EsecuzioneForzata
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/08/2016 Scarica PDF
La rafforzata tutela dei creditori privilegiati nella l. n. 119/2016: il c.d. patto marciano
Stefano Ambrosini, Professore ordinario di Diritto Commerciale nell'Università del Piemonte OrientaleSommario: 1. Finalità dell’istituto e perimetro applicativo. – 2. Cenni allo stato del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di patto marciano. – 3. Il patto di garanzia e la condizione sospensiva. – 4. L’inadempimento del debitore e l'eventuale differenza tra valore di stima e ammontare del debito. – 5. Effetti e trascrizione del patto a scopo di garanzia. – 6. Il rapporto con le prelazioni legali inerenti all’immobile. – 7. Il procedimento di stima. – 8. Esecuzione forzata e fallimento. – 9. Conclusioni.
1. Finalità dell’istituto e perimetro applicativo
Con l’art. 2 della legge n. 119 del 30 giugno 2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 2 luglio scorso, ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento l’istituto del “finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato” (così la rubrica del nuovo art. 48-bis del Testo Unico Bancario, introdotto dalla norma testé citata).
La finalità di tale previsione è resa evidente dalla rubrica del Capo I della legge (riferita anche al pegno non possessorio, collocato all’art. 1), che recita “Misure a sostegno delle imprese e di accelerazione del recupero crediti”: la norma, in un’ottica di dichiarato favor per i creditori bancari, mira infatti a rendere più semplici ed efficaci le tecniche di realizzo dei diritti del soggetto finanziatore, pur con l’imprescindibile adozione di misure specificamente dirette a tutelare gli interessi del soggetto finanziato, titolare di un diritto reale immobiliare; con ciò stimolando, in thesi, l’erogazione di finanza alle imprese in virtù della maggior protezione che da detta norma deriva al creditore.
* Ringrazio per i preziosi confronti epistolari sul tema Luciano Panzani, Vittorio Zanichelli, Roberto Fontana, Alberto Jorio, Enrico Gabrielli, Andrea Mora e Stefano Marchetti.
Nel contempo, il precetto risponde a un intento deflattivo dell’attività giudiziaria, in un’ottica di maggiore competitività del nostro Paese, che si riscontra pure nel suddetto obiettivo di rafforzare il ruolo degli istituti di credito a sostegno dell’economia reale.
Il nucleo della fattispecie normativa in esame risiede precisamente nella possibilità che il finanziamento bancario sia garantito dal trasferimento della proprietà di un bene immobile o di altro diritto reale immobiliare, dell’imprenditore o di un terzo, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore. Il che consente di affermare che il patto marciano acquista definitivamente “diritto di cittadinanza” nel sistema giuridico italiano, dopo che già il nostro Parlamento, in attuazione della direttiva unionale n. 17 del 2014 (c.d. Mortgage Credit Directive), aveva approvato alcuni mesi fa il d. lgs. n. 72 del 21 aprile 2016, contenente il nuovo art. 120-quinquiesdecies TUB, ove si trova disciplinato l’istituto dei contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, imperniato a sua volta sul meccanismo del patto marciano.
I confini di applicazione dell’istituto in esame appaiono sufficientemente perspicui.
Dal punto di vista dei soggetti coinvolti nell’operazione, ex latere creditoris deve trattarsi di una banca o di altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico ai sensi dell’art. 106 TUB (precisazione, quest’ultima, inserita dalla legge di conversione del decreto n. 59/2016); il debitore, dal canto suo, dev’essere “un imprenditore”, quindi non necessariamente di tipo commerciale, facendo la norma chiaro riferimento alla nozione generale di cui all’art. 2082 c.c.
Il fatto che il destinatario del trasferimento debba essere autorizzato ai sensi del Testo Unico Bancario a concedere finanziamenti pone il problema della cessione a terzi soggetti non bancari. In proposito (e con riserva di maggior approfondimento), la cessione del contratto pare preclusa, mentre la cessione del credito garantito sembrerebbe a tutta prima possibile, anche se essa mal si concilia con la trasferibilità dell’immobile solo a soggetti di natura bancaria. Un “mercato” dei crediti scaturenti da patti marciani appare quindi di dubbia (effettiva) configurabilità.
Sotto il profilo oggettivo, il bene sospensivamente trasferito al creditore dev’essere la proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo, purché non si tratti di immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge, né di parenti e affini del proprietario entro il terzo grado[1].
Altri, invero, sono gli strumenti giuridici destinati, in questo campo, a soggetti diversi dagli imprenditori (recte: ai cc.dd. consumatori) che siano titolari di immobili a uso abitativo: la clausola marciana contenuta nei mutui ipotecari concessi ai consumatori con riferimento a beni immobili residenziali (d. lgs. n. 72 del 27 aprile 2016) e il prestito vitalizio ipotecario erogato a beneficio di persone fisiche ultrasessantenni (la l. n. 248 del 2 dicembre 2005 parlava di ultrasessantacinquenni) a fronte di ipoteca sulla casa di loro proprietà (l. n. 44 del 2 aprile 2015 e relativo decreto di attuazione del Ministero dello Sviluppo Economico in data 22 dicembre 2015). Situazioni, queste, che esulano appunto dal perimetro applicativo della legge n. 119 del 2016.
