Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6309 - pubb. 01/08/2010
.
Cassazione civile, sez. II, 23 Febbraio 1990, n. 1349. Est. Di Ciò.
Società - Di persone fisiche - Società semplice - Rapporti tra soci - In genere - Acquisto di un immobile da parte di uno dei soci in nome proprio e per conto della società - Ritrasferimento dell'immobile agli altri soci - Obbligo dell'acquirente - Mancanza di un mandato scritto - Irrilevanza.
In tema di società semplice, qualora uno dei soci acquisti in nome proprio un immobile, solo se l'acquisto sia stato fatto per conto della società, egli è obbligato a ritrasferire l'immobile agli altri soci, ancorché un mandato ad acquistare non risulti da atto scritto, stante che il socio amministratore - e tale è nella società semplice, salva diversa pattuizione, ciascuno dei soci - ha, rispetto agli altri soci (artt. 1706, 2257 e 2260 cod. civ.) la veste di mandatario ex lege. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Gaetano CAROTENUTO Presidente
" Filippo ANGLANI Consigliere
" Vincenzo DI CIÒ Rel. "
" Girolamo GIRONE "
" Vittorio VOLPE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
il primo (rg. n. 2792-85):
LASAGNA Learco res. in S. Benedetto Pò (Mantova) nato a Quistello (Mn) il 12-1-1908; elett. dom in Roma Via Muzio Clementi 64 presso studio Luigi Devoto che lo rapp. e difende insieme all'avv. Learco Bianchi per d. a m. del ricorso.
Ricorrente
contro
FERRARI Rosanna ved. Lasagna.
Intimata
il 2 (rg. n. 4048-85) proposto
da
FERRARI Rosanna ved. Lasagna di Mantova; elett. dom. in Roma Via Gavinana 4 presso l'avv. Domenico Angelini che la rappresenta e difende insieme all'avv. Alberto Scalori p. d. a m. del ricorso incidentale.
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
LASAGNA Learco.
Intimato
per l'annullamento della sent. c.a. Brescia del 5-12-84-7-1-85. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21-9-88 dal cons. Di Ciò.
Per il ricorrente principale è comparso l'avv. Devoto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e rigetto di quello incidentale.
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Italo Visalli che ha concluso per l'accolgimento del ricorso principale con l'assorbimento del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I fratelli Giacomo Lasagna con scrittura privata del 22 giugno 1969 stabilivano di procedere alla divisione di beni immobili relitti dal padre, Amedeo, deceduto nel 1951.
In seguito a sorteggio, venivano così assegnati a Giacomo il fondo S. Antonio, complessivamente di biolche mantovane 66, ed a Learco il fondo Zovo, di pari estensione.
Nella scrittura si affermava, tra l'altro espressamente che "i fondi, nella superficie così determinata, sono individuati, quanto ai confini, nella allegata mappa, che fa parte integrante della presente convenzione".
Lo stesso giorno con altra scrittura privata, Learco vendeva a Giacomo sei biolche del fondo Zovo, di cui "tre in fregio del fondo Rose e tre in fregio all'appezzamento Bambine; il tutto come da mappa allegata, che forma parte integrante del presente atto". Giacomo Lasagna nel luglio del 1975 conveniva innanzi al tribunale di Mantova il fratello Learco e, premesso quanto sopra e dolendosi che questi non avesse dato esecuzione ai menzionati contratti, ne chiedeva la condanna ad eseguire la convenzione divisionale e, previo frazionamento, alla stipulazione dell'atto pubblico di trasferimento della proprietà delle sei biolche del fondo Zovo. Chiedeva altresì, per il caso che non vi ottemperasse, una sentenza sostitutiva dell'atto di trasferimento.
