Diritto dei Mercati Finanziari
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 427 - pubb. 01/07/2007
Doveri informativi e onere della prova
Tribunale Palermo, 24 Novembre 2005. ..
Intermediazione
finanziaria – Violazione dei doveri informativi – Risarcimento del danno –
Onere della prova – Nesso di causalità – Danno ulteriore
L'onere di provare di aver agito con la dovuta diligenza richiesta dall'operazione conclusa grava sul soggetto abilitato, a norma dell'art. 23 comma VI TUF. (norma che può ritenersi specificazione, in questo particolare settore, di quella desumibile dall'art. 1218 c.c.), convenuto in giudizio dal cliente per i danni a questi cagionati. In questo caso, l'intermediario non deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere l'obbligazione ma deve dar prova di aver agito con la specifica diligenza, da valutarsi con riguardo all'attività professionale esercitata (art. 1176 II comma c.c.). In caso di pretesa ulteriore di risarcimento del danno, sull'investitore permane l'onere di provare che il danno è la conseguenza della allegata violazione dei doveri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4.6.2004 Xxx Xxx conveniva in giudizio avanti questo Tribunale xxx s.p.a. per sentir dichiarare nullo e/o annullabile e/o inefficace l'acquisto di obbligazioni Parmalat Finance Corporation BV codice XS 014232613 effettuato in data 12/2/2002 presso la suddetta Banca per il corrispettivo importo di € 35.000,00, ovvero per ottenere la condanna dell'istituto di credito al risarcimento del danno subito per mancata ottemperanza dei doveri sul medesimo incombenti quale intermediario finanziario.
A sostegno della domanda l'attrice imputava alla Banca una serie di inadempimenti agli obblighi statuiti dal TUF e dai Regolamenti attuativi.
Più precisamente, esponeva di avere acquistato le suddette obbligazioni su consiglio di un dipendente dell'istituto di credito, xxx, il quale le aveva prospettato la possibilità di effettuare un buon investimento in un "titolo italiano", facendosi garante della sicurezza e del buon rendimento dell'investimento medesimo, avendole fatto intendere che dette obbligazioni fossero da considerare assimilabili, quanto ad assenza di rischio, ai B.O.T. italiani e che, comunque, era garantito il recupero, alla scadenza, quantomeno del capitale investito.
Sottolineava l'attrice che era ben nota all'istituto di credito convenuto, al momento della conclusione del citato contratto di acquisto, la scarsa propensione al rischio sia sua sia degli altri cointestatari del dossier titoli aperto presso l'istituto di credito - sul quale i cointestatari potevano agire anche disgiuntamente -, peraltro dimostrata dai loro precedenti investimenti, sempre relativi a titoli di stato (CCT con scadenza a tre mesi e tasso di interessi del 2,850%) e lamentava che, al momento della sottoscrizione del contratto di acquisto, nessuna informazione circa il titolo le era stata data: in particolare, non era stata informata dalla banca che la società emittente l'obbligazione non era la società italiana Parmalat, bensì una società finanziaria olandese - Parmalat Finance Corporation BV -; che detta società, a fronte di un capitale sociale pari a € 1.242.000,00, aveva emesso obbligazioni per un valore complessivo di € 3.700.000.000,00 ed infine che i titoli proposti ed acquistati erano privi di rating. Proseguiva, poi, riferendo di essere stata sconsigliata dagli stessi impiegati dell'istituto di credito, soltanto due mesi prima della dichiarazione di insolvenza del gruppo Parmalat, dal riscattare il capitale investito nei titoli oggetto di causa ed infine riferiva di avere appreso da organi di stampa della crisi e del deficit finanziario del gruppo Parmalat e del conseguente tracollo delle obbligazioni dalla stessa acquistate.
