artt. 2247 e 2248 cod. civ. definiscono e contrappongono gli istituti giuridici della società, intesa come contratto con il quale due o più persone conferiscono beni e servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili, e la comunione a scopo di godimento, che è quella situazione costituita o mantenuta, prescindendo dalla stipula di apposito contratto, al solo scopo di godere di una o più cose secondo le norme degli artt. 1100 e segg. dello stesso codice. Posto che anche nella società si verifica un conferimento di beni o il fenomeno di una massa di beni comuni, la differenza va ricercata nella prevalenza nella comunione dell'elemento statico, contrapposto a quello dinamico della società, nella quale i beni non sono goduti secondo la destinazione loro propria, ma vanno a costituire il fondo comune e diventano lo strumento per compiere la prevista attività imprenditoriale, i cui utili saranno poi ripartiti tra le parti (conf. sent. nn. 4446-82, 4644-79, 4558-89 cit.).
La trasformazione della comunione in società, ovvero la costituzione di questa accanto alla prima possono risultare, oltre che da espressa pattuizione, anche attraverso il comportamento che, in concreto, i comproprietari attuano, svolgendo di fatto attività d'impresa e utilizzando a tale scopo i beni comuni.
Un'ipotesi siffatta si avvera, di norma in presenza di comunione ereditaria costituita da (o di cui faccia parte) una azienda, allorché tutti o alcuni degli eredi, invece di limitarsi al mero godimento in comune dell'azienda relitta (come avviene con l'affitto dell'azienda stessa), la utilizzino per continuare l'esercizio dell'impresa a cui si riferisce; mentre si avrà una impresa individuale se l'esercizio sia assunto da uno solo dei partecipanti alla comunione (conf. sent. nn. 1251-84, 4355-83, 1366-75, 2439-73, 1810-68).
Se l'azienda caduta nell'eredità non dovesse essere utilizzata come tale (dagli eredi o da terzi) e fosse sottratta, quindi, alla sua naturale destinazione imprenditoriale, l'azienda stessa, quale autonomo oggetto di diritto, cesserebbe di esistere per il venir meno del requisito essenziale dell'organizzazione ad opera dell'imprenditore.
5) - Sulla base delle considerazioni che precedono si può affermare, in linea generale, che l'art. 2248 cod. civ. limita il concetto di comunione o quella costituita o mantenuta a scopo di godimento, escludendo l'ammissibilità della comunione d'impresa (così in motivazione Cass. n. 5862-87; sempre in motivazione, nello stesso senso, anche se discorde nella soluzione della specifica questione relativa ai conferimenti immobiliari, Cass. n. 3631-85;
conf. sent. cit. n. 1251-84).
Difatti, il godimento dell'azienda, che si realizzi con il diretto uso della medesima e profitto dei partecipanti alla comunione, dà luogo - quale conseguenza necessaria della particolare natura del bene azienda, che presuppone la titolarità dell'imprenditore e l'organizzazione da lui attuata - all'esercizio dell'impresa, che, stante la pluralità di soggetti, non può che essere sociale. 6) - Quando non preesista una comunione e all'atto della stipula non venga espressamente pattuita l'esclusione dell'esercizio dell'impresa, l'acquisto di una quota ideale dell'azienda, già gestita, allo scopo di trarne profitto, dall'originario imprenditore individuale, insorge tra le parti, per effetto immediato della sopravvenuta contitolarità e del proseguito esercizio dell'attività, una società di fatto e, ove la natura dell'attività sia commerciale, una società in nome collettivo irregolare. Nella specie, la Corte d'appello ha accertato che "la causa riguarda la cessione di una quota di azienda", intendendo per quota quella ideale, determinata in misura percentuale, e non parti o settori determinate o singoli beni dell'azienda alberghiera. Non espone però alcuna specifica ragione per smentire quanto risulta dalle premesse di fatto, riassunte nello "svolgimento del processo", e cioè che sia la Abagnale che il Sorrentino hanno espressamente dedotto l'esistenza di una società di fatto (venuta meno in pendenza del giudizio per effetto della cessione della quota al Sorrentino) e che tutte le parti hanno allegato sin dall'origine e poi ribadito circostanze indicative di una gestione collettiva dell'azienda alberghiera a seguito della cessione del 50% di essa da parte dell'imprenditore individuale Foddai al Sorrentino. Non può escludersi, per tanto, che la stessa Corte, se avesse avuto presente l'esatto principio in tema di comunione d'impresa e avesse compiuto congrui e motivati apprezzamenti, sarebbe potuta pervenire, in tesi, alla conclusione che l'unico titolare dell'azienda alberghiera, Foddai e l'acquirente Sorrentino avevano posto in essere una società di fatto, e avrebbe potuto trarre da ciò conseguenze diverse da quelle raggiunte in ordine all'ammissibilità della prova orale, ravvisando nel successivo acquisto (del ricorrente Giglio ovvero di uno degli Abagnale), su cui qui si controverte, una cessione di quota sociale, invece che di azienda; posto che per il trasferimento della quota di società irregolare (art. 2297 cod. civ.) non è necessaria la prova scritta, prevista invece dall'art. 2556 cod. civ. per il trasferimento della proprietà o dal godimento dell'azienda.
7) - Per le esposte ragioni il primo motivo del ricorso principale ed il secondo di quello incidentale debbono essere accolti, con la cassazione della sentenza in ordine ai punti riguardanti l'ammissibilità e la valutazione della prova per testi. I mezzi accolti attengono a punti della decisione e questioni di carattere prioritario e, per tanto, il loro accoglimento assorbe tutti i rimanenti motivi, logicamente gradati, ferma la facoltà delle parti interessate di riproporre in sede di rinvio le relative istanze ed eccezioni, non altrimenti precluse.
Consegue la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Napoli, la quale, procedendo a nuovo esame della causa, dovrà fare applicazione del principio di diritto enunciato nel precedente paragrafo.
Al Giudice del rinvio va demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale ed il secondo di quello incidentale; dichiara assorbiti gli altri motivi in relazione ai motivi accolti cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte d'appello di Napoli.
Così deciso il 24 novembre 1992