Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6454 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 21 Febbraio 1990, n. 1301. Est. Graziadei.
Società - Di persone fisiche - Società in nome collettivo - Rapporti tra soci - Divieto di concorrenza - Rinuncia dei soci - Fatti concludenti - Ammissibilità.
Il consenso degli altri soci all'attività concorrenziale del singolo socio, ai sensi ed agli effetti dell'art. 2301 cod. civ., integrando rinuncia ad un diritto disponibile, opera a prescindere dalle ragioni che lo abbiano determinato, resta fermo nonostante eventuali ripensamenti successivi e può essere espresso anche tacitamente, per "facta concludentia" (nella specie, collaborazione professionale prestata per il buon esito dell'iniziativa imprenditoriale del socio). (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I
Composta dagli ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Mario CORDA Presidente
" Francesco FAVARA Consigliere
" Gian Carlo BIBOLINI "
" Maria Gabriella LUCCIOLI "
" Giulio GRAZIADEI Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CUZZOCREA Filippo, elett. dom. in Roma, Via Oslavia N.14, c-o di se, si rapp. e difende unitamente all'avv. Francesco Mancuso, giusta delega in atti.
Ricorrente
contro
CUZZOCREA Giuseppe, elett. dom in Roma, Via Anastasio II n.102, c-o l'avv. Antonio Appella, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti.
Controricorrenti
Avverso la sentenza della Sezione distaccata della Corte di Appello in Reggio Calabria in data 24-9-87;
Udita la relazione svolta dal Cons. dott. Giulio Graziadei;
Udito per il ricorrente l'avv. Mancuso;
Udito per il resistente l'avv. Appella;
Udito per il P.M. dott. Renato Golia, che ha concluso per il rigetto. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Avv. Filippo Cuzzocrea, socio della società di persone "Domenico Cuzzocrea" esercente il commercio di tessuti e filati, citava davanti al Tribunale di Reggio Calabria, con atto del 16 dicembre 1974, il fratello ing. Giuseppe Cuzzocrea, anch'egli socio di detta società, per sentirlo dichiarare responsabile di atti di concorrenza illecita e sleale, con l'adozione dei provvedimenti di cui agli artt.2599 e 2600 cod. civ., nonché per sentirne pronunciare l'esclusione dalla società.
L'attore tra l'altro, esponeva che il convenuto svolgeva, dal 1963, analoga attività di rivendita all'ingrosso di tessuti e confezioni, tramite una società in accomandita semplice, poi trasformata nel 1965 nella ditta individuale "Giuseppe Cuzzocrea fu Domenico"; aveva ingenerato, con falsa "reclame", l'opinione che si trattasse di un'unica impresa; aveva profittato della sua conoscenza dei prezzi praticati dalla "Domenico Cuzzocrea"; aveva riprodotto i segni distintivi di quest'ultima, creando confusione fra i rispettivi prodotti.
Il Tribunale adito, con sentenza del 2 dicembre 1984, respingeva la domanda.
La Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza del 24 settembre 1987, confermava detta pronuncia, disattendendo il gravame proposto dal soccombente.
Con riguardo all'addebitabilità o meno al convenuto di violazione del divieto di concorrenza posto nei confronti del socio dall'art.2301 cod. civ., la Corte di Reggio condivideva la soluzione negativa del Tribunale, sul rilievo che l'iniziativa commerciale di Giuseppe Cuzzocrea aveva trovato il consenso non soltanto dei soci diversi dall'appellante (senza che fosse necessario indagare sulle ragioni delle relative adesioni), ma anche del medesimo appellante, come poteva evincersi dal fatto che egli si era ripetutamente interessato della nuova impresa del fratello, fornendo la propria collaborazione in occasione della trasformazione in ditta individuale e di successivi problemi di natura tributaria.