Censurava, invero, sotto diversi angoli visuali il contegno della banca che assumeva contrario alle disposizioni di legge (D.Lgs n. 24.2.1998 n 58, c. d. TUF) e regolamentari (delibera Consob 1.7.1998 n.11522 e nr. 11971/98) disciplinanti la materia con pari forza imperativa, in quanto poste a presidio di interessi generali, taluni di rango costituzionale, facendone discendere il corollario dell'invalidità edinefficacia del contratto concluso.Imputava, in particolare, alla banca:
- di non aver raggiunto un apprezzabile livello di conoscenza dei prodotti finanziari compravenduti;
- di aver contravvenuto agli obblighi preliminari alla prestazione dei servizi di investimento proponendo ad una risparmiatrice inesperta - senza renderla edotta del rischio connesso all'investimento, senza segnalarle l'inadeguatezza dell'operazione rispetto alle sue propensioni ed anzi fornendole dolosamente dichiarazioni fuorvianti, anche quando era ben evidente la crisi ed il deficit finanziario della Parmalat - l'acquisto di titoli dei quali era già nota, al momento della vendita all'attrice, la scarsa affidabilità;
- di non aver informato la risparmiatrice della precipitosa riduzione del valore dei titoli e dunque del patrimonio investito;
- di avere effettuato l'operazione di vendita delle obbligazioni in oggetto pur trovandosi in una situazione di conflitto di interessi non esplicitata chiaramente all'attrice.
Concludeva quindi chiedendo al Tribunale di "accertare e dichiarare che l'operazione di acquisto delle obbligazioni Parmalat Finance Corporation bv codice XS 014232613, posta in essere dalla sig. ra Xxx con la xxxx, oggi xxxx, in data 12.2.2002, riveste i caratteri di "operazione non adeguata" ai sensi e per gli effetto di cui all'art. 29 reg. Consob 1/7/1998; accertare e dichiarare la nullità o inefficacia del contratto di vendita delle obbligazioni Parmalat Finance Corporation bv, codice XS 014232613, stipulato dalla sig.ra Xxx con la xxx, xxxx, per le causali meglio specificate in narrativa (violazione del combinato disposto degli arti. 1418 e 1343 c.c.; art. 21 D.Lvo 58/1998 e 26, 27, 28, 29 del Consob 1/7/1998), con conseguente condanna della società convenuta alla restituzione del capitale investito in obbligazioni argentine ed al risarcimento danni da liquidarsi secondo equità, oltre interessi e danno dasvalutazione monetaria, dal diritto al soddisfo; in linea subordinata, accertare edichiarare che nella operazione di collocamento delle obbligazionisummenzionate, la Banca convenuta ha tenuto, per le motivazioni in narrativa, in particolare per la omissione di informazioni doverose, una condotta violativa deldovere di buonafede pre - contrattuale e dell'obbligo di diligenza specifica (art.1337, 1375 c.c.; art. 21 ed art. 23 comma VI D.L.vo 58/98; art. 28 comma II ed art. 96 comma II lett. 3 del Consob 1. 7.1998); per l'effetto, condannare laconvenuta al risarcimento dei danni subiti e subendi, da liquidarsi in misura pari all'investimento sollecitato, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria, dal diritto a soddisfo, ai sensi dell'art. 1224 c.c.; ancora in linea subordinatà, ritenere e dichiarare l'annullabilità del contratto ut supra per dolo contrattuale ex art. 1439 c. c. per le motivazioni esposte in narrativa; per l'effetto condannare il xxx alla integrale restituzione del capitale investito, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dal diritto al soddisfo; infine in ulteriore subordine, ritenere e dichiarare che, nella operazione di collocamento dei Bond Parmalat Finance Corporation bv codice XS 014232613, la banca convenuta ha agito in posizione di conflitto di interessi con la risparmiatrice e, pertanto, annullare l'ordine di acquisto ex art. 1394, 1395 c. c., e per l'effetto condannare la banca alla integrale restituzione del capitale investito, oltre interessi e rivalutazione monetaria con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio; in ogni caso, ritenere e dichiarare che i diritti di custodia per le obbligazioni ut supra, percepiti dalla banca a partire al dicembre 2003, ossia dalla perdita di valore dei Bond non sono più dovuti, e, per l'effetto, condannare il xxx alla restituzione degli importi percepiti, e percependi, a titolo di diritti di custodia dal dicembre 2003 alla data di effettivo soddisfo ex art. 2033 c.c.; in ogni caso condannare la convenuta alle spese e compensi del presente giudizio con distrazione a favore del sottoscritto procuratore antistatario, il quale dichiara di averle interamente anticipate e di non avere percepito anticipi su diritti ed onorari ".
