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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/11/2024 Scarica PDF

Il conferimento degli incarichi nella dirigenza sanitaria – Contributo alla interpretazione delle previsioni contrattual-collettive

Marco Mariano, Avvocato in Avellino


Sommario: 1. Premessa, ricognizione normativa e contrattuale. Valutazione di prima istanza, collegio tecnico e proposta del Direttore/Responsabile – 2. Tentativo di interpretazione delle disposizioni contrattual-collettive – 3. Conseguenze dell’insussistenza del diritto all’incarico. Parentesi sulla rilevanza dell’atto di macroorganizzazione di graduazione delle funzioni e sulla retribuzione di posizione variabile aziendale – 4. Conseguenze del mancato conferimento dell’incarico. Inadempimento e perdita di chance

 

 

1. Premessa, ricognizione normativa e contrattuale. Valutazione di prima istanza, collegio tecnico e proposta del Direttore/Responsabile

Deve registrarsi, nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale di lavoro della dirigenza sanitaria, una chiara modifica della sintassi utilizzata dalle parti sociali con riferimento al conferimento degli incarichi dirigenziali.

L’art. 28 CCNL 8 giugno 2000, statuiva, infatti, che gli incarichi dirigenziali «sono conferibili», mentre l’art. 18 CCNL 19 dicembre 2019, più perentoriamente prevede che «A tutti i dirigenti, anche neo-assunti, dopo il periodo di prova, è conferito un incarico dirigenziale […]».

Da ultimo, il CCNL 23 gennaio 2024 dispone che a tutti i dirigenti (dopo il periodo di prova), «deve essere conferito» un incarico dirigenziale.

Cionondimeno, anche all’esito di tale “evoluzione” lessicale, non pare potersi affermare l’esistenza di un vero e proprio diritto del dirigente medico all’attribuzione di incarico, professionale o di struttura che sia.

Si rende, però opportuna una sintetica ricognizione della normativa relativa alla disciplina della dirigenza del settore sanitario, risalente, oltre che al d.lgs 30 marzo 2001, n. 165 per i criteri generali, al d.lgs 30 dicembre 1992, n. 502 e alla contrattazione collettiva nazionale, anche con specifico riferimento alla graduazione delle funzioni dirigenziali e ai profili dell’assegnazione, valutazione e verifica dei risultati degli incarichi dirigenziali, nonché dell’attribuzione del relativo trattamento economico accessorio ex art. 15, comma 1, d.lgs. 502/1992.

Orbene, proprio l’art. 15 del d.lgs. 502/1992 prevede, al comma 4, che al dirigente sanitario, all’atto della prima assunzione, sono affidati compiti professionali e funzioni di collaborazione e corresponsabilità, da esercitare nel rispetto degli indirizzi stabiliti dal dirigente responsabile della struttura, mentre, al comma 5, che al dirigente con cinque anni di attività con valutazione positiva sono attribuite funzioni di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo, nonché possono essere attribuiti, dal Direttore Generale, incarichi di direzione di strutture semplici o incarichi presso le strutture complesse, incarichi che hanno durata determinata e sono rinnovabili.

L’art. 15, comma 5, stabilisce, poi, che i dirigenti medici sono sottoposti ad una verifica annuale, correlata alla retribuzione di risultato, nonché ad una valutazione al termine dell’incarico, attinente alle attività professionali e ai risultati raggiunti, effettuata dal collegio tecnico, nominato dal Direttore Generale e presieduto dal direttore di dipartimento, secondo le modalità definite dalla contrattazione collettiva.

Gli esiti positivi di tali verifiche rilevano ai fini della valutazione professionale resa allo scadere dell’incarico o al termine dei primi cinque anni di attività.

La contrattazione collettiva e, in particolare, l’art. 27 C.C.N.L. 8.6.2000 dirigenza medica e veterinaria, prevedeva le seguenti tipologie di incarichi, conferibili ai dirigenti del settore: «a) incarico di direzione di struttura complessa. Tra essi sono ricompresi l’incarico di direttore di dipartimento, di distretto sanitario o di presidio ospedaliero di cui al d.lgs 502/1992; b) incarico di direzione di struttura semplice; c) incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo. d) incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività».

Il successivo art. 28, stabiliva che: «[…] 3. Ai dirigenti, dopo cinque anni di attività, sono conferibili gli incarichi di direzione di struttura semplice ovvero di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo indicati nell’art. 27, comma 1 lett. b) e c). 4. Gli incarichi di cui al comma 3 sono conferiti dall’azienda, a seguito di valutazione positiva ai sensi dell’art. 32, su proposta del responsabile della struttura di appartenenza, con atto scritto e motivato. Per quanto riguarda gli incarichi di direzione di struttura semplice essi sono conferiti nei limiti del numero stabilito nell’atto aziendale. Nell’attesa si considerano tali tutte le strutture alle quali anche provvisoriamente l’azienda riconosca le caratteristiche di cui all’art. 27 comma 7».

