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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/11/2024 Scarica PDF

La Cassazione non scioglie il nodo gordiano sulla prescrizione dei crimini del Terzo Reich

Cristina Florean, Avvocato in Verona


Sommario: 1. La sentenza della Corte d'Appello di Firenze; 2. La distinzione tra prescrizione civile e penale e le sue implicazioni; 3. L’inapplicabilità dell’art. 43 D.L. 36/2022 al caso di specie; 4. Il rapporto tra l’immunità giurisdizionale e l’imprescrittibilità dei crimini internazionali; 5. Conclusioni



1. - La sentenza della Corte d'Appello di Firenze

La Corte di cassazione si è nuovamente pronunciata sulla questione del risarcimento dei danni a favore delle vittime del Terzo Reich1.

Per la prima volta dalla celebre sentenza Ferrini (SSUU 5044/2004), tuttavia, la questione sottoposta alla Corte non riguarda più la giurisdizione, bensì il diverso e altrettanto controverso tema della prescrizione del diritto, considerando che sono trascorsi quasi 80 anni dagli eventi dannosi.

Nel caso in esame, i ricorrenti hanno impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze (n. 772/2021), che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da un Internato Militare Italiano (IMI) a causa della prescrizione del diritto azionato.

La Corte d’Appello di Firenze, pur nel riconoscere il principio di imprescrittibilità dei crimini di guerra e contro l’umanità, secondo la consuetudine internazionale ratificata per la prima volta nella Convenzione ONU del 1968, ha ritenuto tale principio inapplicabile alle condotte cessate nel 1945, in virtù della preclusione prevista dall’art. 25 della Costituzione, che stabilisce l’irretroattività delle norme sfavorevoli.

Inoltre, la Corte territoriale ha osservato che, sebbene il principio di imprescrittibilità dei crimini internazionali faccia parte del nostro ordinamento in virtù dell’art. 10 Cost., la norma internazionale sull’imprescrittibilità non può essere applicata retroattivamente a fatti commessi nel 1945, periodo in cui tale principio non era ancora consolidato nella comunità internazionale, a causa del controlimite posto dall’art. 25 Cost.

Infine, secondo i Giudici fiorentini, non è possibile distinguere il profilo della prescrizione civile da quello penale, poiché il reato astrattamente applicabile nel caso di specie, ossia quello di riduzione in schiavitù ex art. 600 c.p., prevedeva, nel 1945, un termine di prescrizione di 15 anni e non era, dunque, considerato imprescrittibile.

Pertanto, il diritto azionato doveva ritenersi prescritto anche ai sensi dell’art. 2947, comma 3, c.c.



2- La distinzione tra prescrizione civile e penale e le sue implicazioni

La Cassazione ha ribaltato l’interpretazione della Corte d’Appello di Firenze facendo leva su una netta distinzione tra la prescrizione penale e civile.

Secondo gli Ermellini, è necessario distinguere tra l’irretroattività penale, garantita dal principio costituzionale sancito dall’art. 25 della Costituzione, e l’irretroattività civile, che non è sostenuta da alcuna norma costituzionale.

Nel diritto penale, l’irretroattività è garantita dal principio di legalità e dal favor rei.

Al contrario, in ambito civile la prescrizione non gode delle stesse garanzie costituzionali, consentendo dunque l’applicazione retroattiva di norme sfavorevoli.

La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza (Cass., 29/09/2004, n. 19566), secondo cui la previsione di cui all’art. 2947, terzo comma, cod. civ., permette un accertamento incidentale della responsabilità penale astrattamente intesa, senza che venga a rilievo il limite di cui all’art. 25 Cost. in quanto non si tratta di pronunciare una sentenza di personale2.

Peraltro, secondo la Cassazione in ambito civile non vale nemmeno il principio del favor rei (Cass., 27/07/2012, n. 13407, Cass., 14/03/2018, n. 6333), di talché va applicata la norma in vigore al momento della commissione dell’illecito, senza che vengano a rilievo le successive norme penali riduttive della prescrizione.

Tuttavia, la Cassazione, accertata l’astratta possibilità di applicazione retroattiva dell’imprescrittibilità a fini civilistici, ha chiarito come occorra verificare in concreto la portata retroattiva della norma internazionale sull’imprescrittibilità: questione, questa, non affrontata dalla Corte di merito e rimasta quindi sub iudice.

In altre parole, secondo gli Ermellini in ambito civile è astrattamente possibile l’applicazione retroattiva dell’imprescrittibilità dei crimini di guerra e contro l’umanità, ma occorre in concreto verificare se tale norma internazionale, che ha valore costituzionale, abbia portata retroattiva.



3- L’inapplicabilità dell’art. 43 DL 36/2022 al caso di specie

Per risolvere il caso in esame, la Corte di cassazione ha esaminato anche l’art. 43 D.L. 36/2022, norma che istituisce il Fondo di ristoro per le vittime del Terzo Reich, ritenendo, però, tale norma irrilevante nel caso di specie in quanto sopravvenuta.

In particolare, la Corte ha stabilito che il comma 6 dell’art. 43, che richiama gli ordinari termini di prescrizione, non sia applicabile al caso de quo.