Learco Lasagna, dopo avere esplicitamente riconosciuto la validità sia della divisione, sia della vendita - verso le quali dichiarava di non avere "motivi di opporsi", precisava che i due contratti non avevano, a suo parere, natura preliminare, trattandosi di atti definitivi; eccepiva quindi l'improponibilità della domanda, poiché l'attore avrebbe dovuto limitarsi a chiedere l'accertamento delle sottoscrizioni ex art. 2652 n. 3 e 2657 c.c. Adduceva inoltre che, mediante l'ulteriore convenzione, sempre del 22 giugno 1969, lui ed il fratello si erano obbligati a risolvere tutte le contestazioni relative alla consistenza ed alla valutazione dei beni, nonché ai criteri da utilizzare per stabilire le risultanze, attive e passive, della gestione dei beni ereditari, "ivi compreso l'investimento fatto per l'acquisto del fondo Bariole". Ma nulla Giacomo aveva fatto per adempiere agli obblighi così assunti; onde chiedeva, in via riconvenzionale, che egli venisse condannato a trasferirgli metà del predetto fondo Bariole, acquistato con denaro comune ed arbitrariamente intestato soltanto a Giacomo.
Il 12 dicembre 1979 l'attore decedeva ed in suo luogo si costituiva la vedova Rosanna Ferrari.
Costei, con la comparsa di riassunzione del giudizio, chiedeva che si dichiarasse la "avvenuta divisione dei beni immobili in forza della scrittura del 22 giugno 1969"; che si dichiarasse "già trasferita" la porzione del fondo Zovo in base all'atto di vendita 22 giugno 1969; e, per ultimo, che Learco Lasagna venisse "condannato ad immediatamente rilasciare tutti i fondi ed a risarcire il danno per l'abusiva occupazione". Riproponeva inoltre, le istanze di sequestro conservativo dei beni assegnati al cognato Learco e si opponeva al sequestro giudiziario del fondo Bariole, chiesto da quest'ultimo. Replicando a verbale, all'udienza del 1 aprile 1980, il difensore di Learco Lasagna dichiarava di "opporsi alle istanze avversarie", ribadendo le proprie. Quindi il giudice istruttore, con ordinanza del 26 giugno 1980, autorizzava il sequestro giudiziario dei fondi S. Rosa, S. Giacomo, S. Antonio, di metà del fondo bariole e di sei biolche del fondo Zovo.
Rimessa la causa al collegio, dopo l'espletamento di una consulenza tecnica, in comparsa conclusionale il convenuto eccepiva per la prima volta la nullità tanto del contratto di divisione quanto di quello di compravendita, adducendo una presunta indeterminatezza dell'oggetto. La parte attrice, infatti, aveva mancato di produrre le mappe menzionate nelle dette scritture e, da ciò, sarebbe scaturita l'impossibilità di individuazione degli appezzamenti di terreno oggetto delle convenzioni. Il tribunale adito, con sentenza in parte definitiva ed in parte non definitiva, rigettava la domanda riconvenzionale del Lasagna volta ad ottenere l'attribuzione di metà del fondo Bariole, ritenendo tra l'altro che mancasse la prova dell'esistenza, tra i due fratelli, di un rapporto associativo rispetto a quel bene. Dichiarava ammissibili le domande dell'attrice, perché modificative - e non nuove - rispetto a quella iniziale avanzata dal coniuge. In ogni caso, in relazione a tali domande era stato accettato il contraddittorio. Respingeva le eccezioni di nullità dei contratti di divisione e di vendita, sollevate con comparsa conclusionale, e rimetteva le parti dinanzi al giudice istruttore, perché si procedesse ad una consulenza tecnica volta all'identificazione dei vari immobili e per provvedere sulla istanza di esibizione delle mappe, proposta dall'attrice con la memoria di replica, unitamente all'accusa, per il convenuto, di essersene appropriato dopo averne ottenuto la restituzione dal notaio incaricato di redigere l'atto pubblico di divisione.