A ciò si aggiunga che il C.C.N.L. 19.12.2019, prevedeva (art. 19) una modifica nelle tipologie di incarico attribuibili ai dirigenti medici, innovando l’art. 27 lett. c) C.C.N.L. 2000: «Per il conferimento degli incarichi si procede con l’emissione di avviso di selezione interna e il dirigente da incaricare sarà selezionato da parte dei responsabili indicati nel comma 8. 8. Gli incarichi sono conferiti dal Direttore Generale dell’Azienda o Ente su proposta: a) del Direttore di struttura complessa di afferenza per l’incarico di struttura semplice quale articolazione interna di struttura complessa; b) del Direttore di Dipartimento o di Distretto sentiti i Direttori delle strutture complesse di afferenza al dipartimento o distretto per l’incarico di struttura semplice a valenza dipartimentale o distrettuale; c) del Direttore della struttura di appartenenza sentito il Direttore di Dipartimento o di Distretto per gli incarichi professionali; d) del Direttore della struttura di appartenenza per gli incarichi professionali di base attribuibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività; 9. Nel conferimento degli incarichi, e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse, le Aziende ed Enti effettuano una valutazione comparata dei curricula formativi e professionali e tengono conto: a) delle valutazioni del collegio tecnico ai sensi dell’art. 57 comma 2, (Organismi per la verifica e valutazione delle attività professionali e dei risultati dei dirigenti); b) dell’area e disciplina o profilo di appartenenza; c) delle attitudini personali e delle capacità professionali del singolo dirigente sia in relazione alle conoscenze specialistiche nella disciplina di competenza che all’esperienza già acquisita in precedenti incarichi svolti anche in altre Aziende o Enti o esperienze documentate di studio e ricerca presso istituti di rilievo nazionale o internazionale; d) dei risultati conseguiti in rapporto agli obiettivi assegnati a seguito della valutazione annuale di performance organizzativa e individuale da parte dell’Organismo indipendente di Valutazione ai sensi dell’art. 57, comma 4, (Organismi per la verifica e valutazione delle attività professionali e dei risultati dei dirigenti); e) del criterio della rotazione ove applicabile”)».

Analoghe previsioni sono contenute nell’art. 23 del C.C.N.L. 23 gennaio 2024.

Orbene, la procedura per il conferimento dell’incarico dirigenziale (e della corrispondente retribuzione) trae avvio dalla proposta del responsabile/direttore della struttura di appartenenza del dirigente e presuppone la valutazione positiva del collegio tecnico.

Pertanto, la valutazione positiva dell’attività svolta per cinque anni è la base per la progressione professionale del dirigente sanitario e per l’attribuzione di incarichi di funzioni di alta specializzazione.

Si tratta, dunque, di una valutazione di carattere discrezionale, certamente non arbitraria, in quanto soggetta all’osservanza dei criteri di carattere generale previsti per i sistemi di valutazione delle attività professionali, delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti.

Dunque, il dirigente viene in prima istanza valutato dal dirigente sovraordinato e, in seconda istanza, dal collegio tecnico e dal nucleo di valutazione.

Il collegio tecnico, in particolare, verifica e valuta le performances (1) dei dirigenti alla scadenza dell’incarico conferito, con riferimento alle attività professionali svolte e ai risultati raggiunti, (2) dei dirigenti di nuova assunzione, al termine del quinquennio di servizio, (3) dei dirigenti che raggiungono l’esperienza professionale ultra quinquennale, in relazione all’indennità di esclusività, (4) dei dirigenti dopo la seconda valutazione consecutiva negativa da parte del nucleo di valutazione, in caso di ipotesi di revoca dell’incarico.

La valutazione effettuata annualmente dal nucleo di valutazione è diversa rispetto alla valutazione del collegio, atteso che è volta “solo” alla verifica dei risultati di gestione dei responsabili di struttura e dei risultati raggiunti dai dirigenti, in relazione agli obiettivi affidati, ai fini del riconoscimento (o meno, ovvero della misura) della retribuzione di risultato.

La valutazione annuale, se positiva, determina l’attribuzione della retribuzione di risultato e concorre a formare la valutazione da effettuare al termine dell’incarico.

