Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14848 - pubb. 03/02/2016

Liquidazione coatta amministrativa e prevalenza dell'interesse pubblico su quello dei creditori

Cassazione civile, sez. I, 18 Marzo 2008, n. 7263. Est. Ceccherini.


Liquidazione coatta amministrativa - Concordato - In genere - Approvazione - Presupposti - Valutazione - Prevalenza dell'interesse pubblico su quello dei creditori - Esclusione - Conseguenze - Cessione parziale dei beni - Diritto dei creditori ad un trattamento non deteriore rispetto all'alternativa ipotesi di liquidazione - Sussistenza - Fattispecie

Liquidazione coatta amministrativa - Concordato - In genere - Procedure pendenti alla data del 1 gennaio 2008 - Art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 169 del 2007 - Applicabilità - Limiti - Concordati anteriori - Requisiti prescritti dal testo originario dell'art. 214 legge fall. - Applicabilità



In tema di concordato nella liquidazione coatta amministrativa, l'art. 214 legge fall. - nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche di cui all'art. 22 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 - delinea una disciplina peculiare dell'istituto, rispetto a quella del concordato fallimentare di cui all'art. 124 legge fall., nella quale tuttavia l'interesse pubblico si attua nella sola scelta di convenienza tra conservazione o liquidazione dell'impresa (rimessa all'autorità amministrativa), e non prevale su quello dei creditori concorrenti alla soddisfazione delle loro ragioni, il quale si attua mediante le eventuali opposizioni; ne consegue che la tutela del credito, secondo i principi di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 cod. civ., fonda la possibile approvazione del concordato se il sacrificio, anche parziale, dei creditori in funzione della conservazione dell'impresa sia almeno equivalente a quello che ad essi viene prospettato dall'alternativa ipotesi della liquidazione. (La S.C., cassando la sentenza impugnata, ha fatto applicazione del principio nel caso di approvazione del concordato di un consorzio agrario con una parte dell'attivo mantenuta in capo all'impresa, essendo stata giustificata la sottrazione dei beni dalla finalità conservativa in sè considerata). (massima ufficiale)

In tema di liquidazione coatta amministrativa, l'integrale sostituzione dell'art. 214 legge fall. ad opera dell'art. 18, comma 5, del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, trova integrale applicazione, ai sensi dell'art. 22, comma 3, del citato d.lgs., anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della predetta riforma, dunque dal 1 gennaio 2008, ma i concordati anteriori a tale data debbono continuare ad essere valutati alla stregua dei requisiti di legittimità propri delle norme vigenti "ratione temporis", dunque, nella specie, secondo il testo dell'originario r.d. 16 marzo 1942, n. 267. (massima ufficiale)


 


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto depositato il giorno 1 agosto 2001, il Consorzio Provinciale Agrario di Foggia soc. coop. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa (nel seguito: consorzio), formulò una proposta di concordato L. Fall., ex art. 214, che, sulla base di un attivo dal quale erano stati esclusi i beni strumentali del consorzio, valutati 23.737.148.000, prevedeva il soddisfacimento integrale dei crediti in prededuzione, privilegiati, e per spese d'esecuzione del concordato, e il soddisfacimento dei crediti chirografari nella misura del 20%. Alla proposta si opposero i creditori Agrifactoring s.p.a in liquidazione. Intesa gestione crediti s.p.a., Credito Italiano s.p.a. (poi Unicredit banca s.p.a.), Banco di Napoli s.p.a. (poi incorporato da San Paolo IMI s.p.a.); nonché la liquidazione giudiziale della Federazione Italiana dei consorzi agrari in concordato preventivo, e Antonio Maffia.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza 24 dicembre 2001, accolse l'opposizione. Il tribunale respinse la tesi per cui la proposta di concordato, implicando la cessione soltanto parziale dei beni, sarebbe inammissibile, affermando che in tema di concordato L. Fall., ex art. 214, la proposta di cessione parziale non è teoricamente inammissibile; ma ritenne la proposta medesima complessivamente non conveniente con riguardo all'interesse dei creditori. Contro la sentenza propose appello il consorzio.
Con sentenza 31 dicembre 2003 la Corte d'appello di Bari, riformando la sentenza di primo grado, approvò la proposta di concordato presentata in data 1 agosto 2001.