In seguito ad impugnazione di Learco Lasagna la Corte d'Appello di brescia, con la sentenza ora denunciata del 5 dicembre 1984 - 7 gennaio 1985, confermava integralmente la gravata pronuncia, condannando l'appellante al pagamento delle ulteriori spese giudiziali. Osservava, per quanto ancora è rilevante, che rispetto alle domande proposte da Rosanna ferrari con la comparsa di riassunzione non era stata sollevata alcuna eccezione di novità, ma era stata esplicata una difesa sul merito, onde in ordine ad esse il contraddittorio era stato accettato. Comunque tali domande non erano da considerare nuove, bensì semplicemente modificative di quelle iniziali proposte da Giacomo Lasagna, conseguenti alla deduzione di Learco di non avere nulla da opporre ad una richiesta diretta "alla formalizzazione notarile degli atti". Era insussistente l'assunta nullità dei contratti per indeterminatezza degli oggetti", perché al momento della conclusione delle convenzioni - unico momento rilevante per stabilire la loro validità - i fondi erano perfettamente determinati, attraverso le mappe che facevano "parte integrante dei contratti". Quanto alla domanda riconvenzionale inerente al fondo Bariole, il tribunale non si era ancora pronunciato, innanzi tutto, su come si fosse svolta la gestione dei beni ereditari dalla morte del de cuius al 22 giugno 1969. Se anche, per ipotesi, Giacomo avesse da solo curato tale gestione, assumendo il ruolo di capo di una comunione tacita familiare, doveva tenersi presente che, ai sensi dell'art. 2140 c.c., le comunioni tacite familiari in agricoltura sono regolate dagli usi; ma Learco Lasagna non aveva fornito la prova dell'esistenza, in provincia di Mantova, di un uso in forza del quale il membro di una comunione tacita familiare che acquista un bene in nome proprio ha l'obbligo di ritrasferirlo pro quota agli altri membri dela comunione. In mancanza di usi dovevano applicarsi le norme sulla società semplice, in base alle quali il socio amministratore che acquista un bene proprio senza spendita del nome della società, ha l'obbligo di ritrasferirlo a questa solo se in precedenza abbia un impegno in tal senso verso gli altri soci. Nè la tesi dell'appellante era confortata dalla convenzione 22 giugno 1969, con cui i fratelli contraenti si erano obbligati a sottoporre al giudizio di un arbitro ogni questione insorta tra loro circa i "criteri da utilizzare per stabilire le risultanze attive e passive della gestione e della utilizzazione dei beni caduti in successione dal 1951" in poi, ivi compreso l'investimento fatto per l'acquisto del fondo Bariole. Invero con tale clausola era stato fissato l'obbligo, da parte di chi aveva amministrato l'impresa agraria, di rendere il conto della gestione;
onde, tra l'altro, stabilire se il fondo Bariole fosse stato acquistato da Giacomo con i propri mezzi, ovvero impiegando anche gli utili spettanti al fratello Learco ed allo stesso non corrisposti; in ogni caso, se fosse stata accertata quest'ultima ipotesi, l'appellante sarebbe stato creditore degli utili, senza poter pretendere il trasferimento in suo favore di parte del fondo Bariole. Learco Lasagna ha proposto ricorso contro detta sentenza, in base a quattro motivi di cassazione.
Rosanna Ferrari ved. Lasagna resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, costituito da un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi, n. 2792-85 e n. 4048-85, vanno innanzi tutto riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. trattandosi di impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza.
Il ricorrente principale Learco Lasagna denuncia, con il primo mezzo, l'omessa motivazione in ordine al rigetto della eccezione di novità, e quindi di tardività e di inammissibilità, della domanda con cui Rosanna Ferrari, nel procedere alla riassunzione del giudizio dopo la morte del coniuge Giacono Lasagna, ha chiesto che fosse dichiarata l'avvenuta divisione dei beni immobili in forza della scrittura privata del 22 giugno 1969, nonché il trasferimento della porzione del fondo Zovo in suo favore, in base all'atto privato di vendita stipulato in pari data; mentre inizialmente era stata formulata, riguardo al trasferimento di proprietà, domanda volta ad ottenere, mediante sentenza costitutiva, gli effetti del contratto definitivo di vendita non stipulato. In particolare, il Lasagna si duole che la sentenza impugnata abbia giudicato implicitamente accettato il contraddittorio rispetto alla nuova domanda, senza dare adeguatamente ragione di siffatta conclusione: considerata anche l'esplicita opposizione immediatamente manifestata da esso convenuto, contro la pretesa formulata nello atto di riassunzione sopra ricordato.
La censura va respinta.
Dev'essere premesso che, poiché il divieto di proporre nuove domande nel corso del giudizio di primo grado risponde all'esigenza di assicurare la regolarità del contraddittorio ed è posto a tutela della controparte, ne deriva che ove questa non eccepisca la tardività e l'inammissibilità della nuova domanda ma accetti, esplicitamente o anche in modo implicito, l'ampliamento del thema decidendum, la questione deve intendersi superata e la controversia definitivamente estesa all'ulteriore pretesa formulata. Va poi, aggiunto che, come del resto lo stesso ricorrente ammette l'interpretazione delle domande e delle eccezioni - ossia l'esatta individuazione della volontà e dei fini perseguiti dalle parti che le propongono - compete al giudice del merito.