Nel raffronto tra le due tipologie di valutazione innanzi accennate, va aggiunto che la valutazione rimessa al collegio tecnico ai sensi dell’art. 15, comma 5, d.lgs. 502/1992, ha un oggetto più ampio della verifica annuale di spettanza del nucleo di valutazione, avendo ad oggetto, oltre che gli obiettivi specifici e i relativi criteri di verifica dei risultati, anche altri elementi (cfr. ad esempioart. 32 C.C.N.L. 8.6.2000, art. 55 e ss. CCNL 19.12.2019).

Secondo la S.C. (Cass., sez. lav., 17 novembre 2017, n. 27341),«gli organismi preposti alla verifica dei dirigenti ai sensi dell'art. 15, commi 5 e 6 del D.Lgs. n. 502 del 1992 sono: il Collegio tecnico e il nucleo di valutazione. 3.2. Come si desume dall'interpretazione sistematica degli artt. 31 e 32 CCNL, la verifica annuale rimessa ai Nuclei di valutazione ha le finalità previste dall'art. 31, comma 3, lettere a) e b), ossia riguarda i "risultati di gestione del dirigente di struttura complessa..." e i "risultati raggiunti da tutti i dirigenti…, in relazione agli obiettivi affidati, ai fini dell'attribuzione della retribuzione di risultato" (art. 32, comma 6 che richiama l'art. 31, comma 3). La valutazione rimessa al Collegio tecnico a fine incarico è indubbiamente più ampia. L'art. 32, comma 5 CCNL prevede che costituiscono oggetto della valutazione per tutti i dirigenti, "oltre gli obiettivi specifici riferiti alla singola professionalità ed ai relativi criteri di verifica dei risultati", altri elementi (ulteriormente integrabili a livello aziendale), tra i quali: a) collaborazione interna ed il livello di partecipazione multiprofessionale nell'organizzazione dipartimentale; b) livello di espletamento delle funzioni affidate nella gestione delle attività e qualità dell'apporto specifico; c) capacità dimostrata nel motivare, guidare e valutare i collaboratori e di generare un clima organizzativo favorevole alla produttività, attraverso una equilibrata individuazione dei carichi di lavoro e la gestione degli istituti contrattuali; d) risultati delle procedure di controllo con particolare riguardo all'appropriatezza e qualità clinica delle prestazioni, all' orientamento all'utenza, alle certificazioni di qualità dei servizi; e) capacità dimostrata nel gestire e promuovere le innovazioni tecnologiche e procedimentali nonché i conseguenti processi formativi e la selezione del personale; f) raggiungimento del minimo di credito formativo, ai sensi dell'art. 16 ter, comma 2 del dlgs 502/1992 non appena operativo; g) osservanza degli obiettivi prestazionali assegnati; h) rispetto del codice di comportamento allegato al CCNL del 5 dicembre 1996».

 

2. Tentativo di interpretazione delle disposizioni contrattual-collettive

Considerato che «Anche nell'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale il criterio del senso letterale delle parole, di cui all' art. 1362, comma 1, c.c. è prevalente, potendo risultare assorbente di eventuali ulteriori e successivi criteri interpretativi» (Cass., sez. lav., 26 ottobre 2021, n. 30135), atteso che gli incarichi previsti dall’art. 27, comma 1, lett. b) e c) CCNL 2019 sono «conferibili», secondo una recente parte della Giurisprudenza di Merito, tale aggettivo (conferibili) «esprime una possibilità o una probabilità: la sua proiezione nel contesto giudiziario non può che ricondurre, pertanto, ad una facoltà del datore di lavoro, che postula una discrezionale valutazione di opportunità, necessità e convenienza, insindacabile da parte del giudice del lavoro, trattandosi di opzione organizzativa, condizionata, peraltro, dalla disponibilità del posto e delle risorse finanziarie» (Tribunale Avellino, sezione Lavoro, sentenza n. 27 del 12 gennaio 2024).

A conferma di tale interpretazione, dal dato testuale della disposizione normativa emergerebbe, altresì, l’assenza di “automaticità” tra valutazione positiva del dirigente medico ed assegnazione dell’incarico dirigenziale “speciale”.

E ciò, anche perché, il comma 5 dell’art. 27 CCNL 19 dicembre 2019 (ma, invero, ciò è disposto anche dal CCNL 23 gennaio 2024, art. 23 comma X) prevede la necessità, a monte del conferimento, di un atto scritto e motivato del responsabile della struttura di appartenenza, che si converte in atto di macroorganizzazione aziendale nel caso di incarichi di direzione di struttura. Ciò, all’evidenza, lascia emergere la natura assolutamente discrezionale (non arbitraria) della decisione del conferimento dell’incarico, ovviamente accompagnata dal risultato della valutazione positiva. Ovviamente, a tale determinazione datoriale, che pertanto esclude un diritto al conferimento dell’incarico in re ipsa, il giudice non può sostituirsi.