La Banca si costituiva in giudizio contestando nel merito il fondamento delle avverse pretese e deduzioni.
Confutava talune affermazioni dell'attore, evidenziando:
- che, al momento della conclusione del contratto per la negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, la Xxx e gli altri cointestatari del dossier titoli aveva rifiutato di fornire i dati relativi alla loro esperienza in materia di investimenti e strumenti finanziari, nonché le notizie sulla loro situazione finanziaria;
- che era stata loro correttamente consegnata, al momento della conclusione del contratto per la negoziazione sottoscrizione, collocamento e raccolta di ordini, la documentazione di rito;
- che, al momento della conclusione dell'ordine di acquisto in oggetto, l'attrice era stata resa edotta delle caratteristiche del titolo, peraltro dotato, al momento della sottoscrizione dell'acquisto di rating pari a BBB- (che corrisponde al minimo rating di buona qualità compreso tra BBB+ e BBB-) e non era affatto stata sollecitata all'investimento del dipendente dell'istituto di credito;
- che non poteva trovare applicazione nel caso di specie l'art. 28 Reg. 11522/98 - che prevede che l'intermediario informi prontamente l'investitore in caso di perdita superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia, ovvero se il patrimonio affidato si sia ridotto in misura pari o superiore al 30% -, posto che detta normativa si applica solo alle operazioni relative a strumenti derivati - e le obbligazioni in oggetto non sono strumenti derivati - ovvero qualora si tratti di patrimonio affidato nell'ambito di un contratto di gestione - e nel caso in esame le obbligazioni erano state acquistate in esecuzione di uno specifico ordine impartito dalla cliente -;
- che nessun conflitto di interessi esisteva al momento della conclusione dell'operazione in oggetto, non avendo l'istituto di credito convenuto alcun rapporto creditorio con il gruppo Parmalat.
Rappresentava infine come le informazioni reperibili sul mercato all'epoca dei fatti per cui è causa non delineavano il titolo come altamente rischioso, né lasciavano presagire il crollo del gruppo Parmalat, tanto che la stessa Xxx aveva incassato alcune cedole relative alle obbligazioni in oggetto, l'ultima delle quali in data 23.9.2003 e concludeva chiedendo al Tribunale di "respingere le domande awersarie perché infondate in fatto ed in diritto, con conseguente condanna al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio ".
A seguito di istanza di fissazione di udienza, il Giudice relatore provvedeva come da decreto del 13/14-1-2005, disponendo il libero interrogatorio delle parti ed ammettendo le prove testimoniali dalle stesse richieste.
All'udienza collegiale dell' 11.2.2005, espletato il libero interrogatorio delle parti, tentata, con esito negativo, la conciliazione, il Collegio sostanzialmente confermava il decreto del Giudice relatore, delegandolo per l'assunzione.
All'esito della espletata istruttoria, condotta dal Giudice relatore, la causa veniva nuovamente rimessa al Collegio e, all'udienza del 25 novembre 2005, la causa veniva posta in decisione con assegnazione al relatore del termine di cui all'art. 16 comma V D.Lgs 5/03.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In primo luogo deve darsi atto che la domanda di parte attrice relativa alla restituzione dei diritti di custodia percepiti dall'istituto di credito dal dicembre 2003 è stata implicitamente rinunciata, non essendo stata riproposta né nell'istanza di fissazione d'udienza depositata ex art. 9 D.L.vo 5/2003 né nella memoria conclusionale depositata ex art. 10 D.L.vo 5/2003 - atti nei quali vanno definitivamente formulate, tra le altre, le conclusioni di rito e di merito -. Detta conclusione, peraltro, è in linea con la stessa giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., sez. II, 8.1.2002 nr. 140), secondo la quale "è giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentt. n. 1047-95, n.10268-1994, n.6691-94) che, qualora il difensore della parte, comparso all'udienza di precisazione delle conclusioni, abbia precisato le proprie in modo specifico, le domande e le eccezioni non riproposte, a meno che non si riconnettono strettamente con altre specificamente riproposte o che nella condotta processuale della parte risulti che essa abbia voluto tenere ferma la domanda o la eccezione - ma entrambe le due ipotesi non ricorrono nella fattispecie - debbono presumersi abbandonate o rinunciate rientrando nei poteri del difensore la rinuncia ad un singolo capo della domanda o la riduzione delle originarie domande ".