Quanto infine al profilo temporale della conclusione del negozio, la norma trova applicazione non solo ai futuri contratti di finanziamento, ma anche a quelli già in essere cui venga aggiunta, con atto notarile, la clausola marciana in questione.
2. Cenni allo stato del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di patto marciano
Prima di passare in rassegna le varie disposizioni contenute nel nuovo art. 48-bis TUB, merita delineare brevemente il quadro di dottrina e giurisprudenza che l’odierno legislatore si è trovato innanzi.
L’istituto, che deve il nome a un passo del giurista Marciano (frutto, nel testo giunto a noi, di un’interpolazione giustinianea)[2], è rimasto fino ad oggi ignoto al diritto positivo pur godendo di una tradizione dogmatica assai risalente, incentrata fin dalle origini sul rapporto col patto commissorio, questo sì – come noto – oggetto di disciplina codicistica, che all’art. 2744 ne vieta la stipulazione a pena di nullità, non diversamente dall’analoga previsione in materia di anticresi (art. 1963 c.c.)[3].
La cifra distintiva delle due fattispecie risiede nel fatto che solo nel patto marciano il trasferimento del bene dato in garanzia non ha luogo se non a valore congruo, oggetto di una stima imparziale effettuata successivamente all’inadempimento, e con obbligo in capo al creditore di riconoscere l’eventuale eccedenza al debitore.
Per predicare de jure condendo la validità del patto marciano, tuttavia, si è reso necessario chiarire la ratio sottesa al divieto del patto commissorio. E in proposito l’opinione prevalente in dottrina[4] (e condivisibile anche ad avviso di chi scrive) è nel senso che tale divieto risponda all’esigenza di scongiurare la sproporzione tra entità del credito garantito e valore del bene e la conseguente abusiva appropriazione del surplus. L’estraneità di questi aspetti al patto marciano ne sorregge pertanto, in questa prospettiva, la validità.
La conclusione sarebbe invece destinata a mutare ove si ritenesse di prescindere dall’arricchimento del creditore ai danni del debitore per porre l’accento sulla tutela della libertà negoziale del debitore “bisognoso”[5], che rimanda ai princìpi costituzionali della solidarietà sociale (art. 2) e del limite all’iniziativa economica privata (art. 41), oltre che a concetti considerati “immanenti” al sistema civilistico quali, da un lato, la par condicio creditorum, dall’altro, il monopolio statuale della funzione esecutiva, in quanto tale tendenzialmente ostativo all’autotutela creditoria.
Senonché non pare che l’invalidità del patto marciano trovi conferma, né diretta né indiretta, in precetti di rango costituzionale (il che dovrebbe oggi porre al riparo da censure di questo tipo anche l’art. 48-bis TUB), né che l’interesse protetto dall’art. 2744 c.c. sia la libertà assoluta e incondizionata di disporre dei propri beni, quanto piuttosto quella di non doverne disporre a condizioni inique (ciò che la clausola marciana, per l’appunto, garantisce).
Quanto poi ai princìpi civilistici asseritamente violati, la “crisi” del divieto del patto commissorio e la contestuale e correlata “vis expansiva” del patto marciano traggono linfa, a ben vedere, proprio dal carattere declinante e recessivo, nel nostro sistema, sia della tutela della par condicio, sia del disfavore verso l’autotutela creditoria.
Riguardo al primo aspetto, è sufficiente rimarcare, per un verso, il costante proliferare dei privilegi nella legislazione generale e in quella speciale, per altro verso, il forte ridimensionamento del rimedio revocatorio fallimentare e, nel concordato preventivo, la facoltà di suddividere i creditori in classi con previsione di trattamenti differenziati.
In ordine al secondo profilo, merita ricordare che lo stesso ordinamento codicistico consente espressamente, nell’ambito di svariate fattispecie, la realizzazione coattiva dei diritti del creditore, a condizione – come accade anche, lo si ripete, nella clausola marciana – che il debitore sia tenuto a corrispondere al creditore quanto gli spetta e non di più. Basti pensare all’assegnazione della cosa oppegnorata (art. 2798), alla riscossione del credito dato in pegno (art. 2803), alla meccanismo del pegno irregolare (art. 1851)[6], ma anche all’attribuzione del residuo al debitore nella cessio bonorum (art. 1982).
Per non dire della normativa sulle cc.dd. garanzie finanziarie (d. lgs. n. 170 del 21 maggio 2004), ai sensi della quale l’art. 2744 c.c. non si applica ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, fermo l’obbligo di restituire al debitore l’eccedenza rispetto all’entità dell’obbligazione garantita; nonché, per certi aspetti, dell’istituto del rent to buy di recente introdotto dalla legge n. 164 dell’11 novembre 2014 (art. 23).
Del resto, si tratta di una tendenza che trascende da tempo i confini nazionali[7], se è vero che la riforma francese delle suretés (ord. n. 346 del 23 marzo 2006) ha consentito espressamente la stipulazione del patto marciano e che, a livello di progettata “codificazione europea”, il DCFR (Draft of a Common Frame of Reference) ha escluso l’invalidità del negozio commissorio (definito predefault agreement on appropriation of an encumbered asset) nel caso di stima del bene oggettiva e imparziale e di obbligo di restituzione al debitore del surplus[8].
