Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6256 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 26 Settembre 1996, n. 8508. Est. Trezza.
Lavoro - Lavoro subordinato - In genere (nozione, differenze dall'appalto e dal rapporto di lavoro autonomo, distinzioni) - Qualificazione del rapporto - "Nomen iuris" usato dalle parti - Rilevanza - Limiti - Concreto svolgimento del rapporto - Considerazione - Necessità - Rapporto societario - Sussistenza - Condizioni.
Ai fini della qualificazione di un rapporto quale lavoro subordinato o come società non è sufficiente il "nomen iuris" ad esso dato dalle parti, dovendo aversi riguardo al concreto svolgimento del rapporto stesso, sicché una volta accertata l'effettuazione di prestazioni lavorative di una delle parti in favore dell'altra la configurabilità di un rapporto societario fra le stesse presuppone la prova (da fornirsi da colui che assume l'esistenza di tale rapporto) che le parti si siano comportate come soci, redigendo ad. es. i bilanci annuali e ripartendo in base agli stessi gli utili o le perdite. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Francesco MOLLICA Presidente
" Gentile RAPONE Consigliere
" Vincenzo TREZZA Rel. "
" Bruno BATTIMIELLO "
" Vincenzo CASTIGLIONE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
POLLICINO GIOVANNI BATTISTA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA C. MIRABELLO 34, presso lo studio dell'Avvocato FRANCO GARCEA, che lo rappresenta e difende unitamente all'Avvocato STEFANO AVETTA, giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
CASANO MADDALENA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. GODENZO 59, rappresentata e difesa dall'Avvocato GIUSEPPE AIELLO, giusta delega in atti;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 99-93 del Tribunale di GELA, depositata il 11-06-93; R.G.N. 1062-91;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27-11-95 dal Consigliere Relatore Dott. Vincenzo TREZZA;
udito l'Avvocato Dott. Franco GARCEA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE, che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTO
Con ricorso in data 28.1.1986, al Pretore di Gela, quale giudice del Lavoro, Casano Maddalena, - premesso di aver lavorato, dalla fine di agosto 1970 al 31 luglio 1985, alle dipendenze del cognato, Giovan Battista Pollicino, nella cartoleria da questi gestita, in Gela, svolgendo attività di commessa, con particolari attribuzioni, ricevendo compensi inferiori al dovuto, e senza godere delle ferie e del riposo settimanale, della 13 e 14 mensilità - citò in giudizio il detto Pollicino, per ottenerne la condanna al pagamento in suo favore della somma di L. 142.583.194, quale differenze di retribuzione, indennità per ferie non godute, compenso per lavoro straordinario, 13 e 14 mensilità e indennità di fine rapporto. Aggiunse che il Pollicino nel 1984, in occasione dell'ispezione dell'Ispettorato del Lavoro, le aveva fatto firmare un documento, che affermava la esistenza di una comunione tra il Pollicino stesso, la di lui moglie, sorella di essa ricorrente, e la ricorrente medesima, riguardante l'azienda del Pollicino.
Costui, costituendosi in giudizio, eccepì la insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la ricorrente, assumendo che questa, sorella della propria moglie, aveva stabilmente vissuto, dal 1970 al 1985, nella sua abitazione, a suo totale carico, e solo saltuariamente ed occasionalmente aveva partecipato alla conduzione del negozio di cartolibreria, da lui gestito. Aggiunse che anche l'Ispettorato del Lavoro aveva ritenuta la insussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra le parti, ed aveva, perciò, archiviato la denunzia della Casano, in ordine alla omessa regolarizzazione della posizione assicurativa della stessa. Produsse scrittura privata, in data 16.2.1984, a firma di esso Pollicino, della propria moglie e della Casano, nella quale le parti riconoscevano che la Ditta individuale del Pollicino, esercente l'attività di cartolibreria, apparteneva, in parti eguali, ai tre firmatari.
Espletata prova testimoniale, il Pretore, con sentenza del 18.6.1988, rigettò la domanda della Casano, escludendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, non essendo risultato che vi fosse mai stata pattuizione di retribuzione tra le parti medesime.
Il Pretore ritenne che la Casano avesse curato l'andamento del negozio, durante i frequenti e lunghi periodi di assenza del Pollicino da Gela, durante i quali risiedeva stabilmente presso l'abitazione di lui, e che la situazione di affinità o di parentela esistente tra i due e la circostanza delle ospitalità o della convivenza fossero elementi idonei a ritenere la gratuità della prestazione, atteso che i vincoli suddetti costituiscono una valida e fondata presunzione di mutua solidarietà ed assistenza, dettate da motivi affettivi e di gratitudine, concretandosi in uno stato di cooperazionè nell'attività svolta.