La corte territoriale considerò che la procedura di liquidazione coatta amministrativa presenta, in ragione dell'interesse pubblico dal quale è informata, delle differenze rispetto a quella fallimentare anche in ordine alla figura del concordato previsto dalla L. Fall., art. 214, essendo la proposta sottratta all'iniziativa dell'imprenditore, e soggetta al vaglio dell'autorità di vigilanza, ma non all'approvazione dei creditori; ed essendo le garanzie da indicare soltanto eventuali; e che ciò non viola i diritti dei creditori privati, sia perché i contenuti della proposta sono vagliati dall'autorità di vigilanza amministrativa, tenuta all'osservanza del principio di legalità, e sia perché sulle contestazioni dei creditori si pronuncia il tribunale, tenuto alla previa verifica che il concordato non comporti un irragionevole pregiudizio dei creditori medesimi, rispetto a quello che deriverebbe dalla liquidazione.
La corte osservò poi che la funzione pubblicistica dei consorzi agrari in sede locale, sia quali strumenti dell'intervento pubblico sul mercato agricolo, e sia quali organismi preordinati al conseguimento di finalità di rilievo nazionale, è innegabile. Essa comporta -in mancanza di contrari riscontri ed in presenza dell'autorizzazione all'esercizio provvisorio - l'interesse pubblico alla permanenza in vita e al ritorno in bonis del consorzio. Con riguardo al caso di specie, pertanto, la corte respinse la doglianza degli opponenti, circa la sottrazione dall'attivo degli immobili e dei beni funzionalmente destinati alla prosecuzione dell'attività consortile, in ragione della preminenza dell'interesse pubblico alla conservazione dell'ente consortile. Nel merito, la proposta prevedeva un dettagliato piano di risanamento, in relazione al quale appariva giustificata e ragionevole la conservazione del patrimonio strumentale all'attività del consorzio. Congrui, inoltre erano i criteri adottati per la valutazione dell'attivo.
La corte ritenne anche legittima una determinazione delle percentuali di soddisfacimento dei crediti chiro-grafari - raggruppati in base all'entità dei rispettivi crediti - diversificata in base all'entità dei crediti medesimi, in relazione all'esposizione del singolo creditore e senza applicazione di una pura proporzionalità, stante il fatto che era assicurato il rispetto del principio della pari percentuale di liquidazione a parità di credito, e l'intento di tutelare entro limiti precisi la categoria dei piccoli creditori, con un sacrificio contenuto dei creditori più forti.
Per la cassazione della sentenza, non notificata, hanno proposto distintamente ricorso:
Agrifactoring s.p.a in liquidazione, con atto notificato al CAP coop. a r.l. in liquidazione coatta amm.va il 2 marzo 2004, con due mezzi d'impugnazione (n. 5467/04), illustrato anche con memoria;
Intesa gestione crediti s.p.a. (già denominata Intesa Bei Gestione crediti s.p.a.) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, società unipersonale soggetta alle attività di direzione e coordinamento di Banca Intesa s.p.a., con atto notificato il 15 marzo 2004, con un unico motivo (n. 6752/04), illustrato anche con memoria;
Unicredit Banca s.p.a. (già denominata Credito Italiano s.p.a.), in persona di quadro direttivo, in forza di procura speciale rilasciata dal presidente del c.d.a. di Unicredit Banca s.p.a.; nonché Unicredit Banca d'impresa s.p.a., succeduta per trasferimento di ramo d'azienda, a titolo particolare, in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi oggetto del predetto trasferimento per scissione già di titolarità di Unieredit Banca s.p.a., anch'essa in persona di quadro direttivo, in forza dei poteri conferiti con deliberazione del consiglio di amministrazione il 17 dicembre 2002 con quattro mezzi d'impugnazione (n. 6958/04), illustrati anche con memoria;
San Paolo IMI s.p.a., incorporante il Banco di Napoli s.p.a., e al quale il ricorso principale era stato notificato a mezzo posta (spedizione del 24 febbraio 2004), con atto notificato in data 1 aprile 2004, con tre mezzi d'impugnazione (n. 8321/04), illustrati e difesi anche con memoria.
Il consorzio, in persona del Commissario liquidatore, resiste con controricorso e ricorso incidentale notificato il 6 aprile 2004 alla Agrifactoring s.p.a in liquidazione, e a mezzo posta alle altre parti, fra le quali anche la liquidazione giudiziale della Federazione Italiana dei consorzi agrari in concordato preventivo, e Antonio Maffia.
