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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/10/2024 Scarica PDF

Decreto sicurezza e normativa antimafia: occasione di miglioramenti e soluzioni parzialmente persa

Cristiana Rossi, Amministratore giudiziario. Già coadiutore ANBSC


Il cosiddetto Decreto Sicurezza approvato alla Camera dei deputati (d.d.l. n. 1660) il 18 settembre scorso ed attualmente in attesa di discussione al Senato (n.1236) presentato dal Ministro dell’Interno Piantedosi, dal Ministro della Giustizia Nordio e dal Ministro della difesa Crosetto, tra le tante misure contestate reca anche alcune modifiche al D. Lgs. n. 159/2011 altrimenti detto Codice Antimafia in materia di impugnazione dei provvedimenti di applicazione delle misure di prevenzione personali nonché di amministrazione di beni sequestrati e confiscati.

Particolare interesse ha suscitato – in questa sede – le accennate modifiche normative afferenti l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

L’art. 7 del decreto sicurezza prevede quindi delle modifiche non trascurabili della normativa antimafia in tema proprio di amministrazione dei patrimoni colpiti dalla misura in esame.

La prima modifica introdotta interessa l’art. 36 disciplinante la relazione che l’amministratore giudiziario deve redigere e depositare al giudice delegato entro trenta giorni dalla nomina, rappresentando dettagliatamente lo stato di diritto e di fatto dei beni costituenti il patrimonio colpito dalla misura cautelare. Il secondo comma dispone altresì che l’amministratore giudiziario indichi – sempre nella sua relazione – eventuali difformità riscontrate tra quanto oggetto della misura elencato nel decreto di sequestro e quanto appreso nel corso dell’esecuzione della misura cautelare, indicando altresì l’eventuale esistenza di altri beni da sottoporre a misura.

Ebbene la modifica di cui ci occuperemo in questa sede si inserisce di seguito a quest’ultimo comma prevedendo l’introduzione del successivo comma 2-bis che testualmente recita:

«Nella relazione di cui al comma 1, l’amministratore giudiziario illustra altresì in dettaglio le caratteristiche tecnico-urbanistiche dei beni immobili, evidenziando, in particolare, la sussistenza di eventuali abusi nonché i possibili impieghi dei cespiti in rapporto ai vigenti strumenti urbanistici generali, anche ai fini delle valutazioni preordinate alla destinazione dei beni. A tale scopo l’amministratore giudiziario formula, se necessario, apposita istanza ai competenti uffici comunali, che la riscontrano entro quarantacinque giorni dalla richiesta dando comunicazione dell’eventuale sussistenza di abusi e della natura degli stessi. Qualora la verifica risulti di particolare complessità o si renda necessario il coinvolgimento di altre amministrazioni o di enti terzi, i competenti uffici comunali forniscono all’amministratore giudiziario, entro il predetto termine di quarantacinque giorni, le risultanze dei primi accertamenti e le informazioni in merito alle ulteriori attività avviate e, successivamente, sono tenuti a comunicare gli esiti del procedimento».

Già da questo primo intervento è possibile rilevare alcune criticità che la normativa introduce (uso il presente indicativo ovvero il tempo che esprime l’attualità del fatto ormai certo poiché tale decreto non consente alcun emendamento). Si tratta in primo luogo di considerazioni legate alle competenze. Difatti il D. Lgs. 4 febbraio 2010, n. 14 nell’istituire l’Albo Nazionale degli Amministratori giudiziari all’art. 3 stabilisce il diritto all’iscrizione nell’albo medesimo a coloro che abbiano concretamente svolto attività professionale e risultino iscritti da almeno cinque anni: a) nell’Albo professionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili; b) nell’Albo professionale degli avvocati. Appare più che evidente che l’amministratore giudiziario non è dotato delle competenze tecnico urbanistiche che la citata modifica normativa vuole ad esso attribuire ed invece evidenzia la necessità di nominare – da parte del giudice – un professionista terzo fornito della qualifica e delle competenze richieste, quale potrebbe essere invece un ingegnere, architetto o geometra. La norma introdotta sembra quindi voler attribuire l’incombenza – con conseguente responsabilità – all’amministratore giudiziario di competenze e responsabilità che non appartengono alla sua figura professionale. Appare pertanto pacifico che – soprattutto in soli trenta giorni, questo appunto il termine per il deposito della relazione ex art. 36 – un amministratore giudiziario commercialista/avvocato benché esperto in molti ambiti giuridici e tecnici non possa “evidenziare” le caratteristiche tecnico-urbanistiche dei beni immobili anche con particolare riferimento alla sussistenza di eventuali abusi nonché i possibili impieghi dei cespiti in rapporto ai vigenti strumenti urbanistici generali, anche ai fini delle valutazioni preordinate alla destinazione dei beni. Questo tipo di formulazione attribuisce al professionista competenze appannaggio di altre categorie professionali esistenti eventualmente anche in alcuni specifici uffici degli enti territoriali come, ad esempio, gli uffici tecnici dei comuni. Evoca altresì l’attribuzione ed il trasferimento di ulteriori compiti con conseguenti responsabilità al singolo professionista dalla pubblica amministrazione preposta quale l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) al professionista soggetto privato, soprattutto con particolare riferimento alla fase di destinazione del bene, attività assegnata in via esclusiva ex lege all’Anbsc.

