Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26888 - pubb. 11/01/2021

Fallimento di società con soci a responsabilità illimitata e soddisfacimento del credito sul patrimonio della società e del socio

Cassazione civile, sez. I, 27 Marzo 1993, n. 3730. Pres. Scanzano. Est. De Musis.


Fallimento - Società e consorzi - Società con soci a responsabilità illimitata - Fallimento della società e dei soci - Creditore - Pretesa - Soddisfacimento sul patrimonio della società e del socio - Ammissibilità - Duplice realizzazione sul medesimo patrimonio - Ammissibilità - Esclusione - Credito verso la società - Fidejussione del socio - Irrilevanza



In caso di fallimento della società di persone e del suo socio illimitatamente responsabile, il creditore può soddisfare la propria pretesa sui patrimoni dell'una e dell'altro (se entrambi capienti), ma non può realizzarla due volte sul medesimo patrimonio, neanche quando il socio abbia prestato fidejussione per il credito verso la società, sia perché la responsabilità illimitata per i debiti sociali assorbe ogni altro titolo di responsabilità del socio, sia perché - risultato incapiente il patrimonio sociale e scioltasi, con il fallimento, la società - la fidejussione si estingue per il venir meno della sua causa tipica (consistente nella garanzia di un patrimonio ulteriore rispetto a quello del debitore), salvo che il creditore non provi un proprio diverso interesse al mantenimento in vita della garanzia. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Giuseppe SCANZANO Presidente

" Pellegrino SENOFONTE Consigliere

" Rosario DE MUSIS Rel. "

" Giulio GRAZIADEI "

" Simonetta SOTGIU "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

BANCA POPOLARE DI RAVENNA, SOC. COOP.VA A R.L., in persona del Presidente del Consiglio di amministrazione, elettivamente domiciliata in Roma, V.le B. Angelico, 36-B, c-o l'avv.to Massimo Scardigli che la rappresenta e difende giusta delega in atti. Ricorrente

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ DI FATTO LIVERANI E OHO DI LIVERANI PAOLO E CORTESI ROSANNA, in persona del curatore dott. Gianluca Bandini, elettivamente domiciliato in Roma, P.zza Cavour, 10 c-o l'avv.to Massimo Angelini che lo rappresenta e difende giusta delega in atti.

Controricorrente

e contro

FALLIMENTO DI LIVERANI PAOLO;

S.R.L. LUIGI MINARDI E S.N.C. LINEA EFFE DI ALBERI MORENA;

Intimati

Avverso il provvedimento del Tribunale di Ravenna - Sez. Fall. del 31.7.89;

udito per il ricorrente l'avv.to Scardigli che ha chiesto l'accoglimento del proprio ricorso, inammissibilità del controricorso;

udito per il resistente l'avv.to Anselmi che ha chiesto il rigetto;

udita la relazione della causa svolta il 6.10.92 dal Consigliere Relatore Dr. De Musis;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale dr. F.P. Nicita che conclude per il rigetto.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Banca popolare di Ravenna fu ammessa al passivo fallimento della società di fatto "Liverani e Oho" di Paolo Liverani e Rosanna Cortesi nonché dei fallimenti dei singoli soci (anche) per il credito chirografario di lire 97.584.414, il quale, essendo risultato incapiente nel fallimento della società, fu inserito nel progetto di riparto finale, nel fallimento di Paolo Liverani, nella stessa proporzione (di parziale soddisfacimento) degli altri crediti sociali.

La Banca osservò che il credito era stato ammesso in base a due diversi titoli - qualità del fallito di socio illimitatamente responsabile e di fideiussore delle obbligazioni sociali - e che pertanto, in virtù del principio di concorrenza, nel fallimento individuale, dei crediti sociali e dei crediti personali del socio, il credito stesso avrebbe dovuto essere inserito nel riparto anche quale credito personale (pur nel limite del suo ammontare unico). Il giudice delegato ritenne infondata l'osservazione e rese esecutivo il piano di riparto come progettato.

La Banca propose reclamo, che il Tribunale di Ravenna rigettò, con decreto del 31.7.1989. Ha proposto ricorso per cassazione la Banca; ha resistito, con controricorso, il fallimento; la ricorrente ha presentato memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e il controricorso sono stati notificati rispettivamente il 22.9.1989 e il 22.3.1991; del secondo, in quanto notificato dopo il decorso del termine previsto dall'art. 370 c.p.c. (venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, a sua volta fissato in venti giorni dalla notificazione di quest'ultimo) non può pertanto tenersi conto (come eccepito dal ricorrente in memoria).