Lo stesso consorzio resiste poi al ricorso della Intesa gestione crediti con controricorso notificato il 22 aprile 2004; al ricorso di Unicredit Banca s.p.a. e Unicredit Banca d'Impresa s.p.a. con controricorso notificato il 21 aprile 2004; e al ricorso incidentale di San Paolo IMI s.p.a. con controricorso notificato il 3 maggio 2004. Anche il consorzio ha depositato una memoria a norma dell'art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I diversi ricorsi proposti contro la medesima sentenza - nn. 5467/04, 6752/04, 6958/04, 8321/04, 9279/04 - devono essere riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c..
Il consorzio ha sollevato diverse questione pregiudiziali, inerenti alla legittimazione processuale e alla rappresentanza nel presente giudizio di alcune parti ricorrenti.
In particolare, il consorzio eccepisce che il soggetto che ha sottoscritto la procura alla lite per Intesa Gestione Crediti s.p.a. spende poteri derivanti da una procura che - si sostiene - non sarebbe stata depositata, e che inoltre proverrebbe da un direttore generale, del quale non sarebbero documentati i poteri di rappresentanza dell'ente. L'eccezione è tuttavia infondata, posto che il mandato a margine del ricorso è stato rilasciato, dal procuratore speciale, in forza dei poteri da questi ricevuti con procura notarile 25 novembre 2002, a firma del direttore generale, in atti; e che nel fascicolo della banca ricorrente sono altresì documentati i poteri utilizzati dal direttore generale. Il consorzio si è anche riservato di dedurre in merito alle procure speciali rilasciate per Unicredit Banca s.p.a. e per Unicredit Banca d'impresa s.p.a., previo esame del loro contenuto, e per l'ipotesi che i soggetti che le hanno rilasciate (quadri amministrativi) siano stati investiti di poteri da un procuratore generale alle liti, e non dal soggetto avente la rappresentanza generale ad negozia della società. In contrario si rileva che sia la procura speciale del presidente del c.d.a. di Unicredit Banca s.p.a., e sia la delibera del c.d.a. di Unicredit Banca d'impresa s.p.a. sono prodotte in atti, e documentano il conferimento dei poteri occorrenti, a fini sostanziali oltre che processuali. Analoga riserva il consorzio ha fatto per la procura speciale rilasciata per San Paolo IMI, per il caso che, all'esito della verifica, l'autore dell'atto risulti investito di poteri da un rappresentante generale alle liti e non ad negotia. Detta riserva non è stata sciolta. Essa non ha peraltro ragion d'essere, tenuto conto - per quanto possa occorrere - della documentazione prodotta in atti dalla parte interessata (procura della società cessionaria dei crediti, e come tale titolare di posizione i diritto sostanziale, a favore del suo stesso autore, il quale ha proposto il ricorso).
Il consorzio ha poi eccepito la tardività del ricorso incidentale proposto da San Paolo IMI, da qualificare quale ricorso principale, per il mancato rispetto del termine di quindici giorni dall'affissione della sentenza, a norma della L. Fall, art. 214, comma 4; ed ha invocato, a sostegno dell'assunto per il quale il ricorso in questione (siccome in adesione) sarebbe soggetto al termine breve previsto per il ricorso principale, alcuni precedenti di questa corte (si citano, oltre a Cass. n. 9325/95, Cass. 9 giugno 1999 n. 5675; 4 luglio 2002 n. 9710; 15 luglio 2003 n. 11031). L'eccezione è infondata. Il collegio ritiene, infatti, di doversi attenere all'insegnamento delle Sezioni unite della corte, per il quale la proposizione dell'impugnazione principale determina nei riguardi di tutti coloro cui il relativo atto sia notificato l'onere, a pena di decadenza, di esercitare il proprio diritto d'impugnazione nei modi e nei termini previsti per l'impugnazione incidentale (art. 333 c.p.c.) e, quindi, nel caso di ricorso per Cassazione, nel termine di quaranta giorni dalla suddetta notificazione (artt. 370, 371 c.p.c.); principio, questo, che non trova limitazioni o deroghe con riguardo all'impugnazione di tipo adesivo che sia proposta dal litisconsorte dell'impugnante principale e persegua il medesimo intento di rimuovere il capo della sentenza sfavorevole ad entrambi (Sez. un. 13 novembre 1997 n. 11219). Nonostante il dissenso isolato di qualche pronuncia (9 giugno 1999 n. 5675; 4 luglio 2002 n. 9710;
non contrasta con questo insegnamento, invece, Cass. 15 luglio 2003 n. 11031, il cui richiamo da parte del consorzio non è pertinente, limitandosi quella sentenza ad affermare che il ricorso incidentale per cassazione deve essere proposto, ai sensi del secondo comma dell'art. 371 c.p.c., "nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale e non dalla notifica di un primo ricorso incidentale"), a questo indirizzo s'è uniformata la prevalente giurisprudenza successiva delle singole sezioni (in senso conforme, Cass. 23 giugno 1999 n. 6400, 6 novembre 1999 n. 12381, 12 settembre 2000 n. 11966, 1 dicembre 2000 n. 15353, 20 giugno 2001 n. 8365, nonché, tra le più recenti, 17 ottobre 2007 n. 21829). Unicredit Banca s.p.a. e Unieredit Banca d'impresa s.p.a. dubitano invece della validità della procura rilasciata per il giudizio dal commissario governativo del consorzio, e osservano che nei giudizi di merito questo era rappresentato dal commissario liquidatore e dal commissario ad acta.
