Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6257 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 09 Aprile 1996, n. 3275. Est. Milani.
Società - Di persone fisiche - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Contratto costitutivo - Forma - Conclusione verbale - Ammissibilità - Limiti - Documento scritto - Funzione.
Il contratto costitutivo di una società di persone che non abbia ad oggetto beni immobili può essere concluso anche verbalmente, essendo il documento scritto richiesto solo in funzione dell'eventuale iscrizione della società nel registro delle imprese (cod. civ. 2296). (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Michele CANTILLO Presidente
" Vincenzo CARBONE Consigliere
" Luigi ROVELLI "
" Giuseppe MARZIALE "
" Laura MILANI Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CONCILIO FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA XX SETTEMBRE 3, presso l'Avvocato Roberto NARCISI, - Studio Alfredo Niro - rappresentato e difeso dall'Avvocato VALERIO GAGLIONE, giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
CONCILIO DOMENICO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIBULLO 16, presso l'Avvocato Rosario M. CARFAGNA, che lo rappresenta e difende unitamente agli Avvocati ANTONIO e BIAGIO SCIROCCO, giusta delega in atti;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 1492-94 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 02-06-94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17-11-95 dal Consigliere Relatore Dott. Laura MILANI;
udito per il ricorrente, l'Avv. Gaglione, che chiede l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avv. Scirocco, che chiede il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Procuratore Generale Dott. Eduardo DI SALVO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con atto di citazione notificato il 26.4.1979 Domenico Concilio, premesso di aver costituito nel 1950 una società di fatto con il fratello Francesco per la produzione e la vendita della calce, con sede in Casapulla, conveniva il predetto Francesco Concilio dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per sentirlo condannare - previo accertamento della costituzione e del successivo scioglimento del rapporto sociale - alla liquidazione della quota a lui spettante, pari alla metà del valore dell'azienda, oltre all'avviamento commerciale.
Con sentenza non definitiva 6-19.11.1984 il tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarava che tra le parti era intercorso un rapporto societario durato dal 1950 al 30.6.1974, con separata ordinanza, disponeva per la liquidazione della quota spettante a Domenico Concilio.
La decisione - impugnata dal soccombente - veniva confermata, con sentenza 20.4-2.6.1994, dalla Corte d'appello di Napoli la quale, in particolare, riesaminate le risultanze dell'istruzione probatoria, anche in ordine all'attendibilità dei testi ribadiva la sussistenza della società di fatto, negando valore alle asserzioni, circa la qualificazione del rapporto come di lavoro subordinato, contenute in una precedente citazione promossa da Domenico Concilio, e prendendo altresì in considerazione la mancata risposta, nonostante numerosi rinvii dell'udienza all'uopo predisposta, di Francesco Concilio all'interrogatorio formale deferitogli.
Avverso tale sentenza Francesco Concilio ha proposto ricorso, corredato da memoria, cui resiste con controricorso Domenico Concilio.
DIRITTO
Con il primo mezzo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2733, 2734, 2735 c.c., il ricorrente lamenta che la corte d'appello abbia negato valore confessorio alle dichiarazioni contenute in una precedente citazione, ove Domenico Concilio avanzava richiesta di retribuzione per lavoro subordinato svolto alle dipendenze di Francesco Concilio. Sostiene il ricorrente l'incompatibilità e l'inattendibilità della successiva versione circa la costituzione di una società di fatto, e che le ammissioni e dichiarazioni contenute nell'atto introduttivo di un giudizio, in quanto riferibili direttamente alla parte, assumono valore confessorio.
La censura è infondata.
Le dichiarazioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio possono ritenersi riferibili direttamente alla parte attrice ed assumere, pertanto, valore confessorio, il quanto volte al riconoscimento di fatti a sè contrari ed utili per l'altra parte:
fatti - cioè - non qualificazioni giuridiche di situazioni di fatto, non attribuibili in quanto tali all'attore, ma all'opera del procuratore che ha provveduto alla redazione della citazione. Nella specie, il ricorrente intenderebbe attribuire valore confessorio ad un precedente atto di citazione, con il quale Domenico Concilio aveva richiesto a Francesco Concilio la corresponsione di retribuzioni, qualificando il rapporto intercorso come di lavoro subordinato.
L'argomentazione è, peraltro, priva di fondamento. Il solo valore attribuibile alla precedente citazione concerne la volontà di Domenico Concilio di ricevere adeguato riconoscimento per l'opera svolta insieme con il fratello: ma la qualificazione giuridica del rapporto non costituisce certamente "confessione" imputabile all'attore, ne' osta in alcun modo ad una ulteriore diversa qualificazione giuridica del rapporto stesso che - fermo il fatto dell'opera prestata - inquadri la situazione sotto l'aspetto societario, anziché nella forma del lavoro subordinato. Nè può invocarsi una qualsiasi preclusione da giudicato, posto che - per affermazione dello stesso ricorrente - il giudizio instaurato con la precedente citazione ha avuto esito negativo per l'attore.