Ricorda altresì la prassi ormai utilizzata da moltissimi anni dal legislatore fiscale che trasferisce compiti peculiari della PA in questo caso Agenzia delle Entrate ai commercialisti attribuendo quindi agli stessi anche le relative responsabilità.

Per quel che riguarda il termine dei quarantacinque giorni entro il quale i competenti uffici comunali “dovrebbero” ricontrare le istanze dell’amministratore giudiziario, è doveroso rilevare e segnalare che molto spesso le risorse impiegate all’interno della PA – come, ad esempio, Ade – Ader e INPS – sembrano in concreto non conoscere la figura dell’amministratore giudiziario e la relativa funzione, spesso dagli stessi anche ostacolata.

Continuando con l’esame del disegno di legge in esame, si legge al punto 2) dell’inserimento al comma 3, l’inserimento del seguente periodo dopo il primo: «L’amministratore giudiziario, proseguendo, se necessario, l’interlocuzione con i competenti uffici comunali sino al termine del procedimento di verifica di cui al comma 2-bis, assicura comunque il completamento delle verifiche tecnico-urbanistiche anche dopo l’avvenuto deposito della relazione, provvedendo a comunicare i relativi esiti». Questo periodo assicura quindi il trasferimento in capo al singolo professionista – ricordiamolo unico soggetto privato previsto dalla normativa antimafia – delle attività e compiti che sino ad oggi spettano all’Agenzia Nazionale (Anbsc).

A parere della scrivente, da tutto ciò potrebbero nascere nuovi elementi di criticità senza offrire garanzia di soluzioni in termini di agevolazione e tempestività alle diverse problematiche gestorie con particolare riguardo anche alla fase di destinazione del bene stesso.

Altro intervento interessante è costituito dalla modifica all’articolo 38, che prevede dopo il comma 3 l’inserimento del comma 3-bis che testualmente recita: «Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia, è adottato, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi dei coadiutori dell’Agenzia. Dall’attuazione del regolamento di cui al primo periodo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

Considerato che proprio in riferimento alla determinazione dei compensi dei coadiutori la stessa Agenzia Nazionale nel 2018 ha redatto e divulgato tra i suoi coadiutori delle specifiche Linee Guida rappresentando il quadro normativo di riferimento ovvero il D.P.R. n. 177/2015. Difatti al paragrafo 2. intitolato Quadro normativo l’Agenzia Nazionale afferma testualmente quanto disciplinato dall’art. 38, comma 3 del Codice antimafia:

Con il provvedimento di confisca emesso in giudizio di appello l’amministrazione dei beni è conferita all’Agenzia, che ne cura la gestione fino all’emissione del provvedimento di destinazione. L’Agenzia si avvale, per la gestione, di un coadiutore individuato nell’amministratore giudiziario nominato dal tribunale, salvo che ricorrano le ipotesi di cui all’articolo 35, comma 7, o che sussistano altri giusti motivi. L’Agenzia comunica al tribunale il provvedimento di conferimento dell’incarico. L’incarico ha durata fino alla destinazione del bene, salvo che intervenga revoca espressa”.