Anche questa eccezione non ha fondamento, non potendosi dubitare del fatto che il commissario governativo ha la rappresentanza anche processuale dell'ente posto in liquidazione coatta amministrativa, come è testualmente disposto dalla L. Fall., art. 200, cpv., e come è confermato, nella specifica materia del concordato fallimentare, dalla legittimazione del commissario liquidatore a proporre appello contro la sentenza che respinge il concordato (L. Fall., art. 214, comma 4, nel testo anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169).
2. Con il primo motivo del ricorso principale, l'Agrifactoring s.p.a. in liquidazione denuncia la violazione della L. Fall., art. 214, e dell'art. 2740 c.c.. Premesso che nella proposta di concordato l'attivo a disposizione per il soddisfacimento degli oneri concordatari ammontava a L. 74.896.338.766, con esclusione degli immobili strumentali valutati L. 23.737.148.000, la ricorrente censura l'affermazione della corte territoriale che, nella liquidazione coatta amministrativa, sarebbe legittimo un concordato che preveda la sottrazione ai creditori di parte dell'attivo della procedura. In tal modo sarebbero violate le norme che disciplinano le procedure concorsuali (la fase concorsuale essendo identica a quella del fallimento), e le norme della Costituzione per le quali i diritti dei terzi, e quindi anche dei creditori, possono essere sacrificati solo a seguito di provvedimenti ablatori caratterizzati da tutele consacrate a livello costituzionale. Sottoponendo a critica le affermazioni della corte territoriale, circa la rilevanza, a riguardo della predetta sottrazione di parte dell'attivo alla soddisfazione dei creditori, dell'autorizzazione dell'autorità di vigilanza a presentare la proposta, e circa il potere del tribunale nel decidere sulle opposizioni al concordato, la ricorrente sostiene che nel procedimento in questione convergono il procedimento amministrativo, diretto a realizzare uno specifico interesse pubblicistico (a questa fase attiene l'autorizzazione amministrativa della proposta di concordato), e un procedimento concorsuale e di esecuzione collettiva, per la parte avente ad oggetto la liquidazione dell'attivo fallimentare, per la parte avente ad oggetto la liquidazione dell'attivo ed il soddisfacimento paritario dei creditori con riferimento all'attivo realizzato anche tramite concordato. In questa fase concorsuale trovano tutela i diritti dei creditori di aggredire ex art. 2740 c.c., tutti i beni del debitore. Si sottolinea il fatto che l'interesse pubblicistico, che si realizza attraverso norme di azione, non giustifica il sacrificio di diritti soggettivi e beni di privati, nella specie peraltro addossato ai soli creditori chirografari, senza neppure diritto all'indennizzo; e che nella specie era stata violata anche la par condicio creditorum. Con il secondo motivo di ricorso si solleva eccezione di legittimità costituzionale, della L. Fall., art. 214, se interpretato nel senso esposto nell'impugnata sentenza, per contrasto con l'art. 42 Cost., stante la violazione del diritto di proprietà al quale dovrebbe ricondursi l'art. 2740 c.c., e il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), per disparità di trattamento tra creditori privilegiati e creditori chirografari, ai quali esclusivamente sarebbe imposto il sacrificio con la sottrazione dell'attivo.