L’art. 43 del D.L. 36/2022, infatti, stabilisce condizioni per le azioni di risarcimento che non erano ancora state avviate al momento della sua entrata in vigore.

Poiché la causa in questione è stata instaurata nel 2006, prima dell’introduzione di questa norma, la stessa non può essere retroattivamente applicata a procedimenti pendenti.

In particolare, la Cassazione, lasciando aperta ogni interpretazione, ha affermato che, “anche assumendo che il legislatore abbia inteso ricognitivamente indicare, con norma interna, l’esclusione di ogni imprescrittibilità, applicando dunque i termini ordinari di prescrizione”, ciò non sarebbe comunque determinante nel caso in questione, in quanto il giudizio è stato instaurato nel 2006, ben prima dell’entrata in vigore della novella normativa.

Di conseguenza, si può ritenere che, fino alla decisione del 2004, il diritto delle vittime a ottenere risarcimento per crimini di guerra e contro l'umanità non fosse giuridicamente esercitabile, poiché ostacolato dal principio dell’immunità giurisdizionale. Pertanto, l’azione risarcitoria intrapresa nel 2006, successiva alla sentenza Ferrini, non può considerarsi prescritta, essendo stata avviata in un contesto normativo che ha superato tale ostacolo.



4. Il rapporto tra l’immunità giurisdizionale e l’imprescrittibilità dei crimini internazionali

Il diritto oggetto del processo non era esercitabile finché è rimasto in vigore il principio dell’immunità giurisdizionale degli Stati esteri.

Fino a quando l’immunità non è stata riconsiderata criticamente e limitata dalla giurisprudenza, il diritto al risarcimento per i crimini di guerra e contro l’umanità non poteva essere esercitato, in applicazione dell’art. 2935 c.c.

Solo con la sentenza delle Sezioni Unite Ferrini (n. 5044 del 2004), il dogma dell’immunità giurisdizionale degli Stati esteri è stato superato, in ragione della gravità dei diritti lesi e del principio di imprescrittibilità sancito esplicitamente nella Convenzione ONU del 1968, che, come ha evidenziato anche la requisitoria del Procuratore Generale, si applica a tali crimini "qualunque sia la data in cui sono stati commessi".

La decisione del 2004 ha distinto chiaramente gli atti iure imperii dalla commissione di crimini di guerra e contro l’umanità, riconoscendo alle vittime il diritto al giudice.

Tuttavia, la Corte Internazionale di Giustizia ha negato questa interpretazione nel 2012, statuizione poi non accolta né recepita dalla Corte costituzionale nella decisione del 2014.

In conclusione, si deve ritenere che, quantomeno fino al 2004, i diritti in questione non erano legalmente esercitabili.

Ne consegue che l’azione del caso oggetto dell’ordinanza, intrapresa nel 2006, non può comunque considerarsi prescritta.



5. Conclusioni

La sentenza n. 3642/2024 della Cassazione, pur non prendendo una posizione definitiva sui termini di prescrizione applicabili ai giudizi avviati dopo l’entrata in vigore dell’art. 43 del D.L. 36/2022, ha delineato i principi fondamentali in materia di prescrizione dei crimini contro l’umanità.

In particolare, la Corte ha chiarito che l’applicazione retroattiva della norma sull’imprescrittibilità potrebbe astrattamente trovare spazio in ambito civile, poiché manca un “controlimite” analogo a quello stabilito dall’art. 25 della Costituzione in materia penale.

Inoltre, la Corte ha riconosciuto il valore costituzionale della norma sull’imprescrittibilità, in forza del richiamo all’art. 10 della Costituzione, che integra nel nostro ordinamento le consuetudini internazionali.

Sebbene la Corte non abbia fornito un’interpretazione definitiva del comma 6 dell’art. 43 del D.L. 36/2022, il quale preserva i termini ordinari di prescrizione, ne ha circoscritto l’operatività esclusivamente alle azioni risarcitorie avviate dopo l’entrata in vigore del decreto, escludendone quindi effetti sui procedimenti già in corso.

Pur lasciando aperta la questione della prescrizione, è evidente come la Cassazione abbia utilizzato un linguaggio ipotetico nell’analizzare la disciplina introdotta dall’art. 43, aprendo di fatto la possibilità di una lettura sistematica della disposizione, che consideri l’intera normativa in materia di prescrizione e il principio internazionale dell’imprescrittibilità.

In conclusione, appare evidente che qualsiasi interpretazione restrittiva del comma 6, che limiti l’imprescrittibilità del risarcimento per le vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, risulterebbe incostituzionale per violazione dell’art. 10 della Costituzione, poiché si porrebbe in contrasto con un principio internazionale ormai consolidato nel nostro ordinamento.



1 Cass., sez. III civ., 8 febbraio 2024, n. 3642.

2 Sul punto si veda Marco Bona, Morte del reo e prescrizione dell'azione risarcitoria: con il revirement delle sezioni unite i termini decorrono dalla sentenza penale divenuta irrevocabile (Commento a Sez. Un. civ., 5 aprile 2013, n. 8348), in Resp. civ. prev., 2013, 1141 e ss.


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