Diritto Penale
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21982 - pubb. 28/06/2019
Vendita di immobili di interesse artistico: l’alienante deve notificare allo Stato tutti gli atti di provenienza
Tribunale Ferrara, 18 Aprile 2019. Est. Martinelli.
Compravendita - Immobiliare - Beni di interesse artistico - Diritto pubblico di prelazione - Omessa denuncia da parte del venditore - Facoltà di denuncia dell’acquirente - Affermazione - Pluralità di cessioni - Sufficienza della denuncia dell’atto più recente - Esclusione - Omessa denuncia - Inefficacia della vendita per l’ente prelazionario - Affermazione
La tardiva denuncia ai sensi dell'articolo 59 D.Lgs. 42/2004 è finalizzata a consentire l'esercizio del diritto di prelazione per una finalità pubblicistica. Nell'esercizio della propria valutazione l'ente pubblico non considera solo il bene immobile in quanto tale e la potenziale funzionalità ad uno scopo istituzionale, ma valorizza anche il prezzo della cessione. Ne consegue che nell'ipotesi in cui il bene sia venduto più volte a condizioni economiche diverse, ogni atto dovrà essere notificato anche tardivamente, non potendo la notifica dell'ultimo atto dispositivo sanare l'omissione rispetto al trasferimento precedente.
L'obbligo di pubblicazione grava sull’alienante, ma allorchè il bene sia trasferito a terzi l'obbligazione inadempiuta non può che trasferirsi sul soggetto individuato in base all’atto di provenienza ovvero sul soggetto direttamente interessato. Nell'ipotesi di decesso o rifiuto del soggetto tenuto alla dichiarazione tardiva, questa può essere fatta dall'acquirente. L'atto stipulato in assenza della dovuta denuncia allo Stato per l'eventuale esercizio del diritto di prelazione è inefficace nei confronti del prelazionario. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Tribunale Ordinario di Ferrara
SEZIONE CIVILE
Il Giudice
sciogliendo la riserva assunta in data 18 aprile 2019;
ha emesso la seguente
ORDINANZA
MC ha adito - con procedimento sommario ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. - l’intestato Tribunale al fine di ottenere l’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto preliminare stipulato con CM in data … (come integrato dal negozio del …), per legittimo esercizio del diritto di recesso, con condanna della resistente al pagamento del doppio della caparra consegnata, oltre interessi.
La ricorrente ha analaticamente descritto la successione cronologica degli eventi (riportati sinteticamente):
a. in data … MC visitava l’appartamento sito in …servendosi dell’ausilio della Agenzia …
b. il 14 marzo 2017 MC formulava una proposta di acquisto (per complessivi € 115.000,00, versando a titolo di caparra € 5.000,00) accettata successivamente il … dalla proprietaria CM;
c. nel frattempo il notaio incaricato dalla promissaria acquirente, dr. X di Ferrara, avvisava MC che non risultavano notificati ai sensi dell’art. 59 del d.lgs 42/2004 gli atti di provenienza, ovvero la dichiarazione di morte di EM del 5 marzo 2010 e la compravendita del 13 maggio 1963 (notaio Y) con la quale EM aveva acquistato dalla “…”;
d. Il … le parti stipulavano il contratto preliminare davanti al notaio X di Ferrara (ove veniva versata l’ulteriore somma di € 15.000,00 a titolo di caparra) e la promittente venditrice assumeva espressamente l’obbligo di “effettuare ogni opportuna verifica e conseguente adempimento affinché possa garantirsi il rispetto della disciplina di cui al testé indicato Decreto Legislativo 42/2004 e successive integrazioni e modificazioni e […] fare accesso agli atti del Comune al fine di verificare la conformità urbanistica di quanto in oggetto e a presentare la dichiarazione integrativa in morte di EM relativamente al locale ad uso alloggio del portiere”;
e. la promissaria acquirente corrispondeva l’importo richiesto dalla Agenzia Immobiliare a titolo di provvigione;
f. la BNL comunicava la favorevole delibera di concessione del mutuo a MC previa sanatoria dei titoli derivativi della proprietà;
g. la promittente venditrice trascurava di provvedere alla tardiva comunicazione degli atti di provenienza dell’immobile per l’eventuale tardivo esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato;
h. il … le parti stipulavano un contratto integrativo del preliminare (con ulteriore versamento di € 10.000,00 a titolo di caparra confirmatoria) con la previsione di un termine di sette giorni per l’adempimento delle tardive comunicazioni e differimento al … per la stipula del contratto definitivo (considerando il termine di 180 giorni entro il quale poteva essere fatto valere il diritto di prelazione da parte dello Stato o degli altri Enti territoriali);
i. a novembre 2017 CM comunicava a MC di aver provveduto alla notifica degli atti, alla quale aveva dato riscontro la Sovraintendenza;
j. era poi risultato che solo la dichiarazione di successione era stata notificata, ma non anche la compravendita del 13 maggio 1963;
k. tale comportamento da parte di CM era fondato sulla convinzione della assenza di necessità di comunicazione di un atto in relazione al quale erano deceduti i soggetti di cui al predetto contratto;
l. CM non accettava la proposta di MC di attivare la procedura di verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12 del d.lg n. 42/2004;
m. il 18 giugno 2018 MC dichiarava di recedere dal contratto preliminare, richiedendo la restituzione del doppio della caparra.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente, l’omessa notifica dell’atto di compravendita del 1963 integrerebbe gli estremi del grave inadempimento, giustificando le domande giudiziali formulate.