L'attrice ha avanzato in via preliminare domanda di nullità per violazione da parte dell'istituto di credito convenuto di norme di comportamento previste dal T.U.F. genericamente e complessivamente considerate, che impongono una corretta informativa preventiva da fornirsi al cliente, una valutazione obiettiva e subbiettiva del rischio cui egli va incontro nell'acquisto di strumenti finanziari, e, asseritamene, un comportamento successivo all'acquisto.
Detta domanda va però rigettata.
La normativa da applicare è quella del T.U. 24.2.1998 n° 58, disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (di seguito TUF), e del successivo regolamento attuattivo del 1.7.1998.
Quest'ultimo è il regolamento CONSOB approvato con delibera 1 luglio 1998 n° 11522, avente portata integrativa dei superiori doveri, contenente una precisa e dettagliata prescrizione degli obblighi.
Esaminando questi ultimi, l'art. 21 TUF impone agli intermediari nell'attività di servizi di investimenti ed accessori di:
a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento;
d) disporre di risorse e procedura, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi;
e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
Dal canto suo, l'art. 28 del regolamento impone all'intermediario, prima della stipula del contratto di gestione, di chiedere all'investitore ogni notizia sulla sua propensione al rischio, sulla sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, sulla sua situazione finanziaria, e l'eventuale rifiuto a fornire le predette informazioni deve risultare dal contratto. Ancora, l'intermediario è tenuto a consegnare al cliente il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.
La tipizzazione dei doveri di diligenza implica l'enucleazione della serie di comportamenti che in concreto l'operatore è tenuto a compiere, al fine di rendere l'operazione il più possibile trasparente e comprensibile anche ad un cliente scarso conoscitore dei meccanismi del mercato e degli strumenti finanziari. Certamente, la consegna del prospetto informativo del prodotto che il cliente si accinge ad acquistare unitamente alla descrizione verbale delle sue caratteristiche implica adempimento degli obblighi di diligenza. Ulteriori obblighi di carattere più dettagliato mirano a salvaguardare l'investitore da rischi elevati imponendo al soggetto abilitato
a) di acquisire un'adeguata conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi e dei prodotti diversi, propri o di terzi;
b) di non procedere all'investimento se questo si rivela inadeguato alla situazione finanziaria dell'investitore;
c) di non agire in situazioni di conflitto di interessi;
d) di non effettuare operazioni prima di avere assolto prontamente agli oneri di informazione sulla natura dei rischi e sulle implicazioni della specifica operazione;
e) di mettere a disposizione dei clienti i documenti e le registrazioni che li riguardano.
Tutti tali obblighi sono codificati rispettivamente dall'art. 26 comma I lett. e) reg. Consob 11522/98, dagli artt. 21 comma I lett. b) T.U.F. e 28 comma I lett. a) reg. Consob n. 11522/98 e dall'art. 29 comma I reg. Consob 11522/98, ed impongono all'intermediario finanziario di:
- raccogliere informazioni necessarie dai clienti, richiedendo all'investitore - anche mediante moduli prestampati il cui utilizzo è stato legittimato dalla Consob - informazioni sulla sua esperienza in materia di investimenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, la sua propensione al rischio, annotando l'eventuale rifiuto del cliente a rendere le risposte;
- astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni, anche se espressamente impartite dal cliente, rispetto a costui non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione, salvo la ripetizione scritta dell'ordine preceduta dall'esplicazione delle ragioni di inadeguatezza.