Con riguardo poi ai dedotti comportamenti di concorrenza sleale la Corte d'appello rilevava la mancata dimostrazione del verificarsi dei fatti denunciati o comunque dei requisiti occorrenti per la loro riconducibilità nelle previsioni dell'art.2598 cod. civ.. In particolare, in relazione alla tesi dello sviamento di clientela per propalazione di false notizie circa l'identità delle due ditte, osservava che la prova era del tutto carente, per il periodo anteriore all'instaurazione della causa, nonché inadeguata, per il periodo successivo. A tale ultimo proposito considerava che il teste Carta, parlando di detta identità, aveva espresso un suo convincimento personale, non riferito parole dell'appellato, e che l'inattendibilità di questa dichiarazione non poteva essere desunta dalla altre deposizioni (il teste Zumbo aveva riferito una diversa versione offerta dal Carta in altra sede, ma il teste Foti, anch'egli presente, aveva confermato che quell'opinione era stata resa titolo personale). Del resto, aggiungeva la Corte, una concorrenza sleale per false "reclame" non era ravvisabile per notizie erronee eventualmente date da Giuseppe Cuzzocrea ad una sola persona. Contro la sentenza della Corte di Reggio Calabria ha proposto ricorso per cassazione Filippo Cuzzocrea, sulla base di due motivi, mediante atto notificato a Giuseppe Cuzzocrea il 4 dicembre 1987. Questi si è costituito con controricorso. Entrambe la parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo d'impugnazione, si ripropone la tese della responsabilità dell'intimato per atti di concorrenza sleale, consistenti in "reclame" menzognera. Si sostiene che il contrario convincimento della Corte d'appello è frutto di un'erronea ed incompleta esegesi delle risultanze processuali, perché non si è considerato che una maliziosa condotta di Giuseppe Cuzzocrea, rivolta a far credere ai clienti che la sua attività di commercio si inseriva in quella della società "Domenico Cuzzocrea", emergeva dalla deposizione del Carta, la cui opinione sull'esistenza di un'unica impresa era stata provocata dalle dichiarazioni del convenuto (alla stregua di quanto puntualizzato dai testi Zumbo e Baccellieri).
Il motivo è infondato.
Al fine della configurabilità di concorrenza sleale, ai sensi dell'art.2598 cod. civ., per atti rivolti a creare confusione con l'attività ed i prodotti dell'impresa concorrente, non è sufficiente che tali atti siano indirizzati a detto risultato, occorrendo altresì che essi siano obiettivamente idonei a conseguire il risultato medesimo, vale a dire a determinare una situazione di effettiva confondibilità, nel rapporto con i clienti, fra imprese operanti nello stesso settore, con le connesse implicazioni di danno o pericolo di danno dell'una a vantaggio dell'altra. La suddetta situazione, che normalmente abbisogna di comportamenti plurimi o reiteranti, può essere ravvisata anche sulla base di un atto isolata, qualora, secondo un apprezzamento del caso concreto, istituzionalmente riservato al giudice del merito, esso risulti tanto grave da implicare di per sè l'indicata confondibilità di attività e prodotti, o presenti comunque connotati tali da far presumere il verificarsi di fatti analoghi (v. Cass. n.2220 dell'8 maggio 1978 n.2458 del 1 settembre 1974).
Con riferimento alla specie, la sentenza impugnata, dopo aver vagliato la deposizione del Carta in termini sfavorevoli all'attore, ritenendo cioè che la convinzione del teste, circa l'identità delle due ditte, non era stata provocata da dichiarazione a lui resa dal convenuto, ha rilevato che, in ogni caso, un'affermazione eventualmente fatta ad una persona soltanto non avrebbe potuto integrare concorrenza sleale per confusione.
Tale ultima notazione della Corte d'appello, che si uniforma ai riportati principi, e che non è oggetto di specifiche censure del ricorrente (il quale non indica le ragioni per le quali il solo colloquio con il Carta dovesse essere considerato di per sè idoneo a creare confusione fra la clientela, ovvero dovesse far desumere il verificarsi di colloqui analoghi), basta a giustificare sul punto la sentenza impugnata, e, quindi, rende, ininfluenti le doglianze inerenti alla valutazione delle testimonianze. Peraltro, giova aggiungere che queste doglianze, ancorché formulate sotto il profilo dell'omesso esame di elementi decisivi, si traducono, in sostanza, in una inammissibile richiesta di riesame delle deposizioni in quanto fanno leva su dati processuali che la Corte di Reggio non ha mancato di prendere in considerazione, pur se con esito diverso da quello voluto dalla parte appellante.