Secondo la Giurisprudenza di Legittimità, (cfr., tra le altre,Cass., sez. lav., 29 ottobre 2018, n. 27400), «In tema di dirigenza sanitaria, il d.lgs. n. 502 del 1992 - vigente "ratione temporis" - si applica ai rapporti di lavoro dei dirigenti delle aree medica, professionale, tecnica e amministrativa del S.S.N., ed anche alla dirigenza non medica; ai sensi degli artt. 3, comma 1 bis, 15, 15 bis e 15 ter del detto decreto, deve ritenersi che l'atto aziendale che regola l'organizzazione ed il funzionamento delle unità operative, individuando quelle dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, riconducibile all'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisca un elemento imprescindibile per il conferimento dell'incarico dirigenziale e per l'attribuzione del trattamento economico, che la contrattazione collettiva di comparto correla alla tipologia dell'incarico stesso ed alla graduazione delle funzioni».

Pertanto, la facoltà dell’Azienda Sanitaria di attribuire gli incarichi deriva in prima battuta dal disposto normativo, per il quale gli incarichi dirigenziali sono conferibili, e non già conferiti; tale facoltà è ovviamente legata anche al bilancio aziendale e alle esigenze di personale (dunque, all’organizzazione del lavoro).

E, proprio per tale ragione, la maturazione del quinquennio di esperienza con valutazione (di prima istanza e del collegio tecnico) positiva, divengono per il dirigente medico «condizione necessaria ma non sufficiente ai fini del conferimento dei suddetti incarichi» (cfr. Tribunale di Avellino, sezione lavoro, sentenza n. 27/2024).

In altri termini, secondo tale prospettiva ermeneutica, il dirigente medico che abbia ottenuto la verifica ultraquinquennale positiva non matura per ciò solo il diritto all’incarico ovvero alla corrispondente retribuzione.

Ancorché, dunque, il dirigente medico, abbia superato il quinquennio di attività, la mancata sottoposizione a verifica, da parte del collegio tecnico, richiesta dall’ art. 15 comma 5, non consente in via automatica il perfezionamento del diritto al conferimento di uno degli incarichi di cui all’art. 27 lett. c).

Secondo tale ricostruzione, dunque, non sussiste, in capo al dirigente medico, un diritto soggettivo vero e proprio all’attribuzione degli incarichi.

Pur potendovi essere, in astratto, un inadempimento del datore di lavoro pubblico in ordine all’avvio e all’espletamento di procedure di verifica dei dirigenti, il diritto degli stessi ad essere sottoposti alla valutazione non postula necessariamente il diritto al successivo conferimento d’incarico dirigenziale; ciò perché non solo non è possibile stabilire a priori l’esito (positivo o negativo) della verifica, ma altresì in quanto, pur in presenza di una valutazione positiva, gli incarichi in questione restano «conferibili», secondo le esigenze discrezionalmente valutate dal datore di lavoro.

Corrobora tale interpretazione, oltre al dato letterale delle disposizioni contrattuali, la circostanza per la quale, nel caso ci siano più candidati all’incarico da conferire, è necessario l’avvio di una procedura interna selettiva che richiede un atto aziendale di pubblicità della decisione di assegnare i predetti incarichi e dei criteri di attribuzione dei punteggi (art. 28 CCNL 2019, art. 23 CCNL 2024) e di valutazione comparativa, sulla scorta dei criteri predeterminati dalle parti sociali, risultato che a fortiori esclude qualunque automaticità tra la valutazione di verifica positiva e il conferimento dell’incarico dirigenziale, speciale o direttivo.

Il fatto che il conferimento degli incarichi dirigenziali sia facoltativo e che, pertanto, non vi sia una attività vincolata ovvero automatica, ma lasciata alla discrezionalità del datore di lavoro, emerge anche dall’analisi della Giurisprudenza di Legittimità, che valorizzando il dato normativo di cui all’art. 15 ter,D.Lgs. 165/2001, evidenzia che gli incarichi sono attribuiti «compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell'atto aziendale», peraltro escludendo qualsivoglia rilevanza determinante della novella legislativa dell’art. 15, D.Lgs. 502/1992, apportata dall’art. 8, D.Lgs. 28 luglio 2000, n. 254, nella parte in cui il termine «possono» è stato sostituito con il termine «sono».

