Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 312 - pubb. 26/07/2007
Anatocismo, domanda giudiziale e processo tributario
Cassazione civile, sez. V, tributaria, 08 Marzo 2006, n. 4935. Est. Genovese.
Impugnazioni Civili – Cassazione (Ricorso per) – Giurisdizioni speciali (Impugnabilità) – Commissioni Tributarie – Sentenze delle Commissioni tributarie regionali rese con riferimento a rapporti litigiosi pendenti al 31 dicembre 2000 – Ricorso per Cassazione – Riforma dell'amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, con istituzione delle Agenzie fiscali – Proposizione del ricorso, a decorrere dall'1 gennaio 2001 – Dal o nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze – Ammissibilità – Fondamento – Conseguenze – Notifica della sentenza di Appello ai fini del computo del termine breve – Dal o nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze – Necessità
Anatocismo – Domanda giudiziale – Giudizio tributario – Applicazione delle regole di diritto comune – Ammissibilità della domanda anatocistica nel giudizio tributario – Formulazione della domanda per la prima volta in appello – Deroga al divieto di domande nuove in appello – Inammissibilità
Con riferimento ai giudizi introdotti prima che l'Agenzia delle Entrate divenisse operativa, ossia prima del 1° gennaio 2001, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha conservato la qualità di parte e il ricorso per cassazione deve essere proposto dallo stesso o contro lo stesso; pertanto, ai fini del computo del termine breve, di sessanta giorni, per l'impugnazione in Cassazione, la sentenza di appello deve essere notificata dal o al Ministero e non dalla o all’Agenzia delle Entrate. Infatti, solo nei procedimenti introdotti successivamente al 1° gennaio 2001 la legittimazione appartiene, in esclusiva, all’Agenzia delle Entrate e, per l'implicita abrogazione dell’art. 21, comma 1, della legge 15 maggio 1999, n. 133, la notificazione delle sentenze delle Commissioni tributarie regionali non deve più essere effettuata presso le competenti avvocature distrettuali. (Bruno Inzitari) (riproduzione riservata)
La domanda al pagamento degli interessi anatocistici è ammissibile nel processo tributario con le stesse regole di diritto civile comune a pubblici e privati operatori, vale a dire che gli interessi siano dovuti da sei mesi e che la domanda sia già stata formulata nel giudizio di primo grado. La deroga al divieto di domande nuove in appello trova applicazione solo quando nel giudizio di primo grado gli interessi anatocistici sugli interessi già prodotti da almeno sei mesi siano stati già richiesti, in quanto detta deroga trova giustificazione nel fatto che la domanda anatocistica ulteriore formulata in appello sia lo sviluppo logico causale della stessa domanda già formulata in primo grado. (Bruno Inzitari) (riproduzione riservata)
Il commento, di Bruno Inzitari
Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato-Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Milano-Bicocca
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. LA SOCIETÀ FINANZIARIA BOLOGNA METROPOLITANA SPA (già FINANZIARIA FIERE, DI BOLOGNA SPA) impugnava, davanti alla Commissione Tributaria di primo grado di Bologna, il silenzio-rifiuto dell'Ufficio distrettuale delle I.I.DD. di Bologna e dell'Intendente di Finanza avverso le proprie istanze di rimborso dei crediti risultanti dalle dichiarazioni presentate, in vari anni, e chiedeva la condanna dell'Ufficio a rimborsare le somme e a corrispondere gli interessi.
Intervenuta l'estinzione dei rispettivi crediti per compensazione, la società contribuente chiedeva (con il ricorso introduttivo del giudizio) la condannadell'AMMINISTRAZIONE al pagamento degli interessi, che, con una memoria successiva, intendeva comprensivi anche di quelli anatocistici, oltre alla rifusione delle spese.
La Commissione adita accoglieva la domanda e condannava l'Amministrazione al pagamento degli interessi, compresi quelli anatocistici, fino alla data del pagamento del dovuto e compensava le spese.