Avverso detta sentenza la Casano proponeva appello al Tribunale di Caltanissetta, con ricorso del 4.7.1988, censurando la decisione del primo giudice per erronea valutazione del materiale probatorio raccolto e per impropria applicazione alla fattispecie dell'orientamento giurisprudenziale circa la gratuità delle prestazioni svolte da chi fosse legato al datore di lavoro da vincoli di affinità o di parentela e convivesse stabilmente nella sua casa. Istituito, nelle more del giudizio, il Tribunale di Gela, la causa venne a questo trasmessa, per la decisione.
All'udienza di discussione del 16.4.1993, il Tribunale, ritenuta la domanda non pienamente provata, ne' del tutto sfornita di prova, deferì alla Casano giuramento suppletorio, sui seguenti articolati:
giuro e giurando affermo che:
1) ho prestato attività lavorativa subordinata alle dipendenze di Pollicino G. Battista nella cartoleria dello stesso, ininterrottamente, dall'agosto 1970 al 31.7.1985; 2) che, in detto periodo, non ho fatto parte del nucleo familiare del Pollicino, ne' ho coabitato stabilmente con il suo nucleo familiare, nella sua casa di abitazione.
All'udienza fissata, la Casano prestò il giuramento deferitole. Con sentenza in data 11.6.1983, il Tribunale di Gela accolse l'appello della Casano, e, in riforma della sentenza pretorile, condannò il Pollicino al pagamento, in favore della appellante, della somma di L. 125.434.847, oltre rivalutazione ed interessi. Ritenne, diversamente dal primo giudice, che non fosse stata acclarata la convivenza abituale della Casano nell'abitazione del Pollicino, osservando che sul punto aveva ritenuto di deferire giuramento suppletorio all'appellante, regolarmente prestato. Aggiunse che, nello svolgimento di attività lavorative, sussiste una presunzione di onerosità della prestazione lavorativa stessa e che l'ipotesi di gratuità è di carattere eccezionale. Inoltre, "la convivenza che dà una impressione di gratuità al rapporto" era stata sempre ritenuta dalla giurisprudenza solo quella "more uxorio" o comunque dettata da fortissimi vincoli affettivi; non certamente quella, materiale ed episodica, della Casano nell'abitazione del Pollicino.
La presunzione di onerosità del rapporto di lavoro implicava che la prova per superarla è a carico del datore di lavoro. Nel caso di specie, il Pollicino non aveva fornito alcuna prova in contrasto con tale presunzione, non potendosi ritenere tale la scrittura predisposta in occasione della visita degli Ispettori del Lavoro, contestata dalla Casano ed alla quale il Pollicino non aveva provato di avere dato esecuzione.
Il Tribunale, quindi, procedeva alla quantificazione del credito dell'appellante dopo aver specificamente indicato le plurime e importanti mansioni dalla stessa svolte.
Per la cassazione di tale sentenza il Pollicino ha proposto ricorso fondato su cinque motivi, illustrati da memoria; resiste la Casano con controricorso.
DIRITTO
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 82, 309, 420 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e deduce che la Casano ha prestato giuramento, in assenza dei procuratori costituiti, come risulta dal verbale di udienza, violando il principio fondamentale della disponibilità del processo cui è collegata la disposizione dell'art. 309 c.p.c.; che, in assenza dei difensori, l'espletamento del mezzo istruttorio deve considerarsi irrituale e nullo, non essendo nella facoltà del giudice di dare impulso "ex officio" al processo; che, stante la disposizione dell'art. 420 c.p.c., il quale vieta le udienze di mero rinvio, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la improcedibilità dell'appello e non raccogliere il giuramento e rinviare la causa ad una successiva udienza per la discussione.
Con il secondo motivo di impugnazione il Pollicino denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 238 e 243 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., e deduce quanto segue. L'art. 238 detta le modalità di prestazione del giuramento decisorio e, per effetto del richiamo operato dall'art. 243 c.p.c., anche del giuramento suppletorio.
Stante l'importanza del mezzo istruttorio e le conseguenze che da esso scaturiscono, il dettato dell'art. 239 c.p.c. deve applicarsi con il massimo rigore, per quanto attiene alle modalità di prestazione del giuramento. La omissione di una sola delle formalità prescritte inficia irrimediabilmente il giuramento prestato. Orbene, dal verbale di udienza non risultano espletate le formalità che la legge demanda al giudice (ammonizione al giurante sulla importanza religiosa e morale dell'atto e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false), ne' pronunziata la formula solenne di cui al 2 comma dell'art. 238 c.p.c.. Tali omissioni devono far ritenere il giuramento invalidamente prestato, per mancato rispetto delle formalità prescritte, a pena di nullità.