Secondo la S.C. (Cass., sez. lav., 03 maggio 2023, n. 11574), «In tema di dirigenza medica, il conferimento di incarico di direzione di struttura semplice, di alta professionalità, studio, ricerca, ispettivo, di verifica e controllo ai dirigenti che abbiano superato il quinquennio di attività con valutazione positiva da parte del collegio tecnico è condizionato all'esistenza di posti disponibili (secondo l'assetto organizzativo dell'ente fissato dall'atto aziendale), alla copertura finanziaria, oltre che al superamento delle forme di selezione regolate dalla contrattazione collettiva»; […] «3. non è vero che il dato testuale delle norme di legge induca ad una lettura tale per cui al compimento positivamente valutato del quinquennio il dirigente medico abbia diritto, comunque, ad un incarico o di direzione di struttura semplice o di alta professionalità ed assimilati, di cui all'art. 27 CCNL 28.6.2000-quadriennio 1998-2001 lett. b) e c); è' vero che l'originario "possono" è stato sostituito, con il D.Lgs. n. 254 del 2000, art. 8 dall'assertivo "sono" attribuiti, ma ciò che è oggetto di tale attribuzione sono comunque funzioni di natura professionale "anche" (così ancora l'art. 15. co. 4) di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo, "nonché" (sempre l'art. 15, comma 4) incarichi di direzione di strutture semplici. anche in tale formulazione l'attribuzione di quelle funzioni più qualificate è dunque una mera possibilità come si desume dalle locuzioni ("anche"/"nonché") utilizzate; 3.1 ricorrono poi ulteriori e fondanti argomenti nel senso della non obbligatorietà dell'attribuzione di quella tipologia di incarichi; il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 15-ter prevede che gli incarichi medico-dirigenziali siano attribuiti "compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell'atto aziendale di cui all'art. 3, comma 1-bis"; ciò esclude - evitando anche irrazionali irrigidimenti organizzativi - che il numero degli incarichi sia necessariamente pari a quello dei medici valutati positivamente dopo il quinquennio, perché tutto dipende evidentemente dalle disponibilità finanziarie e dalle scelte organizzative - di merito - della P.A. di riferimento; né ha rilievo il fatto che la ASL qui coinvolta, nel proprio atto aziendale, possa avere previsto solo le strutture e non gli incarichi professionali; la norma è infatti chiara e dunque, almeno quanto a numero, vi deve essere una programmazione organizzativa e finanziaria degli incarichi, secondo un assetto evidente che prescinde da ciò che gli enti in concreto facciano o meno, perché la logica normativa è di assoluta evidenza e, come si dirà, non suscettibile di deroghe; non vi è poi ragione per valorizzare, nella individuazione del contenuto dell'atto aziendale, soltanto il disposto dell'art. 3-comma 1-bis, che fa riferimento all'individuazione delle strutture, in quanto l'art. 15-ter è inequivocabile - e di stringente logica giuridica - nel coordinare gli aspetti organizzativi e quelli finanziari e nel prevedere quel contenuto dell'atto aziendale; 3.2 infine, la contrattazione collettiva nel regolare, come prevede la legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 1, seconda parte) le modalità di conferimento degli incarichi, stabilisce (art. 28 CCNL 2000) che si proceda alla scelta con atto scritto e motivato, sulla base di una rosa di idonei e previa fissazione aziendale di criteri e di procedure per l'affidamento (cui nel CCNL 19.12.2019 si aggiunge anche un avviso di selezione interna), il che è palesemente in contrasto con un'attribuzione a tutti, al quinquennio, sempre e comunque, di uno di quegli incarichi».

           

3. Conseguenze dell’insussistenza del diritto all’incarico. Parentesi sulla rilevanza dell’atto di macroorganizzazione di graduazione delle funzioni e sulla retribuzione di posizione variabile aziendale

La conseguenza immediata dell’inesistenza di un diritto all’attribuzione dell’incarico è, ovviamente, l’impossibilità di riconoscere “automaticamente” al dirigente l’attribuzione della retribuzione di posizione minima contrattuale, dovuta per i titolari di incarico ex art. 27.

Come noto, infatti, la retribuzione (omnicomprensiva) dei dirigenti medici si compone di una parte tabellare, in misura fissa e variabile, e di una parte variabile, quest’ultima legata alle funzioni assegnate.

A tali voci retributive, che indicano la retribuzione di posizione, può affiancarsi la retribuzione variabile di risultato.