Da lungo tempo, inoltre, in molti ordinamenti di common law il creditore (mortgagee) ha facoltà di procedere direttamente alla vendita in forza di una sorta di delega ex lege (power to sell), dovendo poi in sede di distribuzione del ricavato agire in qualità di trustee del debitore per l’attribuzione dell’eventuale eccedenza (cui quest’ultimo ha sempre diritto). In tale contesto sono possibili sia il trasferimento convenzionale della proprietà al creditore (deed in lieu of foreclosure), sia quello stabilito giudizialmente (decree of foreclosure). E nell’ambito della stessa procedura esecutiva ordinaria (foreclosure proceedings) il creditore può vendere “privatamente” il bene per soddisfarsi con preferenza sul ricavato.
Al cospetto di un siffatto quadro generale, non desta sorpresa che la nostra Corte di Cassazione abbia ribadito, ancora da ultimo (e con una certa dose di “preveggenza” rispetto agli odierni sviluppi legislativi), la validità del patto marciano.
Con un pregevole arresto in tema di contratto di sale and lease back, i giudici di legittimità, muovendo dalla nota pronuncia del 1995[9], che gli aveva attribuito una sostanziale patente di legittimità in quanto negozio d’impresa socialmente tipico, e dal più recente precedente del 2013[10], hanno affermato il seguente principio: “Perché la clausola marciana possa conseguire l’effetto di superare i profili di possibile illiceità del lease back, occorre che essa preveda, per il caso ed al momento dell’inadempimento, ossia quanto si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta, la quale a detti parametri farà riferimento (art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. (...) L’essenziale è che dalla struttura del patto risulti che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perché il surplus gli sarà senz’altro restituito”[11].
E nella parte motiva della sentenza vengono delineati con chiarezza i tratti distintivi del patto marciano, che ne sorreggono la validità a fronte della persistente nullità del patto commissorio, cui è consustanziale – come viene giustamente ribadito, sotto il profilo ricostruttivo della ratio – la lesione da sproporzione dei valori: “Fondamento dell’effetto salvifico è, da un lato, l’idoneità della clausola a ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni del contratto di lease back (requisito svalutato da chi reputa che l’art. 2744 c.c. non esiga alcuna sproporzione dei valori, ma dovendosi invece ribadire che l’ordinamento presume detta sproporzione nel meccanismo vietato), e, dall’altro, la sia capacità di scongiurare che l’attuazione coattiva del credito avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in gioco”.
3. Il patto di garanzia e la condizione sospensiva
Come già ricordato in esordio, l’art. 48-bis TUB prevede l’inserimento, all’interno del contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico ai sensi dell'art. 106 TUB, di una pattuizione che, a garanzia dell’adempimento, contempli il trasferimento – in favore del creditore o di una società dallo stesso controllata o al medesimo collegata ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e autorizzata ad acquistare, detenere, gestire e trasferire diritti reali immobiliari – della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell'imprenditore o di un terzo.
Tale trasferimento è tuttavia condizionato all'inadempimento del debitore quale definito a norma del comma 5 (di cui si dirà nel paragrafo seguente); e si tratta di condizione dichiaratamente sospensiva, di tal che gli effetti traslativi non si producono fino all’inverarsi dell’evento dedotto in condizione. In questo modo la norma “codifica” la c.d. condizione di inadempimento, ammettendo espressamente – come da tempo predicato in dottrina e in giurisprudenza[12] – che l’efficacia della pattuizione e la conseguente possibilità del creditore di avvalersene siano subordinati all’inadempimento del debitore; e ciò sul presupposto che prestazione negoziale e condizione non siano fra loro inconciliabili, potendo ricondursi al concetto di condizione il caso in cui un determinato accadimento, sebbene costituisca il risultato del comportamento contrattualmente previsto a carico di uno dei paciscenti (e come tale non sia di tipo non meramente potestativo), risulti, oltre che futuro, oggettivamente incerto.
La condizione sospensiva di inadempimento, verificatisi i presupposti di cui al suddetto comma 5, si considera avverata al momento della comunicazione al creditore del valore di stima di cui al comma 6, ovvero al momento dell'avvenuto versamento all'imprenditore dell’eccedenza di cui al comma 2, qualora il valore di stima sia superiore all'ammontare del debito inadempiuto, comprensivo di tutte le spese ed i costi del trasferimento (di entrambi questi commi si dirà nel prosieguo).
Ai fini pubblicitari connessi all'annotazione di cancellazione della condizione sospensiva ai sensi dell'art. 2668, terzo comma del codice civile, il creditore, anche in via unilaterale, rende nell'atto notarile di avveramento della condizione una dichiarazione con cui attesta l'inadempimento del debitore a norma del comma 5, producendo altresì estratto autentico delle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c..
Nell’ipotesi, invece, di esatto adempimento e di conseguente estinzione dell'obbligazione garantita, il creditore provvede entro trenta giorni, mediante atto notarile, a dare pubblicità nei registri immobiliari del mancato definitivo avveramento della condizione sospensiva.
4. L’inadempimento del debitore e l'eventuale differenza tra valore di stima e ammontare del debito
Secondo quanto stabilito al ridetto comma 5 dell’art. 48-bis, si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre nove mesi dalla scadenza di almeno tre rate, anche non consecutive, nel caso di obbligo di rimborso a rate mensili.
Quando il debitore è tenuto al rimborso rateale secondo termini di scadenza superiori al periodo mensile, l’inadempimento si verifica decorsi oltre nove mesi dalla scadenza anche di una sola rata.