2. L'Ufficio proponeva appello davanti alla C.T.R. dell'Emilia - Romagna, sostenendo la non debenza degli interessi oltre la data della compensazione dei crediti e, in particolare, la non spettanza di quelli anatocistici. Resisteva la società contribuente e chiedeva, con appello incidentale, la condanna dell'Ufficio alle spese del giudizio di primo grado.
La Commissione, con la sentenza impugnata in questa sede, rigettava l'appello principale dell'Ufficio e accoglieva quello incidentale della contribuente.
4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il MINISTERO DELL' ECONOMIA E DELLE FINANZE, affidato ad un unico motivo, contro il quale non resiste la società intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo di ricorso (con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1283 cod. civ., degli artt. 17 e 19-bis, comma 3,d.P.R. n. 636 del 1972, in relazione all'art. 546 del 1992) IL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE deduce che l'Ufficio aveva tempestivamente eccepito, con l'appello, che la domanda degli interessi anatocistici era stata proposta tardivamente in quanto presentata, per la prima volta, solo nella memoria depositata dalla parte ai sensi dell'art. 32 D. Lgs. n. 546 del 1992. La Commissione avrebbe errato nel ritenere che, a norma dell'art. 1283 cod. civ., la domanda giudiziale, diretta ad ottenere il pagamento degli interessi anatocistici, non debba essere proposta, necessariamente, con l'atto introduttivo del giudizio.
2. Preliminarmente deve essere affrontato il problema relativo alla decorrenza del termine breve per il ricorso per cassazione.
Nella specie la sentenza di appello è stata notificata all'Agenzia delle entrate, Ufficio di Bologna, in persona dei Direttore, il 27 settembre 2001, mentre il ricorso del Ministero è stato notificato il successivo 13 dicembre 2001.
Qualora si reputasse efficace la notifica presso l'Agenzia delle Entrate in persona del Direttore, piuttosto che nei confronti dell'Avvocatura erariale dei distretto giudiziario, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile, perché tardivamente proposto.
2.1. Il ricorso, notificato entro l'anno dalla pubblicazione della sentenza (cd. termine lungo), è da considerarsi tempestivo, non potendo attribuirsi alcun valore alla notificazione della decisione eseguita, ai fini del decorso del cd. termine breve, solo nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, che non era stata parte del processo di appello.
2.1.1. Con riferimento ai giudizi introdotti prima che l'Agenzia delle Entrate divenisse operativa, ossia prima del 1° gennaio 2001, il Ministero ha conservato la qualità di parte e il ricorso poteva essere proposto (come lo è stato) dallo stesso. Ad esso, pertanto, ai fini del computo del termine breve di impugnazione, andava notificata la sentenza di appello.
Solo nei procedimenti introdotti successivamente al 1° gennaio 2001 - ma non è questo il caso - la legittimazione appartiene, in esclusiva, all'Agenzia delle Entrate e, per l'implicita abrogazione dell'art. 21, comma 1, della legge 15 maggio 1999, n. 133, la notificazione delle sentenze delle Commissioni tributarie regionali non deve più essere effettuata
Presso le competenti avvocature distrettuali. (Cassazione Sez. Unite, sent. n. 3218 del 2006).
3. Nel merito, la doglianza dell'Amministrazione mira ad ottenere la riforma della sentenza di appello che avrebbe accordato al contribuente gli interessi anatocistici, nonostante che la domanda degli stessi sia stata proposta e specificata soltanto nella memoria depositata dalla parte ai sensi dell'art. 32 D. Lgs. n. 546 del 1992.
3.1. La doglianza, che è fondata, merita accoglimento, secondo le puntualizzazioni svolte qui di seguito.
3.1.1. Com'è noto, questa Corte - dopo un iniziale contrasto (tra le sentenze nn. 6310 del 1996, 9497 del 1998 e 552 del 1999) - ha ammesso, con l'ultima delle menzionate decisioni, la possibilità che ilcontribuente chieda gli interessi anatocistici nei confronti del Fisco.