«La struttura del trattamento economico del dirigente si compone di una retribuzione fissa, collegata alla qualifica rivestita dal dirigente e determinata dai contratti collettivi, e di una retribuzione accessoria consistente nell'indennità di posizione (che varia secondo le funzioni ricoperte e le responsabilità connesse, in base ad una graduazione operata da ciascuna amministrazione) e nell'indennità di risultato (finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi conseguiti); tale struttura del trattamento accessorio rivela che la retribuzione di posizione riflette il livello di responsabilità attribuito con l'incarico di funzione mentre la retribuzione di risultato corrisponde all'apporto dato dal dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione; a riprova di tale assunto legittimamente è prevista una pluralità di fasce retributive anche nell'ambito di una medesima qualifica dirigenziale» (Cass., sez. lav., 02 febbraio 2011, n. 2459).

Come chiarito ancora una volta dalla S.C. (Cass., sez. lav., 07 febbraio 2024, n. 3513), «La composizione complessiva della retribuzione di posizione dopo la graduazione delle funzioni è, quindi, la seguente:

1) Parte fissa della quota tabellare stabilita in sede contrattuale;

2) Parte variabile della quota tabellare stabilita in sede contrattuale;

3) Variabile definita in sede aziendale dipendente dalla graduazione delle funzioni».

La Giurisprudenza ritiene, pertanto, unanimemente che la voce retributiva costituita dalla parte variabile della retribuzione possa essere riconosciuta esclusivamente in presenza di un atto di graduazione delle funzioni dirigenziali, trattandosi di uno specifico atto di macroorganizzazione che, tra l’altro, contiene l’istituzione e la disciplina delle specifiche posizioni nell’ambito dell’organigramma aziendale, con successiva attribuzione del relativo incarico al dirigente medico, il quale solo in tal modo potrà aver diritto alla corrispondente retribuzione di posizione variabile.

«In materia di retribuzione di dirigente medico, il provvedimento di graduazione delle funzioni ha natura di atto di macro organizzazione riconducibile all'art. 2, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ed integra un elemento costitutivo della parte variabile della retribuzione di posizione. Ne consegue che in caso di mancata adozione, da parte dell'ASL, del detto atto organizzativo, la componente variabile non può essere determinata né con riferimento soltanto all'importanza e complessità dell'incarico ricoperto, né, in maniera indifferenziata, in proporzione alla disponibilità dell'apposito fondo aziendale, i cui atti di determinazione hanno natura contabile e non sono idonei a fondare posizioni giuridiche piene, a sostegno di pretese economiche individuali» (Cass., sez. lav.,  25 marzo 2014, n. 6956).

A tal riguardo preme evidenziare che la recente (e già richiamata) Giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. lav., n. 3513/2024) ha chiarito, ancora una volta, che in tema di dirigenza medica, la retribuzione di posizione variabile non contrattuale (dunque “parte variabile aziendale”) non può essere corrisposta ai dirigenti in assenza di provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi; pertanto, ove la P.A. effettui illegittimamente il relativo pagamento in favore di alcuni di tali dirigenti, gli altri, che da tale pagamento siano stati esclusi, non possono dolersi dell'avvenuta disparità di trattamento, dovendo, piuttosto, il datore di lavoro recuperare quanto indebitamente versato a coloro che non ne avevano diritto.

Come noto, poi, al finanziamento della retribuzione di posizione si provvede mediante l’utilizzo di un fondo (annuale) che deve essere integralmente utilizzato (cfr. art. 60 del CCNL 5 dicembre 1996, nonché art. 50 CCNL 8 giugno 2000, ma anche art. 72 CCNL 23 gennaio 2024)

Quanto alla procedura da seguire per giungere a determinare la parte variabile di retribuzione di posizione definita in sede aziendale dipendente dalla graduazione delle funzioni, particolare rilievo assume la contrattazione collettiva integrativa.

In sede integrativa, infatti, le parti definiscono i criteri generali per la distribuzione tra i fondi delle risorse, anche aggiuntive, e lo spostamento di risorse tra i fondi e al loro interno, nonché la rideterminazione degli stessi in conseguenza della riduzione di organico derivante da processi di riorganizzazione.

In ogni caso (cfr. al riguardo anche art. 10 CCNL 23 gennaio 2024), le regole procedimentali dettate dalla contrattazione collettiva in ordine alla regolamentazione dei tempi e delle procedure della contrattazione integrativa attribuiscono diritti e doveri alle parti stipulanti e non ai singoli dipendenti, ai quali il contratto si applica per effetto delle previsioni normative contenute nel d.lgs. n. 165 del 2001. In estrema sintesi, il procedimento di negoziazione ha significato prevalentemente politico-sindacale e, pertanto, le scansioni previste per tale procedimento non hanno funzione simile a quelle di un ordinario procedimento amministrativo. Ciò significa che l'inosservanza dei termini (ad esempio per la costituzione della delegazione di parte pubblica e per la convocazione dei sindacati, come pure per la mancata conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto) non costituisce di per sé inadempimento da parte dell'Azienda ai suoi obblighi contrattuali verso i dipendenti (Cass., sez. lav., n. 3513/2024; Cass., sez. un., 31 marzo 2009, n. 7768).