Ove invece non sia prevista la restituzione mediante pagamenti da effettuarsi in via rateale, il debitore si considera inadempiente decorsi oltre nove mesi dalla scadenza del rimborso previsto nel contratto di finanziamento.
Va rilevato che all’indomani della pubblicazione del decreto legge (poi reso oggetto di conversione) si sono levate voci critiche in merito all’operatività del meccanismo a prescindere dall’entità del residuo debito. Secondo Confindustria, in particolare, la norma non avrebbe dovuto trovare applicazione ogniqualvolta il debito ancora da onorare non superasse una determinata percentuale, indicata nella “forbice” 10%-20%; e ciò nell’ottica di una maggiore flessibilità della disciplina al cospetto di momentanee difficoltà di rimborso da parte dell’impresa debitrice. La legge di conversione ha tenuto conto solo in parte di questa sollecitazione, introducendo il precetto in base al quale, qualora alla data di scadenza della prima delle rate, anche non mensili, non pagate il debitore abbia già rimborsato il finanziamento ricevuto in misura almeno pari all'85% della quota capitale, il periodo di inadempimento è elevato da nove a dodici mesi; soluzione, questa, che non appare del tutto idonea a contemperare adeguatamente i diversi e contrapposti interessi in gioco e che risulta potenzialmente foriera di criticità, finanche, forse, dal punto di vista del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost..
La norma prevede altresì che, al verificarsi dell'inadempimento, il creditore sia tenuto a notificare al debitore (e, se soggetto diverso, al titolare del diritto reale immobiliare), nonché a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull'immobile, una dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto, con l’obbligo di precisare l'ammontare del credito per cui si procede. Nulla dice la legge relativamente all’eventualità in cui la sussistenza dell’inadempimento sia contestata, per cui parrebbe doversene evincere che il debitore può agire in sede ordinaria per vedere accertato l’adempimento (o l’inadempimento “sotto soglia”). Resta da capire se questo incoercibile diritto sia idoneo a bloccare il procedimento di stima e il successivo trasferimento alla banca: certo, se così fosse, si tratterebbe di un effetto in flagrante contrasto con le esigenze di celerità nel recupero del credito cui è dichiaratamente improntato l’istituto.
Come più volte ricordato, è consustanziale alla struttura stessa del patto marciano la previsione circa il diritto del creditore, in caso di inadempimento del debitore, di avvalersi degli effetti del patto a condizione che al proprietario sia corrisposta l'eventuale differenza tra il valore di stima del diritto e l'ammontare del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento. A tal fine, il contratto di finanziamento o la sua successiva modificazione contengono l'espressa previsione di un apposito conto corrente bancario senza spese, intestato al titolare del diritto reale immobiliare, sul quale il creditore deve accreditare l'importo pari alla differenza tra il valore di stima e l'ammontare del debito inadempiuto.
La norma non prende in considerazione l’ipotesi di incapienza del bene rispetto al credito garantito, laddove sarebbe stato probabilmente opportuno prevedere l’effetto estintivo del debito anche con riguardo al caso in cui il valore del bene trasferito risulti inferiore all’ammontare del credito garantito e la banca decida nondimeno di avvalersi del patto marciano.
Sul piano interpretativo, il fatto che il nucleo della norma risieda nel trasferimento del diritto reale potrebbe, prima facie, far ritenere la causa del negozio di natura solutoria[13]. Né potrebbe obiettarsi che in tal modo verrebbero pregiudicati i diritti del creditore: ed invero, o il creditore opta comunque per l’acquisizione del bene, oppure, alla luce del minor valore di questo rispetto al residuo debito, egli decide di non avvalersi del patto, seguendo la strada tradizionale del recupero del credito. Alla stregua di tale prospettazione, non sarebbe possibile fruire dell’effetto traslativo del patto marciano e al contempo riservarsi di agire per la parte restante del credito: cuius commoda, eius et incommoda.
Guardando la fattispecie da un diverso angolo visuale, può invece valorizzarsi la funzione di garanzia del negozio, non a caso definito espressamente, al comma 13-bis della norma, “patto a scopo di garanzia”, in tal modo negando l’effetto estintivo dell’obbligazione, come accade, tipicamente, in tutte le situazioni caratterizzate da garanzie incapienti. Tesi, questa, che anche alla luce del persistente silenzio della norma sul punto dell’estinzione dell’obbligazione nonostante le sollecitazioni pervenute al legislatore, nelle more della conversione del decreto legge[14], da diverse associazioni di categoria, pare tutt’altro che priva di fondamento. Tanto più se si considera che, diversamente opinando, verrebbe a prodursi un “indebito arricchimento” in capo al debitore non previsto dalla legge (a meno di volerlo considerare giustificato dall’essere, pur sempre, il semplice corollario di una scelta compiuta dal creditore).
Quanto alla diversa formulazione del nuovo art. 120-quinquiesdecies TUB, ove relativamente ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali l’effetto estintivo è espressamente sancito, essa appare di dubbia fruibilità sul piano ermeneutico. Le peculiarità sottese alla legislazione consumeristica, infatti, rendono alquanto disagevole invocare, nel senso della prima tesi, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 48-bis diretta a scongiurare un’ingiustificata disparità di trattamento, come pure, a supporto della seconda, il brocardo ubi lex noluit tacuit al fine di predicare l’assenza di effetti estintivi. Può probabilmente osservarsi, tuttavia, che l’art. 120-quinquiesdecies è improntato a un evidente favor per il consumatore, dal che sembra trarsi un’ulteriore conferma della tesi basata sulla causa di garanzia del patto marciano, dove il favor è, non meno chiaramente, per il soggetto finanziatore.