La finalità di tutti tali doveri è il raggiungimento di un fine superiore, configurato nell'interesse degli investitori e dell'integrità del mercato (art. 21 comma I lett. a T.U.F. ed art. 26 comma I del Reg. Consob 11522/98), ovvero quello di assicurare correttezza e trasparenza dell'attività di intermediazione: la corretta interpretazione delle preferenze di investimento dei risparmiatori e la ponderata valutazione dei rischi da parte di costoro riducono l'alea connessa agli investimenti finanziari entro quella connaturata, e perciò insopprimibile, alle operazioni eseguite sul mercato dei valori mobiliari, ed elidono, tendenzialmente, il rischio non necessario, evitando che questo sia addossato in modo inconsapevole al risparmiatore.
Proprio la violazione di tali doveri comporta, secondo un indirizzo giurisprudenziale, la nullità dei relativi contratti conclusi e ciò in considerazione della peculiare rilevanza degli interessi protetti di natura pubblicistica, identificabili con la tutela dei risparmiatori, soggetti deboli e in forte asimmetria informativa rispetto agli operatori abilitati, del risparmio pubblico, della correttezza ed efficienza del mercato dei valori mobiliari (Cass. 07/03/2001 n° 3272; Trib. Mantova 18/03/2004). Dalla qualificazione in termini di norma imperativa di legge dei precetti comportamentali che sovrintendono all'operato degli intermediari finanziari discenderebbe, ai sensi dell'art. 1418 comma I e III c.c., l'affermazione di nullità degli atti negoziali conclusi in loro dispregio; e da tali orientamenti giurisprudenziali discende la domanda di nullità proposta dagli attori.
Questo Tribunale ritiene di non (più) condividere l'interpretazione appena richiamata, anche sulla scorta del più recente arresto del Supremo Collegio (Corte di Cassazione sez. I civ. 29 settembre 2005) che, con riferimento alle nullità cd. "virtuali" derivanti da clausole negoziali contrarie a norma imperative, ha evidenziato che la nullità del negozio può essere determinata solamente dalla violazione che incide sul contenuto obiettivo dello stesso, non anche da quella relativa alla condotta prenegoziale o della fase esecutiva posta in essere da taluna delle parti. La nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418 comma 1 cod. civ. postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l'illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a detta ipotesi.
Proprio la netta distinzione, che caratterizza le norme sopra riportate, tra adempimenti prescritti a pena di nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell'intermediario impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell'intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla cd. nullità virtuale di cui all'art. 1418 c.c.. Di conseguenza, non può sanzionarsi con la nullità il negozio ove risulti inosservato l'obbligo informativo perché l'informazione non assurge a requisito dell'atto a pena di nullità, ma anzi, per quanto discende dalle norme del T.U.F. richiamate, qualifica il comportamento dell'operatore finanziario, con condotta da valutare in termini di diligenza nella fase delle trattative o dell'adempimento.
In altri termini, dette norme non sono che una specificazione dei principi generali in tema di informazione e correttezza, già sanciti dagli artt. 1337 e 1375 c.c., alla cui violazione segue solo l'esperibilità del rimedio della risoluzione c/o risarcitorio, nonché - sussistendone eventualmente i presupposti - l'applicazione delle sanzioni penali ed amministrative previste a carico dell'intermediario.
Tale opzione interpretativa, tra l'altro, non si pone in contrasto con le esigenze di tutela dell'investitore sottese alla predisposizione degli obblighi imperativi di cui all'art. 21 d. lgs. 58/98 e della conseguente normativa regolamentare, tenuto conto che essa consente il pieno ristoro del pregiudizio da questi patito mediante l'esperimento dell'azione risarcitoria c/o di risoluzione per inadempimento.
Pertanto, la domanda in punto di nullità va disattesa.
Passando all'esame dell'altra domanda dell'attrice, diretta a fare dichiarare la annullabilità del contratto di acquisto per avere l'istituto di credito agito in conflitto di interessi, deve sottolinearsi che l'intermediario finanziario ha l'obbligo (variamente sanzionato) di organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse ed, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento.
