Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26827 - pubb. 11/01/2021

Contestazioni concernenti esistenza, entità e qualità dei crediti ammessi nella LCA

Cassazione civile, sez. I, 19 Aprile 2001, n. 5769. Pres. Reale. Est. Panebianco.


Sull'ordine di distribuzione delle somme - Ammissibilità - Sull'esistenza, quantità e qualità dei crediti ammessi - Esclusione - Rimedio esperibile - Opposizione allo stato passivo, ai sensi dell'art. 100 legge fall., richiamato dall'art. 209 stessa legge



Le contestazioni concernenti l'esistenza, entità e qualità dei crediti ammessi, in una procedura di liquidazione coatta amministrativa, sono proponibili soltanto con l'impugnazione dello stato passivo, ai sensi dell'art. 100 legge fall., che l'art. 209 stessa legge richiama, e non anche con l'opposizione al piano di riparto, ai sensi dell'art. 213 legge fall., con cui le contestazioni ammissibili sono limitate all'ordine di distribuzione delle somme. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PASQUALE REALE - Presidente -

Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO - rel. Consigliere -

Dott. FRANCESCO FELICETTI - Consigliere -

Dott. GIUSEPPE SALMÈ - Consigliere -

Dott. PAOLO GIULIANI - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

FERRI FRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIULIO CESARE 71, presso l'avvocato CLAUDIO NETTI, rappresentato e difeso dall'avvocato FERNANDO PIAZZOLLA, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA COOPERATIVA "VILLAGGIO LE GRAZIE" a r.l., in persona del Commissario Liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PRATI FISCALI 158, presso l'avvocato SERGIO DEL VECCHIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato RANIERI FELICI, giusta in calce al controricorso;

- controricorrente -

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 136/99 della Corte d'Appello di ANCONA, depositata l'08/05/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/2000 dal Consigliere Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO;

udito per il ricorrente, l'Avvocato Piazzolla, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito per il resistente, Cooperativa Villaggio Le Grazie, l'Avvocato Del Vecchio, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano SCHIRÒ che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 3.4.1996 Franco Ferri proponeva opposizione avanti al Tribunale di Macerata ai sensi dell'art. 213 L.F. al piano di riparto parziale depositato dal Commissario Liquidatore della Soc. Coop. Edilizia Villaggio Le Grazie di Recanati, chiedendone l'annullamento o la inefficacia. Esponeva che, avendo svolto nella stessa procedura attività di commissario liquidatore nella quale era stato poi sostituito dall'attuale, aveva maturato nei confronti della Liquidazione il diritto al compenso che risultava però pregiudicato da detto piano di riparto in quanto, prevedendo il pagamento dei creditori ipotecari, in ordine ai quali peraltro aveva avviato azioni revocatorie, e dovendo il suo credito soddisfarsi in prededuzione inerendo a spese di giustizia, sovvertiva l'ordine previsto dall'art. 111 L.F.. Deduceva altresì che il piano non rispettava nemmeno la percentuale da accantonare, secondo il disposto di cui all'art. 113 L.F., basandosi il suo credito su due decreti ingiuntivi che assorbivano interamente la somma destinata alla ripartizione. Si costituivano la Liquidazione Coatta Amministrativa della Soc. Coop. Villaggio Le Grazie di Recanati, nella persona del commissario Gianmario Perugini, ed il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, quale autorità di vigilanza, chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza del 16.1.1997 il Tribunale di Macerata rigettava la domanda, condannando il Ferri al pagamento delle spese processuali. Rilevava pregiudizialmente il Tribunale la carenza di interesse ad agire del Ferri in quanto, prevedendo il piano di riparto parziale la distribuzione della somma di L. 1.730.400.000 a fronte di una disponibilità di L. 1.975.314.235 (con rispetto quindi della quota del 90% prevista dall'art. 113 L.F.), l'accontanamento della somma di L. 245.000.000 circa era sufficiente a soddisfare il credito del Ferri, da riconoscersi nella misura di L. 48.415.000, come stabilito dal Ministero del Lavoro in relazione all'art. 39 L.F. ed al D.M. 28.1.1992 n. 570 applicabili anche al commissario liquidatore, e non

già nella misura di L. 1.700.000.000 di cui al parere del collegio professionale ed ai due decreti ingiuntivi emessi dai Presidenti dei Tribunali di Macerata e di Ancona.