Peraltro, il provvedimento di graduazione delle funzioni è atto riservato all'organo di vertice delle amministrazioni, riconducibile, come generalmente ritenuto, alle previsioni dell'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001, quale atto di macro-organizzazione. Dalla sua adozione dipende la determinazione della retribuzione di posizione (Cass., sez. lav., n. 3513/2024).

L'Azienda provvederà ad effettuare la graduazione delle funzioni e la “pesatura” (o “caratura”) degli incarichi e, quindi, a determinare la componente variabile della retribuzione di posizione distinta dalla quota tabellare stabilita in sede contrattuale utilizzando le risorse di cui al fondo all’uopo costituito.

Sempre dalle disposizioni legislative e contrattuali si evince poi che, a carico della P.A., vi è l’onere di procedere alla graduazione delle funzioni e alla pesatura degli incarichi, al fine di quantificare una quota della retribuzione spettante ai dirigenti medici per l'attività da loro svolta e dal dovere di attivare la contrattazione collettiva che la concerne alle scadenze previste.

Orbene, l’iter di individuazione della voce retributiva in discorso richiede un'attività riservata all'amministrazione (oltre ad una fase preparatoria negoziale che coinvolge i sindacati).

Solo a seguito della “fase preparatoria” il datore di lavoro pubblico adotterà il provvedimento conclusivo. È pertanto chiaro che prima della graduazione delle funzioni e della pesatura degli incarichi vi è una fase procedimentale, dal carattere obbligatorio ma che non coinvolge direttamente il lavoratore, rispetto alla quale lo stesso è indifferente.

Secondo la S.C., dunque, «L'attività negoziale preliminare che coinvolge i sindacati e la stessa formazione e gestione del fondo citato rientrano fra gli atti esecutivi dell'obbligazione e di adempimento della stessa, che devono essere realizzati dalla P.A. nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede» (Cass., sez. lav., 3513/2024).

L'Azienda ha pertanto l'obbligo di attivare il procedimento che condurrà alla graduazione delle funzioni e alla pesatura degli incarichi, a pena di inadempimento.

Dunque, le determinazioni organizzative dell’Azienda Sanitaria condizionano sia il conferimento dell’incarico, sia, parallelamente, la corresponsione della relativa maggior retribuzione.

In assenza, i dirigenti medici maturano esclusivamente il diritto alla retribuzione tabellare, non potendo vantare alcuna pretesa in ordine alla retribuzione di posizione connessa ad un incarico direttivo o speciale mai conferito (sul punto, cfr. Cass., sez. lav., 27 maggio 2009, n. 12335: «In tema di trattamento economico dei dirigenti amministrativi delle aziende del servizio sanitario, il contratto collettivo nel prevedere, da parte delle aziende, la determinazione della graduazione delle funzioni dirigenziali e l'attribuzione di un valore economico ad ogni relativa posizione, riconosce una retribuzione di posizione complessiva composta da una quota stabilita tabellarmente in sede contrattuale, divisa in una parte fissa e in una variabile, nonché da un'ulteriore quota, parimenti variabile e definita in sede aziendale, collegata all'incarico conferito sulla base della graduazione delle funzioni. Pertanto, fino al conferimento degli incarichi, al dirigente deve essere corrisposta una retribuzione di posizione minima, costituita dalle componenti, fissa e variabile, della quota tabellare, che costituisce mera anticipazione destinata ad essere riassorbita nel valore economico complessivo successivamente attribuito all'incarico conferito»).

 

4. Conseguenze del mancato conferimento dell’incarico. Inadempimento e perdita di chance

Ovviamente, l’inadempimento del datore di lavoro pubblico può determinare l’insorgenza di una azione risarcitoria, anche sub specie di perdita di chance di carriera e “danneggiamento” delle competenze professionali.

Orbene, anche in materia di responsabilità contrattuale, occorre distinguere tra danno evento, ossia il fatto illecito dell’inadempimento, e danno conseguenza, cioè la lesione della sfera giuridica del creditore.

Il lavoratore è chiaramente gravato in giudizio dell’onere della dimostrazione delle effettive ricadute negative dell’inadempimento, non essendo ammissibile alcun automatismo tra inadempimento e risarcimento.