Con il terzo motivo del ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 240 c.p.c. e si sostiene che i capitoli del giuramento suppletorio deferito alla Casano appaiono inammissibili, in quanto tendenti ad ottenere dichiarazioni sulla esistenza o inesistenza di un rapporto giuridico o apprezzamenti e giudizi su dati di fatto funzionali alla decisione; che il giuramento, quindi, deve essere dichiarato nullo, con conseguente nullità della sentenza del Tribunale, fondata sull'esito del giuramento stesso; che, al contrario, era compito esclusivo del Giudice di secondo grado valutare i fatti accertati e qualificare la natura del rapporto intercorso tra le parti.
Con il quarto mezzo di annullamento il ricorrente - nel denunciare il vizio di omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia e violazione dell'art. 2697 c.c. (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.) - deduce che il Tribunale di Gela ha pressoché ignorato un elemento avente fondamentale importanza, ossia la scrittura privata del 16.2.1984, da cui risulta l'esistenza di una Società di fatto, costituita dal Pollicino, dalla di lui moglie e dalla Casano, avente ad oggetto l'assetto dei rispettivi interessi nella conduzione della ditta di cui il Pollicino era titolare; che risultando da tale documento un rapporto inerente alla conduzione dell'esercizio commerciale diverso da quello di lavoro subordinato, era onere della parte contro cui il documento era stato prodotto provare che esso era frutto di simulazione; che, se è vero che la Casano ha affermato che il documento era stato formato al fine di frustrare eventuali controlli degli ispettori del lavoro, nessuna prova essa ha fornito in merito.
Con il quinto motivo il Pollicino denuncia il vizio di contraddittorietà di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) e deduce che il Tribunale di Gela, pur avendo ammesso il giuramento suppletorio, causa la insufficienza del materiale probatorio raccolto in primo grado, a fondamento della sua pronuncia ha attribuito rilevanza anche alla acquisizione probatoria di quel grado, mentre è noto che il giuramento ha l'effetto di vincolare ai suoi risultati l'apprezzamento del giudice e di escludere l'utilizzazione di altre fonti di convincimento.
Il ricorso - attesi i limiti della sua formulazione - deve essere rigettato.
In particolare, per quanto concerne i primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente considerata la loro connessione, osserva la Corte che gli stessi non presentano il requisito della decisività, nel senso che la sentenza impugnata si sostiene indipendentemente dal giuramento suppletorio, il quale pertanto, o nullo o inammissibile che debba ritenersi, è del tutto ininfluente ai fini del decidere.
Ed invero, dalla sentenza impugnata appare chiaro che il Tribunale ha fondato il suo convincimento non sul giuramento suppletorio, che in corso di causa aveva ritenuto di dover deferire alla Casano Maddalena, bensì sul mancato assolvimento da parte del Pollicino dell'onere probatorio, si di lui gravante in base al principio di presunzione di onerosità del rapporto di lavoro (principio consolidato: si vedano, tra tante, Cass. n. 6204-1987, n. 7148-1987, n. 7185-1990, n. 1895-1993), attesa evidentemente le accertate prestazioni lavorative rese dalla lavoratrice nel negozio del Pollicino (che - ritenute provate dal giudice nella loro quantità e rilevante importanza - anche in questa sede non sono state contestate), in relazione alle quali l'attuale ricorrente ha eccepito, in alternativa al dedotto rapporto di lavoro subordinato, unicamente la esistenza tra le parti di un rapporto societario. Quanto, poi, alla coabitazione della lavoratrice con i coniugi Pollicino, non ritenuta esistente dal giudice di appello (contrariamente a quanto opinato dal Pretore, che, proprio sulla base della convivenza tra le parti, aveva respinto la domanda della ricorrente), circostanza che in negativo formava oggetto di un capitolo del giuramento suppletorio, il quale solo sul punto viene richiamato nella decisione del Tribunale, va osservato che detto giudice sostiene in altro modo, del tutto assorbente, il suo convincimento sulla non convivenza tra datore di lavoro e la Casano Maddalena: in particolare, il giudice di 2 grado, premesso che "la convivenza che dà una impressione di gratuità al rapporto è sempre stata ritenuta quella "more uxorio" o comunque "dettata da fortissimi vincoli affettivi" (conf. Cass. n. 7486-1986; la mera o non stabile convivenza, invero, - specie quando si tratti di attività svolta al di fuori della comunità familiare, come nel caso - non consente di far superare la già menzionata presunzione di onerosità di un rapporto di lavoro subordinato: Cass. n. 5182-1987, n. 