Rilevava altresì che non era ipotizzabile un concorso fra crediti assistiti da ipoteca e crediti prededucibili in ordine alla somma ricavata dalla vendita dei beni ipotecati, salvo che i secondi trovino titolo nelle spese di amministrazione e di liquidazione dei beni medesimi.

Proponeva impugnazione il Ferri.

Si costituivano sia il Ministero dal Lavoro, il quale dava atto che con sentenza del 17.4.1997 il Consiglio di Stato aveva dichiarato illegittimo il decreto del 20.12.1990 con cui il Ferri era stato revocato dall'incarico di commissario liquidatore, e sia la Liquidazione che produceva copia del decreto del 12.6.1997 con cui il Direttore Generale della Cooperazione aveva revocato nuovamente il Ferri dall'incarico e confermato il Perugini quale commissario unico. All'esito, la Corte d'Appello di Ancona con sentenza del 154.4/8.5.1999 rigettava il gravame, condannando il Ferri alle ulteriori spese del grado.

In relazione alla nullità del piano di riparto parziale eccepita dal Ferri in quanto redatto dal L'erugini - da considerarsi, secondo l'appellante, privo di rappresentanza in ordine alla Liquidazione per effetto dell'efficacia retroattiva dell'annullamento, pronunciato dal Consiglio di Stato, del provvedimento di revoca dall'incarico - nonché in relazione alla dedotta conseguente nullità degli atti processuali, osservava la Corte d'Appello che:

- la sentenza del Consiglio di Stato non ha prodotto alcun effetto sul distinto decreto del 26.7.1990 di nomina del Perugini e sugli atti da costui compiuti, stante la sua estraneità al giudizio amministrativo, ne' comporta un effetto giuridico retroattivo di collegialità dell'incarico che non è mai esistito ne' voluto dall'Autorità di Vigilanza;

- anche dopo l'annullamento la P.A. può provvedere alla regolamentazione del rapporto con efficacia retroattiva, rinnovando il provvedimento, purché faccia salva la situazione giuridica sorta sulla base del giudicato, come era avvenuto nel caso in esame in cui si era provveduto con D.M. 12.6.1997, senza eludere il giudicato, sia alla conferma dell'atto di nomina del Perugini sia alla convalida, mediante eliminazione con effetto retroattivo del vizio formale, del provvedimento di revoca annullato;

- è inammissibile la richiesta di nullità del D.M. 12.6.1997 sia perché proposta per la prima volta in appello come motivo nuovo in violazione dell'art. 345 C.P.C. e sia perché dedotta solo con la memoria di replica in violazione dell'art. 342 C.P.C., a nulla rilevando che la questione si fondi su un fatto sopravvenuto allorché si sia in presenza di una "causa petendi" diversa ed autonoma sulla quale peraltro si è verificata la sanatoria ai sensi dell'art. 182 C.P.C. con l'emanazione del nuovo decreto di nomina (D.M. 12.6.1997) e la costituzione in giudizio;

- ai fini della determinazione del compenso per il Commissario, nonostante il mancato richiamo nelll'art. 199 L.F., trova applicazione anche per la liquidazione coatta amministrativa in via analogica l'art. 39 L.F., cui non può essere riconosciuto carattere eccezionale, senza che possano essere invocati i due decreti ingiuntivi, essendo state al riguardo proposte le relative opposizioni ed appartenendo la liquidazione del compenso all'autorità amministrativa ai sensi dell'art. 213 L.F., con la conseguente conferma del difetto di interesse all'opposizione avverso il piano di riparto;