L'art. 27 del regolamento al riguardo prescrive agli intermediari autorizzati di vigilare per l'individuazione dei conflitti di interesse e prosegue: "gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto... a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l'investitore sulla natura e sull'estensione del loro interesse nell'operazione e l'investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all'effettuazione dell'operazione...".
Secondo la difesa attrice l'istituto di credito convenuto non solo ha agito in conflitto di interessi, vendendo ad un proprio cliente il titolo di una società collegata alla Parmalat s.p.a., a sua volta fortemente debitrice nei confronti delle banche, titolo che, inoltre, si trovava nella disponibilità dello stesso convenuto, ma avrebbe pure omesso di darne avviso alla cliente, posto che la formula utilizzata nella copia dell'ordine di acquisto "contrattazione in contropartita diretta col vostro istituto" non specifica affatto l'esistenza del conflitto né la sua estensione.
L'assunto non è nell'ipotesi concreta condivisibile.Fermo restando - come anche la stessa Consob ha già avuto modo di riconoscere - il fatto che l'esistenza di una esposizione creditoria della banca nei confronti dello stesso emittente non determina di per sé la sussistenza del conflitto di interesse, rileva il Collegio che, a maggior ragione, deve escludersi anche la astratta possibilità di un conflitto di interesse nel caso, come il presente, in cui la convenuta non era creditrice, in particolare, della società emittente il prestito obbligazionario (Parmalat Finance Corporation BV) di cui è causa; in ogni caso, poi, la situazione di conflitto di interessi rilevante agli effetti della contestazione di violazioni comportamentali è solo quella attuale, ossia una situazione in cui l'intermediario non solo potenzialmente, ma anche effettivamente, realizzi un suo interesse in conflitto con quello del cliente, cosa che, nel caso di specie, non è stato provato sia avvenuto.
Non si può poi ritenere sussistente il conflitto nemmeno nell'ipotesi in cui l'operazione di negoziazione sia stata effettuata, come in questo caso, in contropartita diretta (cfr., in arg., Trib. Mantova 5 aprile 2005, G.M. c. Cassa Carpi): si tratta, infatti di quella forma di negoziazione che il TIJF riconosce come legittima e disciplina all'art. 1 comma 5 lett. a), denominandola "negoziazione in conto proprio". La stessa Consob è stata assolutamente esplicita nel senso che la negoziazione in conto proprio non determina, di per sé, una situazione di conflitto di interessi, che va valutato in concreto e si ha solo quando l'intermediario persegua - contemporaneamente alla operazione - un interesse diverso ed ulteriore rispetto a quello tipico del contratto di investimento - e sul punto l'allegazione di parte attrice è completamente sfornita di prova -.
Passando alla questione relativa alla eventuale responsabilità risarcitoria della banca per l'allegata violazione degli obblighi stabiliti dall'art. 21 D.L.vo 58/98, va premesso che l'onere di provare di aver agito con la dovuta diligenza richiesta dall'operazione conclusa grava sul soggetto abilitato, a norma dell'art. 23 comma VI TUF. (norma che può ritenersi specificazione, in questo particolare settore, di quella desumibile dall'art. 1218 c.c.), convenuto in giudizio dal cliente per i danni a questi cagionati. In questo caso, l'intermediario non deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere l'obbligazione ma deve dar prova di aver agito con la specifica diligenza, da valutarsi con riguardo all'attività professionale esercitata (art. 1176 II comma c.c.). In caso di pretesa ulteriore di risarcimento del danno (come nel caso di specie), sull'investitore permane l'onere probatorio in punto di danno di nesso di causalità con la violazione dei doveri allegata.
Tornando ai doveri imposti alla banca, esaminandoli in ordine temporale, essi si sostanziano, come sopra detto, nel dovere di informarsi e di informare il cliente, nonché nel dovere di non procedere all'investimento se questo si rivela inadeguato alla situazione finanziaria dell'investitore e nel non effettuare operazioni prima di avere assolto prontamente agli oneri di informazione sulla natura dei rischi e sulle implicazioni della specifica operazione.
