Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 10329 - pubb. 17/04/2014

Processo tributario: legittima la mediazione obbligatoria, incostituzionale l’inammissibilità conseguente al mancato esperimento della stessa (quali ricadute sul dlgs 28/2010?)

Corte Costituzionale, 16 Aprile 2014, n. 98. Est. Mattarella.


Contenzioso tributario – Art. 17-bis dlgs 546/92 – Nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 – Controversie di valore non superiore a 20.000 euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate – Obbligo di presentare preliminarmente reclamo ed eventuale proposta di mediazione ad organo della stessa Amministrazione – Previsione a pena di inammissibilità del ricorso, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio – Illegittimità costituzionale.



La garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non implica necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e tale tutela, essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri − in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo – che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia. È questo il caso del reclamo e della mediazione tributari, i quali, col favorire la definizione delle controversie (che rientrino nel menzionato ambito di applicazione dei due istituti) nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo, tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie e, conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui (che, nell’àmbito di quelli promossi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, comportano le più rilevanti conseguenze finanziarie per le parti). La previsione dell’obbligo della preliminare presentazione del reclamo non víola, pertanto, nessuno degli invocati parametri. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Diversa è la questione che investe esclusivamente il comma 2 dell’art. 17-bis (dove è stabilita la sanzione dell’inammissibilità del ricorso per la mancata presentazione del reclamo, nonché la rilevabilità d’ufficio di tale inammissibilità in ogni stato e grado del giudizio). La giurisprudenza costituzionale, nell’affermare − come si è visto − la legittimità di forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri quando questi siano finalizzati al perseguimento di interessi generali, ha tuttavia precisato che, anche là dove ricorra tale circostanza, il legislatore «è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa» e dunque  «deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile» e deve operare un «congruo bilanciamento» tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire. In linea con tale prospettiva, la Corte delle Leggi ha più volte dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’art. 24 Cost., di disposizioni che comminavano la sanzione della decadenza dall’azione giudiziaria in conseguenza del mancato previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo. Coerentemente con tali precedenti, deve quindi affermarsi che la previsione, di cui al censurato comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 − secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo da parte del contribuente determina l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) − comportando la perdita del diritto di agire in giudizio e, quindi, l’esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in contrasto con l’art. 24 Cost. Il comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel suo testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso a opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge n. 147 del 2013, deve, perciò, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo. Resta, ovviamente, estranea all’oggetto del presente giudizio ogni valutazione in ordine alla legittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 17-bis nel testo attualmente vigente. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Il testo integrale


 


Testo Integrale