- è tardiva e nuova in quanto svolta per la prima volta nelle difese finali del giudizio di appello la richiesta di disapplicazione del D.M. 28.1.1992 n. 570 in base al quale il Ministero ha proceduto alla liquidazione del compenso, senza considerare peraltro che tale D.M. non può aver determinato alcuna lesione di diritti soggettivi, posto che esso riconosce tali diritti e ne prevede i criteri di determinazione;

- tardiva perché dedotta per la prima volta in appello con la comparsa conclusionale è anche la deduzione relativa al difetto di ultrapetizione per avere il primo giudice esteso la cognizione ad un diritto di credito già conosciuto dai giudici delle opposizioni, difetto peraltro inesistente in quanto era stato lo stesso appellante a portare tale causa petendi alla cognizione del primo giudice;

- in sede di opposizione al piano di riparto sono consentite unicamente le contestazioni riguardanti l'ordine di distribuzione delle somme e non anche quelle relative all'esistenza, alla qualità ed all'entità dei crediti ammessi, proponibili esclusivamente con l'opposizione allo stato passivo ai sensi dell'art. 100 L.F.. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Franco Ferri, deducendo quattro motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resistono con controricorso la Liquidazione Coatta Amministrativa della Soc. Coop. Villaggio Le Grazie ed il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso Franco Ferri, dopo aver dedotto che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto che l'annullamento del provvedimento di revoca dall'incarico operato dal Consiglio di Stato fosse stato causato da un mero vizio di forma, tale non potendosi ritenere la violazione delle norme del contraddittorio per omessa audizione dell'interessato, sostiene che proprio dall'efficacia retroattiva di tale decisione deriva la carenza nel Perugini del potere di rappresentanza organica e di legittimazione rilevabile d'ufficio, in quanto tale potere avrebbe dovuto essere esercitato congiuntamente ai sensi dell'art. 198 comma 2 L.F.. Lamenta poi che la Corte d'Appello, con aperta violazione del giudicato, abbia attribuito natura di convalida ed efficacia quindi retroattiva al provvedimento con cui la P.A. aveva rinnovato la revoca e non abbia conseguentemente ritenuto caducata la nomina del Perugini.

Il ricorrente ripropone sostanzialmente all'attenzione di questa Corte la questione, già sollevata avanti alla Corte d'Appello, con cui sostiene che l'attuale commissario liquidatore Gianmario Perugini è privo di rappresentanza organica della società cooperativa e di legittimazione processuale nel presente giudizio per effetto della sentenza n. 605/97 del Consiglio di Stato che ha annullato il provvedimento del 20.12 1990 con cui il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale aveva revocato la nomina di esso Ferri a commissario liquidatore.

Ma, come esattamente ha affermato la Corte d'Appello, tale sentenza è improduttiva di effetti nei confronti del Perugini, riguardando unicamente la posizione del Ferri ed essendo peraltro il Perugini rimasto estraneo al relativo giudizio.

Indipendentemente quindi dal fatto che successivamente il Perugini sia stato confermato nella carica con decreto del 12.6.1997 contestualmente alla nuova revoca disposta nei confronti del Ferri dopo che era stato rimosso il vizio che aveva inficiato la precedente revoca della nomina di costui, consistente nella sua mancata audizione - nessuna incidenza tale pronuncia può assumere sulle situazioni giuridiche, come quella del Perugini, nel frattempo sorte in sostituzione di quella venuta meno, sia pure con un provvedimento poi annullato.

In ogni caso deve ritenersi consentito all'Amministrazione, una volta rimosso il vizio che inficiava il provvedimento annullato, adottarne con effetto retroattivo uno analogo, qualora tale vizio non riguardi, come nell'ipotesi in esame, il contenuto del precedente provvedimento e le scelte a suo tempo operate.

Con la memoria depositata nei termini previsti dall'art. 378 C.P.C. il ricorrente ha dato atto di aver prodotto in Cancelleria ai

sensi dell'art. 372 C.P.C. copia di altra sentenza del Consiglio di Stato (la n. 898/98) che riguarderebbe direttamente anche la posizione del Ferri e si ripercuoterebbe quindi sulla sua legittimazione, determinandone la carenza.