Nel caso di specie, l'istituto di credito convenuto non ha provato, come era suo specifico onere, di avere fornito alla cliente adeguate informazioni sull'operazione che stava per porre in essere e sui rischi alla stessa connessi, in particolare che si trattasse di un titolo estero, cioè emesso da una società non avente sede in Italia (si trattava infatti una società olandese e le obbligazioni erano state emesse sul mercato lussemburghese) e che si trattasse di un titolo privo di rating. La circostanza che le obbligazioni in parola non fossero dotate di rating (non è infatti stata provata la circostanza, soltanto labialmente affermata dall'istituto di credito, che fosse loro stato attribuito un rating), ossia senza che una società specializzata avesse fornito la valutazione del rischio del credito attraverso l'esame della solidità patrimoniale della società emittente - e quindi dell'effettiva possibilità della stessa di rimborsare il prestito emesso -, induce inevitabilmente a ritenere che i titoli di cui è causa costituissero fin dalla loro emissione junk bond, cioè emissioni caratterizzate da elementi speculativi (speculative grade), non adatte all'evidenza ad un investitore (quale l'attrice), privo di accentuata propensione al rischio. Anche poi a volere ritenere provato che alle obbligazioni Parmalat bv fosse stato attribuito dall'agenzia specializzata Standard and Poor un giudizio di bassa probabilità all'insolvenza (pari a BBB-), tale da farle ricondurre nell'ambito dei cd. investiment grade, comunque il comportamento della banca risulterebbe non diligente, posto che le obbligazioni in oggetto, emesse da una società di diritto olandese e garantite esclusivamente da Parmalat s.p.a., ossia da una società non quotata in borsa e priva di rating, non erano affatto adeguate alla tipologia di investitore cui apparteneva l'attrice.
Né vale la circostanza, richiamata nelle proprie difese dalla convenuta, secondo la quale la cliente (e gli altri contitolari del conto) si era rifiutata di fornire informazioni circa la propria propensione al rischio ex art. 28 comma I lett. a) del regolamento., posto che, secondo l'indirizzo giurisprudenziale fatto proprio anche da questo Collegio, l'intermediario non può fare a meno di valutare l'adeguatezza dell'operazione ex art. 29 reg. - astenendosi quindi dal compiere per conto degli investitori quelle operazioni non adeguate - utilizzando a tal fine ogni altra informazione disponibile, anche diversa da quelle fornite ex art. 28 citato dai medesimi clienti, e così stimando in modo obiettivo la propensione al rischio del cliente sulla base, soprattutto, dell'età, della professione e del pregresso ed abituale operare del cliente medesimo (e questa interpretazione dei doveri dell'intermediario è stata fatta propria dalla stessa Consob che, nella comunicazione DI/3096 del 21.4.2000 ha affermato: "in nessun caso gli intermediari sono esonerati dall'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione disposta dai clienti, neanche nel caso in cui l'investitore abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio; nel caso, la valutazione andrà condotta in ossequio ai principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l'intermediario sia in possesso”).
In ultima analisi, nella condotta dell'istituto di credito convenuto è mancata sia la valutazione di non adeguatezza dell'operazione rispetto alle qualità della cliente - attrice, sia la mancata puntuale informazione resa alla Xxx circa l'operazione da questi eseguita.
Potendosi inquadrare lo schema negoziale posto in essere dalle parti nel contratto di mandato, in ragione del profondo divario di informazioni e cognizioni tecniche possedute dalle parti, con il mandante in posizione di netto svantaggio sul mandatario, quest'ultimo è tenuto, usando della diligenza del professionista avveduto, ad indirizzare le scelte del risparmiatore ed a segnalargli l'eventuale inadeguatezza delle operazioni che intenda comunque compiere, illustrandogliene i motivi. E, come sopra detto, ciò la banca dovrà fare anche a fronte del rifiuto del cliente di fornire il proprio profilo di rischio, dovendo valutando in modo obiettivo la propensione al rischio del cliente in considerazione degli altri elementi, quali età, professione, pregresso operare del cliente medesimo, ulteriori rispetto alle informazioni fornite dal cliente medesimo.