CM si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande proposte, domandando che fosse accertato il diritto della resistente di trattenere la caparra versata, quale conseguenza del legittimo esercizio del diritto di recesso ad opera della promissaria venditrice.
La resistente nel costituirsi ha evidenziato come la sovraintendenza avesse già manifestato il totale disinteresse per l’esercizio del diritto di prelazione sull’immobile oggetto del preliminare; come il funzionario e la segretaria avessero dichiarato la “inutilità e illegittimità della notifica del rogito del 1963” e che “lo scopo perseguito dalla legge, T.U. Beni Culturali, sarebbe stato ugualmente raggiunto con la notifica della dichiarazione di successione, che portava l’indicazione del bene e la provenienza dello stesso: poiché in effetti l’art. 61 del Codice stesso al n. 2 fa decorrere il termine di 180 giorni dal momento in cui il Ministero ha “comunque acquisito” gli elementi costitutivi della denuncia”.
La resistente ne inferiva l’irrilevanza dell’omissione, essendo lo Stato messo nella condizione di esercitare il diritto di prelazione, dando conto di aver tentato – dopo la dichiarazione di recesso – di notificare telematicamente copia del rogito del 1963 e della istanza di verifica, ma senza successo e di aver poi provveduto a vendere l’immobile a terzi con il ministero del notaio Z di Ferrara.
La resistente ha eccepito:
a. la validità dell’atto del 1963, trattandosi di nullità relativa (rectius inopponibilità allo Stato) che non può essere fatta valere dalle parti;
b. l’inutilità della denuncia dell’atto di compravendita del 1963 (proveniente da un soggetto non legittimato) e l’efficacia “sanante” della notificazione della dichiarazione di successione;
c. l’intervenuta usucapione della proprietà, usucapione idonea a sanare eventuali nullità derivanti dalla omissione della notificazione dell’atto di provenienza del bene del 1963;
d. l’inadempimento della promissaria acquirente giustificante la richiesta di accertamento del legittimo esercizio del diritto di recesso, trattenendo quanto ricevuto a titolo di caparra confirmatoria.
Alla prima udienza il Giudice formulava una proposta transattiva (“pagamento di € 40.000,00 da parte di parte resistente a parte ricorrente, spese di lite compensate”), in considerazione dell’ipotesi di restitutio in integrum (anche derivante dall’eventuale accertamento della risoluzione del contratto per mutuo dissenso, tema non rilevante ai fini decisori e sul quale non si affronterà l’annoso dibattito giurisprudenziale); successivamente MC aderiva, mentre CM dichiarava di non accettare la proposta giudiziale, formulata ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c., ma di essere disposta a transigere con il versamento di € 30.000,00 e spese di lite compensate.
Dato atto dell’impossibilità di raggiungere un accordo tra le parti, la causa veniva stata trattenuta in decisione, consentendo alle parti di depositare una memoria conclusiva.
***
Rileva il Giudice come la narrazione storica degli eventi non sia (se non per alcuni particolari irrilevanti ai fini decisori) contestata e la risoluzione della controversia muova solo da valutazioni da operarsi sul piano giuridico.