Tale produzione deve ritenersi però inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo va rilevata la sua intempestività in quanto nel giudizio avanti alla Corte di Cassazione il deposito di documenti non prodotti nei precedenti gradi e rientranti fra quelli indicati dall'art. 372 C.P.C. deve avvenire nel termine di cui all'art. 369 C.P.C. previsto per il deposito del ricorso e non già con la memoria

(Cass. 2431/95) ovvero "essere notificato mediante elenco alle altre parti".

Ora, ne' l'una ne' l'altra ipotesi sono ravvisabili nel caso in esame, essendo il deposito avvenuto ben oltre i termini previsti dal richiamato art. 369 C.P.C. e non risultando alcuna notifica alla controparte di tale deposito.

In ogni caso si osserva che l'inammissibilità della produzione in sede di legittimità di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del procedimento, salve le eccezioni espressamente indicate dall'art. 372 C.P.C., si riferisce anche ai documenti, come quello enunciato, riguardanti la regolarità della costituzione del rapporto processuale e dei relativi soggetti (giurisprudenza consolidata: Cass. 9033/00; Cass. 8122/99; Cass. 52/81). Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello abbia confermato nei suoi confronti la statuizione del Tribunale in ordine al difetto di interesse sull'erroneo presupposto dell'applicabilità dell'art. 39 L.F. e della irrilevanza dei decreti ingiuntivi, pur dichiarati immediatamente esecutivi, senza considerare che tale interesse deve essere basato unicamente sulla possibilità che egli ottenga un risultato utile dai relativi giudizi sul cui merito l'impugnata sentenza avrebbe dovuto astenersi da ogni valutazione e senza peraltro tener conto ne' dell'impossibilità di far riferimento all'analogia per la natura di norma eccezionale dell'art. 39 L.F. ne' della giurisprudenza (Sez. Un. 2189/73) che ha ritenuto applicabili, conformemente alla migliore dottrina, le tariffe professionali per la determinazione del compenso al commissario liquidatore, per il quale nessuna delega il legislatore ha rilasciato all'Autorità Amministrativa.

Pure tale censura è infondata, dovendosi condividere le conclusioni della sentenza impugnata in ordine alla carenza di interesse nel Ferri ad impugnare, in forza del suo diritto al compenso per le prestazioni di commissario liquidatore esercitate prima della revoca della nomina, il piano di riparto parziale riguardante il pagamento dei crediti ipotecari.

Anche nell'ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa nella quale, ai fini della ripartizione dell'attivo, l'art. 212 L.F. rinvia al precedente art. 111 della stessa legge, la prededuzione riguardante le spese relative alla procedura medesima non opera su tutti i beni alienati in quanto, in sede di ripartizione di somme ricavate dalla vendita di beni oggetto di ipoteca, i crediti ipotecari prevalgono su quelli prededucibili inerenti all'amministrazione, salvo che questi ultimi si ricolleghino direttamente all'attività di amministrazione e di liquidazione di detti beni (Cass. 251/95; Cass. 5913/94; Cass. 952/87; Cass. 5784/81). Nel caso in esame risulta dall'impugnata sentenza che l'importo di L. 1.700.000.000 circa, di cui il piano di riparto prevedeva la distribuzione, costituiva il ricavato della vendita di beni ipotecati e conseguentemente, in forza del richiamato principio, il credito del Ferri, non potendo collegarsi a detti beni sia perché non dedotto sotto tale specifico profilo e sia perché la loro liquidazione è successiva alla revoca dell'incarico, non avrebbe potuto essere soddisfatto su detto ricavato in prededuzione od in concorso con i creditori ipotecari.

Ulteriore elemento emerso dalla sentenza impugnata ed incompatibile con il riconoscimento di un interesse del Ferri all'impugnazione del piano di riparto parziale è costituito dall'accertata osservanza dell'art. 113 L.F. richiamato dall'art. 212 u.c. della stessa L.F., essendo risultata rispettata, in relazione all'importo di L. 48.000.000 liquidatogli dall'autorità di vigilanza a titolo di compenso, la quota di accantonamento prevista da detto art. 113 L.F. in considerazione della disponibilità di L. 1.975.314.235.