Merita infine ricordare che la previsione della restituzione dell’eventuale surplus al debitore è da tempo adottata dal nostro legislatore concorsuale in materia di leasing. Ed invero, tanto nel fallimento (art. 72 quater, c. 2, l. fall.) quanto nel concordato preventivo (art. 169 bis, u.c., l. fall.) è stabilito che il concedente ha bensì diritto alla restituzione del bene in caso di scioglimento del contratto, ma è tenuto a versare alla curatela (o al debitore in concordato) la differenza fra la maggior somma ricavata dalla vendita del bene stesso rispetto al residuo credito in linea capitale.
5. Effetti e trascrizione del patto a scopo di garanzia
La spiccata tutela accordata al soggetto finanziatore emerge anche dalla disciplina degli effetti del patto marciano e dalla sua trascrizione.
Ai sensi del comma 13-bis, inserito in sede di conversione del decreto legge, il patto a scopo di garanzia di cui al comma 1 è equiparato all'ipoteca ai fini del concorso tra i creditori. La banca che si avvalga del ridetto patto è dunque equiparata al creditore ipotecario, con tutto quanto ne consegue, specie nell’ipotesi di assoggettamento del debitore a procedura concorsuale.
La legge stabilisce inoltre che la trascrizione del patto di cui al comma 1 produce gli effetti di cui all'art. 2855 del codice civile, avendo riguardo, in luogo del pignoramento, alla notificazione della dichiarazione di cui al comma 5. La nota di trascrizione del trasferimento sospensivamente condizionato deve indicare gli elementi di cui all'art. 2839, secondo comma, numeri 4), 5) e 6), c.c..
Una volta debitamente trascritto, il trasferimento sospensivamente condizionato all'inadempimento prevale, nei casi in cui il finanziamento sia già garantito da ipoteca, sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all'iscrizione ipotecaria. E ciò accade anche quando l'immobile è stato sottoposto ad espropriazione forzata in forza di pignoramento trascritto prima della trascrizione del patto ma successivamente all'iscrizione dell'ipoteca; fatti ovviamente salvi gli effetti dell'aggiudicazione, anche provvisoria, e dell'assegnazione.
Manca, come poc’anzi ricordato, la previsione dell’effetto estintivo del debito come corollario necessario del trasferimento del diritto reale sull’immobile, come invece giustamente stabilito ex professo dall’art. 120-quinquiesdecies TUB in tema di contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali. E alla medesima soluzione, come si è visto (par. 4), non è del tutto agevole addivenire in via interpretativa.
6. Il rapporto con le prelazioni legali inerenti all’immobile
Anche riguardo all’art. 48-bis (pur nel silenzio della norma sul punto) si pone il tema, tipico delle alienazioni di beni immobili, del rapporto con le prelazioni aventi fonte legale.
In linea di principio, connaturata alla funzione stessa di queste ultime è la loro prevalenza su trasferimenti di carattere negoziale, qual è quello disciplinato dal patto marciano eventualmente inserito nel contratto di finanziamento. Ciò dovrebbe comportare l’inefficacia dell’effetto traslativo di cui al patto a scopo di garanzia in virtù dell’esercizio del diritto di riscatto ogniqualvolta, ad esempio, l’immobile faccia parte dell’azienda esercitata da un’impresa familiare (art. 230 bis, comma 5, c.c.), oppure rientri nella quota oggetto di alienazione a terzi ad opera del coerede (c.d. retratto successorio: art. 732 c.c.[15]); o ancora, quando si tratti di immobili soggetti a particolari vincoli storico-artistici e lo Stato eserciti la prelazione.
Né l’ipotetica configurazione del patto come datio in solutum (peraltro problematica per i motivi anzidetti: cfr. par. 4) parrebbe di per sé idonea a escludere la possibilità del retratto, il cui esercizio non pregiudicherebbe il creditore ove il soggetto riscattante corrispondesse il medesimo prezzo risultante dalla valutazione peritale del bene.
7. Il procedimento di stima
La procedura declinata dall’art. 48-bis TUB per la stima del bene risulta abbastanza semplice.
Decorsi sessanta giorni dalla notificazione della dichiarazione di inadempimento cui al comma 5, il creditore chiede al presidente del tribunale del luogo nel quale si trova l'immobile la nomina di un perito per la stima, con relazione giurata, del diritto reale immobiliare oggetto del patto marciano.
Il perito procede in conformità ai criteri di cui all'art. 568 c.p.c.. Non può ovviamente farsi luogo alla nomina di uno stimatore per il quale ricorre una delle condizioni che in base all'art. 51 c.p.c. comporta il dovere di astensione.
Non completamente perspicuo risulta invece il richiamo che la norma fa all'art. 1349, c. 1°, c.c., essendo questa previsione riferita alla diversa ipotesi in cui la determinazione della prestazione dedotta nel contratto è stata deferita a un terzo. Se poi il rimando va inteso come riferito al dovere di procedere “con equo apprezzamento”, esso appare superfluo, dal momento che lo stimatore è per definizione chiamato a una valutazione equa (recte, corretta e puntuale dal punto di vista sia metodologico che contenutistico).
