Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16122 - pubb. 09/11/2016

Condanna per lite temeraria: la Cassazione condanna a 20.000 euro ex art. 96 c.p.c.

Cassazione civile, sez. III, 29 Settembre 2016, n. 19285. Est. Graziosi.


Responsabilità processuale aggravata – Art. 96 comma III c.p.c. – Natura giuridica – Condanna sanzionatoria e non risarcitoria – Chiarimenti – Quantum



La ratio dell’istituto delineato nell’art. 96 comma 3 c.p.c. è assolutamente pubblicistica, come conferma d’altronde la natura sanzionatoria e non risarcitoria della condanna. Si tratta, invero, di un presidio del processo dal suo abuso, ovvero dalla lesione dell’interesse collettivo, id est pubblico, a un adeguato funzionamento del sistema giurisdizionale, che ovviamente si rispecchia sull’esigenza della ragionevole durata del processo. La norma presuppone anche un criterio di imputazione soggettiva, da intravedere nel dolo o nella colpa grave. Quantomeno abuso con colpa grave deve riscontrarsi in una impugnazione che travisa un contenuto chiaro e lineare del provvedimento impugnato, attribuendo ad esso un contenuto diverso per sostenere la propria tesi di impugnante. E ancora, deve riconoscersi un abuso con mala fede o colpa grave nel caso in cui, senza alcun dubbio, l’impugnazione viene utilizzata per una funzione diversa da quella che il legislatore le affida. Così avviene, per esempio, qualora si presenti una impugnazione esclusivamente di merito dinanzi al giudice di legittimità (cfr. in quest’ultimo senso la già citata Cass. sez. 6 - 3, ord. 22 febbraio 2016 n. 3376). Infine, non può non rilevare quel che è sempre stato il presupposto sotto il profilo soggettivo già del primo comma dell’articolo 96, cioè la conclamata infondatezza (la "temerarietà") della prospettazione giuridica con cui si agisce o con cui ci si difende, vale a dire una inconsistenza giuridica percepibile che avrebbe dovuto indurre dal farla valere (cfr. ancora la già citata Cass. sez. 6 - 3, ord. 18 novembre 2014 n. 24546, nonché Cass. sez. 3, 30 dicembre 2014 n. 27534 e Cass. sez. 6 - 3, 21 gennaio 2016 n. 1115): infondatezza che non rileva soltanto in relazione al diritto sostanziale, ma deve rapportarsi anche al rito processuale, e dunque a quanto concerne le modalità di proposizione del diritto sostanziale (per esempio, una rappresentazione del diritto sostanziale del tutto generica ed assertiva, priva di alcuna specifica illustrazione). Tutti aspetti che, ovviamente, sono ben idonei a riflettersi, previo il necessario accertamento su chi ha operato nel caso concreto le scelte abusive, sulla responsabilità professionale del difensore: nel caso in cui questa sussista e l’assistito agisca nei confronti del suo avvocato, viene a configurarsi - logico e inevitabile completamento del presidio posto dal legislatore a una corretta utilizzazione dello strumento processuale - una fattispecie di sanzione per via indiretta a carico della parte tecnica in forza di iniziativa della parte sostanziale (aspetto, questo, che non a caso riecheggia parzialmente l’altro affidamento all’iniziativa privata che si rinviene nell’articolo 96, terzo comma, cioè, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, la riscossione ad opera della parte vittoriosa della sanzione dal suo avversario), così giungendo tendenzialmente a un pieno effetto deflattivo/preventivo di tutela dell’adeguato funzionamento del sistema giurisdizionale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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