Orbene, la corte d'appello ha rilevato che Learco Lasagna, nel costituirsi dopo la riassunzione del giudizio, ha dichiarato di "opporsi alle istanze avversarie", senza nulla obiettare circa la loro ritualità. In seguito, poi, tale opposizione si è sempre estrinsecata, nel corso del procedimento di primo grado, in forma di vera e propria resistenza alla domanda al fine di confermare e sostenere l'eccezione di nullità dei due contratti. I motivi accennati, pur succintamente svolti, sono adeguati, logici e coerenti, in quanto consentono di seguire in modo completo il processo intellettivo sfociato nella decisione. Pertanto l'addotto difetto di motivazione non sussiste e la cennata doglianza va disattesa.
In tale conclusione restano assorbite tutte le altre argomentazioni e tesi inerenti alla esaminato motivo d'impugnazione. Con il secondo mezzo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 184 c.p.c. e la nullità della sentenza a norma dell'art. 360, n. 3 e 5, stesso codice, per essere stato ritenuto che il chiedere la condanna all'esecuzione di un contratto non costituisca "mutatio", ma semplice "emendatio", rispetto alla domanda di pronuncia di una sentenza ex art. 2932 c.c. Senonché la questione così posta è superata da quella esaminata e risolta con il primo motivo: una volta accettato il contraddittorio rispetto alla nuova formulazione della domanda, viene meno la possibilità di eccepire, in seguito, che essa sia nuova e, pertanto, inammissibile, onde l'assoluta irrilevanza del quesito contenuto nel presente motivo d'impugnazione. Con il terzo mezzo il Lasagna, denunciando la violazione dell'art. 112 c.p.c., lamenta che la corte bresciana abbia affermato che non incombesse all'attore l'onere di provare la determinatezza o la determinabilità dell'oggetto del contratto ed abbia accollato al convenuto l'onere di eccepire l'indeterminatezza; senza considerare che tale elemento è essenziale ai fini dell'accoglibilità della domanda che presuppone l'esistenza di una compravendita o il trasferimento di una proprietà immobiliare e non si concreta, come sembra ritenere il giudice del merito, in un fatto impeditivo o estintivo della pretesa; ossia in una eccezione.
Giova premettere che la prospettata questione ha origine nella tesi che i due contratti, non essendo corredati degli estratti catastali cui si fa riferimento per l'individuazione dei fondi costituenti il loro oggetto, sarebbero nulli per l'indeterminatezza di quest'ultimo elemento. Ma la corte territoriale, muovendo dall'ineccepibile considerazione che ai fini della validità dei contratti e dei loro effetti deve farsi riferimento al momento della loro stipula, ha accertato che gli estratti catastali, contenenti la materiale raffigurazione dei fondi in questione, erano allegati alle scritture negoziali, di cui erano esplicitamente considerati e definiti "parte integrante". Ne segue che l'addotta indeterminatezza è stata coerentemente esclusa, unitamente agli effetti giuridici che ad essa conseguono. Ciò rende irrilevante ogni ulteriore questione prospettata circa l'onere della prova, dato che comunque la circostanza di fatto fondamentale - ossia la materiale allegazione delle mappe alle scritture contrattuali - è stata dedotta, nella sede opportuna, dal contenuto stesso dei negozi sottoscritti dalle parti stipulanti. Nè - è appena il caso di notarlo - sussiste MOTIVI DELLA DECISIONE
l'assunta contraddittorietà tra il rigetto dell'eccezione di nullità dei contratti e l'ammissione della consulenza tecnica volta all'esatta individuazione dei fondi: da un lato, come si è posto in rilievo, l'esistenza delle mappe integrative delle scritture comporta la regolarità e la validità dei contratti sotto il profilo della determinatezza del loro oggetto; dall'altro la constatazione della loro successiva mancanza ha giustamente indotto il giudice del merito a sopperirvi con la ricordata attività istruttoria. Con il quarto mezzo il ricorrente deduce violazione e l'errata applicazione degli art. 2140, 2251, 1399, 1321 e segg. e 1367 c.c., nonché difetto di motivazione, per avere la corte del merito escluso l'obbligo, incombente su Lasagna Giacomo (ed ora su Rosanna ferrari), di trasferirgli la proprietà indivisa di metà del fondo Bariole, acquistato, da medesimo Giacomo, per conto della società di fatto costituita con il fratello per la comune gestione dei beni ereditari, con gli utili della gestione stessa.