I ricorsi di Intesa gestione crediti s.p.a., di Unicredit banca s.p.a. e Unieredit Banca d'impresa s.p.a. (motivi terzo e quarto), e San Paolo IMI s.p.a. (motivi primo e secondo) investono con analoghe censure la legittimità degli stessi punti dell'impugnata sentenza, costituiti dalla sottrazione dei beni strumentali del consorzio in liquidazione alla soddisfazione dei creditori, e dalla preminenza dell'interesse pubblico che dovrebbe giustificare un parziale sacrificio delle ragioni dei creditori. Queste censure devono essere pertanto esaminate congiuntamente. Esse sono fiondate nei sensi appresso indicati.
3. Il problema di fondo sollevato dalla fattispecie di causa è costituito dal rapporto che, nella procedura della liquidazione coatta amministrativa, sussiste tra l'interesse pubblico e quello dei creditori che partecipano all'esecuzione concorsuale. L'impugnata sentenza della corte d'appello di Bari, infatti, valorizzando le differenze della disciplina del concordato nella liquidazione coatta amministrativa (L. Fall., art. 214), informata all'interesse pubblico perseguito, rispetto al fallimento, muove dalla premessa che il predetto interesse legittimerebbe l'approvazione del concordato, anche laddove ciò comporti un sacrificio - purché ragionevole - delle ragioni dei creditori, nel caso di specie mediante sottrazione di parte dell'attivo, in virtù della preminenza dell'interesse pubblico alla conservazione dell'ente consortile; e ritiene sufficiente, a salvaguardare la disciplina da sospetti di incostituzionalità, il fatto che all'autorità giudiziaria sia riservato il compito di verificare la funzione e l'interesse pubblico alla conservazione dell'ente.
La tesi è infondata, e si espone alle giuste critiche mosse dai ricorrenti, comportando, da un lato, un'illegittima compressione del diritto dei creditori partecipanti alla liquidazione, e, dall'altro, un coinvolgimento del giudice ordinario in valutazioni rimesse alla discrezionalità della pubblica amministrazione.
Occorre premettere che, con una recente decisione, che è stata richiamata anche nella discussione, questa corte ha avuto modo di affrontare temi vicini a quelli posti dai ricorsi in esame (Cass. 19 settembre 2006 n. 20259). In essa si afferma, richiamando anche un altro precedente (Cass. 27 dicembre 2005, n. 28774), che nel concordato di liquidazione sussiste una preminente ragione di interesse pubblico, cui consegue la sottoposizione dell'impresa ad una disciplina peculiare, nella quale l'eliminazione della stessa dal mercato, ovvero un suo recupero, è gestito direttamente in sede amministrativa proprio per la rilevanza sociale od economica del tipo di impresa in questione. Ciò - si aggiunge - giustifica un'attenuazione della tutela dell'interesse del ceto creditorio per la coesistenza dell'interesse pubblico alla gestione della liquidazione o al recupero tramite un eventuale concordato; e per tale ragione la proposta di concordato non necessita neppure dell'approvazione del ceto creditorio, ed ai singoli creditori è data solo la facoltà di proporre opposizione, mentre l'autorizzazione alla presentazione del concordato è riservata all'autorità di vigilanza, e l'approvazione dello stesso è demandata per intero al tribunale, sulla base del parere della stessa autorità di vigilanza e tenuto conto delle opposizioni. Nella citata, più recente, sentenza si ha tuttavia cura di precisare anche che tale disciplina, in assenza di disposizioni che prevedano ulteriori sacrifici dei creditori per il soddisfacimento dell'interesse pubblico, consente soltanto di affermare che la convenienza alla stregua dell'interesse pubblico deve guidare la scelta tra la liquidazione ed il concordato: alla luce dell'interesse pubblico occorre, quindi, valutare sia l'opportunità di salvare la funzione produttiva, sia la modalità di tale salvataggio, e cioè se attraverso la liquidazione ovvero attraverso il ritorno in bonis dell'impresa. Il ragionamento ivi svolto, del resto, inette capo soltanto alla decisione, correttamente massimata, per cui il commissario liquidatore - in considerazione del carattere provvisorio proprio degli acconti - può distribuire, sia a tutti i creditori, sia ad alcune categorie di loro, acconti parziali differenziati prima della ripartizione dell'attivo, ma non può, in sede di ripartizione finale, effettuare definitivi trattamenti differenziati fra i creditori. La