Come da altri osservato[16], l’immobile dev’essere stimato avendo riguardo al suo valore di mercato[17], alla luce degli elementi forniti dalle parti e delle cognizioni del perito, il quale deve calcolarne la superficie, specificando quella commerciale, e il valore per metro quadrato e complessivo, esponendo analiticamente adeguamenti e correzioni della stima (oneri di urbanizzazione, stato d’uso e di manutenzione, vincoli e oneri, ecc.), inclusa la riduzione praticata per via dell’assenza della garanzia per i vizi del bene venduto.
Tornando all’art. 48-bis, il perito deve, entro sessanta giorni dalla nomina, comunicare, ove possibile a mezzo di posta elettronica certificata, la relazione giurata di stima al debitore, e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, al creditore nonché a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull'immobile. I destinatari della comunicazione possono, entro dieci giorni dalla medesima comunicazione, inviare note al perito; in tal caso questi, nei successivi dieci giorni, effettua una nuova comunicazione della relazione, rendendo – recita la legge – “gli eventuali chiarimenti”.
L’espressione “chiarimenti” potrebbe far pensare a mere spiegazioni e delucidazioni in ordine alle risultanze peritali e alla metodologia adottata. Senonché non può escludersi che il perito incorra in errori di calcolo, dimenticanze o altre mende, ragion per cui le note che le parti trasmettono allo stimatore ben possono avere ad oggetto segnalazioni di questo tipo. In tal caso egli non sarà chiamato, evidentemente, a rendere semplici chiarimenti, bensì a modificare e integrare il proprio elaborato.
Allo scopo di evitare contestazioni strumentali da parte del debitore, la norma precisa opportunamente che, ove questi contesti la stima, il creditore ha comunque diritto di avvalersi degli effetti del patto e che l'eventuale fondatezza della contestazione incide semplicemente sulla differenza da versare al titolare del diritto reale immobiliare.
Resta il dubbio di fondo se non fosse preferibile, per accelerare ulteriormente i tempi (aspetto cui il legislatore è comprensibilmente sensibile), stabilire in prima battuta la designazione del perito su accordo delle parti e solo in mancanza di intesa fra loro la nomina giudiziale; anche se ciò avrebbe forse potuto comportare qualche difficoltà in termini di disciplina applicabile rispetto a quella sancita per gli ausiliari del giudice.
8. Esecuzione forzata e fallimento
L’art. 48-bis, al comma 10, contempla l’eventualità in cui il diritto reale immobiliare già oggetto del patto marciano sia sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione, stabilendo che può nondimeno farsi luogo al trasferimento del diritto in questione. In tal caso l'accertamento dell'inadempimento del debitore è compiuto, su istanza del creditore, dal giudice dell'esecuzione e il valore di stima è determinato dall'esperto nominato dallo stesso giudice. Il giudice dell'esecuzione provvede all'accertamento dell'inadempimento con ordinanza, fissando il termine entro il quale il creditore deve versare una somma non inferiore alle spese di esecuzione e, ove vi siano, ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'istante ovvero pari all'eventuale differenza tra il valore di stima del bene e l'ammontare del debito inadempiuto. Avvenuto il versamento, il giudice dell'esecuzione, con decreto, dà atto dell'avveramento della condizione. Il decreto é annotato ai fini della cancellazione della condizione, a norma dell'art. 2668 c.c. e alla distribuzione della somma ricavata si provvede in conformità alle disposizioni di cui al libro terzo, titolo II, capo IV, c.p.c.
Il comma 12 prefigura invece l’ipotesi in cui, dopo la trascrizione del patto, sopravvenga il fallimento del titolare del diritto reale immobiliare. In questa evenienza, com’è chiaro, occorre rispettare le regole fallimentari. Il creditore deve quindi richiedere l’ammissione al passivo e, una volta che l’abbia ottenuta, può fare istanza al giudice delegato affinché questi, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, provveda a norma del predetto comma 10, in quanto compatibile.
L’accertamento della ricorrenza o meno dell’inadempimento viene effettuato, in ambito fallimentare, dal giudice delegato, con conseguente reclamabilità del provvedimento ex art. 26 l. fall. (laddove non altrettanto chiara – come si diceva – è la tutela giurisdizionale, sotto il profilo in questione, nel caso in cui il debitore sia in bonis).
Quanto poi alla revocabilità del negozio, non sembrano esservi dubbi, nel silenzio della legge, circa la soluzione affermativa, anche se in concreto il rimedio è notoriamente attivabile in casi limitati, tanto più in quanto non risulta agevolmente invocabile, nella specie, l’applicazione del primo comma dell’art. 67, l. fall.
9. Conclusioni
Pur nella consapevolezza che il tema qui oggetto di un primo esame merita ben più ampie riflessioni, sembra possibile ribadire, in conclusione, la coerenza del disposto del nuovo art. 48-bis rispetto alle finalità perseguite, vale a dire la rafforzata tutela del creditore, idealmente funzionale anche a una maggior erogazione di credito, e l’impatto auspicabilmente deflattivo sull’attività giudiziaria.