Il secondo motivo del ricorso è rivolto a censurare
l'affermazione secondo cui Giuseppe Cuzzocrea non ha violato il divieto di concorrenza fissato dall'art.2301 cod. civ., in quanto munito del consenso di tutti i soci della società "Domenico Cuzzocrea". Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha trascurato di indagare sulla validità o meno delle ragioni del consenso degli altri soci ed ha poi ritenuto provato pure il consenso di esso denunciante, nonostante la presenza di testimonianze che inequivocamente riferivano della sua opposizione "in famiglia", nonché di documenti inerenti a numerose contese giudiziali, anche successive all'apertura del nuovo esercizio commerciale, che indicavano un continuo contrasto con il fratello, senza alcun momento di tregua.
Il motivo è infondato.
Il consenso degli altri soci di una società di persone all'attività concorrenziale del singolo socio, che, ai sensi dell'art.2301 cod. civ., rende lecita tale attività (altrimenti vietata), integra rinuncia ad un diritto disponibile. Detta rinuncia, alla stregua della natura del suo oggetto, ed in difetto di specifiche contrarie, non si sottrae alle regole generali riguardanti gli atti abdicativi, sicché deve ritenersi validamente espressa indipendentemente dalle ragioni che possono averla determinata (ove esse non si traducano in vizi di nullità od annullabilità della dichiarazione negoziale), senza necessità di forme particolari, quindi anche tacitamente "per facta concludentia", ed altresì a prescindere da eventuali ripensamenti successivi, inidonei a far risorgere un diritto ormai estinto.
La sentenza impugnata, dopo aver accertato che l'iniziativa di Giuseppe Cuzzocrea aveva ottenuto l'adesione non soltanto dei soci diversi dall'odierno ricorrente (circostanza non più in discussione), ma anche di quest'ultimo, tramite comportamenti incompatibili con una volontà di opporsi all'iniziativa medesima, ha negato l'invocabilità del divieto di concorrenza posto dalla citata norma (ovviamente astenendosi dall'indagare sull'ammissibilità di un consenso maggioritario anziché unanime degli altri soci, stante la ritenuta sussistenza della seconda ipotesi).
Le disposizioni in diritto sopra svolte mostrano la correttezza della statuizione della Corte di Reggio, cui non può contestarsi di non aver indagato sui movimenti dell'adesione dei soci diversi dall'istante, posto che il loro consenso non avrebbe perso validità od efficacia, pure se, in ipotesi, come si sostiene, determinato da dispetto o ritorsione verso Filippo Cuzzocrea (non sussistono, ne' comunque vengono dedotti i requisiti per l'applicabilità degli artt.1345 e 1418 cod. civ.), e nemmeno può addebitarsi, quanto alla posizione dell'attore, di aver trascurato i suoi molteplici dissidi con il fratello Giuseppe, dato che quelli anteriori al suddetto consenso tacito restavano superati e quelli successivi erano privi di attitudine a far rivivere un diritto già oggetto di rinuncia. Con riguardo, infine, all'accertamento dell'indicato consenso tacito, basta osservare che l'apprezzamento della Corte del merito non presenta vizi motivazionali, discendendo dal logico ed esauriente rilievo secondo cui la collaborazione, anche professionale, per il buon esito di un'attività imprenditoriale altrui , non è conciliabile, se non a livello di ininfluente riserva mentale, con la conservazione della facoltà di denunciare l'attività stessa come fatto illecito in proprio danno.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con la conseguenziale condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, come appresso determinate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto da Filippo Cuzzocrea, che condanna al rimborso, in favore di Giuseppe Cuzzocrea, delle spese del presente giudizio, liquidate nella complessiva misura di lire 2.081.000 di cui lire 2.000.000 per onorari.
Roma, 16 dicembre 1988