In particolare, il lavoratore asseritamente danneggiato dalla condotta inadempiente del datore di lavoro è tenuto ad indicare compiutamente quali specifiche lesioni avrebbe subito e, segnatamente, quali siano state le conseguenze negative derivanti dall’impedimento alla progressione di carriera su entrambi i piani, sia patrimoniale sia non patrimoniale.

Siffatta allegazione e prova è funzionale, peraltro, allo scopo di accertare la sussistenza del nesso di causalità tra inadempimento e danno e, quindi, verificare la ricorrenza dei criteri selettivi di cui all’art. 1223 c.c., essendo necessario accertare la regolarità causale della lesione, ossia la sua natura di effetto diretto ed immediato dell’inadempimento.

Pertanto, l’assenza di una compiuta allegazione rende la domanda risarcitoria infondata e meritevole di rigetto.

Con precipuo riferimento alla eventuale domanda risarcitoria da perdita di chance retributiva (e contributiva), il lavoratore ha l’onere di allegare gli elementi costitutivi del diritto, rappresentati, quanto alla chance, da fattori che rivelino, anche in via presuntiva, la ragionevole possibilità di ottenere il bene della vita precluso dall’inadempimento della controparte.

Il danno da perdita di chance va riconosciuto ove sussista la prova, fornita anche presuntivamente dal soggetto leso, di una concreta ed effettiva occasione perduta (da valutare in base ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza).

La chance, infatti,non è una mera aspettativa di fatto, ma un’entità a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, sicché colui che ne rivendichi il risarcimento ha l’onere di provare, benché solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (Cass., sez. III, 14 marzo 2017, n. 6488).

Secondo la S.C. (Cass., sez. lav., 11 ottobre 2017, n. 23862) «Il danno patrimoniale da perdita di una chance costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete, dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza. Il risarcimento in parola può essere riconosciuto, in altri termini, solo quando la chance perduta aveva la certezza o l'elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base a elementi certi e obiettivi»; Cass., sez. lav., 25 agosto 2017, n. 20408: «Il danno per perdita di chances richiede la prova di una buona (o non trascurabile) probabilità di superare la selezione e non certo la mera possibilità di parteciparvi».

Per l'esattezza, in tema di risarcibilità dei danni da fatto illecito o da inadempimento, nell'ipotesi di responsabilità contrattuale, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale (Cass., Sez. 3, 04 luglio 2006, n. 15274).

La regola per la quale il risarcimento per l'inadempimento dell'obbligazione esige un rapporto causale immediato e diretto fra lo stesso inadempimento e il danno, prevista dall'art. 1223 c.c., pur essendo fondata sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti, deve essere intesa, dunque, come orientata ad escludere dal risarcimento esclusivamente le conseguenze dell'inadempimento che non siano connesse a questo in maniera giuridicamente rilevante.

In questi termini va interpretata la prescrizione per la quale tale risarcimento deve comprendere la perdita e il mancato guadagno del creditore che di detto inadempimento siano ex art. 1223 c.c. conseguenza propriamente “immediata e diretta”.

È compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza di un rapporto causale che abbia i menzionati caratteri normativamente richiesti (Cass., sez. lav., 21 aprile 2006, n. 9374).

Il dipendente è tenuto, allora, ad allegare l'esistenza di un danno da perdita di chance e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (nei termini sopraesposti), fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo un calcolo di probabilità.

Nella specie, ai fini dell’accoglimento di una domanda risarcitoria da perdita di chance, l’allegazione e prova (quand’anche presuntiva) afferisce alle concrete e ragionevoli possibilità di conseguire una valutazione quinquennale positiva.

È altresì necessario che tale possibilità di valutazione positiva sia tale da costituire un quantomeno ragionevole affidamento nel probabile conferimento di un incarico, essendo la valutazione positiva necessaria ma da sola non sufficiente all’uopo.

In concreto, il dirigente medico sarà tenuto ad allegare, oltre al possesso di elementi verosimilmente utili per una valutazione positiva, la sussistenza di necessità organiche del datore di lavoro rispetto almeno ad uno tra gli incarichi aspirati.

Peraltro, va aggiunto che, siccome la valutazione positiva del collegio tecnico non determina in automatico il conferimento dell’incarico, la stessa non può, neanche in astratto, essere considerata come bene della vita che, se leso, sia autonomamente risarcibile, neanche in termini di possibilità di conseguimento, cioè come chance di conseguirlo.



[*] Marco Mariano: Dirigente Avvocato Responsabile della U.O.S.D. Contenzioso Relativo a Personale e Fornitori della ASL Avellino.


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