Premette che i fondi costituenti l'eredità relitta nel 1951 da padre - pervenuta in parti eguali ai figli Giacomo e Learco - erano stati amministrati dal primo fino al 1969 e pone in rilievo, al fine di confortare la tesi che il fondo Bariole sia stato acquistato da Giacomo per conto della suddetta società di fatto, due precise circostanze:
a) che nella prima parte delle trattative volte a tale compravendita Giacomo ha speso sia il proprio nome, sia quello del fratello, sottoscrivendo un contratto anche a nome di quest'ultimo, "indicato acquirente al 50%. Successivamente, in un secondo contratto, è stata omessa ogni menzione di Learco;
b) che la scrittura divisionale in data 22 giugno 1969 contiene una convenzione arbitrale, la quale testualmente prevede tra l'altro:
"l'arbitro dovrà risolvere ogni questione sorta circa i criteri da utilizzare per stabilire le risultanze attive e passive della gestione o dell'utilizzo dei beni caduti in successione dal 1951 ad oggi (ivi compreso l'investimento fatto per l'acquisto del fondo Bariole, in agro di S. Benedetto Po)".
Orbene la corte territoriale non avrebbe adeguatamente spiegato perché, contrariamente al chiaro contenuto letterale dei due documenti menzionati e segnatamente del secondo, sia stato escluso che il fondo Bariole fosse stato acquistato da Giacomo Lasagna, anche per conto del fratello Learco, suo socio di fatto nella gestione del comune patrimonio ereditario.
La censura è fondata.
I giudici d'appello - nel confermare la sentenza di primo grado che aveva disatteso la domanda riconvenzionale di Learco Lasagna, diretta all'affermazione dell'obbligo, in capo all'attrice, "a trasferirgli la metà del fondo Bariole acquistato con denaro comune" hanno mosso le loro considerazioni dal rilievo che "dopo la morte del comune genitore i due fratelli "rimasero nella casa paterna e continuarono a condurre i fondi caduti in successione". Ora, dovendosi applicare a tale sodalizio le norme sulla società semplice, trovava applicazione il principio per cui se "il socio amministratore acquista un bene in nome proprio senza spendita quindi del nome della società, ha l'obbligo di ritrasferirlo a questa solo se abbia in precedenza assunto un impegno in tal senso verso gli altri soci". Nè tale obbligo, nella specie, potrebbe desumersi dal contenuto della menzionata clausola arbitrale, perché se anche si accertasse l'acquisto del fondo Bariole con denaro spettante a Learco - quali utili della gestione comune - il fratello Giacomo, ed ora la vedova di lui, potrebbe essere condannato a corrispondergli le somme relative, "ma mai a trasferirgli la proprietà del fondo Bariole". Per un corretto esame della questione giova premettere, e ribadire, i principi di diritto ad essa applicabili, alla stregua anche dello orientamento giurisprudenziale ormai consolidato di questa Corte regolatrice (cfr. sentenze 24 febbraio 1975, n. 691; 5 maggio 1980, n. 2935; 30 marzo 1985; n. 2235).
Allorché, come nella specie è avvenuto - alla stregua di circostanze pacifiche ed accertate nella sede opportuna - un socio di una società di fatto acquista un nome proprio un bene immobile, deve innanzi tutto distinguersi tra gli effetti diretti del contratto e quelli inerenti ai rapporti interni tra i soci.
Sotto il primo aspetto, poiché il principio della "contemplatio domini" è valido anche nel campo della rappresentanza sociale, nella delineata situazione il negozio concluso produce effetto solo per gli stipulanti, anche se esso concerna interessi o beni comuni. Sotto il secondo aspetto, la questione va esaminata con speciale riferimento al disposto degli artt. 2257, 1706 secondo comma e 2260 c.c. La prima delle citate norme prevede che l'amministrazione della società semplice spetta, salva diversa pattuizione, a ciascuno dei soci, disgiuntamente dagli altri. E poiché i diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato (art. 2260, primo comma, c.c.), deve ritenersi che il socio amministratore abbia, rispetto agli altri soci, la figura giuridica del mandatario ex lege.