corte non aveva invece ragione, nel regolare quella fattispecie in cui era in discussione la portata del principio della par condicio creditorum nel concordato di liquidazione, di affrontare il problema, specificamente sottoposto oggi alla decisione, del bilanciamento dell'interesse pubblico e di quello privato; sicché non aveva rilievo decisivo l'affermazione, che sfuggiva all'economia di quella decisione, che su tali scelte (e cioè: se perseguire l'interesse pubblico attraverso la liquidazione ovvero attraverso il ritorno In bonis dell'impresa), le quali possono comportare un diverso grado di soddisfacimento dei creditori, questi non hanno direttamente voce in capitolo. L'affermazione, che se isolata dal contesto, sembra convalidare il ragionamento della corte territoriale, è chiarita nel seguito, nel senso che dalle scelte di interesse pubblico consegue la possibilità di diversi risultati in tema di soddisfacimento dei creditori, ma non già il sacrificio senza indennizzo delle loro posizioni, con la sottrazione di alcuni beni alla garanzia generica ex art. 2740 c.c., (come in quel caso la sentenza cassata aveva erroneamente ritenuto possibile, e giustificato con riferimento alla capacita contributiva ex art. 53 Cost.); e che proprio in relazione alla possibilità di diversi risultati, "in ogni caso però senza sottrazione di attivo", si spiega il contemperamento tra l'interesse pubblico e quello privato dei creditori affidato al tribunale.
Diverso è, peraltro, il caso in esame, nel quale il tema della controversia concerne, innanzi tutto e specificamente, la possibilità d'istituire, nella valuta-zione della legittimità del concordato di liquidazione, un bilanciamento tra l'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa e quello dei creditori alla soddisfazione delle loro ragioni (essendo il rispetto della par condicio all'interno del ceto creditorio tema ulteriore e distinto, posto dalla forma della proposta di concordato, per cui la sottrazione dell'attivo, costituito dai beni strumentali dell'impresa, sarebbe gravata esclusivamente sui creditori chirografari). La fattispecie di causa offre pertanto alla corte l'occasione di chiarire e precisare il principio regolatore che deve essere applicato nell'interpretazione della L. Fall., art. 214. Al riguardo, la disciplina del R.D. 16 marzo 1942, n. 167, art. 214, viene in considerazione nel testo anteriore alle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 18, comma 5. Quest'ultima disposizione, in vigore dal primo gennaio corrente anno, si applica bensì anche alle procedure pendenti (D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 22, cit.), per i concordati per quelli anteriori, che devono essere valutati sulla base dei requisiti di legittimità delle norme in vigore ratione temporis (le differenze sostanziali, in ogni caso, derivano esclusivamente dal richiamo, nel nuovo testo, della L. Fall., art. 124, dettato in tema di concordato fallimentare delle imprese, e per ciò stesso non sono idonee ad istituire un trattamento diverso - sotto il profilo della soddisfazione dei creditori concorrenti - delle imprese assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa rispetto a quelle assoggettare al fallimento, che è il thema decidendum proprio di questa causa).
Nel merito, la tesi dell'idoneità dell'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa ad incidere - sia pure entro limiti di ragionevolezza - sui diritti dei creditori concorrenti, in sede di concordato di liquidazione, non ha fondamento, non essendo giustificata da alcuna disposizione della legge fallimentare. Questa, nel disciplinare la materia in oggetto (l'approvazione del concordato delle imprese in liquidazione coatta amministrativa), non offre alcun criterio alternativo a quello valevole nel concordato fallimentare, e che ha al suo centro l'interesse dei creditori. Le peculiarità di disciplina di approvazione del concordato di liquidazione rispetto a quello fallimentare non hanno, infatti, il significato di sancire la preminenza degli interessi pubblici su quelli dei creditori. In particolare, l'assenza dell'approvazione a maggioranza sopprime solo il momento dell'autonomia nella determinazione della volontà del ceto creditorio, mentre le opposizioni sono poste dalla legge a presidio dei diritti individuali di partecipazione al concorso (non disponibili dalla maggioranza) dei creditori.