7148-1987, n. 5006-1989), innanzitutto riferisce che i testi escussi hanno escluso una qualsiasi convivenza abituale tra le parti, affermando che la Casano Maddalena risiedeva normalmente in casa dei genitori, ed inoltre, sempre richiamandosi all'onere probatorio incombente su chi si oppone alla presunzione di onerosità del rapporto di lavoro, ha correttamente sottolineato come il Pollicino non avesse provato il suo assunto con la produzione di un certificato anagrafico. In conclusione, posto che deve ritenersi perfettamente legittimo che il Giudice, dopo aver ammesso un giuramento suppletorio, possa fare a meno delle sue risultanze, revocando la propria ordinanza ammissiva del medesimo espressamente o implicitamente (come nella fattispecie), deve concludersi - si ripete - che, anche ammettendo che quel mezzo istruttorio o di esclusione dalla prova sia stato irritualmente assunto (primo e secondo motivo) o inammissibilmente ammesso (terzo motivo), il Tribunale ha pronunziato la sua sentenza indipendentemente dall'esito del giuramento stesso. Giova solo aggiungere, in relazione ad una censura contenuta nel primo motivo, che il suddetto Giudice non era affatto obbligato, nell'asserita assenza delle parti all'udienza fissata per l'espletamento del giuramento suppletorio, a dichiarare la DIRITTO
improcedibilità dell'appello, ma ben poteva fissare altra udienza ai sensi dell'art. 309 c.p.c. (anche se tale norma non viene menzionata in verbale) poiché, componendo un contrasto giurisprudenziale in materia, questa Corte, a Sezioni Unite, ha stabilito che "la disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro regolate dalla legge 11 agosto 1973 n. 533, non ostandovi la specialità del rapporto, ne' i principi cui essa si ispira" (sent. n. 5839-1993), principio questo che il Collegio pienamente condivide;
e l'attuale ricorrente non ha neanche dedotto che alla udienza così fissata le parti non comparvero e che quindi il Tribunale avrebbe dovuto ordinare la cancellazione della causa dal ruolo. Anche il quarto motivo deve essere respinto.
Non è, infatti, vero che il giudice di appello abbia ignorato la scrittura privata del 16.2.1984, dalla quale risultava che tra le parti in causa e la moglie del Pollicino intercorreva un rapporto societario di fatto; in realtà il Tribunale ha ritenuto che la scrittura stessa non fosse sufficiente a fornire la prova dell'assunto dell'attuale ricorrente, non avendo dimostrato di aver dato ad essa esecuzione. E ciò correttamente, alla luce del consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale, al di là del "nomen iuris" dato dalle parti al rapporto tra di essi corrente, occorre guardare al modo di svolgimento in concreto del rapporto medesimo; per cui giustamente il giudice di secondo grado ha preteso che il Pollicino dovesse fornire la prova che effettivamente le parti si fossero comportate come soci (e, cioè, ad esempio, avessero redatto i bilanci annuali, in virtù dei quali vi fosse stata distribuzione di utili o ripartizione di perdite).
Va, del resto, anche rilevata la genericità del motivo, in quanto il testo dell'accordo non viene riportato - in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione -, per cui non si sa neanche a quale periodo di lavoro lo stesso accordo si riferisca, attesa la lunga durata del rapporto (dalla fine di agosto del 1970 al 31 luglio 1985) e la data asserita della scrittura privata, 16.2.1984.
Quanto infine, al quinto motivo, lo stesso deve essere respinto sotto vari profili.
Al riguardo va innanzitutto rilevato che il motivo contraddice i primi tre, poiché in questi si lamenta che il giuramento non sia stato dichiarato nullo o inammissibile, mentre nel motivo in esame che il Tribunale ha sconfessato il mezzo prima deferito; in sostanza, il giudice non ha tenuto conto del giuramento suppletorio ed ha deciso in base al materiale probatorio raccolto ed ai principi giurisprudenziali enunciati in materia: e ciò - si è visto - è perfettamente legittimo. La censura è, quindi, inconferente. In secondo luogo, il Pollicino, se con il motivo intende - contraddittoriamente - sostenere che il Tribunale avrebbe dovuto decidere sulla base del giuramento suppletorio raccolto, sarebbe del tutto carente di interesse, in quanto le risultanze di quel mezzo probatorio gli sono assolutamente contrarie (non si deduce, del resto, che le risultanze stesse in qualche punto possano essere interpretate a suo favore).
In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato a rifondere alla controparte le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese in lire 39.200, oltre a lire 4.000.000 per (quattromilioni) per onorario.
Così deciso il 27 novembre 1995.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 SETTEMBRE 1996