Le più rilevanti criticità, come segnalato, attengono verosimilmente all’omessa previsione dell’effetto estintivo dell’obbligazione, in quanto foriera, anzitutto, di perniciosa incertezza sul piano interpretativo (anche se la soluzione in senso non estintivo, accolta nel testo, appare la più coerente all’intentio legis e alla dichiarata funzione di garanzia dell’istituto), nonché al trattamento, forse eccessivamente rigoroso dal punto di vista del bilanciamento degli interessi in gioco, riservato al debitore nell’ipotesi in cui egli abbia già onorato gran parte del proprio debito. E non minori problemi potrebbero derivare dalla mancata disciplina tanto della contestazione dell’inadempimento da parte del debitore, quanto della sua impugnazione della stima, con conseguente richiesta, in entrambi i casi, di sospendere il trasferimento (quando non addirittura, nella prima ipotesi, il procedimento di stima).
Sul piano pratico, i positivi effetti della norma rischiano di essere attenuati dall’assenza di una disciplina fiscale “di sostegno” riguardo all’atto traslativo dell’immobile (come sarebbe potuto essere, ad esempio, prevedendo l’assenza di imposte indirette a carico dell’accipiens).
Non è dato sapere, inoltre, che uso in concreto verrà fatto dello strumento da parte delle banche, ma sembra fin d’ora pronosticabile un suo impiego con riferimento al futuro stock di crediti piuttosto che a quello già in essere, dovendosi tener conto del fatto che l’entità dei crediti attuali non di rado sopravanza il valore dei beni immobili dell’impresa, specie per ciò che attiene ai capannoni industriali, tanto più in certe aree geografiche del Paese; senza dire delle “esternalità” connesse al rischio di incamerare un numero eccessivo di immobili, con quanto ne deriva anche in termini di impatto sui bilanci delle banche.
A livello più generale, infine, non può sottacersi che la disposizione in commento, al pari di quella sul pegno non possessorio, se per un verso mira alla legittima protezione degli interessi testé posti in evidenza e si colloca nel solco delle più recenti tendenze giurisprudenziali (nonché dell’evoluzione di altri ordinamenti), per altro verso ha l’effetto di ridimensionare una volta di più la tutela dei creditori chirografari, i quali si vedono oggettivamente pregiudicati da questa ulteriore forma di sottrazione di un bene alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.[18]
[1] La ratio di tale previsione è evidente, ancorché l’abitazione dell’imprenditore persona fisica, se particolarmente lussuosa, non sembri rientrare nella logica della predetta esclusione.
[2] “Potest ita fieri pignoris datio hypothecaeve, ut, si intra certum tempus non si soluta pecunia, iure emptoris possideat rem iusto pretio tunc aestimandum: hoc enim casu videtur quodammodo condicionalis esse venditio” (Marcianus, Libro singulari, ad formulam hypothecariam, in D.20.1.16.9).
[3] Sul tema delle alienazioni con funzione di garanzia non può prescindersi, in letteratura, da Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, e, più di recente, da Anelli, L’alienazione in funzione di garanzia, Milano, 1997.
[4] V., in luogo di altri, Cipriani, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, passim (in partic., pp. 296 ss.); Bianca, Diritto civile, VII, Milano, 2012, p. 288, ove il rilievo che, “mentre nel patto commissorio la vantaggiosità del negozio per l’equivalenza tra valore del bene e valore del credito garantito è del tutto casuale, nel patto Marciano essa è assunta a contenuto stesso del contratto costituendo oggetto di un diritto del debitore”, al quale viene in definitiva imposta “una perdita patrimoniale proporzionata al debito garantito”. Contra Minniti, Patto marciano e irragionevolezza del disporre in funzione di garanzia, in Riv. dir. comm.,1997, I, 29, al quale pare “evidente come non si possa sostenere la validità di una alienazione in garanzia, neanche là dove, come avviene nel patto marciano, sia garantita ab origine la corrispondenza dei valori del bene alienato e del credito garantito, attesochè tale corrispondenza non ci sembra possa incidere sul profilo causale dell’operazione, sì da supplire alla rilevata insufficienza della causa in garanzia a fondare e giustificare l’attribuzione del bene in proprietà”.
[5] Sulla peculiare situazione dei rapporti negoziali fra imprenditori che si trovino l’uno in posizione “dominante”, l’altro di “soggezione economica”, cfr. l’interessante volume collettaneo Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, a cura di Gitti e Villa, Bologna, 2008.
[6] Nella letteratura monografica sul tema cfr., anche per gli opportuni riferimenti, Murino, L’autotutela nell’escussione della garanzia finanziaria pignoratizia, Milano, 2010.
[7] Cfr., ex aliis, Bussani, Il problema del patto commissorio. Studio di diritto comparato, Torino, 2000; Fiorentini, Le garanzie immobiliari in Europa. Studio di diritto comparato, Firenze, 2009.
[8] Su cui v., per tutti, AA. VV., Draft of a Common Frame of Reference (DCFR). What for?, a cura di Alpa e Iudica, Milano, 2013.
[9] Cass., 16 ottobre 1995, n. 10805, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 682.