Il dettato di legge si uniforma, piuttosto, ai criteri ordinari seguiti nella ripartizione delle attribuzioni dell'autorità amministrativa e del giudice ordinario, riservando alla prima la valutazione della conformità della proposta di concordato all'interesse pubblico (ciò che avviene nella fase dell'autorizzazione amministrativa), e al secondo la tutela dei diritti dei creditori. Ne consegue che l'esclusione dell'approvazione della proposta, da parte dei creditori, sottrae a questi ultimi soltanto la deliberazione collegiale circa la convenienza del concordato, specificamente nell'alternativa tra conservazione o liquidazione dell'impresa, mentre i loro diritti sono fatti salvi dalla possibilità dell'opposizione, e dal conseguente sindacato giurisdizionale di legittimità. In altre parole, se al ceto creditorio non è attribuito il potere di scegliere il modo migliore di soddisfare i crediti concorsuali, le ragioni dei creditori sono tuttavia salvaguardate dall'opposizione, che impedisce l'approvazione di un concordato nel quale quelle ragioni siano anche solo parzialmente sacrificate all'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa. È necessario pertanto che le prospettive di soddisfazione dei crediti, offerte dal concordato con la conservazione dell'impresa in bonis, siano quanto meno equivalenti a quelle che sarebbero offerte dalla sua liquidazione, perché il concordato possa essere approvato nonostante le diverse preferenze manifestate dai creditori. Solo questa interpretazione appare conforme al criterio di legittimità costituzionale indicato dal giudice delle leggi, laddove ha ritenuto che le norme comuni a tutte le specie di liquidazione coatta amministrativa, dettate dalla legge fallimentare, hanno lo scopo di tutelare i diritti individuali dei creditori e riguardano "il momento giurisdizionale della liquidazione, per il quale valgono precisamente i principi sistematici che regolano il fallimento e le procedure concorsuali in genere; talché si può fondatamente concludere che la liquidazione coatta realizza una forma di collaborazione tra l'autorità amministrativa e l'autorità giudiziaria, per la coordinata tutela dell'interesse pubblico e degli interessi privati, pienamente compatibile con il vigente ordinamento costituzionale" (Corte costituzionale, sentenza n. 159/1975).
L'impugnata sentenza - che, ispirandosi all'opposto principio, ha ritenuto di poter approvare un concordato, idoneo a cagionare ai creditori una riduzione delle prospettive di soddisfazione offerte dalla liquidazione dell'impresa, in base al rilievo della preminenza dell'interesse pubblico alla conservazione dell'ente consortile - deve essere quindi cassata.
4. L'accoglimento, per quanto di ragione, dei ricorsi in relazione al punto preliminare esaminato, comporta l'assorbimento di tutte le altre censure formulate da Unicredit banca s.p.a. e Unicredit Banca d'impresa s.p.a. con il primo (omessa valutazione del reale contenuto della proposta di concordato con riferimento alla massa attiva) ed il secondo (violazione della par condicio creditorum operata dalla proposta di concordato in danno dei creditori chirografari) mezzo d'impugnazione; e da San Paolo IMI s.p.a. con il terzo mezzo d'impugnazione (violazione del principio della par condicio creditorum).
Resta inoltre assorbito il ricorso incidentale del consorzio, vertente sulla compensazione delle spese del giudizio, operata dalla corte d'appello.
La causa deve essere rinviata alla medesima Corte d'appello la quale, in altra composizione, deciderà sul punto della legittimità della proposta di concordato, ispirandosi al seguente principio di diritto:
nella liquidazione coatta amministrativa, le peculiarità della disciplina di approvazione del concordato nel R.D. 16 marzo 1942, n. 167, art. 214, e in particolare la sottoposizione preventiva della proposta di concordato all'autorizzazione dell'autorità di vigilanza, e la sua sottrazione all'approvazione del ceto creditorio non si traducono nell'affermazione della preminenza dell'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa su quello dei creditori alla soddisfazione delle loro ragioni; sicché, solo qualora le prospettive di soddisfazione dei creditori, offerte dal concordato con la conservazione dell'impresa in bonis, siano almeno equivalenti a quelle che sarebbero offerte dalla sua liquidazione il concordato può essere approvato, nonostante l'opposizione dei creditori medesimi.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie tutti i ricorsi per quanto di ragione, ad eccezione del ricorso incidentale del Consorzio Provinciale Agrario di Foggia soc. coop. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa, che dichiara assorbito; cassa l'impugnata sentenza in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa, anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Bari in altra composizione, la quale, nel decidere, si uniformerà al principio di diritto enunciato in motivazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2008. Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2008