Con i quattro motivi di ricorso si deduce che il Tribunale, affermando che il credito chirografario ammesso al passivo del fallimento del socio in base alle distinte qualità di costui di soggetto illimitatamente responsabile delle obbligazioni della società e di fideiussore delle stesse non poteva essere inserito nello stato di riparto, oltre che, come era avvenuto, quale credito sociale (con posizione di parziale soddisfacimento, come gli altri crediti sociali) anche come credito personale nei confronti del socio, è incorso, rispettivamente in:

1) violazione o falsa applicazione degli artt. 97 e segg., 110 e segg. e 148 della legge fallimentare perché ha disatteso i principi che tali norme esprimono - e cioè che il decreto di esecutività dello stato passivo ha natura giurisdizionale e quindi passa in giudicato, che ogni credito ammesso dev'essere inserito nel piano di riparto, che questo è preordinato solo alla collocazione dei crediti ammessi - principi in base ai quali il credito personale nei confronti del socio non avrebbe potuto essere escluso dal riparto;

2) vizio di motivazione, perché non ha esaminato la doglianza che alla ammissione al passivo del credito personale non era seguita la conseguenziale e necessaria inserzione del credito nel riparto;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 148 della legge fallimentare, perché ha disatteso il principio, che tali norme esprimono, che il creditore di più coobbligati in solido (nella specie della società e del socio) concorre nel fallimento di quelli tra essi che sono falliti per l'intero credito "..... sino al totale soddisfacimento";

4) falsa applicazione dell'art. 2741 c.c., perché ha ritenuto che l'accoglimento della pretesa della banca si risolveva nell'attribuzione di una causa di prelazione atipica, come tale non ammessa, laddove la banca si era limitata a chiedere soltanto la inserzione del (lo stesso) credito quale credito personale nei confronti del socio.

I motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Dal contenuto del provvedimento impugnato e dagli scritti del ricorrente emerge non che vi siano state due distinte ammissioni al passivo ma che il credito sia stato ammesso una sola volta, anche se giustificato dalla ricorrenza di due distinti titoli (socio illimitatamente responsabile e altresì fideiussore). Se così è il ricorso sarebbe infondato poiché non sussisterebbe la premessa sulla quale esso, in tutti i suoi motivi, si fonda: e cioè una duplice distinta ammissione al passivo.

La circostanza, però, che tale questione non sia stata esaminata dal Tribunale, induce a ritenere che possano essere state disposte distinte ammissioni, oppure che il Tribunale abbia ritenuto - con accertamento che non è censurato - che la unica ammissione equivaleva a due distinte ammissioni, basate sulle distinte cause giustificative addotte dalla creditrice, e pertanto il ricorso va esaminato nel merito.

Esso è infondato.

La questione che lo stesso pone, pur se esaminata specificamente con riguardo al concordato fallimentare, è stata affrontata, in via generale, da questa Corte con la sentenza n. 3749 del 24.8.1989. In questa si è rilevato che la distinzione tra la soggettività delle società di persone e quella dei singoli soci, non essendo la personalità alle prime conferita in via generale dalla legge, va desunta da normative specifiche e, per quanto interessa, dalla normativa fallimentare.

E poiché lo stesso credito sociale s'intende dichiarato sia nel fallimento della società che in quello, conseguenziale e automatico, dei soci illimitatamente responsabili, se ne è inferito che il creditore può soddisfarsi su due patrimoni, ma non due volte sullo stesso patrimonio.

E si è ulteriormente rilevato che tale principio non subisce deroga nel caso in cui il socio abbia garantito personalmente il credito poiché, essendo questo "sociale", e quindi collocabile una sola volta nel passivo (della società e una sola volta nel passivo) del socio, tale collocazione è sufficientemente basata sulla responsabilità illimitata del socio, la quale assorbe e rende irrilevante ogni altra sua fonte di responsabilità. Questa Corte condivide l'orientamento, il quale non è validamente contrastato dalle argomentazioni addotte nel ricorso: l'unico motivo pertinente - il terzo - è quello con il quale si invoca la disciplina del credito nei confronti di più coobbligati in solido, ma essa è nella specie inapplicabile poiché è in discussione il soddisfacimento del credito non nei confronti della società e del socio, bensì nei confronti del solo socio, pur se responsabile a duplice titolo.

Potrebbe ritenersi che il riportato orientamento non rilevi nella specie poiché, essendo stato il credito ammesso in base ai due titoli (responsabilità illimitata e fideiussione) deve considerarsi affermata, e non più modificabile, la validità della prestazione della fideiussione sulla base della implicita premessa che il credito nei confronti della società fosse distinto dal credito nei confronti del socio, e quindi ricorresse il requisito dell'altruità dell'obbligazione oggetto della fideiussione.

In tal caso, però, una volta che nel patrimonio sociale il credito è risultato incapiente, e la società, con il fallimento, si è sciolta, rimane, quale unico debitore, il socio, il quale viene ad assommare in sè le due qualifiche di debitore e di fideiussore, e pertanto in tal momento la fideiussione, per il sopraggiunto venir meno della sua causa tipica - garanzia di un patrimonio ulteriore rispetto a quello del debitore - si è estinta, ai sensi dell'art.1255 c.c., non avendo il creditore provato un interesse proprio - che ovviamente non dovrebbe coincidere con la persistenza di detta causa, che è oggettivamente venuta meno - a tenere in vita la fideiussione. I rilievi ora esposti valgono, da un lato, ad integrare la motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 384 c.p.c. ed a confermare, anche per il caso di specie, la validità del principio espresso dalla citata 3749-89, e, dall'altra, a confutare il primo motivo del ricorso, essendo noto che la efficacia preclusiva del provvedimento di ammissione al passivo non impedisce al giudice del riparto di interpretare ed applicare il provvedimento stesso secondo il valore che, a norma di legge, esso realmente possiede. Il ricorso va pertanto respinto; giusti motivi consigliano la compensazione delle spese processuali.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma il 6.10.1992.