Nessuna violazione di legge si è quindi verificata, ne' alcun vizio di motivazione è ravvisabile, nell'avere i giudici d'appello negato alla precedente citazione il valore di confessione circa l'insussistenza di rapporto societario tra i due fratelli. Con riguardo - ora - al secondo motivo, il ricorrente, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 2247 e 2251 c.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la sussistenza della società di fatto pur in assenza di atto scritto contenente le clausole del contratto sociale. Assume il ricorrente che, in difetto di una scrittura ed in presenza dell'intestazione di tutte le attività e responsabilità aziendali in capo a Francesco Concilio, non possedevano i giudici di merito validi elementi per affermare l'esistenza di una società di fatto fra i due fratelli, se non sopravvalutando la sporadica presenza nell'azienda del Domenico, che svolgeva in proprio attività di agricoltore ed era sempre stato ampiamente retribuito dal fratello per le saltuarie prestazioni di lavoratore autonomo effettuate.
Anche questo motivo è privo di fondamento.
Il contratto costitutivo di una società di persone, che non abbia per oggetto il conferimento di beni immobili, ben può essere concluso anche verbalmente, essendo il documento scritto richiesto soltanto in funzione dell'eventuale iscrizione della società nel registro delle imprese, superfluo - quindi - per le società semplici, alle quali si applica la disposizione dell'art 2251, secondo il quale il contratto di società semplice non soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti (Cass. 4569-1992; in senso analogo, circa la libertà di forme del contratto costitutivo di società semplice tranne quelle richieste dalla natura dei beni conferiti: Cass 293-1981; 1959-1982, ed altre).
Poiché nella specie - secondo quanto emerge sia dalla sentenza impugnata che dallo stesso ricorso - la natura dei conferimenti apportati alla società, avente per scopo la produzione e vendita di calce (esclusa la proprietà del terreno ove veniva svolta la lavorazione, che restava di esclusiva appartenenza di Francesco Concilio, e non di pertinenza della società) non necessitava di forma scritta, ne' "ad substantiam" ne' "ad probationem" non vè alcun ostacolo a dare ingresso a prove testimoniali e presuntive, allo scopo di valutare la reale sussistenza di un rapporto societario tra i due fratelli, fondato su un contratto verbalmente stipulato. Ed è la valutazione effettuata dai giudici d'appello, con apprezzamento compiutamente motivato delle risultanze dell'ampia istruzione probatoria, che dava conto della continuativa presenza e della concreta attività operativa, di sorveglianza ed amministrazione, svolta in fabbrica da Domenico Concilio. Risultano pertanto smentite le censure, oltre che di violazione di legge, anche di vizio di motivazione rivolte dal ricorrente alla sentenza impugnata, avendo quest'ultima sottoposto ad esame ed analisi tutte le circostanze rilevanti esposte dal ricorrente, dando ragione del proprio convincimento in maniera completa ed immune da vizi logici e giuridici.
Con il terzo motivo, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 232, 115 e 116 c.p.c., il ricorrente si duole che i giudici di merito abbiano attribuito valenza all'omessa prestazione dell'interrogatorio formale da parte di Francesco Concilio, senza considerare che la mancata risposta all'interrogatorio doveva essere valutata unitamente ad ogni altro elemento di prova, e che, nella specie, il complesso degli elementi probatori, insieme con il totale diniego della domanda sempre sostenuto da Francesco Concilio, dovevano privare la mancata risposta all'interrogatorio di ogni valore di ammissione.
La semplice lettura della sentenza impugnata smentisce la censura, apparendo evidente come la mancata risposta all'interrogatorio sia stata, secondo legge, valutata dai giudici di merito nel quadro e nell'ambito di tutte le altre risultanze probatorie, escludendo qualsiasi valore assoluto di "ficta confessio", erroneamente lamentato dal ricorrente.
Il quarto ed il quinto motivo possono essere congiuntamente esaminati.
Con il quarto motivo, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 2697 c.c. e 345 c.p.c., il ricorrente si duole che i giudici d'appello abbiano immotivatamente disatteso le varie istanze istruttorie da lui formulate in via gradata, con particolare riferimento alla rinnovazione delle deposizioni testimoniali ed alla richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., con riferimento alla titolarità dell'attività di lavorazione della calce in capo a Francesco Concilio. Con il quinto motivo, deducendo ulteriormente vizio di motivazione, il ricorrente lamenta il mancato esame e la mancata valutazione di elementi decisivi, come la documentazione relativa alle pregresse iniziative legali adottate da Domenico Concilio alla situazione di interesse del teste Pietro Concilio e degli altri testi escussi.
Entrambe le censure sono prive di fondamento.
È noto, infatti, che il giudice di merito non è tenuto a fornire analitica ragione della mancata ammissione di istanze istruttorie, allorché emerga palese, dal complesso della motivazione svolta, l'inconcludenza e l'irrilevanza dei mezzi istruttori ulteriormente sollecitati.
Analogamente deve dirsi per l'asserito mancato esame di documenti ed elementi decisivi, avendo - al contrario - i giudici d'appello preso in considerazione le precedenti controversie sorte tra le parti, anche in relazione all'attendibilità dei testi, traendone peraltro conseguenze difformi da quelle pretese dal ricorrente: il che certamente non integra il vizio lamentato.
Il ricorso, rivelatosi totalmente infondato, deve pertanto essere respinto.
Sono tuttavia ravvisabili motivi d'opportunità, relativi all'oggettiva difficoltà d'interpretazione giuridica dei rapporti intercorrenti tra le parti, per compensare le spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 17 novembre 1995.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 9 APRILE 1996