Se prima si era sostenuto che l'art. 1293 cod. civ., sulla spettanza nelle obbligazioni pecuniarie degli interessi sugli interessi scaduti (cosiddetto anatocismo), non trova applicazione in materia tributaria, dove prevalgono le disposizioni speciali che regolano compiutamente gli effetti della moradebendi (sent. n. 6310 del 1996), in uno secondo momento si è affermato che, in materia di rimborsi di imposta, il contribuente può conseguire, nel rispetto dei presupposti stabiliti dall'art. 1283 cod. civ., la condanna dell' Amministrazione finanziaria al pagamento degli interessi anatocistici (sent. n. 552 del 1999).
A partire da questa decisione, la Corte ha chiarito che La presenza della pubblica amministrazione in qualità di creditore o debitore non altera la struttura del rapporto obbligatorio, in quanto le correlative posizioni di debito e di credito, nonostante tale particolarità, vengono a porsi, sul piano del diritto sostanziale, in termini paritari, anche quando il rapporto abbia avuto origine da una fattispecie regolata dal diritto pubblico (Cass. 22 gennaio 1999, n. 552; 3 settembre 1999, n. 9273; 23 febbraio 2000, nn. 2079 e 2081).
L'applicabilità dell'art. 1283 c.c., che consente la capitalizzazione degli interessi, sia pure entro limiti ben precisi, non può quindi essere pregiudizialmente esclusa, posto che l'art. 38-bis del D.P.R. n. 633/72 e, in genere, le norme che regolano il rimborso delle imposte versate in eccesso, nulla prevedono a tale riguardo e che, per quanto si è detto, la disciplina delle obbligazioni tributarie, come di ogni altra obbligazione che trovifondamento in "fatti" regolati dal diritto pubblico, deve essere ricavata, per quegli aspetti che non sono specificamente disciplinati dalle norme speciali, dalle disposizioni contenute nel primo titolo del quarto libro del codice civile.
Nelle sentenze nn. 552, 9273/99, 2079 e 2081/2000 questa Corte ha posto in evidenza che le particolari caratteristiche strutturali del processo tributario non sono di ostacolo all'ammissibilità di pronunce di condanna dell'Amministrazione finanziaria, positivamente previste sia dalla normativa vigente (art. 19, primo comma, lett. g, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) che da quella abrogata (in relazione a quanto previsto dagli artt. 16, sesto e settimo comma, e 20, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636). E che, pertanto, neppure sotto tale riflesso, possono ravvisarsi ostacoli all'applicazione dell'art. 1283 c.c. nell'ambito delle controversie attribuite alla cognizione delle commissioni tributarie.
3.1.2. La condanna al pagamento degli interessi anatocistici, peraltro, si restringe, ai sensi dell'art:. 1283 cod. civ., a quei soli interessi che si siano accumulati per almeno sei mesi alla data della domanda e presuppone che la parte, cui. l'effetto di capitalizzazione profitta, li chieda in giudizio con una domanda specificamente rivolta ad ottenere la condanna al pagamento di quegli interessi che gli interessi già scaduti, ovverosia il corrispondente capitale, di li in poi produrranno (Cassazione n. 12043 del 2004).
Insomma, dal principio stabilito nell'art. 1283 cod. civ., secondo cui , consegue che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali (sui quali calcolare gli interessi secondari), e cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora, e che vi sia una specifica domanda giudiziale del creditore o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi (Cassazione 4830 del 2004).
3.1.3. Tali principi, regolanti la materia del diritto agli interessi anatocistici relativi ai crediti verso il Fisco, essenzialmente - se non esclusivamente- in materia di rimborsi d'imposte pagate, esigono che il contribuente-creditore abbia indicato tutti gli elementi necessari alla liquidazione di essi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale. E soprattutto, che tale richiesta sia stata formulata nell'atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il rimborso d'imposta, non potendosi esso considerare un accessorio del credito principale conseguente in via automatica dall'accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi maturati dalla domanda già rivolta al Fisco.