Ciò premesso, la prima constatazione è che CM non ha comunicato alla Sovraintendenza l’atto di compravendita del 1963 e che tale obbligazione era stata espressamente assunta sia nel contratto preliminare, sia – in modo cristallino – nel negozio integrativo del 18 ottobre 2017.
Dato per certo, dunque, l’inadempimento della promittente venditrice, occorre interrogarsi se tale inadempimento sia grave e giustificasse l’esercizio del diritto di recesso da parte di MC.
La resistente assume l’irrilevanza della omessa notificazione sulla base di due argomenti:
a. la “sanatoria” derivante dall’avvenuta notificazione dell’atto di successione del 2010, posto che gli enti pubblici prelazionari sarebbero stati messi nella condizione di esercitare il correlato diritto;
b. la “sanatoria” derivante dall’intervenuta usucapione del bene maturata già a favore del dante causa Maccapani, dato il decorso ventennale tra l’atto di compravendita e la successione mortis causa.
Entrambi i profili non appaiono fondati per le ragioni di seguito esposte.
Deve, innanzi tutto, evidenziarsi come dalla lettura del d.lgs 42/2004 si evinca che la tardiva denuncia è finalizzata alla conoscenza da parte dello Stato (e degli enti territoriali) dell'intervenuto trasferimento del diritto al fine di consentire l'esercizio del diritto di prelazione per una finalità pubblicistica. La ricostruzione giuridica effettuata dalla parte resistente trascura la constatazione che, nell'esercizio della propria valutazione, l'ente pubblico non considera solo il bene immobile in quanto tale e la potenziale funzionalità ad uno scopo istituzionale, ma valorizza anche il prezzo della cessione, elemento centrale per ponderare l'opportunità o meno di procedere all'esercizio del diritto di prelazione.
E’ conseguentemente evidente che, divergendo le condizioni di vendita ogni qualvolta il bene viene trasferito, deve essere consentito allo Stato di valutare l'opportunità o meno di esercitare il diritto di prelazione in relazione ad ogni singolo atto traslativo.
Tale valutazione non solo può divergere a seconda del momento storico in cui viene effettuata (in base alle esigenze istituzionali e alle capacità di spesa dell'ente), ma soprattutto è parametrata alle condizioni di cessione: ne consegue che nell'ipotesi in cui il bene sia venduto più volte - ciascuna a condizioni economiche diverse - ogni atto dovrà essere notificato (anche tardivamente) non potendo la notifica dell'ultimo atto dispositivo "sanare" l'omissione rispetto al trasferimento precedente, poiché, come detto, l'esercizio del diritto di prelazione deve poter essere esercitato conformemente alle condizioni di vendita del singolo negozio traslativo.
Nel caso di specie lo Stato (o gli altri enti pubblici territoriali) avrebbero potuto esercitare il diritto di prelazione alle condizioni di vendita dell'atto del 1963, sicché fino a quando tale atto non fosse stato notificato, il diritto non poteva dirsi consumato (nemmeno dalla dichiarazione di mancato esercizio del diritto di prelazione in riferimento all'atto di successione comunicato).
D’altronde solo con la notificazione della vendita del 1963 il Ministero avrebbe potuto valutare se esercitare il diritto alla luce del prezzo di vendita, prezzo non indicato nell’atto di successione mortis causa.
La fondatezza della tesi esposta emerge dalla constatazione che se il potere dello Stato si esaurisse nella valutazione di assenza di interesse, a seguito della notifica di un atto traslativo, la legge non avrebbe imposto l’obbligo di notificazione degli atti traslativi succedutisi nel tempo; evidentemente la ratio normativa presuppone una nuova e diversa valutazione in relazione ad ogni atto di trasferimento del diritto, perché tale valutazione si fonda sulle condizioni di ogni singola cessione.
Da ultimo – sotto tale profilo – deve sottolinearsi come l’obbligo di comunicazione gravi si sull’alienante, ai sensi dell’art. 59, II comma lett.a), ma allorché il bene sia trasferito a terzi, evidentemente, l’obbligazione inadempiuta non può che trasferirsi sul soggetto individuato in base all’atto di provenienza (nel caso di specie, ai sensi dell’art. 59, II comma lett. C) l’erede) ovvero sul soggetto direttamente interessato (si richiama sul punto attenta dottrina notarile che ha affermato: “riterrei, inevitabile, in tal caso (sc. morte, irreperibilità o rifiuto dell’originario alienante di atto non comunicato) considerare valida la denuncia effettuata dall’originario acquirente (attuale venditore), se non altro come soggetto interessato a rendere efficace un atto di cui è parte”).