Orbene, dall'esame del pregresso operare dell'attrice - ben a conoscenza dell'operatore bancario, come si può evincere dalle dichiarazioni rese dal teste xxx: "... della sig.ra Xxx che era cliente della banca ed aveva, fino al febbraio del 2002, investito in titoli di stato e "crediti pronto termine" che nella sostanza sono titoli di stato; sapevo che la signora era una investitrice più che prudente.. " - emerge con chiarezza che l'investimento di € 35.000,00 in obbligazioni Parmalat bv costituisce una nota dissonante, attese le caratteristiche sopra evidenziate del titolo stesso. Che poi la convenuta non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal regolamento Consob emerge proprio dalle dichiarazioni rese dal teste xxx: nulla venne segnalato alla cliente circa la mancanza del rating o comunque l'esistenza di un rating certo non similare a quello dei pregressi investimenti della Xxx; né venne riferito alla cliente che la società straniera che aveva emesso i titoli possedeva un capitale sociale di alcune migliaia di volte inferiore all'entità delle obbligazioni emesse, ma le venne indicato quale società "garante" della "sicurezza" dei titoli Parmalat bv la Parmalat s.p.a., società nemmeno quotata in borsa e priva di rating: la non adeguatezza dell'operazione posta in essere dalla Xxx - rispetto al suo profilo di investitrice come emergente dai pregressi investimenti ed alle caratteristiche dei titoli vendutile - non venne nemmeno segnalata all'attrice, anzi fu lo stesso dipendente della banca ad indicare alla Xxx i titoli in oggetto come titoli maggiormente redditizi rispetto ai titoli di stato nei quali l'attrice aveva fino ad allora investito, ritenendo quindi concretamente detta operazione adeguata - in quanto proposta alla cliente con altre, ma non specificate, diverse soluzioni -.
La banca convenuta non ha quindi offerto la prova liberatoria cui era tenuta.
Ritiene conclusivamente il Collegio che sussista un inadempimento colpevole della Banca convenuta in riferimento alla vicenda in esame, non tale da giustificare la risoluzione del contratto (domanda, peraltro, non proposta), ma certamente idonea a fondare la pretesa risarcitoria.
Conclusivamente, in ragione di tali considerazioni, va accolta la domanda risarcimento dei danni formulata dall'attrice per il comportamento dell'istituto di credito convenuto, assunto in violazione dei superiori obblighi connessi alla negoziazione delle obbligazioni Parmalat Corporation bv codice XS 014232613 effettuata in data 12/02/2002.
Non avendo le parti attrici allegato e provato l'esistenza di ulteriori danni, e tenuto conto che l'attrice ha incassato tre cedole - di cui una decurtata - relative ai titoli in oggetto (pari a complessivi € 3.446,48), tale risarcimento andrà limitato alla misura della somma impiegata per l'acquisto rivelatosi del tutto insoddisfacente, diminuita delle cedole incassate, quindi pari ad € 31553,52, oltre gli interessi legali dalla data della citazione sino al completo soddisfo (tali da compensare anche il danno da ritardato ristoro).
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
Il Tribunale di Palermo, Terza Sezione Civile, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da Xxx Xxx con atto di citazione notificato il 4.6.2004, così provvede:
- in parziale accoglimento delle domande proposte da Xxx Xxx, condanna xxx s.p.a. per le causali di cui in motivazione, al pagamento in favore dell'attrice della somma di € 31.553,52, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo;
- rigetta ogni altra domanda;
condanna altresì l'istituto di credito convenuto alla rifusione in favore dell'attrice delle spese del giudizio, liquidate in complessivi € 4.090,00, di cui € 3.000,00 per onorari, € 935,00 per diritti, € 155,00 per spese, oltre i.v.a e c.p.a. come per legge e spese generali secondo tariffa su diritti ed onorari.