Del resto, nella materia dei rimborsi d'imposta, da un lato, il credito verso l'Erario si presenta già liquido (e il giudice deve limitarsi ad accertarne solo la spettanza per colui che si affermi creditore), e da un altro il Fisco deve poter valutare, in presenza di una tale domanda, tutte le conseguenze patrimoniali della sua opposizione al riconoscimento (e all'esecuzione) del rimborso.
Perciò la domanda giudiziale deve essere chiara e non ambigua, come le stesse Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare nella sentenza n. 10156 del 1998, in cui è stato detto che «quando la formulazione delle conclusioni sia ambigua, in quanto suscettibile di esser interpretata sia come rivolta ad ottenere il riconoscimento degli interessi anatocistici sia come richiesta degli interessi moratori destinati a maturare dopo la domanda e fino all'effettivo pagamento, il giudice del merito, stante lanecessaria specificità della richiesta dell'anatocismo, non può ritenere che essa sia stata proposta, quando l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono le ragioni della domanda, alla quale egli deve far riferimento per sciogliere quell'ambiguità, non somministri argomenti in tale senso. Resta altresì escluso che all'assenza di siffatta domanda in primo grado possa rimediarsi mediante la sua formulazione per la primavolta in appello sia pure limitatamente agli interessi prodotti dalla data di tale domanda sul capitale rappresentato dagli interessi scaduti sino a tale data, non essendo consentito proporre in appello per la prima volta la domanda di pagamento di interessi maturati dopo la sentenza di primo grado se il fatto produttivo di interessi era anteriore all'inizio del processo e ciononostante la relativa domanda non sia stata proposta nel giudizio di primo grado».
3.2. Nel caso di specie, la domanda giudiziale, introduttiva del presente giudizio, era caratterizzata dal seguente tenore testuale: richiesta del «rimborso della somma (...) corrispondente alla differenza tra l'importo delle trattenute subite e quello delle imposte dovute su tale somma, ai sensi dell'art. 44 d.P.R. n. 602 del 1973».
Giustamente, il giudice di appello, in base a tale formulazione del ricorso introduttivo del giudizio, ha ritenuto che il contribuente non avesse proposto ab inizio la domanda volta a conseguire anche gli interessi anatocistici.
Peraltro, lo stesso giudice ha sostenuto che una tale domanda potesse essere correttamente proposta con la memoria, successivamente depositata.
Ma il giudizio tributario, in base alla disciplina dettata dagli artt. 18, comma secondo, 19 e 24, comma secondo, D.Lgs. n. 546 del 1992, è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo, in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti. Da ciò consegue che nuove censure del contribuente, introdotte in appello con memoria aggiuntiva, sono inammissibili perché comportano l'esame di una nuova causa petendi (Cassazione n. 9754 del 2003).
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte richiamata nella sentenza impugnata in questa sede, a sostegno dell'ammissibilità della nuova istanza (giurisprudenza che ritiene legittima la domanda proposta anche in fasi successive al giudizio già intrapreso), presuppone e si riferisce solo ai casiin cui la domanda per gli interessi ex art. 1283 cod. civ. sia già stata correttamente proposta con il ricorso introduttivo, non anche a quelli - come questo - in cui la stessa sia stata avanzata solo nella memoria illustrativa, depositata prima della discussione della causa.
4. In conclusione, il ricorso dell'Amministrazione, è fondato e deve essere accolto.
La sentenza, pertanto, va cassata in relazione alla censura contenuta nel ricorso e la causa, non essendo necessari altri accertamenti in fatto, decisa anche nel merito, dichiarando inammissibile la domanda relativa agli interessi anatocistici proposta dalla contribuente.
5. Le spese dell'intero giudizio vanno compensate, in ragione delle puntualizzazioni resesi necessarie in questa sede giudiziale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura contenuta nel ricorso e, decidendo la causa nel merito, dichiara inammissibile la domanda relativa agli interessi anatocistici. Compensa le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di cassazione, dai magistrati sopraindicati, il 16 dicembre 2005.