Sempre nelle citate Linee Guida la stessa Agenzia indicava sempre come normativa applicabile per la determinazione del compenso spettante ai coadiutori - da calcolarsi dalla confisca di 2° grado fino alla chiusura della procedura (ad es. a causa della finale destinazione di tutti i beni, della loro revoca, delle dimissioni del professionista) – le percentuali indicate all’art. 3 del d.P.R. 7 ottobre 2015 n. 177.

Ricordo che lo stesso Prefetto Dott. Bruno Frattasi, nella qualità di Direttore dell’Agenzia Nazionale, con prot. n. 0032846 del 12/08/2020, aveva trasmesso a tutti i coadiutori una pec avente ad oggetto “Compensi ai Coadiutori dell’ANBSC. Nuova tariffa speditivacomunicando l’avvenuta approvazione da parte del Consiglio Direttivo dell’Agenzia Nazionale dell’applicazione di una tariffa speditiva per la liquidazione dei compensi ai Coadiutori dell’ANBSC precisando di aver altresì previsto “la rideterminazione del quantum relativo agli incarichi precedentemente conferiti con riserva di conguaglio, a far data dal 25 novembre 2015 - data di entrata in vigore del citato decreto - e fino a conclusione dell’incarico proprio in recepimento delle disposizioni contenute nel citato D.P.R. 177/2015.

Non può sfuggire – per avere piena consapevolezza dell’efficienza dell’Agenzia Nazionale – che la normativa appena citata è stata recepita dall’Agenzia Nazionale con quasi cinque anni di ritardo.

È però opportuno rilevare anche che il D.P.R. n. 177 del 07 ottobre 2015 pubblicato nella G.U. n. 262 del 10/11/2015 ed entrato in vigore il 25/11/2015 riporta le seguenti premesse:

Visto il decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, recante:

«Istituzione dell'Albo degli amministratori ai sensi dell'articolo 2, comma 13, della legge 15 luglio 2009, n. 94» e in particolare l'articolo 8, il quale prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari;

Ritenuto che l’attività svolta dagli amministratori giudiziari presenta significative analogie con quella dei curatori fallimentari e che pertanto è opportuno, ai fini della liquidazione del compenso, adottare criteri omogenei a quelli previsti in materia di procedure concorsuali”.

Ciò evidenzia e suggerisce un paio di considerazioni: la prima rileva che dal 03 marzo 2010 – data di entrata in vigore del D.lgs. n. 14 del 04 febbraio 2010 – al 07 ottobre 2015 ovvero 10 novembre 2015 – data di pubblicazione del D.P.R. n. 177/2015 in G.U – il termine indicato “entro novanta giorni” dall’entrata in vigore del decreto legislativo è sicuramente spirato al momento dell’emanazione del decreto presidenziale! E ciò può essere utile da ricordare e considerare.

La seconda attiene all’errata equiparazione dell’attività dell’amministratore giudiziario a quella del curatore fallimentare per almeno un paio di ragioni fondamentali. Il primo non soltanto opera in ambito penale in prima linea realizzando due o più tipologie di amministrazione diverse tra loro ovvero quella giudiziaria strettamente afferente alla gestione del procedimento secondo la misura applicata dall’Autorità Giudiziaria (rapporti con il giudice delegato e la sua cancelleria, le udienze, le relazioni, istanze ed informative, ecc.) e, a seconda delle categorie eterogenee di beni costituenti il patrimonio colpito dalla misura di prevenzione patrimoniale, quella della gestione dei beni costituiti anche in aziende vive, dinamiche ed in piena attività, rispetto all’impresa fallita ormai decotta.

Il curatore fallimentare (mi riferisco al periodo in cui i citati decreti sono stati emanati e non all’attuale in cui vige il CCII) invece opera nell’ambito di una procedura civile applicata nella maggior parte ad imprese ormai decotte con la finalità di ricostruire e recuperare la massa attiva patrimoniale al fine di procedere al soddisfacimento della massa creditoria nel rispetto del principio della par conditio creditorum.

L’auspicio è quindi quello dell’emanazione di una disciplina che sia veramente aderente alle funzioni svolte in concreto dal coadiutore Anbsc e non frutto di ipotesi svalutative della professionalità del coadiutore con la finalità di attuazione di una riduzione di costi del procedimento puramente l’illusoria.

Sulla scorta delle considerazioni sopra rappresentate (sebbene parziali), ognuno può trarre da solo le proprie considerazioni.


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