[10] Cass. 9 maggio 2013, n. 10986, in Imm. e propr., 2013, 7, p. 463, secondo la quale in chiave sintomatica della frode alle legge rileva non tanto l’indagine sull’atteggiamento soggettivo delle parti, quanto piuttosto “l’accertamento di dati obiettivi, quali la presenza di una situazione creditoria - debitoria (preesistente o contestuale alla vendita) e, soprattutto, la sproporzione tra entità del debito e valore del bene alienato in garanzia”; la sproporzione, in particolare, denunzia “ una situazione di approfittamento della debolezza del debitore da parte del creditore, che tende ad acquisire l’eccedenza di valore, così realizzando un abuso che il legislatore ha voluto espressamente sanzionare ” (…). “L’illiceità è invece esclusa, pur in presenza di costituzioni di garanzie che postulano il trasferimento di proprietà, qualora queste siano integrate da schemi negoziali che il menzionato abuso escludono in radice, come avviene nel pegno irregolare (art. 1851 c.c.), nel riporto finanziario e nel c.d. patto marciano, in virtù del quale, al termine del rapporto, si procede alla stima ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entità del credito”. “Argomentando a contrario dalla liceità delle figure ora menzionate”, la Corte ravvisa la ratio del divieto di patto commissorio nella “sproporzione tra entità del credito e valore del bene, e conseguente abusiva appropriazione dell’eccedenza”, essendo irrilevante che tale sproporzione non sia espressamente richiesta dagli artt. 1963 e 2744 c.c., in quanto “il legislatore, nel formulare un giudizio di disvalore nei riguardi del patto commissorio, ha fondatamente presunto, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, che, in siffatta convenzione, il creditore pretende, di regola, una garanzia eccedente l’entità del credito”.
[11] Cassazione 28 gennaio 2015, n. 1625, in Il Caso.it. E in tema si veda l’ampio commento di A. Napolitano, Il patto marciano e il contratto di leasing: un’occasione mancata. Note a margine di Cass. Civ. n. 1625 del 2015, in www.giustiziacivile.com, 26 gennaio 2016.
[12] In argomento cfr. in dottrina, oltre ai contributi – ormai veri e propri “classici” – di Falzea e Rescigno, Amadio, La condizione di inadempimento: contributo alla teoria del negozio condizionato, Padova, 1996; Lenzi, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela. L’adempimento dedotto in condizione, Milano, 1996. In giurisprudenza v., fra le altre nel senso del testo, Cass. 24 novembre 2003, n. 17859, in Contratti, 2004, p. 574; Cass. 15 novembre 2006, n. 24299, in Obbl. e contr., 2008, p. 215.
[13] La tesi della riconducibilità del nuovo istituto a quello della datio in solutum, ancorché verosimilmente destinata a risultare minoritaria (per i motivi esposti nel prosieguo), non pare priva di dignità sul piano dello stretto diritto delle obbligazioni. Ed invero, l’effetto legale tipico della prestazione in luogo dell’adempimento è precisamente quello estintivo pieno, che consegue alla circostanza che il creditore, come in questo caso nel momento in cui stipula il patto e lo esegue, accetta una prestazione “atipica” in quanto diversa dal pagamento (il quale sarebbe la prestazione “tipica” ai fini dell’estinzione del rapporto di credito). Ed anche sul piano esegetico, l’impiego della locuzione “trasferimento” in entrambe le norme (artt. 1197, comma 2, cc., e 48-bis, comma 1) potrebbe considerarsi in qualche modo significativa nel voler indicare la produzione di un effetto estintivo del rapporto obbligatorio e non meramente transeunte, come sarebbe se l’obbligazione, nonostante l’escussione e quindi la realizzazione degli effetti connessi al patto, rimanesse in piedi. D’altronde, il riferimento del comma 1 dell’art. 1197 all’elemento del valore (uguale o maggiore) comporta, per un verso, che il valore può essere anche minore, se accettato dal creditore, per l’altro, che quell’elemento non connota la produzione dell’effetto estintivo, la quale segue solo all’accettazione della diversa prestazione in luogo di quella originaria (devo queste riflessioni a una conversazione con il Prof. Enrico Gabrielli).
[14] Come già ricordato, anzi, è stata proprio la legge di conversione, introducendo il comma 13-bis, a definire ex professo il negozio in questione “patto a scopo di garanzia”: circostanza, questa, non priva di significato sul piano ermeneutico, anche dal punto di vista della ricostruzione della voluntas legis.
[15] Su cui cfr., ex aliis, Bonilini, Retratto successorio, in Dig. Civ., Torino, 1998, pp. 430 ss.
[16] Busani, Via libera al patto marciano tra banca finanziatrice e impresa finanziata, in AA. VV., Crisi d’impresa e procedure concorsuali. Creditori, debitori, professionisti: le nuove regole dopo il dl banche, in Guida Normativa – Il Solo 24Ore, luglio 2016, pp. 18-19.
[17] Espressione da intendersi, a mio avviso, come valore “normale” di vendita sul mercato e non già come valore a seguito di un’ipotizzata esecuzione forzata sul bene (simulando, in questo caso, gli effetti degli inevitabili ribassi d’asta), che è precisamente ciò che l’incameramento del cespite da parte della banca consente di evitare. Il silenzio della norma sul punto, tuttavia, legittima il dubbio.
[18] E ciò in controtendenza con quanto stabilito all’art. 10 del disegno di legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, ove si legge che, nell’ambito della “revisione del sistema dei privilegi, il Governo procede al riordino riducendo le ipotesi di privilegio generale e speciale, con particolare riguardo ai privilegi retentivi”.
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