Non pare seriamente dubitale la circostanza che nell’ipotesi di decesso o rifiuto del soggetto tenuto alla dichiarazione tardiva, questa non possa essere fatta dall’acquirente in procinto di vendere il bene.
L'eccezione di usucapione è del pari infondata.
L'atto stipulato inter partes, infatti, in assenza della dovuta denuncia allo Stato per l'eventuale esercizio del diritto di prelazione, non è nullo (nonostante l'infelice espressione utilizzata dal legislatore all’art. 164 d.lgs. cit.), bensì inefficace nei confronti del prelazionario (alle stesse conclusioni si giunge seguendo la tesi della Suprema Corte secondo la quale si tratterebbe di una nullità parziale rilevabile solo da parte del prelazionario pretermesso).
Posta la validità ed efficacia del contratto tra le parti (confermata dalla stessa parte resistente a p. 3 della memoria conclusionale) non è possibile configurare un'ipotesi di usucapione ovvero di acquisto a titolo originario: il bene, infatti, è stato trasferito a titolo derivativo a domino e conseguentemente è giuridicamente illogico configurare un diverso acquisto a titolo originario in virtù della prospettata inefficacia dell’atto verso il prelazionario pretermesso.
In ogni caso, la giurisprudenza recentemente pronunciatasi sul punto ha avuto modo di evidenziare come l’eventuale usucapione del bene soggetto al vincolo non è un ostacolo all’esercizio del diritto di prelazione (cfr. Consiglio di Stato 3 ottobre 2018 n. 5671; si sottolinea come la sentenza de qua abbia altresì confermato che la prelazione si esercita al prezzo originario di vendita – nella fattispecie 13.000.000 di lire – corroborando quanto sopra indicato circa l’interesse dello Stato di poter valutare ogni singolo atto di cessione al fine dell’eventuale esercizio del diritto di prelazione).
Alla luce delle sopra esposte ragioni giuridiche la domanda formulata è fondata: MC ha receduto legittimamente dal contratto preliminare poiché CM non ha adempiuto all’obbligazione giuridica espressamente assunta di notificare al Ministero l’atto di vendita del 1963, violazione contrattuale (l’inadempimento si è protratta per 13 mesi) che ha impedito sia la stipulazione del contratto definitivo, sia la concessione del correlato mutuo, in quanto solo con la notifica del predetto atto era possibile verificare il mancato esercizio del diritto di prelazione (nel termine di 180 giorni dalla comunicazione) alle condizioni di cui all’atto del 1963.
In altre parole, non viene in rilievo la nullità dell’atto del 1963 quale presupposto derivativo della nullità del contratto definitivo tra le parti del giudizio, quanto la violazione dell’obbligazione assunta dalla parte ed incidente sulla stabilità giuridica del contratto che CM e MC avrebbero stipulato.
Legittimamente la promissaria acquirente, decorsi oltre 13 mesi dalla assunzione della obbligazione (e oltre sette mesi dalla scadenza del termine pattuito), ha risolto il contratto non potendo tollerare oltre il grave inadempimento della controparte.
Le spese del giudizio, così come liquidate in dispositivo (valorizzando nella quantificazione la circostanza che la condanna è per un importo prossimo ai minimi dello scaglione di riferimento e l’attività di trattazione è stata molto limitata, mentre quella introduttiva e di studio piuttosto complessa) seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando nella causa n. … R.G., il Tribunale di Ferrara, nella persona del Giudice Unico dr. Mauro Martinelli, così decide:
a. ACCERTATO il legittimo esercizio del diritto di recesso da parte della promissaria acquirente MC dal preliminare del … (integrato dal negozio giuridico del …) a causa del grave inadempimento della promittente venditrice CM CONDANNA CM al pagamento di € 60.000,00 a titolo di restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata, ai sensi dell’art. 1385 c.c., oltre interessi ai sensi dell’art. 1284 c.c. dalla domanda giudiziale al saldo;
b. CONDANNA CM alla rifusione delle spese del giudizio a favore di MC, quantificate in € 9.785,00 per compensi, € 406,50 per spese, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge;
c. RESPINGE nel resto.
Si comunichi alle parti.
Ferrara, 18/04/2019.
Il Giudice
Dr. Mauro Martinelli