Nè è consentito, al fine di contestare l'affermato rispetto della quota di accantonamento, censurare l'entità del compenso avvalendosi, come è stato fatto, di due decreti ingiuntivi che avrebbero riconosciuto una somma di gran lunga maggiore, risultando che detti decreti non sono divenuti definitivi e dovendo ritenersi precluso in pendenza della liquidazione proseguire avanti al giudice ordinario con un separato giudizio avente ad oggetto la pretesa di un compenso maggiore in quanto la verifica non può che essere operata nell'ambito della stessa procedura attraverso una diretta impugnazione del provvedimento di liquidazione avanti al Tribunale, la cui decisione, incidendo su posizioni di diritto soggettivo, è ricorribile poi in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., analogamente a quanto è stato affermato in ordine al compenso del curatore fallimentare (Sez. Un. 2189/73). Ora nel caso in esame non solo non risulta che tale

provvedimento fosse stato a suo tempo impugnato avanti al Tribunale, ma, come ha evidenziato la Corte d'Appello, nemmeno nel giudizio di primo grado risultano censurati i criteri adottati dall'autorità di vigilanza nella liquidazione del compenso, operata alla stregua della previsione di cui all'art. 39 L.F. relativo ai curatori fallimentari, avendo riguardato la contestazione, come si è già osservato, unicamente il mancato rispetto della quota di accantonamento in relazione agli importi ben superiori riconosciuti dai due decreti ingiuntivi.

Correttamente infine la Corte d'Appello ha evidenziato, quale ulteriore motivo di difetto di interesse ad agire da parte del Ferri avverso il riparto parziale, la presenza di norme che riconoscono al liquidatore, in caso di incapienza della procedura, la liquidazione del compenso a carico dell'erario ai sensi dell'art. 6 della Legge 17.7.1975 n. 400 e della Legge 19.7.1967 n. 587.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla dedotta nullità del piano di riparto e delle transazioni in esso fatte valere per illiceità della causa, dell'oggetto e dei motivi.

La censura è in primo luogo inammissibile per la sua estrema genericità, non essendo stati indicati i motivi a sostegno della dedotta nullità del piano di riparto e non rispondendo quindi il contenuto del ricorso, valutato nel suo complesso, ai richiesti criteri di autosufficienza.

Inoltre essa, qualora la dedotta invalidità si riferisca alla prelazione di cui sono assistiti i crediti soddisfatti con il piano di riparto, sarebbe infondata in quanto, come esattamente ha sottolineato la Corte d'Appello, in sede di opposizione al piano di riparto sono consentite solo le contestazioni riguardanti l'ordine di distribuzione delle somme, ma non anche quelle relative all'esistenza, alla qualità ed all'entità dei crediti ammessi, proponibili solo con l'impugnazione dello stato passivo ai sensi dell'art. 100 L.F., richiamato dall'art. 209 L.F..

Con il quarto motivo il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto applicabile l'art. 100 L.F. in quanto, vertendosi in materia di crediti prededucibili, al commissario liquidatore è consentito procedere addirittura privatamente al loro soddisfacimento. Sostiene altresì l'erronea interpretazione dell'art. 113 L.F., avendo la Corte d'Appello ritenuto che fosse stato rispettato l'obbligo di accantonare le somme relative ai crediti in contestazione.

Anche tale censura è inammissibile per la sua genericità. In ogni caso deve ritenersi assorbita dalle considerazioni sopra espresse in ordine alle due richiamate norme della legge fallimentare (artt. 100 e 113).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell'onorario che liquida a favore di ciascuno in L. 10.000.000 oltre alle spese liquidate in L. 375.300 per la cooperativa "Villaggio Le Grazie" e alle spese prenotate a debito per l'amm.ne. Così deciso in Roma, il 20 novembre 2000.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2001