Con l'ulteriore conseguenza che, per effetto dell'art. 1706 c.c., il mandante (o il socio) può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario (o socio amministratore) - il quale abbia agito in nome proprio - salvi i diritti acquistati dai terzi. Se le cose acquistate del mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario (o il socio amministratore) è obbligato a ritrasferirgli al mandante (o agli altri soci).
Alla stregua degli enunciati criteri, validi naturalmente se l'amministratore non abbia proceduto all'acquisto in nome e per conto proprio, ma in nome proprio e per conto e nell'interesse della società, in base alle pacifiche circostanze indicate, il giudice di merito, era chiamato a risolvere un decisivo problema di fatto: quale delle dedotte ipotesi si fosse verificata nella presente controversia: ossia se il fondo Bariole sia stato comprato da Giacomo Lasagna nel proprio esclusivo interesse, oppure su incarico e per conto anche del socio e coerede Learco Lasagna. Tenendo peraltro presente che, nel secondo caso, non si richiederebbe la prova scritta del mandato, ai sensi dello art. 1350 c.c., dato che il potere di contrattare per la società deriva al socio amministratore direttamente dalla legge e riguarda sia i beni mobili che quelli immobili; in base alle norme citate e prese in esame. Ma la corte territoriale ha trascurato questo punto fondamentale della controversia - in ordine al quale Learco Lasagna aveva addotto i due documenti sopra menzionati - prendendo in considerazione questi ultimi non per valutare il loro valore indiziante circa il fatto da accertare, ma in funzione di astratti, irrilevanti e talora male impostati quesiti giuridici. Pertanto il giudice di rinvio, in applicazione dei delineati principi di diritto e sulla base degli elementi probatori addotti, anche con riguardo alla provenienza dei fondi impiegati nell'acquisto, dovrà risolvere il dilemma accennato:
se cioè Giacomo Lasagna, nell'acquistare in nome proprio il fondo Bariole, abbia agito nel proprio esclusivo interesse personale ovvero per conto della società di fatto esistente con il fratello Learco e, quindi, anche per incarico di costui.
Con l'unico motivo del proprio ricorso incidentale - condizionato all'accoglimento del quarto motivo di quello principale testè esaminato - Rosanna Ferrari ved. Lasagna lamenta la violazione dell'art. 184 c.p.c., assumendo che la controparte, dopo avere inizialmente fondato la domanda riconvenzionale sul presupposto che lo acquisto del fondo Bariole fosse avvenuto con denaro derivante dagli utili sociali, ossia con somme appartenenti alla società, abbia poi inammissibilmente addotto, a sostegno della sua pretesa, il fatto diverso che l'acquisto medesimo sia stato eseguito nell'interesse e per conto della società.
Il dedotto mutamento della causa petendi, non sussiste. Le circostanze prospettate a ben guardare costituiscono due aspetti di un'unica tesi: Learco Lasagna, nel chiedere al fratello il rendiconto della gestione del patrimonio ereditario, ha, quanto meno implicitamente, sostenuto di essere suo creditore. Pertanto assume da un lato che il fondo Bariole è stato comprato impiegando gli utili della gestione, appartenenti ad entrambi, e, dall'altro, che l'acquisto è avvenuto per conto della società e, quindi anche per effetto di mandato conferito allo stipulante da esso socio - coerede. Si tratta con tutta evidenza, di due diversi argomenti volti a sostenere un fatto sostanzialmente unico: che cioè Giacomo Lasagna ha agito in nome proprio, ma anche per conto del fratello Learco. In definitiva, quindi, va accolto il quarto motivo del ricorso principale, mentre debbono essere respinti tutti gli altri, di entrambi i ricorsi.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi proposti da Learco Lasagna e da Rosanna ferrari ved. Lasagna contro la sentenza della Corte d'appello di Brescia in data 5 dicembre 1985. Accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta tutti gli altri dello stesso ricorso e di quello incidentale. Cassa la sentenza anzidetta e rinvia, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte Suprema du Cassazione, II sezione civiel, il 21 settembre 1988.